4.2 Il Diario e La Promessa

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Lily si sbagliava -e non poco- a definire Jules un Sole.
I Soli, come dei magneti, attiravano indistintamente ogni creatura, consentendo loro di orbitargli attorno per tutto il tempo che gli fosse sembrato necessario, con pazienza ed armonia.
I Soli riscaldavano con i loro brillanti sorrisi, il loro modo di fare ammaliante, energico e giocoso e nessuno si stancava mai di quell'incredibile calore che si irradiava in corpi e menti, che trasmetteva gioia e positività e che, con l'impeto di un uragano, spezzava quei freddi silenzi e quelle parole non dette, troppo timide e spaventate per mostrarsi anche solo ai loro raggi.
I Soli erano i motori portanti dell'universo, stelle forti, grandi, luminose e portatrici di vita, ma anche detentrici di una tale pressione e forza distruttiva in grado di travolgere per chilometri interi ciò che si imbatteva sul loro cammino. Oppure, semplicemente, di esplodere, ponendo fine ad un regno da essi stessi generato.

Da brava Sole, infatti, Lily era diventata l'oggetto del desiderio di tutti i bambini non appena avevano notato la sua presenza sul pulmino e persino a scuola, quando la maestra Hannah l'aveva presentata con orgoglio e si erano fiondati come asteroidi verso di lei, accerchiandola e ingabbiandola in uno stormo di domande, complimenti e inviti a giocare e a fare amicizia.
Venne coccolata, riempita di carezze e stralci di merenda, completamente immersa in un ambiente a lei confortevole, fatto di colori, magia, finali felici e un popolo che la venerava come una vera regina.
Per lei, solo cose belle.
Per lei, solo sguardi colmi di curiosità ed ammirazione, luminosi al cospetto di un Sole custode di stelle, un essere tanto speciale quanto raro, intoccabile come un diamante.

In questo, quindi, Lily aveva detto una bugia: come poteva una Luna come lui essere definita Sole solo per via dei suoi occhi?
Jules possedeva dei Soli soltanto l'ultimo punto, ma con un unica differenza: l'implosione. Si sarebbe autodistrutto, consumato per sua stessa colpa fino all'ultima fibra del suo corpo -già di per sé non un granché- e poi sarebbe sparito.
Poof!
Inoltre, brillando di luce riflessa, come poteva mai emergere davvero? Farsi notare?
La sua specialità era la solitaria oscurità e neanche i raggi del Sole sarebbero stati in grado di scalfirla.
Certamente, la ammaliavano e la seducevano.
Certamente, provavano ad inglobarla nella loro luce.
Però, nonostante i numerosi tentativi, Luna non riusciva ad eguagliare Sole, nè tantomeno a raggiungerlo e a saggiare da vicino non solo la sua infinita bontà e bellezza, ma la sua presenza. Piena, non vuota.
Luna avrebbe potuto amare Sole esclusivamente da lontano, senza mai neanche toccarlo o provare l'ebbrezza delle sue fiamme, che forse l'avrebbero lambita e poi avvolta da calore e desiderio.
Se Luna fosse sparita nel buio dal quale era nata, nessuno se ne sarebbe accorto. A nessuno sarebbe importato.
Forse solo le sue uniche amiche, le Stelle, avrebbero pianto la sua perdita, a dispetto degli altri, troppo presi dal fascino del Sole.
Le Stelle dovevano essere un suo dono per lei, frammenti del suo animo affranto che le avrebbero tenuto compagnia nel buio. Erano piccole e luminose come gioielli, calme e silenziose.
Ma Luna, nonostante il loro essere taciturne, poteva avvertire quanto in realtà fosse forte la loro voce.
Così iniziò a cantare e a raccontargli storie, l'una diversa dall'altra, cosicché potesse al posto loro urlare al mondo che esistevano creature che, nel loro triste vivere, avevano bisogno di essere ascoltate e non ignorate.
Dopotutto non ci si svegliava forse solo di giorno per poi nascondersi dalla notte?

E, da Luna qual'era, Jules si era visto strappar via il suo punto focale, che per l'intero tragitto gli aveva stretto con dolcezza la mano e che, nel marasma di vocine vibranti e in estasi per il suo arrivo, aveva continuato a mantenere il suo sguardo agganciato al suo, ferma e composta.
Eppure, non aveva avuto occhi che per lui, solo per lui, abbandonato ed escluso dalla cerchia dei pianeti.
Ma Lily era una di quelle sorprese da cui chiunque avrebbe desiderato lasciarsi stravolgere la vita.
E lei era una sorpresa a dir poco...esplosiva! L'intera aula, nonostante le sue mille forme e tinture, quasi quasi si era persino sentita in soggezione dinanzi all'Artista in carne ed ossa.

