Capitolo 34

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Ne vale davvero la pena, Vivian?
Passarono tutta la serata con quel tizio, sembrava un tipo piuttosto strano e sebbene l'età non si fece problemi a provarci con entrambe, ancora una volta la bionda fu colta da una sensazione inspiegabile.
Adesso capiva Martina, quando ogni tanto mentre lavorava doveva fermarsi per reprimere tutto il vuoto che le si creava dentro, la malinconia e il malessere. La tristezza parve trafiggerla crudelmente proprio quando credeva di potersela scordare, almeno per un po'.

Arrivarono anche Emily e Marcus, sembravano un gruppetto di amici cosí affiatato e invece erano tutti distrutti. Emily e Dalila non si erano mai state troppo simpatiche, soprattutto la prima aveva sempre evitato di farci serata. Molto probabilmente aveva paura che qualcuno potesse rubarle la scena mentre con Vivi non c'era mai stato questo problema: sin da piccola le correva dietro qualsiasi cosa facesse.

Simon ad un certo punto prese due sigarette dal pacchetto che teneva nella tasca interna della giacca e senza vergogna ne porse una a Vivian, era un invito ad accompagnarlo a fumare. Una cosa innocente se solo non fosse stato per lo sguardo d'intesa che si scambiarono.
La giovane ebbe modo, mentre la raccoglieva dalla sua mano, di osservarla bene e notò una fede, era sposato.

Se in un primo momento fu sorpresa, le bastò ricordare dove fosse per togliersi lo sgomento dalla faccia. Quella circostanza rendeva tutto ancora più eccitante.

Si allontanarono insieme, camminarono per tutta la sala, salirono delle scale e poi s'infilarono in una stanzetta che probabilmente doveva essere il suo ufficio, era dotata di un balcone abbastanza grande arredato con un divanetto e due poltrone. Dentro le pareti erano coperte da librerie scure colme di tomi di cui però Vivian non ebbe voglia di leggere i titoli, a terra il pavimento in legno scuro si abbinava ai mobili in mogano duro. Una scrivania perfettamente in ordine e delle sedie dello stesso colore per gli ospiti.

« Allora, che ne pensi di questo posto? »
Erano poggiati al muro fuori, Vivian lo guardava dal basso e lui la sovrastava completamente, davanti a lei le toglieva già il respiro semplicemente esistendo.
La giovane gli sorrise e alzò le spalle. « È molto affascinante. » Chiaramente non si riferiva al posto, ma a lui, era una sfacciata provocazione che Simon colse presto.
Si avvicinò al suo volto e dalle labbra gli uscí una nuvola di fumo, Vivian avvampò sentendoselo addosso. « E non hai visto ancora niente. »
I loro occhi s'incatenarono per un breve istante che bastò a farli infiammare, poi si baciarono. Lui le afferrò i fianchi e la spinse contro il muro mentre la schiacciava al suo petto.
Con lui non fu schifoso come con Marcus, Simon era davvero incantevole, allettante e ci sapeva fare.
Vivian si lasciò trasportare per un po', fin quando non finirono dentro la saletta e lei sopra di lui, seduto sul divano.

All'improvviso, mentre i loro respiri stavano mischiandosi e i loro corpi avevano tutta l'intenzione di divenire una cosa sola, rivide la faccia di Michael e si bloccò sul posto, divenne rigida come se avesse scorto un fantasma. Non poteva sempre andare in quel modo.
Non rispondere neanche.
Si sforzò di andare avanti, riprese a baciare quell'uomo come se le piacesse davvero, come se lo desiderasse e non lo stesse maledicendo perchè al suo posto non v'era un'altra persona.
Non voglio mai più vedere la tua faccia o sentire la tua voce.

Le venne da vomitare, lei che non aveva mai provato cosa significasse avere dei sensi di colpa adesso si ritrovava a dover fare i conti con la parte più marcia della sua anima.
Sei geloso?
Impazzirei.

Ritirò il capo all'indietro e si sottrasse alla presa di Simon che aveva pensato bene di infilare le dita nei suoi capelli morbidi. Era cosí esperto e affascinante, perchè non riusciva a farselo piacere?

