Capitolo 14

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Michael e Vivian continuarono a baciarsi, si persero l'uno nell'altra fin quando la stanza non fu vuota e il mondo intero parve niente. Esistevano solo loro, il modo in cui si regalavano attenzioni e ne bramavano delle altre.
Un bacio.
Bastò quel bacio a farle perdere la testa, la cognizione del tempo, dello spazio e di dove fosse. Mai aveva provato niente di simile, in tutta la sua vita era stata con tanti uomini eppure lui sembrava diverso, o forse era diversa lei.

Fu cosí facile lasciarsi trasportare dal momento, che ci mise pochissimo a bloccarsi, terrorizzata. Aveva le gambe allargate attorno alla vita di lui, i loro corpi ancora caldi erano infuocati ma il suo stava ghiacciandosi. Osservò Michael confuso, mentre la guardava dal basso e non sapeva che cosa fare.
Era bellissimo, i capelli disordinati erano sparsi sulla sua fronte, gli occhi neri brillavano di lussuria, due calamite che l'attraevano su di lui ad ogni sguardo, ad ogni attenzione.

« Tutto okay? » mormorò lui con una voce cosí calda che Vivian si sentí morire.
No, non era tutto okay, non andava bene che lui le piacesse in quel modo. Perdere il controllo era una cosa che amava, ma non cosí, non quando perdere se stessa significava dipendere da un'altra persona.

« Si, si.
Però adesso ho sonno, voglio dormire. »
Lui alzò le sopracciglia incredulo, quella ragazza era davvero strana. Che diavolo le era preso? Prima gli era parsa sul punto di mangiarselo e adesso si toglieva da lui per rannicchiarsi al lato del letto, senza neanche troppe spiegazioni.
Non pensò di aver fatto qualcosa di sbagliato, mettersi in discussione non era nella sua natura, solo che non capiva perchè. Che non fosse abituata a storie di una notte? Forse era vergine, eppure era stata lei a chiedere di comportarsi come due ubriachi. Solo pensare al modo in cui glie l'aveva proposto lo mandava in estasi, socchiuse gli occhi e senza dire niente si voltò dall'altra parte, aveva bisogno di distrarsi perchè si sentiva bruciare.

Non ci voleva, non sarebbe mai riuscito a dormire con tutti quei pensieri in testa. Gli tormentavano l'anima e il sonno.

Vivian invece teneva gli occhi chiusi e fingeva di riposare, non voleva parlare, non voleva dare spiegazioni perchè neanche lei ne aveva. Non era capace di reggere il confronto con lui, non lo era mai stata. La sovrastava, la divorava e la annullava. Mai le era capitato di star bene non grazie alle attenzioni altrui, ma perchè fosse lei a darne.

Si tirò su la coperta perchè tutto era tornato nuovamente gelido e vuoto, ancora più di prima. Ogni cosa le sembrò spenta ma dentro di lei sentiva crescere una strana tranquillità, era tornata nella sua comfort zone: lí niente poteva turbarla, renderla troppo felice o troppo triste.

Si addormentò pensando al bacio appena consumato, alle labbra calde di Michael e alle sue mani sul proprio corpo, mentre le stringevano le gambe attorno ai suoi fianchi, poi risalivano sotto la felpa e le accarezzavano piano la pelle sensibile.
Sperò di non sognarlo, sarebbe stato uno strazio non riuscire a liberarsi di quella visione neppure nel sonno.

E infatti, non sognó lui.
Dopo tanto tempo rivide il volto di John, il fratello di cui non sapeva piú niente, di cui sperava di essersi dimenticata il nome. Invece era sempre pronto a tormentarla, era impressionante quanto quella visione paresse vera.
Erano nel giardino di casa sua, non c'era nessuno oltre loro. Lei si trovava all'inizio del vialetto polveroso che conduceva ad una panchina in pietra posta saggiamente sotto un albero, un salice piangente che avevano abbattuto di recente perchè un fulmine l'aveva spezzato in due. John l'aspettava proprio lì, pareva si stesse nascondendo e Vivian sapeva perchè.

Il sogno era ambientato a tanto tempo prima, lo sguardo cadde verso il basso, i piedini stretti nelle mary jane di vernice erano ben saldi sul terreno sterrato. Guardó le manine esili e l'abito: indossava il vestito del suo undicesimo compleanno, rimembrava quanto avesse adorato tutti quei merletti bianchi e rosa.
Si guardó intorno, il sole splendeva alto ma non abbastanza da illuminare il grigiume di cui era infestata casa Archibald.

Camminó lentamente verso il fratello, ricordava bene anche lui, il suo sguardo.
Aveva le sopracciglia contratte come quando era arrabbiato, solo che gli occhi non esprimevano disprezzo o ira, bensí tristezza, tanti sensi di colpa.