Chissà cosa avrebbe aggiunto alla sua tela, quel giorno; quante novità e quante...emozioni.

Neanche il tempo di fare un passo indietro -sconsolato, ma in qualche modo appagato dalla speciale attenzione che gli aveva riservato- per dirigersi ad un tavolino già allestito con il materiale con cui avrebbero lavorato quella mattina che lei si era fatta largo nella folla e lo aveva condotto ad una sediolina accanto alla sua, con grande disappunto da parte degli altri bambini e, soprattutto, di Tim, che non le aveva staccato gli occhi di dosso neanche per un secondo.
E neanche le mani dalla sua pelle.

Probabilmente solo Jules aveva fatto caso al modo in cui lui giocherellava senza farsi notare con i suoi capelli e i suoi nastri.
Se avesse potuto, lo avrebbe spedito immediatamente nello spazio con un calcio e non gli avrebbe mai più permesso neanche solo di immaginarsela, né tantomeno di toccarla o fare in modo che potesse passare dalla sua parte.
I suoi occhi azzurri erano così...morbosi. Sbagliati.
E lui conosceva benissimo quello sguardo: aveva adocchiato la sua nuova e squisita preda e, finché non fosse stata sua, non l'avrebbe mai lasciata andare.

Il Cacciatore si era messo all'opera.

"Vieni a giocare con me, Jules!" entusiasta, ora gli aveva consegnato dei fogli di carta e gli aveva fatto l'occhiolino, con le lunghe ciglia a solleticargli la guancia chiazzata di lentiggini.
Jules avvampò, ancora seminascosto dal suo peluche.
Lily, invece, ridacchiò allegra, sfiorandogli appena il braccio con le nocche.
"Ti insegno a costruire gli origami! Sai cosa sono?"

Lui scosse la testa, con i ciuffi scuri a ricadergli morbidamente sulla fronte.
Un brivido violento lo percorse dalla testa ai piedi, ma non lo diede a vedere, a dispetto nuovamente di quelle farfalle che stavano pian piano allentando le spine ben strette nella sua gola e nel suo petto.

Soffoco soffoco soffoco.

Jules non sapeva se Lily si fosse accorta del fatto che al loro tavolo erano seduti soltanto loro due, mentre gli altri, tutt'intorno, lanciavano continuamente occhiatacce e sguardi curiosamente maligni.
Non sapeva neanche se Lily stesse cogliendo le loro lamentele e i loro perché.

"Perché sta seduta con il mostro?"
"Secondo me è meglio se andiamo a salvarla, prima che la faccia diventare uno scheletro..."
"Ma secondo voi le avrà fatto un incantesimo? È troppo bella per quello lì"
"Sicuramente un maleficio!"
"Io dico che è pazza anche lei..."

La sua gamba prese a muoversi ad un ritmo serrato -su e giù, su e giù, su e giù- nell'attesa di scacciare quell'immancabile formicolio che stava iniziando a prendere possesso di lui.
La sua amica avventuriera continuava a parlare, concentrata nel suo lavoro.
Le mente di lui, invece, si isolò; e la cacofonia di chiacchiere non divenne altro che nebbia.
Leggera.
Velenosa.

Respira.
Stringi.
Concentrati.

"Piegando tante volte un foglio di carta, otterrai le forme che più vorrai! Un drago, una persona, dei fiori, un gattino e..." cominciò, mostrandogli abilmente e con una velocità impressionante ciò che stava spiegando. Le sue dita...volavano! Una piega, poi l'altra e... "Ta-dan! Una bella volpe! Ti piace, eh?"

Ed ecco che gli porgeva una delle sue creazioni: una bellissima volpina di carta nella quale lei stessa aveva infuso la sua essenza, con un cuore che sentiva battere e un'anima da sognatrice.
Gliela consegnò con una fiducia, soddisfazione e fierezza tali da placargli per un attimo quella sensazione di soffocamento e quel richiamo del Vuoto che lo stavano tentando con fare suadente.

No no no.

Jules nascose la gamba sotto il tavolo e spalancò gli occhi con ammirevole stupore, mozzandogli respiro.