« Aspetta— »
« Cosa c'è? » Il tono era impaziente ma comunque caldo e accomodante, prese a giocare con l'orlo del tubino rosso ormai tirato su fino ai fianchi.
« Non posso, non ci riesco. » Scese dalle sue gambe e si sistemò l'abito color rubino in modo da coprire nuovamente le sue forme esili.
« Perchè? » In effetti cambiare idea cosí all'improvviso era piuttosto strano, eppure lei era fatta cosí, si costringeva a fare la cosa sbagliata fin quando non ne poteva più e allora scappava via.

« Per colpa di uno stronzo. » Sul serio?
Aveva definito nel peggiore del modi l'unica persona che le avesse mai mostrato un briciolo di considerazione e di attenzioni, che probabilmente avesse creduto in lei e forse sarebbe riuscito anche ad amarla.

Distolse lo sguardo e lo postò sulla scrivania, c'erano una serie di foto incorniciate, lui con la moglie, il giorno del matrimonio, la sua famiglia.
Non si sentiva in colpa.

Aveva distrutto Michael trattandolo come una cosa vecchia da lasciarsi alle spalle e adesso lo insultava pubblicamente, solo perchè si sentiva in colpa e non voleva ammetterlo a se stessa.
Simon se la rise e prese a sistemarsi la camicia stropicciata. « Ah, l'amore. »
« Ma che amore. » Lo corresse subito, mentre cercava di mettersi in ordine capelli arruffati. L'importante era apparire perfetta fuori, in modo che il casino nella sua testa fosse invisibile.

Le si avvicinò da dietro, mentre si guardava allo specchio appeso vicino alla porta d'ingresso, sopra un caminetto che prima non aveva notato. « Se pensi a lui mentre sei con gli altri è decisamente amore, stellina. » Con il mento accarezzò la pelle di porcellana della bionda, rabbrividí al suo tocco e d'improvviso le venne voglia di baciarlo ancora. Socchiuse gli occhi e l'immagine di Michael accorse a disturbarla per l'ennesima volta.
Ricordò di loro in ascensore, avvampò.
« Peccato, mi sarebbe piaciuto incontrarti prima. Magari ti saresti innamorata di me. »
« Io non m'innamoro. »
Si aggiustò la collana di perle sul collo, riposizionando la chiusura dietro, nascosta dalla chioma dorata.

« Eppure... » Vivian si allontanò da lui per recuperare la borsetta.
Eppure niente.

Sospirò scocciata, si voltò e tornò in sala, controllò che nessuno la vedesse uscire dall'ufficio di Simon e cercò subito i suoi amici con lo sguardo.
Dalila era con un ragazzo, Emily anche e Marcus sembrava sparito nel nulla. Probabilmente stava collassando da qualche parte appure era impegnato a provarci con qualcuna.

E adesso?
Avrebbe voluto scappare, andarsene ma il suo passaggio non l'avrebbe avuto prima di qualche ora. Quindi si sistemò al bar e ordinò ancora da bere, fece mettere tutto sul conto del proprietario dallo stesso tizio che li aveva visti fuggire via insieme.

Buttare giù altro alcol invece che aiutarla la distrusse ulteriormente, non riusciva più a stare con lo sguardo fermo su niente e la testa era divenuta insostenibile.
Le serviva Marcus, era l'unico che aveva quello che le serviva per tornare sveglia e pimpante come prima.

Dove si trovava? Si alzò dallo sgabello e prese a vagare su quelle scarpe scomode e alte. Si fermò nel primo angolo vuoto e decise di puntare ad una delle uscite per recuperare un po' d'aria.
Arrivò finalmente fuori e cercò istintivamente nella borsetta le sue sigarette, quando vide il telefono controllò l'ora. Su instagram Michael le aveva messo mi piace ad una serie di foto, solo per fargliela pagare, solo per farle presente che avesse capito quanto facesse schifo.

Le venne da vomitare, e non era per l'alcol.
Gli occhi le divennero lucidi e si sentí uno schifo, li odiava i sensi di colpa, le emozioni, doverle gestire per forza.
Sentí il cuore morire nel petto, avrebbe voluto sentire la sua voce, se l'avesse avuto davanti avrebbe implorato il suo perdono.

Forse poteva chiamarlo, in quel momento le sembrò un'idea giusta anche se insensata e stupida.
Non ce la faceva proprio a non essere egoista, se fosse stato per il bene di lui non si sarebbe davvero mai più fatta sentire.

