Capitolo 1

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Si portó le mani davanti al viso e poi sbottó furiosamente, odiava quella famiglia, odiava l'America e odiava quando volevano controllarla.
« Devi smetterla di perseguitarmi! » Lo urló così forte che dovette riprendersi per qualche secondo, dopo.

John rimase in silenzio, non aveva mai visto la sorella in quel modo e non aveva idea di cosa fare: era sempre stata abbastanza pacata in tutte le reazioni, in qualsiasi discussione, ora sembrava impazzire.
Aveva tirato troppo la corda, ma di lasciarla in pace ancora non se ne parlava.
« Iv, ascolta, non voglio perseguitarti, vogliamo proteggerti. »
« Vogliamo chi? Tu e chi? Chi c'è sempre dietro ad ogni mia scelta, ad ogni mio passo, ad ogni persona che incontro nei corridoi?
Lo sai che a volte mi chiedo se mi stiano sorridendo perchè ingaggiati da te, perchè è tutto finto, oppure perchè sono dei tizi che mi controllano solo per farti un dispetto, perchè magari gli hai ingannato il figlio, la moglie, o un fratello? » Parló sottovoce, buttó fuori quella verità in un modo così violento che John barcolló come se fosse stato colpito in petto. Si passó una mano tra i capelli chiari, Vivian viveva un inferno, una vita che non aveva scelto e mai si sarebbe potuta scegliere: eppure lui era ancora convinto di averle dato il meglio.

« Guardati intorno, vai nel college più prestigioso d'Europa e frequenti la futura classe sociale che governerà il mondo, direi che ne vale la pena fare qualche sacrificio. »
Le scappó una risatina nervosa, davvero lui credeva che sarebbe bastato quello? Davvero era convinto che a lei interessassero tutte quelle cose? « Io non ho scelto niente, sono venuta qui solo per stare lontana da voi, non me ne frega un cazzo dei soldi e dei privilegi. E poi davvero pensi che basti qualche vestito di sartoria, per ripulirvi? Siete degli assassini schifosi, e rimanete tali anche quando vi vestite da nobili, anche quando accompagnate i vostri figli maledetti nelle scuole più eleganti d'Europa e di tutto il mondo. »
Dopo quell'ultima frase le arrivó un ceffone in pieno volto, ebbe subito la reazione di coprirsi la guancia dolente, le bruciava da morire. Poi ghignó, perchè se John aveva reagito in quel modo significava che aveva colpito bene il suo orgoglio, non c'era una parola di quelle appena pronunciate da Vivian che non fosse vera, era questo che faceva male.

« Sei un'ingrata. » Serró le labbra, furente ormai anche lui, a costo di prendersi altri ceffoni Vivian l'avrebbe fatto esplodere, gli avrebbe fatto ammettere di essere un succube schifoso di quella famiglia che aveva condannato da tempo tutti i suoi successori.

Sgranó gli occhi, sfidandolo, ancora. « Cosa vorresti fare? Togliermi tutto? Dio solo sa quanto vorrei che tu mi togliessi tutto, anche il mio cognome mi libererebbe da un peso enorme, mi renderesti libera! » Sembrava quasi in preda ad un delirio, se non l'avesse conosciuta perfettamente John avrebbe pensato che fosse totalmente impazzita. Perdere il cognome a lui pareva la punizione più inumana del mondo, tutti i privilegi ottenuti sarebbero scomparsi, seppur insieme ai fardelli.

« Non sai quello che dici, non hai mai vissuto senza privilegi e lusso, ti torturerebbe non avere un sacco di cose che ora dai per scontate. »
« Non me ne frega niente dei privilegi.
Mettimi alla prova, dammi un'identità falsa e lasciami in pace un mese. »
Più che impaurito dal delirio della sorella, ora lo intimidiva quello spiraglio di razionalità che aveva trovato nei suoi discorsi: era assurdo come desiderasse scappare, era sempre stata una ribelle ma nell'ultimo periodo questa necessità era diventata incontenibile tanto che prima fu spedita in Europa, e ora... chiedeva questo?

« Non è smettendo di esistere che risolverai i tuoi problemi. »
« I miei problemi? Io non ho neppure un problema che sia mio davvero! »
« Non ti è mai importato niente del lavoro che faccio, e ora di punto in bianco scappi e odi tutti. Hai sempre fatto buon viso al cattivo gioco, ma ora non ci riesci più.
Perchè? » Serrò i denti e d'un tratto sembrò perdere tutta la calma che aveva mantenuto fino a quel momento per poi recuperarla frettolosamente dopo. Bastò tuttavia quel breve istante a turbare ancora di più l'animo di Vivian, che rimase senza parole, ormai non sapeva più come esprimere la sua frustrazione tanto era divenuta profonda e insopportabile.