L' Artista aveva donato all'Astronauta una parte di sé.
Un nuovo personaggio di una storia.
Un nuovo pezzo di quel loro per sempre.
Lui, d'altro canto, cosa le avrebbe mai potuto donare? Cosa sarebbe mai stato alla sua altezza?

Lily balzò sulla sedia canticchiando, racchiudendo fra le mani sottili e affusolate di Jules l'origami, orgogliosa del suo apprezzamento e del fatto che lo avesse lasciato a bocca aperta.

Sto bene bene bene.

"Posso costruirtene quante ne vuoi, un esercito intero! Posso insegnarti qualcosa, se ti va. Sai che con gli origami puoi dare forma ai tuoi pensieri? Magari può aiutarti! E puoi anche raccontare le storie che più preferisci" continuò, parlando come un fiume in piena e seguendolo passo passo nei suoi vani tentativi di ricreare qualcosa di lontanamente simile.
Ma lei pazientava, senza mai prenderlo in giro.
Poi si voltò verso la maestra Hannah che, vestita con un vaporoso abito rosa e ricoperta di ninnoli a forma di giocattoli, già si era fiondata verso di loro per zittire con fermezza le risatine maliziose e i continui dondolii sulle sedie che avevano come unico scopo quello di sbirciarli. E nessuno osò fiatare.

"Vero, maestra color zuccherosa filato?"

La conferma alla sua idea non tardò ad arrivare, accompagnata da amorevoli e sicure pacche sulle spalle.

"Assolutamente sì! Che meraviglia, siete proprio bravissimi! Continuate così" ma nei suoi occhi scuri, sempre placidi e sereni, scoccò la tipica scintilla di preoccupazione e paura di quando si inginocchiava dinanzi a lui con attenta circospezione e, semplicemente, capiva.
Lei capiva sempre.

Non smise di rabbuiarsi neanche durante l'ora del pranzo, quando, seduti gli uni accanto agli altri -con una certa distanza da Jules- si ripetè la tipica scena di quasi tutti i giorni.

"Jules perché non mangi? Non hai fame?"chiese Lily, osservando turbata il piatto pieno di lui che tagliava la verdura in pezzi sempre più piccoli e minuti, ammassandoli ad un lato in una piccola montagna e concentrandosi sul sandwich che la madre gli aveva preparato la mattina stessa in tutta fretta prima di correre in un'altra stanza e, ovviamente, riprendere il telefono per parlare con con il mostro, la cui voce inconfondibile lo aveva immobilizzato con una secca stilettata nello stomaco.
Non faceva altro, ormai. Dopotutto mancava poco al suo ritorno e doveva assicurarsi che...

"No, è che... cioè, sì..."

Bugia.

"Quanto mangi? Se lo fai, soprattutto davanti agli altri, ti affogherai. Ti farai male e lo farai anche a loro. Non possono mica tutti badare sempre a te! Controllati e fai il bravo, per una volta".

"Non puoi mangiare se non te lo dico io. E ti dico anche cosa e come, sennò finirai per esplodere come quella tua dannata robaccia spaziale".

"Devi crescere secondo il mio giudizio e le mie regole, altrimenti te la farò pagare e sparirai".

"Fai schifo, schifo, schifo."

"Chi pensi che ti voglia così? Chi pensi voglia un bambino cattivo, non ubbidiente e che non fa silenzio?"

"Non fare caso a lui, Lily. Fa sempre in questa maniera! Penso tu abbia notato che razza di tipetto hai conosciuto, quindi allontanati! Lo sai che ti avvelena se gli stai vicino?" prese la parola Tim, seduto alla sinistra di lei. Il biondo dei suoi capelli era ora più che mai spento, color della cenere, eppure continuò a sistemarseli con insistenza e superbia, atteggiandosi come un bel principe conquistatore e allungandosi per accoglierla nelle sue grazie.

"Ma perché dici così? Sei proprio cattivo!" sputò Lily, scostandosi immediatamente dalla sua presa e inorridita da quelle parole. Il suo viso si accartocciò, ma non era solo rabbia quella che le stava montando dentro.
Perché perché perché.
Cercò quasi per istinto la mano di Jules, che ricambiò tremante la stretta e mantenne lo sguardo fisso sul suo pasto, di cui iniziò ad analizzare ogni componente pur di non sentire altro rumore rumore rumore.

