CAPITOLO 12 Svelami il tuo segreto

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L'acqua gorgogliante stava ancora riempiendo la vasca da bagno, facendo muovere i freschi petali di rose rosa, rosse e bianche, galleggianti sulla liquida superficie.

Di lì a poco, una giovane donna si avvicinò a piedi nudi, sorseggiando una bevanda rossa dal proprio calice. Prima di richiudere il rubinetto posò il bicchiere nella nicchia sottostante la finestra, lanciando un'occhiata fugace alla notte stellata; si appoggiò con metà gluteo sul bordo vasca, reggendo con la mano sinistra il nodo dell'asciugamano bianco in cui era avvolta, e con le dita della mano destra andò a sfiorare l'acqua, divenuta nel frattempo purpurea. Soddisfatta della temperatura si alzò di nuovo in piedi, lasciò cadere a terra l'asciugamano e, una gamba dopo l'altra, scavalcò. Si sedette sul fondo della vasca, chiuse gli occhi e lentamente si lasciò scivolare completamente sott'acqua. Riemerse quasi subito e, distendendo gli avambracci sui bordi, si abbandonò al rituale per qualche minuto.

Tutto nella stanza contribuiva alla purificazione dei sensi: gli incensi alla rosa per deliziare le narici; i brani più famosi di musica classica per armonizzare le orecchie; e le candele, per terra e qualcuna sul bordo vasca, per incantare lo sguardo con le fantasie che le loro luci tremolanti proiettavano sulle pareti.

Ad un certo punto, la donna uscì dall'acqua come la Venere che emerse dalla spuma del mare. Davanti lo specchio, ammirò il proprio corpo nudo e bagnato, sorridendo a quei petali di rosa rimasti sulla pelle.

Condurre per anni una vita dal basso profilo era stato molto impegnativo: schiva con i colleghi, niente fidanzati <<Lo so che lui ti fa battere il cuore quando ti viene vicino>> confidò al suo riflesso <<ma è meglio se gli stai alla larga. Fidati!>>; e soprattutto niente amiche, perché con loro avrebbe dovuto stringere un patto di lealtà <<E tu, mia cara, non te lo puoi permettere.>> disse a se stessa, consumandosi nella nostalgia della sorella lontana.

Di tanto in tanto anche la solitudine, alimentata dal rimuginìo su tutto ciò che si era persa della normalissima vita sociale, riprendeva a strisciare tra le ferite del proprio cuore.

Sentì picchiare pesantemente alla porta e il tristissimo dialogo interiore fu brutalmente interrotto. Non aspettava nessuno e quei colpi tanto insistenti non presagivano niente di buono. Passò dalla camera, infilò al volo una lunga camicia a quadri sulla pelle ancora umida e, per impedire che l'acqua dei capelli le ricadesse sulle spalle, li avvolse nell'asciugamano a mo' di turbante.

Controllò dallo spioncino, ma non le parve di conoscere quella donna dall'aspetto trafelato. Fu tentata di fingere che in casa non ci fosse nessuno: prima o poi la donna si sarebbe stancata e avrebbe deciso di andarsene via.

<<Aprimi ti prego!>> gridò lei, continuando a battere sulla porta <<Ho bisogno del tuo aiuto! Fammi entrare, per favore, e ti spiegherò tutto quanto.>>

La detective Bruni guardò di nuovo dallo spioncino, ma questa volta non riusciva vederla. La sentì piangere e le sembrò il pianto di una resa disperata; così decise di parlarle. Ritornò in camera e prese la pistola d'ordinanza e con quella in mano fece scattare la serratura.

La sconosciuta non badò minimamente al rumore della porta che si stava aprendo: con le spalle al muro si era fatta scivolare fino a terra e se ne stava ora rannicchiata con la testa sulle ginocchia. Quando la detective le mise una mano sulla spalla, lei scattò subito in piedi e dopo che ebbe vista l'arma si allontanò da quella con le mani alzate.

<<Non sparare, fammi spiegare, ti prego!>> gridò, con il cuore in gola.