« Non mi devi chiamare, ti avevo detto— »
« Aspetta, aspetta. Lo so cosa hai detto è che— »
« Sei una bugiarda, hai mentito a tutti! » Quel tono di voce le parve cosí strano su Michael che non riuscí ad immaginarselo adirato per qualche motivo, anche se ipotizzò stesse fumando come sempre quando era incazzato.
« È vero, ho detto delle bugie ma tante cose erano vere, te lo giuro. » La voce le usciva tremante dalla gola, avrebbe voluto essere più sobria, però forse in quel caso non avrebbe mai trovato il coraggio di far squillare il suo telefono.
« Hai fatto finta di essere una persona che non sei, hai giocato a cambiare vita come se fosse un capriccio. »
« Io— quello che— » Strinse le labbra e si costrinse a ritrovare un minimo di lucidità. « Mi dispiace, ti prego scusa. »
Non ricordava un altro momento nella sua vita in cui fosse stata cosí disperata da chiedere scusa, implorare perdono. « Voglio solo che tu sparisca dalla mia vita. »
Anche lei avrebbe voluto da morire che fosse cosí facile andare avanti, dimenticarlo. Invece era impossibile, più ci provava e più stava male. « Ma— »
« Sul serio, lasciami in pace. »
Chiuse la chiamata in quel modo, se avesse potuto smettere di esistere, Vivian l'avrebbe fatto davvero. Pur di smettere di stare male si sarebbe annullata e invece era costretta ad osservare la propria vita andare a pezzi.

Si asciugò le lacrime con il dorso della mano e lasciò perdere il cellulare, prese la sigaretta e se la infilò tra le labbra.
Non aveva l'accendino, che sfiga.

« Archibald, ti stavo cercando da un sacco. »
Era Marcus, forse c'era un modo per smettere di esistere.

« Stavo cercando un posto dove fumare in pace. » Alzò le spalle, prendendo un tiro. Lui parve crederle anche se gli sembrava strana. Decise di non pensarci, Vivian era sempre strana.

Marcus ghignò. « Ti va di rendere la serata migliore? » Lei capí al volo, annuí convinta e abbandonò la sigaretta a terra, per seguirlo in uno dei bagni.

Quella notte esagerarono entrambi, lui continuava a offrirle qualsiasi cosa chiedesse e la seguiva come se avesse trovato finalmente la compagna perfetta. Smise solo quando Vivian si accasciò al suolo, completamente incosciente e spenta.
Era morta? Si chinò spaventato per sentirle il polso, il collo, cosa si faceva in queste situazioni?

La voce di Marcus la raggiunse da lontano, sembrava stesse urlando da un'altra stanza. « Vivian, Vivian! Cazzo non puoi morire cosí. »
Lasciami in pace.
Sentí la serratura della porta scattare, entrò qualcuno e poi non ricordava più nulla, solo di essersi sentita più leggera, libera. Le stava bene, si odiava cosí tanto che quella le era parsa la soluzione migliore, quello che la sua mente contorta meritava.

Era sdraiata a terra con la schiena poggiata contro il muro, il capo chinato da un lato a peso morto e le braccia immobili sulle gambe allungate sul pavimento lercio e costoso.
Forse non era il modo migliore di lasciare questo mondo, ma sicuramente le sembrava il momento giusto.

Non era per Michael, non era solo perchè viveva all'opposto di come desiderasse, Vivian era piena di contraddizioni e guai in testa che non era mai stara capace di risolvere, avevano finito per divorarla.
Non ce la fece più, non sapeva gestire le proprie emozioni, non sapeva affrontarle senza affogarle o ignorarle ed era arrivata al punto in cui la terrorizzava anche solo sapere di poter soffrire.
E poi era sola, abbandonata a se stessa, incapace da sempre di sentirsi come gli altri si era sempre vista sbagliata. Anche quando qualcuno provava ad avvicinarsi lei si sentiva sempre distante, chiusa in un mondo incomprensibile agli estranei, una gabbia da cui nessuno poteva liberarla.

Non era vero che non le importava, a lei importava da morire essere accettata e di tutte quelle cose stupide che criticava sempre, che faceva finta di disprezzare solo perchè sapeva non le avrebbe mai avute.

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