Capitolo 21

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« Vivian! »
Era vestito come al solito di tutto punto, i pantaloni pesanti di velluto gli fasciavano perfettamente le gambe magre, l'orlo perfetto piegato al centimetro sopra le scarpe italiane. Erano tutti dettagli che prima Vivian non avrebbe mai notato, perchè rientravano nella sua normalità, adesso invece le sembrava di capire cose diverse, di avere una visione della realtà più ampia.

Le allargò le braccia e lei ci si fiondò dentro per cercare il solito conforto, era caldo e profumava di familiare. Non c'era niente di cui dovesse preoccuparsi quando era con lui, socchiuse gli occhi e affondò il volto nella sua spalla sul maglione di cashmere blu, le mani di Lorenzo l'afferrarono prontamente dai fianchi per sorreggerla. La strinse a sè e le lasciò un bacio dolce sulla testa. Era ubriachissima, a lui piaceva anche quando non riusciva a reggersi sulle gambe, quando l'equilibrio l'abbandonava e parlava a vanvera spinta dal vino, o da qualsiasi altra cosa avesse bevuto.
« Troppo champagne, Signorina Archibald? »
Si staccò da lui e gli mostrò un sorrisetto divertito, storse la bocca un po' scontenta, in quella festa non c'era ombra del suo amato champagne. Forse l'unica cosa che le mancava davvero di Manhattan. « Solo gin tonic, fatti in casa hanno un sapore orribile, anche se sono più alcolici. » Si spostò i capelli dietro le orecchie, cercò di darsi una sistemata mentre lasciava la parte più nascosta di sè venir fuori davanti a Lorenzo, che se la rideva con le braccia incrociate al petto.

« Il barista non sapeva farli? »
« Il barista non c'era. »
Lui inclinò il capo da un lato, facendo brillare i suoi favolosi occhi blu. Non capí subito cosa intendesse Vivian, poi gli si accese una lampadina in testa e anche se non disse niente era evidente l'espressione di disgusto dipinta sulla sua faccia.

Lei sospirò. « Quanto darei per— come si chiamava... quello champagne, Roederer! » Lo stava davvero dicendo?

Lorenzo la squadrò da capo a piedi, per un momento gli parve di avere davanti la vecchia Vivian, bastava davvero qualche gin tonic a farla crollare in quel modo? Non osava immaginare cosa avrebbe potuto confessare ad altri.
Le posò una mano sotto la guancia e si perse ad ammirarla, come succedeva spesso. Lei invece non si soffermava mai sullo sguardo dolce e apprensivo di Lorenzo, lo usava spesso per stare meglio, perchè si sentiva a casa, ma non sapeva apprezzarlo come avrebbe dovuto.
Aveva la felicità a portata di mano ma si era sempre ostinata a guardare dall'altra parte. « Conosco un posto dove possiamo prenderne una bottiglia. »
« Ho forse cinquecento euro nel conto, forse. Non posso permettermi neanche una stanza decente. »
« Io invece ho libero accesso alle tasche dei miei, quindi per stasera, anche tu non hai problemi. »
Adesso lo capiva, forse, John quando diceva che tutto avesse un prezzo, che ogni cosa potesse essere comprata. Era cosí facile far leva sui bisogni delle persone per manipolarle, non che Lore stesse facendo lo stesso gioco che gli Archibald erano soliti mettere in pratica, ma finalmente capiva.
Per chi non aveva niente era facile cedere, ai ricatti, alle promesse.

« Io— no, non sono venuta fin qui per sfruttare te. Se vuoi andiamo da me, non voglio nessuno champagne. »
Intrecciò i capelli alle dita magroline e infreddolite, alzò lo sguardo verso l'alto, cercava una risposta a cosa fare ma non sembrava volergliela dare nessuno.
« Vivian, questa cosa ti sta distruggendo. » La guardò nel modo più comprensivo che conoscesse.
Lei non voleva innervosirsi, quindi si convinse di aver compreso male. « Cosa? »
« ... Voler dimostrare che sai vivere da sola, che stai bene senza la tua famiglia. » Il suo era un commento fatto totalmente in buona fede, non capiva perchè vivere in quel modo quando chiunque avrebbe fatto carte false per avere il cognome di Vivian.

