Capitolo 2

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17 Marzo


-Da non crederci, vero?-

Marina si era seduta sulla sua poltrona, nel palazzo della Provveditoria, appena aveva concluso la cerimonia di premiazione dei marinai rientrati con Barbaglio dalle Ipatzie. -Un'elezione in soli tre giorni di conclave: non accadeva da quando avevo trent'anni.-

Lo stupore era reciproco: quando Domenico era salpato il mese precedente, il vecchio Principe era ancora in buona salute, malgrado avesse da tempo superato gli ottant'anni, quindi il solo sapere che era spirato dopo così poco tempo era stato un vero fulmine a ciel sereno per il Generale, che si era trovato col suo più grande sostenitore non più in vita.

-Ti vedo silenzioso, Dome...- esclamò Marina poggiando i piedi sul tavolo, rivelando che le calzature che aveva ai piedi non erano solo degli stivali: erano delle vere e proprie armi. Si riusciva a vedere chiaramente il meccanismo retrattile della lama posta sulla punta dei piedi, incastonato sotto alla suola. Se solo lei non fosse ormai troppo acciaccata e lenta per poter prendere a calci le persone, chiunque avrebbe avuto paura a trovarsi all'interno del suo raggio d'azione. -...va tutto bene?-

-Mah, insomma.- disse lui a bassa voce massaggiandosi la barba. -Ho perso non pochi dei miei in questa campagna, ed ho paura che se il nuovo Principe non sia tra i miei sostenitori. Io ed Alberto eravamo, non dico amici, ma ci stimavamo molto, lui si è battuto più di chiunque altro per il mio reintegro allo scopo di guidare questa campagna. Senza di lui, potrei trovarmi messo in croce, non so se mi spiego.-

-Ti spieghi, ti spieghi!- convenne la Morosini gettando lo sguardo all'indietro: la finestra del suo ufficio, che occupava quasi tutta la parete alle sue spalle, dava proprio sulla piazza centrale del quartiere noto come "il castello", ossia la cima spianata del faraglione, dove si stava radunando una gran folla, tanto numerosa che avevano dovuto formare due linee di soldati per tutta la lunghezza della piazza, in modo da permettere al nuovo capo di stato di percorrerla a piedi fino alla stretta scala che lo avrebbe condotto al pulpito da cui avrebbe dovuto recitare il suo giuramento. Solo dopo si sarebbe dovuto, o dovuta, recare nuovamente al Palazzo per prenderne possesso.

-Piuttosto: dimmi un po'...- disse il Generale cambiando argomento. -Chi sono stati gli ultimi elettori sorteggiati?- chiese curiosamente. -C'è qualcuno che conosciamo?-

-Beh, qualcuno sì...- Marina aveva iniziato a tentennare: quando faceva così era segno che si trovava in difficoltà. -...diciamo che conosci molto bene alcuni degli elettori.- All'esterno degli uffici, iniziò a sentirsi un forte scroscio di applausi. -E poi...- l'intensità delle acclamazioni crebbe a dismisura, spingendo la donna a voltarsi per osservare cosa stesse accadendo.

-E poi...- la incitò Barbaglio alzando i palmi delle mani, grandi e callose, dato che si era liberato dei guanti.

-E poi, credo che dovresti guardare laggiù.- disse impallidendo mentre l'indice destro le tremava dalla tensione.

Dal portone del palazzo era uscito in piazza il corteo degli elettori: trenta persone con indosso le vesti rosse bordate d'ermellino riservate ai membri del Maggior Consiglio. Le medesime vesti erano indossate dalle persone che occupavano la prima fila della piazza: la scelta degli elettori del Principe avveniva tramite un sorteggio molto complicato e, sulla carta, del tutto casuale, quindi solo pochi di loro avevano il diritto di prendere parte al conclave.

Normalmente però, i membri del conclave erano trentuno, quindi l'eletto doveva per forza essere stato uno di loro. Non che fosse strano, capitava abbastanza spesso.

Infatti, nel mezzo del corteo, spiccava un uomo, di età compresa tra i quaranta ed i cinquant'anni, quindi decisamente giovane per la media delle persone che avevano ricoperto quella carica. I capelli, scuri con una leggera macchia grigia sulle tempie, erano coperti dal corno nero bordato d'argento, copricapo simbolo della Repubblica, del medesimo colore del pesante mantello, riccamente decorato con fili d'oro e d'argento e bordato di pelliccia bianca, che quell'uomo indossava.

Nell'osservarlo, a Barbaglio venne subito un nodo alla gola: aveva temuto per anni che quel momento prima o poi sarebbe arrivato, ma non si sarebbe mai aspettato che avvenisse così presto. Il nuovo Principe non solo aveva i suoi stessi tratti somatici ed i suoi stessi occhi, ma anche il suo stesso cognome.
Il nuovo Princeps di Rialto era infatti Marco Barbaglio: suo figlio!