<<Sentiamo! Innanzitutto chi sei!>>

<<Scusa se piombo così nella tua vita.>> cominciò a dire a raffica, nell'intento di far capire il prima possibile alla poliziotta che non era pericolosa <<Ti ho vista in televisione quando parlavi di quell'omicidio al London Eye e sono contenta che sia proprio tu a seguire le indagini.>> e riprese finalmente fiato.

<<Ci conosciamo?>> le chiese Sarah, scrutando il suo viso e abbassando lentamente la pistola.

<<Mio fratello mi ha raccontato del tuo esilio, sai? Una scelta coraggiosa, la tua.>> Sarah sentì il cuore tamburarle nel petto <<Lui ne ha sofferto moltissimo! Come del resto tutti i tuoi amici e familiari..>> le confessò, tra le lacrime.

<<Martina!>> lo stupore fu così grande da farle tremare le gambe.

Dietro quel trucco pesante, che si scioglieva nel pianto e i cui tentativi di arrestarlo lo avevano modellato in una delle orribili maschere di Halloween, Sarah riconobbe il volto della sorellina del suo primo e unico amore, Nicola.

<<Oh, My God, Martina! Non posso crederci, sei una donna adesso! Vieni, andiamo in casa.>> la sorresse con un braccio intorno alla vita e l'accompagnò dentro.

La fece accomodare al tavolo di cucina, le offrì una tazza di tè verde per calmarla e dei biscotti al limone, nel caso avesse avuto fame. Poi le si sedette di fronte e, guardandola divorare quei dolcetti, cercò nella propria mente una spiegazione per quella visita. Non trovandone alcuna, si chiese perché Martina era contenta di sapere che fosse lei a condurre le indagini sull'omicidio di Oliver.

<<Come va adesso, un po' meglio?>>

La ragazza annuì col capo e mentre terminava l'ultimo boccone Sarah le chiese informazioni sul fratello.

<<Non lo so.. sono scappata di casa!>>

<<E perché mai?>>

<<Ho fatto una cosa tremenda e temo di non potermi più fermare.>> si coprì istintivamente il volto, per la vergogna, e subito dopo implorò Sarah di aiutarla: <<Tu sicuramente conosci un modo.. Hai una vita normale adesso, hai anche un lavoro! Insegnami come hai fatto! Per favore!>>

<<Perdonami Martina, ma non capisco..>>

Sarah non era poi così sicura di potersi fidare di lei. Era tutto così strano: e se l'avessero mandata apposta dall'Italia, per prendere lei? L'avevano riconosciuta in televisione e forse non approvavano chi fosse diventata. Se era davvero così, non voleva certo rischiare di perdere la sua nuova vita.

<<Anche tu sei una Venere "difettosa", eppure stai bene.>> sottolineò la ragazza <<Come è possibile? Svelami il tuo segreto. Ti prego, aiutami!>>

La poliziotta mise allora in campo tutte le conoscenze paralinguistiche che aveva acquisito con gli anni per smascherare una qualsiasi menzogna nelle sue parole. Puntò lo sguardo indagatore su di lei e la sollecitò a parlare.

<<Primo, dovresti specificare quale sia la cosa tremenda che non vorresti più commettere; secondo, non so se sarei veramente in grado di aiutarti.>> disse la detective, pronta a pizzicarla in qualche gesto o tono di voce incongruenti.

<<Sì hai ragione, ma promettimi che mi proteggerai dalla polizia.>>

<<Ma che vai dicendo? Sono io, la polizia! >> replicò Sarah, preoccupata.

<<E' vero, ma sei anche una Venere e perciò hai provato sulla tua pelle lo strazio che si prova! Ti chiedo solo solidarietà e comprensione; non è mio desiderio uccidere.. ma sta diventando una necessità.>>

<<Aspetta un attimo, tu..>> la Bruni scattò subito in piedi e camminò nervosamente per la stanza fino a quando, senza tanti giri di parole, non le domandò <<Hai ucciso TU, Oliver Fisher?>>

La poliziotta rimase a guardarla dritta negli occhi, in trepida attesa.