"E invece ti dico soltanto e solamente la verità, giuro!" con un sorriso sornione puntò un dito prima contro Jules, poi se lo infilò in bocca ad imitare il gesto del vomito. Con ribrezzo ed un'espressione inorridita si mostrò a tutta la classe e, come se non bastasse, scoppiò a ridere sguaiatamente, stringendosi la pancia per lo sforzo.
Insieme a lui, tutti i suoi compari. Solo in pochi non reagirono.
Connor, in un angolo poco distante, lo fissava di sottecchi, nascosto dal suo cappellino a forma di rana.
Anche lui capiva, ma mai agiva nè parlava. Non con Tim così vicino.

Il Vuoto gli si accostò, diligente e calcolatore, con le sue spire di fumo, d'ombra e di spine, pronto ad abbracciarlo e a cullarlo assieme ai suoi mostriciattoli.
A fargli cedere le gambe, poi lo stomaco, il petto, la gola e la testa, era questione di pochi minuti; un processo tanto semplice quanto doloroso.
A volte lento, altre veloce.

Eccoti, Tempo, a che cosa giochiamo oggi?

Pezzo dopo pezzo, respiro dopo respiro... cos'era che stava accadendo? Di cosa stavano parlando? Perché...perché urlavano?

Stringi.
Stringi.
Scappa.
Rigetta.

"Devi sapere che lui è il demone dei morti, uno scheletro con gli occhi mostruosi che ti maledice o uccide proprio con questi!"

La vista di lui che digrignava i denti e assottigliava gli occhi, adombrandosi e zoppicando con la maglia penzoloni sulle sue braccia si fece man mano più sfocata. La nebbia, d'altro canto, calò inesorabilmente il proprio velo e il mondo iniziò a vorticare.
Ad agitarsi.
A stringersi.

Dimmi dimmi piccolo Julian, mio prezioso amico: lo senti cosa dicono di te? Non è pesante? Non dovresti liberarti?

No, non sentiva nulla. O quasi.
Solo stralci di storie di eroi fasulli narrate con impertinenza talmente tante volte da essere ben impresse in quel cielo che invece voleva raggiungere e riscrivere, ma ora fin troppo...pesante. Esattamente come Vuoto affermava.
Vuoto aveva ragione.
Vuoto non raccontava frottole.

E fu allora che, senza neanche accorgersene, Jules cadde preda delle sue grinfie, infilzato dalle sue infide e bollenti lame e dal bisogno viscerale di liberarsi ed essere bravo e leggero.

"Pensavo lo avessi capito prima. È difficile non notarlo...persino un cieco saprebbe che è un ramoscello. Basta poco per spezzarlo e a lui va più che bene morire di fame, quindi fagli fare quello che vuole! Credi di poterlo salvare, rosellina? È un caso perso..."

Ti prego, Tempo. Scorri più veloce.
Ti scongiuro, Vuoto. Voglio tornare a casa.

"Mi fai schifo, razza di idiota! Prima di sparare cavolate, guardati allo specchio e sputaci sopra! I tuoi colori sono persino più brutti e cattivi dei mostri di cui parli, non hai diritto di dire queste bugie"

Ti supplico, Lily. Non farmi del male anche tu.
Non lasciarmi.

Non sono un mostro.

"Non mi dire che ti ha già fatto cadere nella sua trappola! Non devi fidarti di lui, prima o poi ti colpirà alle spalle e..."

Tempo, perché ti sei fermato?

"Ecco che parte!"

Fu questione di secondi, come la maggior parte delle volte che gli rifilavano questo giochetto.
Riuscì a malapena ad avvertire il sangue defluirgli dal viso, gli occhi terrorizzati dei suoi compagni che iniziarono a scappare via, qualcosa che prese a scuoterlo e cercò di tirarlo via dal cibo che, non sapeva come, era sparso dovunque -per terra, sui tavoli e forse persino sui vestiti suoi e di Lily.
Jules non seppe più niente.
Anzi, divenne il niente.
I sensi ovattati, le orecchie ronzanti, il corpo che conosceva un'unica risposta a quello stato d'impotenza: correre.
E così fece, liberandosi da chi lo aveva imprigionato e da quelle voci confuse -che qualcuno lo avesse chiamato?- indistinguibili nella loro loro cacofonia e nel turbinio di forme e colori che presero a inseguirlo in un corridoio che non riconosceva più, in prenda ad onde alte e violente e impossibili da navigare.

Cadde una prima volta.