*


18 Marzo

-Come sarebbe a dire: "destituito?"- Barbaglio era a dir poco furibondo: suo figlio si era insediato come Principe da solo un giorno, e già lo stava cacciando dal suo incarico.

-Lo sai cosa vuol dire, papà.- insistette il nuovo capo di stato della Repubblica. -Grazie a te ora la guerra è finita, e come tu sai bene, il ruolo di Capitano Generale può essere assegnato solo in caso di guerra. Perciò ora non è più necessario, e tutte le spese non necessarie vanno tagliate.- calcò particolarmente il tono di voce sulla parola "tagliate," aggiungendo a tal vocabolo un gesto che mimava delle forbici, indirizzandolo verso la protesi del suo anziano genitore.

-Inoltre...- continuò il Principe. -...mi è stato comunicato che tu abbia non solo insabbiato i reati di falsa resa e navigazione sotto falsa bandiera, perpetrati da alcuni marinai sotto il tuo comando, ma anche promosso questi malfattori.- lo fissò severamente. -Ti sembra un comportamento consono alla posizione che ricoprivi?-

-Senza di loro la battaglia sarebbe stata ancora aperta.- si giustificò il Generale. -Il colpevole della falsa resa è caduto durante l'abbordaggio, quindi ho ritenuto fosse stato punito a sufficienza, mentre quei marinai hanno dato fuoco ad una nave di linea nemica, consegnandoci la vittoria su un piatto d'argento.- si era accigliato ed i suoi occhi si stavano arrossando: era chiaro che stesse trattenendosi a fatica dal lasciar libero sfogo al proprio disappunto.

-Come ti pare, ma placa la tua ira...- lo ammonì il figlio. -Conosco quello sguardo, non voglio che tu lasci emergere...LUI mentre sei qui!- aveva portato istintivamente la mano destra vicino a una pistola che teneva sulla scrivania: sapeva di cosa fosse capace suo padre qualora perdesse completamente le staffe: lo aveva visto solo due volte, e in entrambe le situazioni aveva avuto fin troppa paura di lui, quindi si era premunito di argomenti convincenti per tenerlo a bada.

Domenico inspirò profondamente, una, due, tre volte, fino a ritrovare la calma. Si risistemò a dovere sulla sedia e fece cenno al figlio di continuare liberamente.

-Non prenderò provvedimenti contro di loro, ma ribadisco che i tuoi servigi non sono più richiesti alla Repubblica.- sancì infine il Principe. -Tu ora tornerai a casa nostra e ti occuperai di mio figlio: non sei potuto essere un padre molto presente per me, ti chiedo quindi essere un nonno presente per lui.-

Era una richiesta legittima, Domenico ne convenne, quindi si limitò ad assentire.

-Non porterò Matteo alla capitale: è ancora troppo piccolo, e poi ha sempre detto di voler seguire le tue orme, magari lo potrai istruire in merito. Sua sorella invece verrà, e magari cercherò un buon marito per lei, ma a questo penseremo a tempo debito. Tu invece mi restituirai l'anello, verrai accompagnato sotto scorta fino a Colle Argenteo, e appena sarai arrivato, potrai considerarti in pensione. Hai domande?-

-Un paio ne avrei.- disse il vecchio infilandosi una mano nella tasca interna della giubba, da cui estrasse una lettera ceralaccata. -Avevo preparato questa proposta per una modifica dell'addestramento delle truppe. Occorre il nullaosta del Principe per la sua approvazione, quindi confido che la vorrai leggere e, spero, approvare.- Marco alzò le sopracciglia: non aveva mai apprezzato troppo suo padre, ma sapeva bene quanto egli fosse abile in campo militare, perciò decise di concedergli questo contentino. -Molto bene, se lo ritieni opportuno, la approverò. Nient'altro?-
-Si: quando mi hai detto che mi sarei dovuto ritirare, hai aggiunto che le mi ritenevi troppo vecchio per restare in servizio: varrà lo stesso per tuo zio Andrea?-
Marco sorrise al padre: Andrea, marito della defunta sorella di Domenico, era uno dei migliori comandanti della marina Rialtina, tanto che gli era stato offerto il ruolo di Capitano Generale prima che a Barbaglio stesso, ma lui lo aveva rifiutato, ritenendosi impreparato a guidare una campagna militare.
-Lui resterà in servizio.- gli garantì facendo spallucce. -Se come hai detto occorre una riforma dell'addestramento, non vedo persona migliore dello zio per occuparsene.- allungò la mano verso il padre tenendo il palmo in alto. -Ed ora l'anello, prego.-
Domenico sospirò: si levò l'anello e lo mise in mano a Marco, per poi alzarsi e, zoppicando, dirigersi verso la porta.

