Capitolo 42

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Michael pensó bene di farsi un giro, non sopportava il fratello di Vivian, non sopportava non capire di cosa stessero parlando. Pensava che sarebbe stato facile fare l'eroe, invece doveva fare i conti con una famiglia malata e dei rapporti assurdi di cui forse Vivian era meno vittima di quello che immaginava.
Sapeva solo che rendeva la sua vita migliore, che ogni volta quando erano insieme stava bene e solo per quello avrebbe voluto che stesse con lui in Italia. Senza vincoli, non gli importava che lo chiamasse fidanzato o con qualsiasi altra etichetta, voleva solo poter passare i pomeriggi e le notti come avevano fatto in quei giorni, senza pensieri.

E invece adesso i pensieri lo tormentavano, gli stavano facendo mettere in discussione tutto.
Stava camminando per le vie di Manhattan, osservava vetrine di negozi che mai si sarebbe potuto permettere, cercava di distrarsi ma era impossibile. Squilló il telefono, era Leonardo.
« Leo? »
« Allora? »
« Penso di tornare domani. »
« Solo? »
Michael strinse le labbra sottili, rimase in silenzio ma non perchè dovesse rifletterci troppo, doveva trovare il coraggio di rispondere a quella domanda dicendo la verità e non era facile. « Si. » Si spostó i capelli all'indietro come faceva ogni volta che doveva scaricare questo tranello.
« Sul serio? » Il tono era di rimprovero, pensava ovviamente pensava fosse stata colpa sua.
« Si, sul serio. »
« Ma ci hai parlato, almeno? »
« Ci ho parlato, ci ho provato. Il suo posto è qui, non posso farci niente. » Si strofinó una mano sul mento, gli tremava la voce mentre pronunciava quelle parole. Dovette guardare in alto per non permettere alla sofferenza di trasformarsi in lacrime, sarebbe stato umiliante, una sconfitta.

Era lui che se ne stava andando, lui che aveva preso una decisione, allora perchè si sentiva abbandonato? Perchè la sensazione era la atessa che aveva provato quando sua madre aveva smesso di esistere, quando il padre se n'era andato?
« Ma è successo qualcosa? »
« No, niente di che. »
Non ci aveva pensato, a quante persone avrebbe dovuto mentire se avesse condiviso la realtà in cui vivieva Vivian, era logorante dire menzogne, ora capiva perchè era stata così male. Si era distrutta da sola, soffocata dalle proprie bugie, dai rimorsi. « Almeno prendimi un regalo, fatti un giro a Central Park, così non avró buttato mille euro di viaggio. »
Gli scappó un sorrisetto divertito, per fortuna aveva una persona come Leonardo nella sua vita. « Ti mando qualche foto. »
« Torna vivo. »
« Figurati. »

Chiuse la chiamata e decise di andarci davvero, a Central Park. Anche perchè era abbastanza vicino e forse un po' d'aria fresca gli avrebbe fatto bene, si mise a sedere su una panchina e inizió a cercare i voli per l'Italia sul telefono. Gli sarebbe andato bene anche finire a Roma, gli bastava lasciare quella parte di mondo in cui si sentiva così fuori luogo che gli mancava l'aria.
Se ne rese conto solamente quando lasció Vivian, mentre era con lei la realtà riusciva a sembrargli fantastica, da solo la vedeva chiaramente: impossibile.
C'era un diretto per il giorno dopo, passare un'altra notte lì non era certo nella sua lista di desideri per Natale, ma se non v'erano altre soluzioni l'avrebbe sopportata.

Prese ad osservare le persone, si chiese cosa facessero nella vita, a cosa stessero pensando gli innamorati mentre si tenevano per mano e perchè tutti morissero dalla voglia di essere come loro.
Lui ci aveva provato e aveva fatto schifo la maggior parte del tempo. Non riusciva a vedersi con un'altra ragazza al suo fianco, ma neppure con Vivian, ormai.
Aveva trovato il suo posto confortevole nella solitudine, non aveva idea se fosse anche quello migliore ma se non doveva soffrire gli stava bene così.

Decise di accendersi una sigaretta, mentre continuava ad osservare la gente passargli davanti e sparire.
Gli squilló il telefono. « Si? »
« Sono Vivian, dove sei? »
« Ti ha ridato il telefono, quindi. »
« Si, mi ha ridato tutto. »
« Ma non partiremo insieme, vero? »
« Puoi venire qui? »
« Non mi va. »
« Allora vengo io da te, dove sei? »
« Perchè dobbiamo vederci per forza? Non vuoi tornare, lo capisco, basta. »
« Voglio tornare, se vieni qui ti spiego. »
Michael sospiró e si fece convincere per l'ennesima volta da Vivian a fare qualcosa che reputava assolutamente inutile. Odiava i discorsi di circostanza, gli addii, le cose dette giusto perchè bisognava dirle.