<<No! Non conosco nessun Oliver! Ho visto le sue foto in tv ma non..>> rispose lei, sotto lo sguardo minaccioso di Sarah.

<<Non prendermi in giro, o non ti aiuterò!>> le gridò in faccia.

<<Giuro! E' la verità! Non mi sono mai incontrata con quell'uomo!>> e, piagnucolante, la implorò di essere creduta.

Sarah si ricordò improvvisamente del particolare delle unghie e ordinò a Martina di mostrarle le mani: erano integre e con un sospiro di sollievo ritornò a sedersi di fronte a lei. Con maggiore calma, la invitò quindi a parlare <<Ok, va tutto bene, raccontami cos'hai combinato.>>

Il cambiamento di tono della detective fece allentare un po' la tensione nella ragazza; tuttavia, prima di continuare, si fece promettere di non cedere alla rabbia come prima, o non avrebbe detto più niente. La Bruni annuì e lei poté liberarsi dell'enorme macigno che gravava sulla propria coscienza.

<<La verità è che ho ucciso una persona. Un ragazzo più grande di me.. lo avevo appena conosciuto.>> le confessò, sprofondando nell'angoscia più cupa; poi, guardando Sarah che tratteneva a stento la propria disapprovazione, cercò di aiutarsi tirando fuori delle frasi attenuanti <<Non so come sia potuto succedere.. Ricordo soltanto che stavo malissimo!>>

Il viso di Sarah s'illuminò e disse: <<La vittima dell'Astragalo!>>

<<Come fai a saperlo?>>

Ci pensò un attimo prima di rispondere. Martina, dopo tutto, le era sembrata sincera, ma darle troppe informazioni avrebbe potuto complicare la risoluzione del caso? Tuttavia, senza un franco "Do ut des" con lei, le indagini avrebbero perso un'occasione di avanzamento. Martina era la persona sicuramente meglio informata sui fatti; accettò dunque il rischio.

<<Sulle scene del crimine in Italia hanno repertato ben quattro differenti DNA. Sai cosa vuol dire questo?>>

<<Che le assassine sono quattro.>> affermò lei con semplicità.

<<Quindi tu sai delle altre donne?>> si meravigliò, Sarah.

<<Sì.>> replicò lei mestamente; ma subito dopo, forse perché aveva messo a fuoco soltanto ora le parole di Sarah, le andò a chiedere con tono concitato <<Dunque, ci stanno già dando la caccia?>>

<<Con le altre donne brancoliamo ancora nel buio ma di te, abbiamo sia le impronte digitali che un identikit, fornitoci dagli amici della vittima.>> le disse, dispiaciuta.

<<Sono proprio un'imbranata!>> commentò, rimproverando se stessa; e sentendosi persa cercò protezione nella poliziotta <<Ma tu non dirai nulla di me, vero?>>

<<Mi dispiace, Martina, non ho idea di come potrei salvarti: conoscono la tua faccia!>>

La ragazza sprofondò nuovamente nel pianto.

<<Almeno sai come si chiamano le altre?>>

<<Sì, ma prima di darti i loro nomi è bene che tu conosca tutti i dettagli della storia.>> disse, asciugandosi gli occhi sulla manica della maglietta.

<<Perfetto! Ti ascolto.>>

<<Ogni mese dovevamo presentarci all'ospedale di Pisa 5 giorni prima della luna nera. Là ricevevamo la nostra dose e un'oretta dopo, se non si fossero presentate delle reazioni importanti, potevamo ritornate a casa.>>

<<Ok.>> la detective prendeva nota sul taccuino <<E funzionava, questa cura?>>

<<All'inizio sembrava di sì: i mesi passavano tranquilli e ci sentivamo complessivamente bene. Ma a distanza di un anno e mezzo, tutte quante cominciammo a notare un potenziamento delle nostre funzioni sensoriali: l'olfatto e l'udito, per esempio, erano diventati molto più sensibili.>> la Bruni acuì lo sguardo, per un po' di scetticismo <<In fin dei conti questi cambiamenti potevano anche essere visti come un arricchimento e ce ne siamo perfino rallegrate. Potevamo sentire le conversazioni di persone molto distanti da noi: era perfino divertente! Ma quando si sono presentate certe mutazioni sul nostro corpo, allora ci siamo preoccupate.>>