-Ah, figliolo, un'ultima cosa...- disse senza voltarsi. -Sono fiero di te per la tua elezione. Nessun Barbaglio era mai arrivato a sedersi su quella poltrona: complimenti.-
Detto questo, l'ex Generale uscì dall'ufficio del principe e chiuse la porta alle sue spalle.

*


-Avanti, ragazza: portami a casa.-
Domenico, ancora in uniforme, entrò nella carrozza su cui era già stato caricato il suo bagaglio. Lo aspettavano tre giorni e mezzo di viaggio, forse quattro, per arrivare al porto di Postia, dove la sua barca lo avrebbe trasportato fino a Colle Argenteo, dove sorgeva casa sua. "Casa": gli sembrava davvero strano chiamarla in questo modo.
In quella villa fortificata lui era nato, certo, ma da quando aveva tredici anni non ci aveva quasi mai vissuto, anche se lì si era sposato, ci aveva concepito suo figlio, ci aveva seppellito sia la non molto amata consorte che l'amatissima sorella e gli odiati genitori. Negli ultimi cinquant'anni, ne aveva trascorsi forse una decina in quella villa: doverci passare il resto della vita gli sembrava abbastanza limitante, anche se l'idea di passare del tempo con suo nipote almeno gli lasciava indorare la pillola. 

Decise di non pensarci più: la carrozza, scortata da una dozzina di lancieri a cavallo della guardia del Principe, era partita, ed ora stava percorrendo a passo sostenuto il mastodontico ponte che l'avrebbe condotto verso le porte della città, dove avrebbe percorso la strada per Vasto Estuario, e da lì quella per Postia. La donna che guidava il veicolo, una giovane dai capelli castani con un occhio solo, tirò leggermente le redini appena furono arrivati alla piazza centrale della citta: rallentando l'andatura della carrozza per divincolarsi meglio tra l'enorme massa di persone che si stavano muovendo nella sua routine giornaliera. 

Era ormai tardo pomeriggio: quasi le cinque, ed essendo ancora marzo, presto avrebbe fatto buio, quindi molti erano già in fase di rientro a casa dal lavoro. Domenico si concesse un breve sorriso, pensando che almeno quella sera avrebbe sostato in uno dei posti che più apprezzava della provveditoria della capitale. Nel farlo, si sporse vicino ad un finestrino e con un gesto chiamò a sé uno dei soldati che lo scortavano.

-Ragazzo, tu sei della zona, vero?- gli chiese appena egli ebbe portato il suo cavallo accanto alla carrozza.

-Sissignore.- rispose il soldato, un Caporale di circa trent'anni con i capelli rasati quasi a zero.
-Son nato vicino al porto.-

-Ottimo figliolo, allora sai che ad un miglio e mezzo fuori città c'è una taverna che ospita spesso i nostri ufficiali di marina, vero?-

-Parla dello "Squalo Scarlatto", Generale?- replicò il cavaliere facendo un sorriso al vecchio.
-Servono uno dei migliori arrosti di maiale che abbia mai mangiato.-

-Bene, allora la conosci.- Domenico si sporse, allungando uno zecchino al soldato. -Galoppa fin lì ed avvisa Matilda che stanotte alloggerò lì: voglio il suo arrosto lardellato pronto per le otto, tutto chiaro?-

Il Caporale afferrò la moneta e se la infilò nel tascapane, toccandosi poi la visiera del berretto in segno di assenso. Dopodiché, dato sprone al cavallo, si divincolò dalla folla e corse in direzione dell'uscita della città.

-Ottima scelta, Domenico: anche se non credo che una simile quantità di grassi faccia bene ad un uomo della tua età.- L'ex Generale trasalì, voltandosi di scatto e mettendo istintivamente mano al bastone, dal quale sfilò il manico, rivelando che esso conteneva un pugnale.

-Non ti servirà quell'arma: non siamo nemici.- A parlare era stata una donna vestita di nero, che ora sedeva sulla panca opposta a quella dove Domenico aveva posato le terga. Era abbastanza alta, col corpo ben definito e dall'aspetto molto affascinante, nonostante dovesse aver superato i cinquant'anni. I capelli biondi rigati di grigio erano raccolti in una complessa acconciatura, che tendeva a slanciare ulteriormente la figura di quella faccia lunga e sensuale, con gli zigomi alti e gli occhi verdi dai riflessi di una strana tonalità violacea. 