Ci mise davvero poco a ripresentarsi nuovamente dietro la porta bianca di casa di Lorenzo, che ancora non aveva visto. Quell'idiota si era fatto fregare dal fratello di Vivian, forse se avesse saputo tenere la bocca chiusa tutto quello non sarebbe mai successo.

Si fece aprire e quando la vide gli parve un'altra, John se n'era andato ma qualcosa di lui era rimasto sul viso della bionda, l'angoscia e la rabbia. Michael si lasció pervadere dalla sensazione di calore che lo accolse appena lasció le strade gelate di New York, aveva solo voglia di dormire fino al giorno dopo.
Lasció il cappotto e la sciarpa dove prima e fece per andarsene verso la stanza da letto, ancora in disordine. Era assurdo, poco prima lì ci avevano fatto l'amore e adesso dovevano dirsi addio.

Lui l'aveva capito, anche se lei non gli aveva detto nulla lo sentiva che non si sarebbero mai più rivisti.
« Michael, ascoltami. » Lo seguì e si poggió sullo stipite della porta.
« Si. »
« Non posso tornare— »
« Lo sapevo. » La delusione che provava in quel momento gli si disegnó in faccia, non la nascose, voleva che ferisse Vivian.
Lei strinse le labbra, ancora convinta di poter risolvere la questione in qualche modo. « Non posso adesso, quando avró risolto delle cose saró libera di andarmene. »
Gli scappó un sorrisetto amaro, era stanco di quei discorsi. « Che cosa? Non so neanche di cosa stai parlando, non lo so mai! E poi quanto tempo durerà? Mesi, anni?
E quando sarà finita ci sarà qualcos'altro a tenerti qui, non te ne andrai mai. » Non ebbe il coraggio di guardarla negli occhi, mentre diceva quelle cose. L'intento non era più quello di ferirla, ma di metterla davanti alla realtà.
Fu terribile, per lei.
Fece per parlare ma non ci riuscì, gli occhi le si riempirono di lacrime e decise di dargli le spalle piuttosto che farsi vedere in quello stato.
Non poteva avere tutto, era la prima volta che incontrava qualcosa che non potesse ottenere con soldi o potere.

Lui si sentì quasi in colpa e si alzó, aprì le braccia per avvolgerla da dietro ma desistette, temeva che quel contatto potesse rendere un addio simile molto più doloroso. « Vivian mi dispiace. »
Lei se ne stava in silenzio, lo sguardo fisso a terra e le braccia conserte alla ricerca di una risposta forse sul parquet di cui era tappezzato il pavimento. Non c'era una soluzione, ogni volta che gli Archibald vincevano lei perdeva. Non poteva abbandonare John in quelle condizioni, almeno finchè non fossero stati tutti al sicuro.

Si voltó, pensó che essendo l'ultima volta che i loro occhi si sarebbero incontrati tantovaleva togliere quello schermo duro che usava per difendersi da chiunque. Quindi le sue iridi cristalline rosse dal pianto si scontrarono con quelle corvine di Michael in modo violento, come delle onde sulla costa scura.

Lui non riuscì a pensare ad altro se non a quanto fosse bella, e la bació. Non lo fece di proposito, fu il gesto più involontario del mondo, ma non riuscì a farne a meno.
Sarebbe morto se fosse andato via senza quell'addio.
La strinse forte dai fianchi e lo stesso fece lei, avvolgendolo dietro la schiena. La sensazione di calore che provó fu così bella che pensava non sarebbe riuscita a vivere senza poterla assaggiare più.
Le sue labbra sapevano di sigaretta, quelle di Vivian erano umide e calde, morbide e insaziabili come al solito.

Fu un bacio disperato.
« Scusa... » Fu lui a staccarsi per primo.
Abbassó lo sguardo. « No, figurati. » Se non l'avesse fatto lui, probabilmente sarebbe stata lei a cedere.
Per la prima volta in assoluto da quando si conoscevano, tra di loro s'intromise un velo di imbarazzo che li rendeva quasi innocenti, due amanti qualsiasi che si baciavano senza volerlo.

« Quindi è l'ultima volta che ci vediamo? »
« Parto domani. »
Avevano un giorno intero e un'altra notte da passare insieme, ma forse era meglio che Vivian tornasse a casa sua, ancora troppo tempo attaccati l'uno all'altra avrebbe reso le cose troppo difficili. « Io torno da mio fratello. »

Erano passati da voler stare insieme a qualsiasi costo, ad abbandonarsi con la facilità con cui si abbandona un vecchio maglione infeltrito che non si ha voglia di buttare. Erano due codardi, erano le persone più simili che avessero mai incontrato ma anche le più difficili e diverse.