<<Ti riferisci all'ispessimento delle unghie?>>

<<Sì, anche a quello... E poi, quell'incomprensibile sete di sangue!>> la ragazza guardò la detective con sgomento <<Nelle notti di luna nera ne sentivamo l'odore anche in lontananza: bastava una piccolissima ferita sul corpo di qualcuno e noi lo avvertivamo.>>

<<Fa' vedere di nuovo le tue mani.>>

Questa volta Sarah non era semplicemente interessata a controllare se le mancasse un pezzetto d'unghia, ma voleva osservare meglio quella mutazione. Toccò quindi le sue unghie ricurve e si rese conto di quanto potessero essere letali. Sebbene Martina le avesse laccate per renderle più umane, ad un esame più attento ci si poteva riconoscere l'artiglio felino. Per un attimo la mente della poliziotta visualizzò un fotogramma dello svolgimento del crimine e, con una smorfia, lasciò andare le mani della ragazza. Lei pensò allora di mostrarle anche i due denti che le erano spuntati dietro gli incisivi.

Erano un paio di canini molto aguzzi ma completamente nascosti dagli incisivi. Nessuno se ne sarebbe potuto accorgere. Martina lasciò Sarah nello sbalordimento e, senza aspettare da lei un qualsiasi commento, continuò la triste narrazione delle quattro giovani Veneri che, legate dallo stesso sfortunato destino, avevano pian piano sviluppato un forte sentimento di sorellanza. Si trattò dell'unica cosa buona che permise loro di alleviare quel senso di solitudine appartenente a quella categoria di persone che non vengono comprese; soltanto chi avesse provato quel tipo di sofferenza in prima persona sarebbe stato in grado di capirne il tormento. Fortunatamente le quattro "sorelle di luna nera", come fra loro si chiamavano, riuscirono a darsi coraggio l'un l'altra. Ogni mese, in un'altalena tra la paura e la speranza, offrivano il loro corpo alla medicina in cambio del promesso miracolo che le avrebbe liberate per sempre.

Il caso volle che un giorno Mara, una delle "sorelle di luna nera", attraversando il corridoio che dalla sala d'attesa l'avrebbe condotta alla toilette dell'ospedale, ascoltasse, da una porta lasciata semiaperta, alcuni medici parlare delle Veneri con preoccupazione. Gli esami del sangue di tutte le ragazze evidenziavano un aggravamento della disfunzione ormonale: invece di procedere sulla strada della guarigione, sembrava esserci in atto un'inspiegabile inversione di tendenza. Fino alla diciassettesima dose le pazienti avevano risposto molto bene al farmaco, sia in termini di efficacia che di tollerabilità; tutto stava dunque procedendo in conformità coi risultati ottenuti durante i Trial clinici eseguiti quattro anni prima. Le ovaie e le ghiandole surrenali avevano forse cessato di produrre testosterone? Si stavano chiedendo i professori. E in tal caso, perché sarebbe successo? Si trattava di un fatto molto grave per donne così giovani: mancando questo ormone, sebbene precipuamente androgino, le ragazze sarebbero andate incontro a una forte depressione, a episodi di aggressività, a un precoce invecchiamento e a una graduale perdita del corretto funzionamento cognitivo.

Mara decise di tenere al momento per sé quella terribile scoperta. Invece di allarmare subito le amiche, pensò di dover prima indagare per conto proprio approfittando dello zio, apprezzato endocrinologo dell'Ospedale dell'Angelo a Venezia.