« Non ce la faccio più John, non ce la faccio... »
Si mise a sedere sul letto distrutta, le sembrava che per quanto urlasse non sarebbe mai riuscita a liberarsi di niente, la matassa di rabbia e odio che si portava dentro cresceva sempre di più e domarla era diventato cosí difficile che non sapeva più dove sfogarla, sempre che fosse possibile sfogare qualcosa del genere senza prosciugare se stessi.
Prese un respiro profondo e si scostò i capelli da davanti al volto, non le veniva da piangere, era come bloccata in un limbo di fuoco, si sentiva morire ma aveva esaurito la voglia di ribellarsi, di chiedere aiuto.

Lui rimase ad osservarla per qualche momento prima di ancorare le mani ai fianchi e scostare il tranch di burberry, strinse le labbra e poi volse lo sguardo in alto, come se non avesse il coraggio di guardarla mentre le annunciava realmente la sua decisione. « Forse è meglio che torni a casa. »

Stre lí da sola per lei era impossibile, aveva pensato di essere libera, in verità si era ritrovata con un sacco di responsabilità e una nuova vita da gestire complicata quasi quanto l'altra. Non sarebbe mai riuscito a lasciarla in quel modo, distrutta, a vivere con i sensi di colpa senza sapere di aver fatto tutto il possibile.
Vivian semplicemente alzò lo sguardo chiaro e vuoto, totalmente spento e rassegnato. Cosa aveva in mente adesso John? Che cosa voleva da lei?
Che diamine di sensi di colpa aveva deciso di alleviare?

Pensò ad una risposta da non rivelare ma quella più ovvia sorse cosí spontanea che le fece scappare un risolino divertito, si passò la lingua sul labbro inferiore e poi proferí parola. « Quale casa? »

John rimase zitto, non aveva certo tutti i torti la sorella, quella poveretta una casa vera non l'aveva mai avuta, neppure una madre che potesse definirsi tale o un padre premuroso, aveva solamente John e se stessa. Il maggiore aveva provato di tutto per sostituire quelle due figure assenti, ma a quanto pareva non c'era riuscito, e come poteva d'altronde?
Lei era troppo rotta e lui non sapeva da dove cominciare, se l'era presa per evitarle l'ennesimo salto da casa del padre a quella della madre: se la scambiavano come fosse una palla da basket, un peso da sopportare.

Si massaggiò la fronte con il palmo della mano sinistra, l'altra rimase posata sul fianco. « A casa mia, Iv, con me e Giulia. »
« Ma che dici. » Arricciò le labbra e scosse piano il capo, le parve un'assurdità: non c'entrava nulla in quella casa, nelle loro abitudini.
« La tua stanza c'è sempre, perchè no? » Cioè la stanza degli ospiti.
« John, ho vent'anni, non posso vivere come una quindicenne e con una famiglia che non è la mia. »
« Sono tuo fratello, sono la tua famiglia. »
« Si, con tua figlia e tua moglie. »
« A loro va bene stare con te, sono la tua famiglia anche loro. » Serrò i denti, ecco che ritornava a parlare di famiglia come una grande cosa allargata, era una delle cose da cui aveva sperato di fuggire, odiava il modo in cui intendevano quella parola.
« Senti... tu sei riuscito a farti la tua famiglia e a stare bene, devi godertela e io imparare a gestire la mia vita. » Almeno lui dei due poteva salvarsi da una vita vuota: era riuscito a trovare la sua anima gemella e adesso aveva una splendida figlia, un lavoro che non gli dispiaceva.
Non gli era mai dispiaciuto vivere secondo regole già dettate da altri, le aveva fatte sue e adesso era padrone della sua vita, totlamente.

« ... Almeno torna in America. »
Sospirò affranta, forse le avrebbe fatto bene tornare in un ambiente familiare, sapere di essere quantomeno protetta e controllata direttamente. Gli aveva inveito contro fino a qualche momento prima e ora sembrava essere tutto in ordine, come se la discussione iniziale non fosse mai avvenuta. Era serena davvero oppure aveva imparato ad ignorare i propri sentimenti ed emozioni?

« ... Non c'è una soluzione. » Parlò da sola, John la guardò un attimo in silenzio come se si aspettasse da un momento all'altro che rivelasse qualcosa, che desse un senso alle parole appena dette. Non si era in realtà neppure accorta di aver parlato ad alta voce: per lei, nella sua testa, quella frase era sensata.
Odiava l'America ma anche vivere come stava facendo in quel periodo, tutte quelle paranoie non la facevano dormire di notte.