Due estremi opposti che provavano a stare insieme, due mondi eternamente in conflitto innamorati l'uno dell'altro. « Mi dispiace. »
« Anche a me. »
Con le lacrime che minacciavano ancora di uscire, prese le sue cose e andó via. Non ebbe il coraggio di voltalsi per osservarlo l'ultima volta, già quel bacio involontario era stato troppo per lei, per loro.

Che stupidi erano stati.
Vivian prese il telefono per avvisare il fratello che stesse arrivando, avrebbe fatto quello che volevano, avrebbe protetto sua nipote.
Quello che era partito come un gioco a chi fosse più forte aveva messo in luce i punti deboli delle famiglie più pericolose di New York, perchè seppur abominevoli, erano esseri umani, sbagliavano, morivano e soffrivano come tutti.

Puoi passare a prendere Viky da scuola?

Non finiva la sera?

Si, ma oggi voglio che stia a casa, così passiamo un po' di tempo insieme.

Me la danno anche se non sono la madre?

Si, figurati.

Se mi riattivi le carte prendo un taxi.

Sono già tutte attive, non te l'ho detto prima perchè mi piace quando ti impegni per ottenere le cose.

Sei incommentabile.

💕💕

Vivian bloccó il cellulare e si rese conto, specchiandosi nello schermo nero, di essere in condizioni pessime: non era truccata, indossava gli stessi abiti da due giorni ed era uscita da poco dalla stanza di uno schifoso ospedale.
Eppure era ancora viva.

Si strinse nel cappotto nero e s'incamminó verso la strada, fortunatamente un'auto si fermó e la condusse a destinazione: pagó con una delle carte e fortunatamente John le aveva davvero, riattivate.
Salutó il tizio alla guida con un cenno del capo e si diresse verso l'ingresso principale della scuola, piena di genitori imbellettati, professori troppo severi per insegnare a dei bambini di sei anni. Non sapeva neppure quali fossero i suoi insegnanti, infiló le mani nelle tasche e ignoró gli sguardi fastidiosi.
Avrebbe voluto urlare "si, sono quell'Archibald che si è drogata, e allora?", ma mantenne la calma perchè tanto sapeva dietro a quegli sguardi sprezzanti si celasse il desiderio di avere il suo stesso cognome, maledette invidiose.
Se avessero minimamente saputo come stesse volgendo la vita di Vivian non avrebbero mai pensato di poter essere lei, o sua madre.

La struttura era grande, era la stessa scuola che aveva frequentato lei, il fratello prima di lei, la madre, la zia, i suoi cugini. Ricordava bene quanto avesse odiato quelle mura spaziose e fredde, l'eco dei tacchetti delle scarpe della divisa sul marmo duro.
Le sigarette nei bagni, i baci nascosti sotto le scale e le fughe amorose, nascosta in ogni posto in cui le sembrasse più appartato.

Dall'asilo fino all'ultimo anno di liceo, ogni componente della sua famiglia l'aveva passato ad accrescere il prestigio di quel posto: tutti tranne lei, ovviamente. Era riuscita a fare abbastanza casini tra droga, ragazzi e furti da aver costretto la famiglia a donare un'ala della scuola solo per risarcirla di tutti i danni causati dalla giovane.

Salutó con un cenno del capo una vecchia professoressa, si chiese come facesse a stare ancora impiedi, già quando insegnava a lei le sembrava vecchia. O forse non lo era e si portava male gli anni.

Andó verso la segreteria. « Buongiorno, sono venuta a prendere mia nipote, Vittoria Archibald. »
« Lei è? » Vivian alzó un sopracciglio, non sarà stata la madre, ma far finta di non riconoscerla le pareva davvero un insulto.
« Vivian, Vivian Archibald. Come le ho detto, sono venuta a prendere mia nipote. »
La signora controlló alcune scartoffie. « Guardi che sua nipote è stata già presa. »

Vivian sbiancó, era improbabile che John avesse chiesto ad altri di passare. « E da chi? » Forse era stata Giulia, forse qualcuno della famiglia.
« Dallo zio. »

« Non esiste nessuno zio.
Lei è un'incompetente del cazzo. »
La donna s'irrigidì sul posto, come se le avessero appena puntato una pistola addosso, Vivian cercó subito il cellulare e chiamó il fratello. Avevano rapito sua figlia, come poteva dirglielo? Come si dava una notizia del genere? « Io la faccio licenziare, fosse l'ultima cosa che faccio. » Le ringhió contro, a quella poveretta svampita.

Le tremavano le mani, mentre impugnava il cellulare nella mancina e lo teneva attaccato all'orecchio. « John, non c'è, l'hanno presa. »
« Cazzo! » Lo udì urlare dall'altra parte del telefono, adesso non c'erano più condizioni, non c'erano più sensi di colpa per ragazzini di diciotto anni e neanche compromessi.

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