Così, all'indomani della diciottesima inoculazione, la giovane Venere raggiunse la città lagunare alla ricerca di conforto e di risposte. Purtroppo si rese ben presto conto che lo zio non le sarebbe stato di alcun aiuto. L'endocrinologo, infatti, non dette troppo peso ai cambiamenti avvenuti sul corpo della nipote, e si limitò a tranquillizzarla, dicendo che la clinica di Pisa era tra le migliori in Italia e se i medici avevano ritenuto di continuare la cura, sicuramente l'avevano fatto in piena coscienza. Non aveva nulla da temere perché c'era il giuramento di Ippocrate a proteggerla. Sì, perché ogni medico, prima di iniziare la sua professione, presta diversi giuramenti, come per esempio quello "di non compiere mai atti finalizzati a provocare la morte" e quello "di prestare, in scienza e coscienza, la propria opera con diligenza, perizia e prudenza e secondo equità, osservando le norme deontologiche che regolano l'esercizio della professione."

A questo punto Sarah si ricordò che la polizia italiana era rimasta sorpresa del loro reperto dell'unghia ritrovata nei genitali di Oliver; forse perché non sapevano delle mutazioni avvenute nelle ragazze? Chiarì questo punto con Martina, chiedendole chi fosse a conoscenza di queste particolari trasformazioni.

<<Io l'ho detto solo a mio zio, delle altre non saprei dirti.>> le rispose.

<<I medici lo sapevano?>>

<<No, a loro non avevamo ancora detto niente.>>

La Bruni annotò anche questi dettagli; poi, cominciando a sospettare di questa Venere, le chiese quanto tempo la ragazza si era trattenuta a Venezia.

<<Fai bene a insospettirti, perché Mara quella notte si fece guidare dall'irrefrenabile sete di sangue, di cui ti parlavo prima, e ha aggredito la sua prima preda. Da lì è cominciato tutto.>> dichiarò, Martina.

<<Al Cà di Dio!>> pensò subito Sarah e, quando Martina le confermò che Mara aveva i capelli lunghi e biondi, si sentì finalmente più vicina alla soluzione del caso.

<<Purtroppo, quella tragica notte, Mara scoprì il modo per farci stare bene.>> continuò la ragazza <<Anzi "per stare alla grande", come diceva lei.>>

<<Sappiamo che il delitto è avvenuto in una camera di albergo, ma come avrebbe fatto Mara a convincere uno sconosciuto a fare sesso con lei? Voglio dire, la gente non fa entrare chiunque.>>

<<Lei ci raccontò di aver seguito l'aroma del sangue di un tizio che stava camminando per le calli di Venezia e che si era probabilmente tagliato radendosi. Grazie al fiuto esageratamente sviluppato di Mara, la piccola ferita rilasciava nell'aria un odore ematico, come la scia di un profumo persistente.>>

<<In un certo senso, Mara l'avrebbe perciò pedinato.>>

<<L'uomo era poi entrato in Hotel, con lei al seguito. Non ho idea di quale tattica di seduzione avesse usato a quel punto, perché ciò che le premeva di più era insegnarci come immobilizzare e usare quel corpo a nostro beneficio.>>

<<Oh, My God!>>

<<Fin dalla nuda pelle eccitata di lui, Mara poteva fiutare un quid alchemico straordinariamente vitalizzante e ci rivelò che, in quel preciso istante, quel corpo che aveva di fronte smise di essere per lei un uomo e diventò puro nutrimento. Ecco perché in quel momento le è stato facile commettere un'azione così crudele.>>

<<Già, il corpo viene spersonalizzato e la coscienza non brontola più.>> affermò la Bruni <<E per disporre di quella carne come meglio desiderava, lo ha sicuramente drogato.>>

<<Mara aveva previsto che l'uomo sarebbe stato più forte di lei e che quando avrebbe sentito dolore avrebbe reagito, perciò l'uso della ketamina era assolutamente necessario: lui non sarebbe di certo rimasto così calmo a farsi derubare del proprio sangue fino alla morte.>>

La detective ripensò sia alla pratica della "Vampirizzazione" - che gli investigatori italiani avevano addotto come giustificazione della grossa quantità di sangue mancante nel corpo delle vittime e come movente degli omicidi - che alla risposta ottenuta dalla Dottoressa Brooks, in merito al significato di questa strana combinazione di testosterone, sangue umano e tonicità muscolare delle vittime.