Era un'espressione così rara da osservargli in volto che Vivian non se l'era mai più scordata. La fece sentire in colpa, il giorno del suo undicesimo compleanno.
Si ripromise di non desiderare più niente che il denaro non potesse comprare, di non far mai più dipendere la sua felicità dalle scelte altrui.

Se ci avesse pensato prima avrebbe risparmiato a John una giornata infernale.

Cosa poteva aver mai chiesto una bambina di undici anni al fratello maggiore?
Quando gli fu davanti lui provó a riprendersi ma non ce la fece, quel poveretto aveva poco piú di vent'anni e stava provando a farle da padre, madre, qualsisi cosa pur di vederla contenta.

« Mi dispiace Vivi, mi dispiace. »
Lei stava soffrendo quanto lui, se non di più. Si sentiva responsabile dei i suoi tormenti, e aveva appena compreso cbe nessuno dei suoi genitori avesse interesse a passare quel giorno con lei.
Come tutti gli anni prima.

In quell'occasione le aveva promesso che ci sarebbero stati davvero, ma non era successo, non succedeva mai.

Si fece forte e cacció indietro le lacrime che minacciavano di spuntare fuori dagli occhietti verdi. « Non essere triste, io sono felice.
Sono felice capito? » Allungó le manine per cercare conforto e lui la prese in braccio. Se la mise sulle gambe stando attento a non far sporcare il pantalone costoso. Era così giovane e buono, con il passare del tempo tutti sembravano essersi evoluti in peggio. La tristezza se li era mangiati lentamente, fino a far scomparire qualsiasi briciola di felicitá ci fosse nelle loro vite.

Riaprì gli occhi all'improvviso, mentre nella sua testa rimbombavano ancora le parole di una sè di tanti anni prima, si chiese perchè quei ricordi fossero riaffiorati proprio quella notte. Si portó una mano sulla tempia e sospiró pesantemente, non sarebbe più riuscita a prendere sonno, adesso oltre al bacio la tormentava il ricordo di quell'episodio straziante. Pensava di averlo rimosso e invece era riuscito a tornare tra i suoi incubi peggiori.

Che ore erano?
Vide la luce del sole infilarsi tra i buchi della tapparella creando delle piccole fessure dorate sul muro, sulla schiena di Michael che ancora sembrava assopito.
Era bello anche visto da lì, con la mente immaginó di accarezzarlo piano, prima il collo poi delicatamente scendeva fin sotto la schiena muscolosa.

Si tiró le maniche della felpa, faceva freddo da morire, sembrava che il riscaldamento fosse spento.

Si alzó per controllare, appena i piedi toccarono il pavimento rabbrividì per il gelo insopportabile. Serró i denti e si maledì per non essersi tenuta i calzini.
Camminó comunque fino al termosifone sotto la finestra, e infatti, non andava.
Merda.

Michael non aveva freddo? Dormiva così tranquillo che Vivian si ritrovó ad invidiarlo.
Decise che fosse meglio tornare sotto le coperte, le alzó per scivolare nuovamente al caldo e poi si rabbicchió lontana dall'altro, decisa a non guardarlo neppure.
Si erano detti che avrebbero fatto come gli ubriachi, sarebbe riuscita davvero, lei, a non pensarci più? Come si scordavano delle labbra del genere?

Si morse una guancia e sentì proprio il bisogno di fuggire, se non via da tutto, almeno da quella stanza. Sfidó nuovamente il freddo e si allontanó da lì, prima andó in salotto, dove c'erano segni della serata precedente ovunque: scarpe all'ingresso, in mezzo al corridoio, sigarette spente in salotto.
Scosse piano il capo ancora troppo stordita dal sonno per mettere in ordine o solamente provarci, spostó ció che le ostacolava il passaggio con i piedi e si diresse in cucina.

Si ricordó in quel momento che ci fosse anche Martina, la testa le scoppiava come se avesse bevuto troppo, lo stomaco implorava cibo ma la sua mente caffeina. Quindi decise di fare quella cosa che Michael preparava tutte le mattine, la moca. Quindi prese il caffè in polvere e riempì la macchinetta proprio come lui, l'aveva visto compiere quei gesti un'infinità di volte, adesso sapeva replicarli alla perfezione. Riusciva ad immaginarselo mentre da dietro armeggiava sui fornelli e poi esclamava un "ah" soddisfatto al primo assaggio.

Le aveva inculcato quella strana abitudine, a lei non dispiaceva. Quando mise finalmente la moca sul fuoco si poggió con le mani sul bancone di legno ed emise un sospiro pesante.

« Vivian? Fai il caffè? » Martina si annunció mentre varcava la soglia della cucina, aveva ancora il trucco sciolto e i capelli disordinati. Non indossava più peró il cappotto della sera precedente, se l'era tolto durante la notte o prima di raggiungerla. Gli occhi erano chiaramente assonnati, la voce rotta e rauca.