-Chi sei? E come ci sei entrata qui?- il vecchio non ci provò nemmeno a rinfoderare la corta lama: la puntò anzi verso l'intrusa, che rispose alla minaccia con un composto sorriso.

-Diciamo che muoversi nella folla per me è semplice, mio caro.- disse allungando una mano fino a toccare quella del suo interlocutore, che accompagnò delicatamente fino al bastone, in modo da invogliarlo a riporre l'arma. -Poi ho fatto oliare la serratura di sinistra apposta per non far rumore salendo, e chi credi che abbia scelto la tua scorta per questo viaggio?-

La carrozza ripartì: i soldati erano riusciti a sgombrare la strada a sufficienza da consentirne il passaggio. Domenico, per nulla rassicurato dalla risposta della donna, rinfoderò il pugnale, ma mantenne salda la presa sul manico, pronto a sfoderarlo nuovamente, qualora fosse necessario. La donna, notando l'atto del vecchio, inspirò profondamente, per poi sorridergli nuovamente.

-Molto bene: mi può bastare.- disse ruotando il busto in modo da afferrare un pesante libro mastro che teneva in una borsa appesa ad un fianco. -So che tuo figlio è il nostro nuovo Principe, quindi ti faccio i complimenti.- 

Domenico non parlò.

-E so anche che ti ha appena mandato in pensione, mi sbaglio?-

Stavolta il vecchio, seppur fosse abituato alle sorprese, non riuscì ad evitare che sul suo volto spiccasse un'espressione stupita.

-Una vera ingiustizia per certi versi, vero? E dire che ci hai portato così tanti profitti con la tua vittoria.- nel dire queste parole, la donna alzò la mano destra, mostrando all'ex Generale un pesante anello argenteo su cui, con la luminite, dell'oro e un rubino, era stato scolpito un simbolo raffigurante una bilancia con una moneta su un piatto ed una goccia di sangue sull'altro. Quel gioiello fece sgranare gli occhi a Domenico, che finalmente ripose il bastone in una tasca cucita sull'imbottitura della portiera.

-Tu sei una dei Tredici, vero?- chiese indicandola e facendole un sorriso. 

-Ti correggo mio caro: una dei Quattordici ora.- puntualizzò la donna. -Grazie alla tua vittoria ora l'Esfalia si è dovuta aprire a noi, quindi presto ci sarà un nuovo membro nel Consiglio dell'Alleanza.- Il Consiglio dell'Alleanza Mercantile, era l'organo supremo posto al vertice di quell'impresa. Esso di fatto controllava la più grossa fetta del mercato negli ormai quattordici stati che avevano aderito all'Alleanza. Per il loro regolamento, ogni stato forniva un membro al Consiglio e, al di fuori di coloro che servivano l'Alleanza a livelli almeno medio-alti, nessuno doveva conoscerne l'identità. Il fatto che la donna che era nella carrozza con Domenico fosse nientemeno che una di questi pochi eletti, oltre al fatto che lo avesse palesato senza la minima remora, rendeva il vecchio al contempo inquieto ed incuriosito. Cosa potevano volere i Quattordici da un ormai ex Generale ultrasettantenne costretto al congedo?

Come se gli avesse letto nel pensiero, la donna diede una leggera spinta al libro che aveva posato sul sedile, portandolo di fronte all'uomo. Egli, ancora insospettito, lo afferrò e, una volta aperto, iniziò a sfogliarlo, leggendo a bassa voce ciò che vi era scritto.

-Tsunami: ammiraglia, ottanta cannoni. Equipaggio necessario: settecento marinai, reclutamento misto, costruzione Rialto. Greyhound: ammiraglia della divisione d'avanguardia, settantaquattro cannoni. Equipaggio necessario: seicentocinquanta marinai, reclutamento misto, costruzione Antenucca. Kayser: ammiraglia della divisione di retroguardia, settantaquattro cannoni. Equipaggio necessario: seicento marinai, reclutamento misto, costruzione Abcazia.- Erano navi, descritte ed associate ai piani generali di ognuna di esse, con dettagli sulla fabbricazione, i legni utilizzati, gli autori del progetto e tutto il resto delle informazioni necessarie a descriverne il quadro completo. Barbaglio alzò lo sguardo, fissando la donna negli occhi: quei due smeraldi rigati di ametista ora erano attorniate da un'espressione soddisfatta.

-Cosa ne pensa?-
Domenico deglutì, scorrendo diverse pagine del libro, tutte piene di piani di costruzione di bastimenti militari con le relative specifiche tecniche.

-Questa è una flotta...una flotta grande abbastanza da superare quella Rialtina di almeno tre volte...- uno strano pensiero gli si balenò in mente. -Quali sono le vostre intenzioni?-

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