Quello che la coroner, all'indomani del meeting con la Dac, fu in grado di dirle era che nel sangue di un uomo ben allenato si trova una notevole quantità di testosterone e che i livelli tendono a crescere nell'esatto momento dell'eiaculazione.

<<Ma certo!>> disse Sarah, ricollocando al giusto posto le informazioni di cui era venuta in possesso <<Mara ha atteso l'orgasmo di lui per nutrirsi del suo sangue ricco di testosterone! Giusto?>>

<<Proprio così, il momento dell'orgasmo era una parte essenziale del piano. Ricordo che, mentre ce lo raccontava, tutte noi rabbrividimmo di terrore, provammo disgusto per l'orribile gesto e un profondo dispiacere per la povera vittima; ma lei ci incoraggiò in tutti i modi a provare, perché grazie a quel sangue avremmo potuto vivere bene. "Altro che terapia!" ci ripeteva.>>

<<Alla fine vi siete fatte convincere tutte?>>

<<Il prezzo da pagare era troppo alto: la morte di un'innocente.. non era da me. Ne fui inorridita, mi rifiutai categoricamente e per giorni non riuscii a dormire.>>

<<Cosa ti ha fatto cambiare idea?>>

<<Quella notte di luna nera, di cui sappiamo entrambe, vagavo come uno zombie sul mio motorino. Stavo percorrendo l'Aurelia verso casa e...>> uno stringente nodo alla gola interruppe la narrazione di Martina: il senso di colpa e il ricordo agghiacciante di quel ragazzo da lei seviziato, nudo, indifeso e con lo sguardo sorpreso che s'immortalava mentre la vita lo stava abbandonando, la stavano soffocando.

Sarah la invitò ad alzarsi e a fare dei lunghi e lenti respiri; la sorresse fino alla finestra e la sentì tremare come una foglia. Rimasero là qualche minuto, fino a quando l'aria fresca riuscì a calmare un po' la ragazza. La detective provò sincera compassione per lei: dietro quella forte reazione emotiva si celava sicuramente un cuore buono e ora torturato da un'azione criminale che non credeva potesse appartenergli; e questo conflitto interiore l'avrebbe accompagnata per tutta la vita.

Si sedettero sul divano e Sarah aspettò che Martina si sentisse pronta per continuare il racconto.

<<Credimi Sarah, ero fuori di me, non ragionavo più.>> disse in tono affranto <<Sebbene non abbia mai fatto uso di droghe, credo che potrei paragonare quello che provavo a un qualcosa di molto simile all'astinenza dei drogati. Sentivo la rabbia che cresceva dentro di me perché non avevo quello che mi occorreva, pur non sapendo che cosa fosse. Odiavo me stessa e tutto il genere maschile che non avrebbe mai rischiato di soffrire come me; e di lì a poco, il desiderio di farla finita diventò il mio unico obiettivo.>>

<<Povero tesoro!>> Sarah accolse Martina tra le braccia come fosse sua sorella <<Fortuna che non l'hai fatto!>>

<<Non la vedo proprio questa "fortuna": se mi fossi suicidata, il ragazzo sarebbe ancora vivo ed io sono comunque morta, con questo peso sulla coscienza!>> Sarah non seppe controbattere a quella semplice verità <<Comunque.. Quando arrivai all'altezza della discoteca Astragalo, mi vennero in mente tutti i trucchetti usati da Mara e mi dissi "Perché no?" Ma ti ripeto, Sarah, non ero lucida. Non ero più io quella persona che... >> si mise le mani tra i capelli e gridò <<Mio Dio! Cosa ho fatto!>>

La poliziotta rifletté rapidamente su una precisa incongruenza che le era saltata all'occhio: nonostante Martina dichiarasse di essersi fermata per caso in quella discoteca, come avrebbe potuto convincere la giuria che non ci fosse stata premeditazione se aveva con sé la droga che avrebbe poi usato per stordire la vittima? Questo particolare avrebbe aggravato la posizione di Martina e Sarah doveva avere risposte sincere da lei.