« Perchè? »
Si destò inprovvisamente. « Niente... niente. »
In trappola, si sentiva in trappola. Non c'era più niente che riuscisse a farla sentire libera, a volte le mancava addirittura il respiro e allora chiudeva gli occhi e immaginava di essere lontana da tutti, dove nessuno potesse trovarla, e tornava a vivere.

John non disse niente ma era evidente che stesse delirando, almeno secondo lui. Lasciarla sola sarebbe stato decisamente imprudente, non stava bene e nonostante la colpa fosse del sistema in cui era imprigionata e da cui stava cercando di scappare da sempre gli sembrò la scelta meno orribile riprendersela in casa.

« Ti do le chiavi della casa negli Hamptons, cosí non avrai nessuno tra i piedi. »
« ... Non posso, devo studiare, poi qui come faccio? »
« Finisci di studiare in America. »
« Dovrei cambiare università... »
« Non dovrebbe essere troppo complicato. » A livello burocratico, per niente! Ma doversi riadattare a qualcosa di nuovo la spaventava, e se fosse diventata totalmente pazza? Peggio di quanto già non lo fosse.
« Non so se mi va, John. »

« E allora cosa vuoi? » Non le era mai stata fatta una simile domanda, era la prima volta che davanti ad un membro della sua famiglia si trovava a rispondere ad un quesito simile. Credeva quel giorno, quello in cui le avrebbero domandato cosa volesse, non sarebbe mai arrivato, si era rassegnata e si era dimenticata dei propri deisderi, convinta che mai nessuno le avrebbe domandato nulla, certa che John non fosse in alcun modo interessato alle sue ambizioni, ai suoi sogni.
Strofinó le mani sudate sui jeans chiari e si sentí mancare il respiro, cosa voleva?

Fece per parlare ma non le venne fuori nulla, non aveva da dire niente oppure temeva solo di piangere davanti a John?
« Iv, puoi dirmi— »
« Voglio che mi lasci in pace John, vuoi sapere cosa voglio sul serio? Voglio svegliarmi la mattina senza dovermi preoccupare di quello che potrebbe succedere, dei segreti... decidere le cose per conto mio senza avere pesi che non ho chiesto. » E un sacco di altre cose che in quel momento non riuscí a spiegare. « E senza tutto questo... » Lanciò un'occhiata lungo tutta la stanza, il suo sogno non era mai stato quello di studiare in Europa, aveva tanto desiderato visitarla, si, ma da turista. Le manie di grandezza della sua famiglia non le appartenevano nemmeno un po', non le erano mai appartenute e per quanto si sforzasse di star loro vicina non li capiva.

« Tutto questo cosa? »
« Tutto: studiare mi fa schifo, il francese è incomprensibile e odio ogni singola persona di questo posto perchè tutti sono come vorresti fossi io. » Una stronza insensibile ataccata al denaro in modo eccessivo e materialista fino a sopra la testa. Invece lei sentiva che tutto il lusso di cui godeva fosse vuoto, non riusciva più a trovarsi, a trovare un senso alla realtà e si era odiata tante volte perchè aveva pensato di essere strana, diversa.

« Cioè il problema è questo? Che non hai voglia di fare nulla? »
« Ho voglia di fare quello che dico io. » Gli ringhiò contro, ma senza il coraggio di guardarlo negli occhi.
« Ma con i soldi della gente che disprezzi? Facile cosí. »
« E toglimeli tutti, allora! Sai che cazzo me ne faccio dei tuoi soldi di merda? »
Forse non avrebbe dovuto dirlo, non sapeva cosa significasse lavorare per vivere, come mangiare o vivere senza i soldi pronti a risolvere tutti i problemi. Si morse la lingua ma ormai era troppo tardi.

« Va bene. »
« Cosa? »
« Ti tolgo tutto, voglio vedere in quanto tempo torni strisciando. Non saresti capace di fare tre passi da sola senza carta di credito. »
« Stai scherzando? »
« No, da oggi sei libera, sorellina. In questi giorni ti congelo i conti cosí potrai sopravvivere usando solo i soldi che ti guadagnerai. »
« Come cazzo ci torno in America se mi congeli i conti? »

« Ti serve già un prestito? »
Fece per parlare ma rimase zitta, aveva la possibilità di dimostrargli quanto valesse, quanto non avesse bisogno di lui e neanche della sua famiglia.

Sostituí presto l'espressione sgomenta con una beffarda. « No, no. Non mi serve niente. »
In qualche modo me la cavo, stronzo.

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