La bionda le sorrise. « Si, si. Vuoi? »
Martina grugnì una specie di "si", poi strisció scalza fino al tavolo. Trascinó una sedia per potersi sedere e tornare in una sorta di torpore mattutino. « Un cucchiaino di zucchero, perfavore. » aggiunse solamente, poi posó il volto sulle mani e chiuse gli occhi.

« Mmh, caffè? Stamattina qualcuno mi ha rubato il posto. »
Michael. Vivian era ancora girata di spalle quando entró ovviamente in modo teatrale, altrimenti non sarebbe stato lui. Socchiuse gli occhi, un brivido le accarezzó la schiena e poi andó a scomparire

Come diavolo faceva ad essere così attivo a quell'ora?

In realtá nessuno sapeva davvero che ore fossero, ma la bionda immaginava molto presto.
Vivian decise di fare come lui, ignorare le cose era il suo talento migliore, provocare gli altri una dote naturale. « Se riesco a farlo bene sono italiana a tutti gli effetti? »

Si voltó e incroció il suo sguardo, rimasero entrambi fermi qualche secondo a scrutarsi, come increduli che fosse successo davvero quello che era accaduto la notte prima.

Vivian smorzó la tensione con una risata beffarda, lui abbassó subito lo sguardo e mostró un sorrisetto malizioso. Martina era troppo distrutta per accorgersi di quello strano scambio di attenzioni, le veniva da vomitare e la testa le faceva così male che avrebbe potuto sbatterla contro il tavolo senza sentire dolore. Tornó di spalle, il caffè era quasi pronto.

« Intanto vediamo come te la cavi. » Decise di mettersi vicino a lei, dietro, per la precisione. Le braccia incrociate al petto andarono a fermarsi sul bancone, intrappolandola davanti a lui. Il suo volto si sporse in avanti per controllare i fornelli, sfiorandole il collo freddo. « Alza il coperchio. » Quelle parole sussurrate piano le vibrarono contro la pelle nuda e si sentì morire.
Era molto più bravo lui in questo gioco, e lei lo odiava. Odiava non avere il controllo delle cose, non essere lei quella con il coltello dalla parte del manico.

Vedendo la reazione di Vivian lui se la rise, non spostandosi di un centrimetro. La bionda decise che fosse arrivato il momento di fargliela pagare.
Alzó il coperchio per controllare che il liquido marrone stesse uscendo dalla caffettiera bollente e spense i fornelli.

Lei a quel punto si voltó e gli sfioró il collo con le labbra, così piano e delicatamente che lo sentì rabbrividire sotto il suo tocco. « Puoi prendermi due tazzine? » Sorrise compiaciuta, questa volta l'aveva avuta vinta lei.

Michael allungó un braccio verso l'alto e da uno scaffale prese tre tazze, perchè anche lui aveva bisogno di svegliarsi oltre Martina e Vivian, sebbene sembrasse già troppo attivo.

Si allontanó lasciandole il suo spazio, quel gioco innocente invece che dividerli li faceva accendere come delle micce.

Quando tutti ebbero la loro colazione e Martina sembró tornare nel mondo reale, Vivian l'accompagnó a struccarsi, aveva bisogno di una doccia ma anche di farsela a casa sua, calda e rilassante. Quindi si lavó quello che le serviva per acquistare un aspetto decente e poi decise di andarsene, anche se a Vivian avrebbe fatto piacere restasse. Rimanere sola con Michael non era certo il suo più grande desiderio, al momento.

Vivian l'abbracció, sforzandosi. Non era proprio una tipa da dimostrazioni fisiche d'affetto ma voleva così bene alla sua amica che provarci non le costì niente.
« Per qualsiasi cosa chiamami, davvero. Ogni volta che avrai bisogno di sfogarti, o di ubriacarti. » risero entrambe, mentre Marti le lasciava un ultimo saluto prima di allontanarsi giù per le scale dell'antico palazzo. Tornó in salotto dove l'italiano stava fumandosi una sigaretta mentre osservava la cittá illuminata dalla luce del giorno, fuori dalla finestra.

« Leonardo è un coglione, ma d'altronde cosa aspettarsi da una famiglia di coglioni, se non un figlio coglione. »
Michael non disse altro, buttó il mozzicone e dopo quella frase stizzita andó a chiudersi in camera. Era la prima volta che lo vedeva turbato e nervoso, evidentemente aveva preso molto a cuore la storia di Martina, e qualcosa non gli andava giù del fratellastro. Pensó che ci fosse altro, quslcosa di non detto e irrivelabile che Michael non potesse confessare.
Era abbastanza abituata a queste cose, segreti, ipocrisia e bugie.

Chissà quali erano i segreti di quella famiglia, quali fardelli tormentavano Michael.

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