<<Nel corpo della vittima è stata trovata della ketamina, perché l'avevi con te quella sera?>>

<<Mara aveva regalato a tutte noi una fialetta ed io non me ne sono mai disfatta. Da quel giorno è sempre stata nella mia borsetta.>>

<<Ho capito, meglio così. Forse ti crederanno.>> la Bruni andò a riprendere il taccuino lasciato sul tavolo e sottolineò due volte questo particolare; poi volle sapere di più in merito a un gesto commesso da tutte le Veneri assassine e che a lei sembrava non avere alcuna correlazione con il loro obiettivo di sopravvivenza <<Perché trafiggere e spremere i genitali?>>

<<Tutto avviene così in fretta: sono solo pochi attimi, in cui perdi la parte conscia di te, quella razionale, e agisci come un automa. E poi... non esiste altro che quell'odore fortissimo e invitante di sangue eccitato, che sta scorrendo veloce nelle sue vene e non fa che aumentare la tua sete.>>

Allo sbigottimento iniziale, di Sarah, si unì presto la preoccupazione per come riuscire a difendere Martina - e con lei, altre donne che subivano le stesse pene a causa della loro natura- di fronte all'evidente crudeltà di quelle azioni. Una qualsiasi giuria avrebbe condannato, senza batter ciglio, le responsabili di quei crimini. Il pensiero dei giurati sarebbe andato a paragonare quelle donne a degli animali, poiché un essere umano non si nutre dei suoi simili, e all'unanimità avrebbero detto: <<Colpevoli!>>

La detective sentì dentro di sé che quel verdetto potesse potenzialmente appartenerle: se quel giorno non avesse scelto l'esilio, infatti, si sarebbe forse trovata nelle stesse condizioni. La coscienza stava perciò premendo con forza affinché lei entrasse nel loro campo di battaglia e riuscisse a smascherare il vero primo colpevole di tutto quanto.

E mentre si chiedeva in che modo avrebbe voluto condure le indagini- cercando di proteggere la nuova vita da cittadina britannica oppure tornando a indossare i vecchi panni della "Venere ripudiata", con il rischio di perdere la libertà conquistata - Martina, con la sua domanda, fece ritardare quella decisione.

<<Tu come hai fatto a cavartela così bene?>>

Sarah sembrò risvegliarsi dalla trance in cui era andata per pochi attimi la sua mente; mise a fuoco la domanda della ragazza ma sul momento decise di ignorarla.

<<È l'ora di cena!>> disse la poliziotta. Martina aggrottò le sopracciglia, alquanto delusa.

Sarah invitò quindi la ragazza a farsi una doccia mentre lei avrebbe pensato alla cena. L'accompagnò nel bagno: la vasca era ancora piena di petali di rosa galleggianti e i profumi delle candele e degli incensi avevano saturato l'aria. Martina si voltò verso di lei con curiosa meraviglia.

<<A tavola ti racconterò del mio esilio.>> le promise con un bel sorriso; raccolse i petali di rosa e fece defluire l'acqua rosso sangue dalla vasca <<Comunque la doccia è sicuramente più pratica!>> le disse, indicandogliela sull'altro angolo della stanza.

Le dette un asciugamano pulito e le lasciò tutto il tempo per rinfrescarsi.

La ragazza si insaponò generosamente, si posizionò in corrispondenza del soffione della doccia e per un po' rimase immobile sotto il forte getto d'acqua corrente, desiderando che tutte le colpe commesse si fossero potute staccare magicamente dalla sua anima e fluire via come lo sporco dalla sua pelle.

Con un visetto pulito e innocente, Martina entrò nella zona pranzo lasciando la poliziotta in una sorta di straniamento. I suoi occhietti, tristi e buoni, seguivano i movimenti di Sarah che stava apparecchiando la tavola.

Consumarono un po' della loro cena tra imbarazzati silenzi e rumori di posate nei piatti, quando d'un tratto Sarah cominciò a parlare.