« La mia vita mi piace, non capisco cosa ci trovi di male, perchè dovrei andarmene? »
« Perchè— » Stava per iniziare un discorso troppo serio rispetto alla serata che aveva previsto, a lui Vivian non sembrava felice nonostante secondo lei questo cambiamento sarebbe dovuto essere la chiave per il paradiso. Non era certo il massimo ritrovarsi ad implorare per una bottiglia di Champagne da 300 dollari dopo essere stata ad una festa insieme ad altri sconosciuti a bere gin scadente, sapeva di squallido e patetico. « Senti lascia stare, non ho voglia di discutere, non sei neanche sobria non avrebbe senso. » Il tono di voce era quasi scocciato, infastidito.

Mai, mai da quando l'aveva conosciuto Lorenzo si era permesso di criticare Vivian, le sue scelte, il suo modo di vivere. Si sentí colpita nell'orgoglio e sotto di lei, sul marciapiede sporco sentí aprirsi una voragine.
Schiuse la bocca incredula, non aveva idea di cosa rispondergli. L'italiano si rese conto troppo tardi di quello che avesse fatto, si portò una mano davanti al viso e pensò ad un modo per rimediare, perderla lo terrorizzava più che dover sentire costantemente la sua mancanza.
« Invece discutiamo, ho proprio voglia di discutere Marchetti. » Affilò le iridi cristalline, quelle parole gli arrivarono taglienti come una lama, dritte al cuore. L'aveva persa, quando si metteva sulla difensiva diventava impossibile recuperare un dialogo con lei. Graffiava chiunque per paura di essere colpita ancora, chiuse gli occhi per un attimo e si fece forza.

« Vivian, ti prego, io voglio solo che tu stia bene, non penso che vivere come fai tu sia sbagliato, ho solo paura che non serva a renderti felice. » Abilissimo a misurare le parole, era riuscito a farsi lentamente strada nella ragione di Vivi, che parve tornare lucida.
Alzò nervosamente lo sguardo al cielo, poi lo puntò esausta in quello di Lorenzo. « Invece prima ero felice? »
Prima eri con me. Avrebbe voluto urlarglielo ma dovette mordersi le labbra da dentro per non sputarle quella verità bollente in faccia.
« Non lo so. » Sospirò ancora, massaggiandosi con due dita la parte sopra del naso alla francese.
Le accarezzò i fianchi e cercò la sua attenzione.

« Ricominciamo da zero, facciamo finta che io sia arrivato adesso, okay? » Le sorrise cosí dolcemente che per poco non riuscí a farle sciogliere il cuore, ma purtroppo lei un cuore ancora non l'aveva. Si limitò ad annuire e a ricambiare le sue attenzioni, infilandogli le dita sotto la giacca di lana per scaldarsele. « Va bene, che cosa ti va di fare? »

Lui si fece meno serio, le strinse una mano attorno ad un fianco e con l'altra risalí sotto al seno. « Beh, una mezza idea l'avrei. »
Vivian s'incuriosí e lo avvicinò lentamente, come se potesse leggergli le risposte che voleva nello sguardo azzurrino. « Cosa hai in mente? »

Si allontanò da lei e con un cenno del capo la invitò a seguirlo fino all'auto parcheggiata dall'altra parte della via, una stupenda Jaguar nera che stonava con la strada fatiscente e perfino con Vivian, che si sarebbe seduta sui suoi sedili indossando una gonna in simil pelle acquistata in sconto nel più economico dei negozi.

Quando furono dentro si tolse le ali per stare più comoda, le raccolse tra le mani e ripensò inevitabilmente a Michael, a come fosse stato delicato mentre le aveva posato gli elastici scuri sulle spalle magroline, alle sue labbra sul suo collo.