Poi una seconda.

Ma non lasciò che le sue gambe lo tradissero ancora.
Non si permise di cadere di nuovo, o Vuoto avrebbe stretto ancora di più in profondità.

Strabuzzò gli occhi nel tentativo di mettere a fuoco l'ambiente circostante, ma la luce, i mostriciattoli e il sudore freddo che si incollò alla sua pelle non gli permisero di vedere, né di percepire alcunché.
Si era mosso per puro, semplice istinto.
Non aveva pensato o badato al probabile caos che si era lasciato alle spalle, con Lily e Tim che battibeccavano e lui seduto, immobile, a fissare un punto indistinto come se fosse l'unica cosa ad esistere in quel momento, lontano dalle voci e dagli ordini.
Lontano da lui.
E se questo era il vero agire dei mostri come Jules, se era così che dovevano scatenarsi, allora aveva fallito a trattenerli in gabbia.
Come al solito.

Era una nave e come tale stava affondando.

Ad un certo punto le ginocchia non resistettero più.

Il loro tonfo sordo sulle piastrelle del bagno -ce l'aveva fatta, almeno in questo?- non gli provocò alcun male e a stento riuscì a strisciare a peso morto verso la tazza, afferrarne i bordi gelidi -stringerli- e vomitare, vomitare ancora.
Anche l'anima, se fosse servito a far fuori quel fuoco che stava divampando in maniera incontrollabile nel suo petto e quelle lame aguzze che, invece, stavano seminando morte e distruzione all'interno delle sue membra; un guscio che si stava svuotando con una lentezza ed agonia tali da farlo disperare e contorcere da un dolore che letteralmente gli stava facendo vedere le stelle.
Ma quelle non erano le sue stelle dolci e belle, che lo tranquillizzavano e proteggevano quando aveva paura e non riusciva a calmarsi o a tornare indietro da...dovunque la sua mente andasse.
Quelle erano le stelle del Vuoto. Le stelle del buio e dei mostri.

Intense stilettate gli trafissero le costole tra una convulsione e l'altra e, in preda a rantoli strascicati e ad una gola riarsa dalla bile, non potè fare altro che avvolgersi le braccia attorno al corpo esile e sottile, immerso in abiti più larghi e lunghi di lui e in un Vuoto senza fine.
Tutto quello che aveva rigettato con l'amaro in bocca, tutto quello che cercava disperatamente di trattenere e non espellere...

Fa tanto male, mamma.

Avrebbe dovuto continuare a navigare e nuotare, ancora e ancora. A lottare e a respirare.
Ma si sentiva così stanco. Così... sottile. Come la carta che aveva usato quella mattina per gli origami.
I suoi polmoni non riuscivano a reggere il peso dei suoi sforzi e lo stavano a poco poco abbandonando, nonostante i coraggiosi tentativi di resistenza.
Jules non voleva sparire dalla sua storia. Non ancora.
Soltanto una fresca, solitaria lacrima osò rigargli le guance chiazzate di rosso.

Sei stato un bravissimo bambino, Julian. Davvero taaanto, tanto bravo. Lo vedi che è meglio così? Lo senti come sei leggero? Non è così male sparire, dopotutto. Non credi che tu stia facendo del male anche agli altri, piccolo cavaliere? Dovresti essere tu a salvare il tuo popolo e a proteggere i tuoi amati, eppure eccoti qui. Ti vedi, eh? Ti vedi? Ti vedi?

Ricominciò Vuoto, stuzzicando quel bambino che ora osservava se stesso dall'esterno, chiuso in un bozzolo su un pavimento che riportava i segni dei suoi pesi, con i ricci scuri non più ribelli, ma appiccicati al viso esangue e grondante sudore.
Il petto tardava a sollevarsi e, se lo faceva, neanche si notava.
I suoi occhi dorati, ormai vitrei e senza vita, si erano visti strappare con le unghie e con i denti il loro colore acceso e brillante e, debolmente socchiusi, oscillavano tra realtà ed incoscienza.

Com'era che Lily...com'era che li aveva chiamati?

Ma per quanto cercasse di sforzarsi, ogni ricordo sembrava gli venisse gelosamente portato via.
E più afferrava, scalciava e si dibatteva, più il suo obiettivo si allontanava.
E di lui cosa sarebbe rimasto?

Non importa, Julian.