<<Non è stato affatto facile..>> disse, abbandonando il cucchiaio nella poca zuppa di piselli, rimasta nel piatto. Bevve un sorso d'acqua, si appoggiò allo schienale della sedia e cominciò la sua narrazione <<Ritrovarsi da sola, senza sapere che fare e dove andare, è stato devastante. Un vuoto agghiacciante mi circondava e allo stesso tempo cresceva dentro di me. Ho dovuto imparare in fretta come dosare il denaro che i miei genitori mi avevano dato, sapendo che prima o poi sarebbe finito; così approfittavo delle mense per i poveri e spesso ho dormito sotto i ponti, insieme ai barboni.>>

A quel punto Sarah dovette aiutarsi con un profondo sospiro per ricacciare dentro lo stimolo del pianto. Gli occhi liquidi e la voce tremula indicavano la presenza di un dolore che seppur antico si conservava, ancora vivido, nel suo cuore adulto. La ragazza guardò la poliziotta con grande commozione e pensò che se fosse stata lei a scegliere l'esilio, non sarebbe sopravvissuta.

Traendo coraggio dal volto amico di Martina, l'unica persona a cui finalmente poteva raccontare la propria storia - e, dopo così tanto tempo, non era una cosa da niente –, Sarah poté riprendere la narrazione.

<<Per non sentirmi più sola e così disorientata, ho seguito di nascosto una madre e il suo bambino di circa 3 anni.. Erano migranti diretti a Plymouth per ricongiungersi con il marito che là, qualche anno prima, aveva trovato lavoro. Quando la donna se ne accorse, protese il suo braccio verso di me e mi chiamò con voce amorevole: il tepore della sua mano mi dette la sensazione di ritornare a casa.>>

<<Ti ha accolto nella propria famiglia?>> chiese Martina, masticando l'ultimo pezzetto di bacon che insaporiva la zuppa.

<<Sì, è così. Miriam è stata una donna davvero generosa e, soprattutto, ha saputo donarmi parte dell'amore materno di cui avevo un disperato bisogno. Sebbene fossi diventata una Venere ero pur sempre una ragazzina di soli tredici anni, assolutamente impreparata alla vita.>>

<<E non si sono mai accorti delle tue crisi?>>

<<Certo! Miriam se ne accorse subito: era impossibile poterle nascondere i dolori lancinanti su tutto il mio corpo, tantomeno la collera e l'aggressività che manifestavo per l'altro sesso.>>

<<E cos'ha fatto? Ti ha mandato via?>>

<<Nient'affatto! Ha avuto una reazione sorprendente: mi ha accolto per come ero, senza troppe domande, e con molta pazienza e dolcezza mi ha insegnato come rilassare il mio corpo e fare pace con la mente. Capisci?>> lo stupore brillò negli occhi di Martina <<<Non accennò mai al fatto che io potessi essere "sbagliata" ma, con estrema naturalezza, si è premurata di donarmi un rimedio per le mie sofferenze.>>

<<Hai avuto una grande, grandissima, fortuna!>> commentò, la ragazza.

<<Sarò sempre profondamente grata a quella famiglia. Tenere sotto controllo le crisi mi ha permesso di trovare un lavoro con cui pagarmi gli studi e poter entrare successivamente in accademia di polizia.

<<Sono davvero felice per te! Ma adesso non potresti aiutare anche me? Ti prego, non manca molto alla prossima luna nera!>>

<<D'accordo!>> replicò la detective, risoluta <<Per questo mese starai a casa mia. Ti insegnerò cosa fare e vediamo se farà effetto anche su di te. Sappi, però, che se non dovesse funzionare tu saresti un pericolo per gli altri...>> si soffermò a fissare i suoi occhi chiari per trovare un'intesa reciproca <<E, in quel caso, sarò costretta a metterti in prigione.>>

<<Sì, certo, lo capisco.>> le rispose, languida; prima di appellarsi al pensiero positivo <<Ma sono sicura che funzionerà.. deve funzionare!>>

E così Sarah si sarebbe presa cura di lei, per diversi motivi: per rispetto del suo primo amore, Nicola; per salvare altre potenziali vittime e il carnefice che viveva dentro Martina; e per salvare le altre Veneri "difettose", qualora il rimedio di Miriam avesse funzionato.

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