Osservò Lorenzo ma non ebbe il coraggio di chiedersi perchè non ci fosse l'altro al suo posto.
Mise in moto l'auto e partirono sfrecciando per le vie di Firenze che di notte, vista dal finestrino di quell'auto assumeva tutto un altro sapore: la prima volta l'aveva ammirata da dietro al vetro di un autobus, adesso invece pareva un altro posto. Se non era vero che i soldi facevano la felicità, almeno riuscivano a far credere di averla trovata.

Attraversarono il ponte vecchio e lei rimase tutto il tempo ad ammirare il panorama come fosse un film, se avesse avuto la disponibilità economica di un tempo si sarebbe potuta divertire di più, ma probabilmente neanche avrebbe pensato di andarci.

L'aria calda le sciolse i nervi, si rilassò quasi subito.
Stava quasi per addormentarsi cullata dal silenzio della notte e dal rumore flebile del motore, ma Lorenzo inchiodò facendola sussultare. « Siamo arrivati. »
« Dove? »
« È un teatro, adesso è chiuso ma la mia famiglia lo mantiene quindi ho le chiavi, cioè le ho rubate a mio nonno ma è lo stesso. »
Le si illuminarono gli occhi, fare la cosa sbagliata le era sempre piaciuto da matti, l'adrenalina era qualcosa a cui non aveva mai imparato a resistere. Si morse il labbro inferiore e da sola salí i piccoli gradini che separavano l'ingresso del teatro dalla strada.
Teatro Niccolini.

Lesse in mente il nome inciso sull'antica targa in marmo chiaro apposta vicino all'entrata, brillava lucido sotto la luna, in basso c'erano alcune scritte che Vivian faceva troppa fatica a decifrare, era latino e lei non era mai stata una cima in quella materia.
In numeri romani v'era specificato l'anno in cui era stato fondato, e poi altre cose che non furono capaci di assicurarsi la sua attenzione per troppo tempo.

Aveva lasciato la giacca in macchina, ormai il freddo era cosa lontana.

Lorenzo l'affiancó e infilò delle chiavi nella serratura, la porta si aprí con un rumore sordo che rimbombò nel silenzio della notte e si spalancò cigolando.
Prese dalla tasca del cappotto il cellulare e azionò la torcia, non aveva idea di dove fossero le luci.

Vivian rimase prima dietro di lui, poi decise di farsi avanti e precederlo, era troppo curiosa di sapere come fosse da dentro. Aveva visto tanti teatri ma nessuno mentre era vuoto, nessuno mentre era da sola.
Anche lei si fece spazio all'interno con la torcia del telefono, a terra il marmo faceva troppo rumore a contatto con i suoi tacchi alti, decise di fermarsi e toglierli. Li lasciò lí, con l'idea di recuperarli dopo.

« Vieni. » Lorenzo la superò e le prese una mano per trascinarla con lui verso la sala vera e propria.
L'ingresso principale da cui erano entrati dava prima sulla biglietteria, poi due ampie scale conducevano ai palchetti al piano di sopra, mentre da dietro si accedeva ai posti in platea. Era un vero peccato non poter usufruire della luce del posto, se solo avessero saputo come si accendesse.

« Guarda. » Inaspettatamente lui la lasciò al centro della stanza, sotto i piedi sentiva il tessuto morbido di un tappeto e infatti quando lo inquadrò con la torcia rivelò il colore rosso che evidentemente doveva essere il principale in tutto quel buio.
All'improvviso le luci si illuminarono la sala, un tonfo sordo rimbombò nel teatro vuoto e giunse alle orecchie di Vivian aiutato dall'acustica perfetta.

Si guardò intorno, era tutto cosí magico. Gli spalti brillavano d'oro e le sedie risplendevano d'un rosso brillante e intenso. Si vedeva che ci fosse lo zampino della famiglia di Lorenzo, camminò sul tappeto vermiglio in mezzo alle poltroncine fino al palco. Era in legno scuro e aveva davanti lo spazio per l'orchestra, la tenda rossa con i bordi dorati era chiusa, si chiese quanto potesse essere bello uno spettacolo visto lí.