Quella nube oscura che era Vuoto parve reagire ai suoi pensieri, vibrante di tensione. I suoi contorni sfumarono e presero frettolosamente ad accarezzarlo, con una presa più decisa di prima e più...rabbiosa. Ma comunque invitante, attraente.
Il suo tocco era molesto e riprovevole e gli si accapponò la pelle a causa di quel sentore di marcio e morte che emanava da ogni spira, ma i suoi lunghi artigli lo ghermirono e venerarono come un bottino succulento, non consentendogli di muovere un singolo muscolo.
Julian si tese come una corda di violino non appena Vuoto cominciò a invadergli la mente e ad incenerire in fretta e furia quegli ultimi residui di forze rimasti.
Perché stava andando così veloce? Da cos'è che fuggiva?

La tua amichetta non è qui e non può salvarti, né ora né mai. Sei solamente un illuso se credi che, vedendoti in questo stato, lei possa ancora aver voglia di stare con te. Perché, invece, non mi segui, eh? Andiamo nel nostro solito posticino, solo noi due. Andiamo nella Stanza.
Io e te per sempre, Julian. Ricordi? Ricordi la nostra promessa?

Julian, ben desto, ricordò.
Jules, inerme, no.

Julian colse gli unici sprazzi di memoria che Vuoto gli stava lasciando, ma erano tutti terribilmente cupi e crudeli che il cuore iniziò a comprimersi, a tal punto che credette potesse esplodere da un momento all'altro come una supernova.
Si vide sistemato in posizione fetale nella Stanza, con la volpina adagiata sul suo petto e la schiena nuda solcata da scie rosse e da una pelle frastagliata e sanguinante.
Si vide quando, per la prima volta, era stato lì rinchiuso e lasciato al freddo, senza cibo né acqua per ore ed ore, al solo cospetto di ombre che avevano acuito i suoi sensi, accentuando il bruciore dei marchi di fuoco sulle sue braccia e le fitte, profonde e acuminate, sparse nel suo corpo inerte a causa di armi spinose, aguzze e solide come il legno. Proprio in quel momento aveva avuto il dispiacere di conoscere Tempo e Vuoto, gli unici a fargli compagnia mentre la sua Lily e la sua regina venivano fatte a pezzi e il silenzio sgomitava per farsi spazio e attutire quegli orrori a cui era stato sottoposto, aveva assistito e continuava a sentire dentro, fuori e attorno a lui, in un universo senza fine.
Si vide nascosto nella sua fortezza polverosa a chiudere ossessivamente pollice ed indice sul suo polso scheletrico, rassicurandosi che era stato bravo e che le sue misure erano giuste, come gli era stato insegnato. Era stanco, sporco e con il viso completamente celato dai suoi capelli incontrollabili. Ma ancora vivo.
Infine, come chiare e limpide fotografie, gli si presentarono nuove parti fragili di lui, ancora intento a raccontarsi storie a bassa voce per mantenersi sveglio quando la sua testa pregava di spegnersi, per ripetersi che la prossima volta sarebbe andata meglio e non sarebbe successo nulla di grave; oppure i primi giorni dopo le battaglie, quando avevano iniziato a giudicarlo o a tenersi alla larga dai suoi strani comportamenti; ma anche quando la sua regina cercava di rattopparlo come una bambola rotta e cancellare quel rosso nel quale era immerso.
Fuori era pieno di ferite e cicatrici, ma dentro...dentro regnava il caos.
Poi era stato siglato il patto e da lì non era più riuscito a tornare indietro: un viaggio di sola andata che non avrebbe mai potuto cancellare.
Era stato così stupido, ma al contempo così tremendamente disperato che l'unico modo che aveva per sfuggire agli stessi episodi, ancora e ancora, giorno dopo giorno, per gustarsi un briciolo di tranquillità, era esattamente questo.

Julian si dimenò e si infiammò dal panico al solo risentire sulla sua pelle quell'incubo primordiale che aveva aperto le danze della sua storia e che lo aveva condotto lì, nel disastro dov'era adesso.

Potè giurar di aver visto Vuoto far scorrere la lingua su labbra incorporee con gusto, sazietà e, soprattutto, soddisfazione.
Era tutta colpa di quel fallimento di bambino se, dopotutto, gli aveva teso una mano nel suo momento di maggior debolezza.
Lui gliel'aveva stretta, rassicurandolo con amore. E il piccolo era stato felice come mai prima d'ora.
Col trascorrere del tempo, però, lo aveva consumato con calma, senza farsi cogliere in flagrante, fino a quando non aveva raggiunto il cuore della sua anima e aveva preso ad infrangerla pezzo dopo pezzo.