Mentre ammirava il soffitto affrescato si sentí raggiungere da dietro, le braccia di Lorenzo l'avvolsero delicatamente accogliendola nel solito calore che sapeva di famiglia, casa. « Allora? » Prese ad accarezzarle i fianchi dolcemente, mentre le lasciava dei brevi baci dietro l'orecchio. « Sono perdonato? »
E per cosa? Vivian per un momento si sentí quasi in colpa, aveva risposto male all'unica persona che non se lo meritava. E adesso lui aveva fatto tutto quel casino, rischiando con suo nonno e violando una proprietà privata per espiare colpe che non aveva.

Si voltò e gli rispose nel modo migliore che conoscesse, rimanendo in silenzio. Lo abbracciò e socchiuse gli occhi, non lo amava ma la faceva sentire al sicuro come non lo era mai stata in tutta la sua vita.
Lo baciò sul labbro inferiore, teneramente. « Non hai niente da farti perdonare. » Fu la prima volta in assoluto in cui Vivian gli disse una cosa sincera e carina senza usare il sarcasmo, forse era colpa dell'alcol, del posto suggestivo, ma se lo meritava.

La guardò negli occhi e ci si perse dentro, quel viso gli sembrava ogni volta cosí innocente, delicato, come se potesse sgretolarsi da un momento all'altro tra le sue mani. Allora la baciò, per paura che prima o poi le sarebbe potuta davvero scivolare via dalle braccia, come cenere al vento.

Vivian gli strinse il maglione da sotto la giacca e ricambiò le sue attenzioni, s'inebriò del suo profumo e lasciò che l'accarezzasse da dietro la schiena, da sopra la maglietta leggera, quando le toccò le spalle però si fermò.

Non era la stessa cosa di quando l'aveva fatto Michael, quando in quell'ascensore squallido le aveva sistemato le ali del costume si era sentita morire, adesso invece era solo contenta di stare con una persona che le volesse bene.
« Tutto okay? » Vedendola smarrita, Lorenzo si fermò subito, pensava fosse colpa sua.
Scosse il capo, simulando un'aria confusa. « Si, si. Tutto okay, è che questo posto è fantastico, devo abituarmi... » mentí spudoratamente, sia a lui che a se stessa. Lui parve poco convinto ma decise di assecondarla comunque, non aveva voglia di inziare nuove discussioni.

Le morse un labbro, poi l'attirò di più verso di lui. « Domani parto, devo dare degli esami importanti ma giuro che torno presto. »
Socchiuse gli occhi beandosi di quel contatto ravvicinato, gli lasciò un bacio casto sul mento. « Sei stato bene con i tuoi? »
Alzò le spalle. « Si, ogni tanto mi fa piacere andare a trovarli. » In realtà neppure Lorenzo aveva una situazione familiare fantastica, nessuno che vivesse la loro vita non nascondeva del marcio. Lui era cresciuto praticamente da solo, in collegio fino a che non erano riusciti a liberarsene definitivamente, spedendolo in Francia. Troppo buono per odiarli, si era rassegnato al futuro che avevano scelto per lui, avrebbe continuato a gestire gli affari di famiglia, a far vivere la gloriosa dinastia dei Marchetti. Vivian si era spesso chiesta come facesse ad essere cosí tranquillo e buono, poi pensò che fosse proprio quella la sua condanna: lei era anaffettiva, terrorizzata da qualsiasi impegno sentimentale ed emotivo. Lui invece pareva esserne dipendente, da qualsiasi legame affettivo che potesse completarlo, farlo stare bene, dare un senso alla sua vita.
Era una turtura a cui era obbligato chi come lui per metà della sua vita fosse stato completamente abbandonato, il terrore di riprovare quelle sensazioni lo tormentava ogni giorno.

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