Fu solo allora, mentre tentava freneticamente di spazzar via e strappare quegli incubi, che Julian notò il bambino col cappello a forma di rana che, silenzioso come un fantasma, se ne stava seduto in un angolo, sotto il lavandino, a far da guardia al corpo di quel bambino che non si muoveva più.

Ma quand'era arrivato? Lo aveva visto... Lo aveva visto fare...
Perché neanche Vuoto se ne era accorto?

Non parlava, ma osservava con occhi attenti e vispi -ora di un torbido color nocciola- colti agli angoli da guizzi di tensione mentre apriva e chiudeva insistentemente le mani sulle ginocchia e dondolando piano piano per non fare rumore.
Forse perché sapeva che a Jules piaceva il silenzio e detestava quel frastuono che lo portava a coprirsi le orecchie e ad isolarsi nel suo mondo.
Che fosse tardi o meno, stava comunque rispettando il suo spazio.

Julian tremò, scostandosi da Vuoto con una fermezza che non immaginava di avere e sradicò a mani nude le spine che lo avvolgevano, stringevano e intrappolavano, senza badare alle ferite sanguinanti, ai graffi, alle spine e al dolore pungente, come quello che le rose del mostro gli provocavano.
Forse avrebbe potuto sopportare un altro po', ma per ora doveva tornare indietro da un ultimo, lampante ricordo.
Indietro da occhi d'oromiele di sole.
Julian sorrise vittorioso a Vuoto, beandosi della sua dipartita -anche se momentanea- e vedendo sfrecciare dinanzi a lui due figure che, guidate dall'indice del bimbo-ranocchio, si diressero nel cubicolo dove riposava Jules, nel cui corpo rientrò.
Vuoto sarebbe certamente ritornato per cercare la sua vendetta, ma Tempo lo avrebbe trattenuto.
O almeno così sperava.

Jules sollevò quasi per riflesso un angolo della bocca, incapace di comprendere ciò che la donna dalla pelle scura e i capelli come nuvole e la rosellina stessero cercando di dirgli.
Le loro bocche si muovevano, le loro mani lo tastavano.
Il loro tocco era però talmente leggero che temette di esserselo immaginato.

A dire il vero non riusciva più a distinguere la realtà dalle immagini che la sua mente gli proiettava, né tantomeno riusciva a ricordare cosa fosse successo dopo che si era liberato delle voci e del pesante groviglio che lo aveva oppresso e costretto a lasciar scorrere via ogni cosa, come un mare in tempesta.
Neanche questa era servita a farlo parlare.

Finalmente leggero e svuotato di ogni sensazione, si abbandonò ad una mano calda e morbida che stringeva la sua.

Che fosse la rosellina?
Era tornato indietro da lei?

I suoi occhi, ormai, non riuscivano a cogliere altro che macchie di colore, vaghe e scialbe -arancione? Rosa? Marrone? Rosso? Cos'altro?- ma tentò di bearsi di quel frangente di calore -era così bello! Che fosse un'altra fantasia?- prima di avvertire qualcosa di morbido tra le sue braccia, lui che veniva sollevato e portato via, lontano dalla prova della sua sconfitta e del suo inevitabile naufragio, e una vocina sottile, smorzata, che lo aveva accompagnato nel buio con un'ultima, lacrimosa e flebile preghiera.

"Torna da me, piccolo Sole. Ti prego, torna da me".

. *. Angolo autrice . *.
Buon pomeriggio a tutti avventurieri! Come state? :D❤️ Eccomi qui con la seconda parte del nuovo capitolo🌟🫶.
Mi auguro che vi sia piaciuto🥹.
Ho sofferto un sacco scrivendolo e ammetto che mi dispiace tanto per Jules, il mio intero cuore è per lui😭💔.
Fatemi sapere cosa ne pensate! Stiamo pain piano continuando ad entrare nel suo mondo e nella sua mente, ma voi cosa pensate che succederà dopo tutto questo?❤️‍🩹
Se il capitolo vi è piaciuto lasciate una 🌟e...a presto con il seguito❤️‍🩹🦊

Ps. Ecco alcune bellissime immagini realizzate dalla magnifica alysbookss che rappresentano questi capitoli (le altre le metterò in seguito ;D♥️)🌟.

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