Capitolo 43

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Quando chiuse la chiamata con il fratello non vi fu neppure bisogno che glie lo dicesse, prese il primo taxi e si fiondó da lui. Sapeva di non essere una presenza troppo gradita, ma a lei importava solo di John, di Vittoria.
Era così piccola, indifesa tra le braccia di non osavano neppure immaginare chi. Quasiasi dissapore tra lei e tutti gli altri era passato in secondo piano.

Quando fu dentro casa l'atmosfera le sembró stranamenre familiare, non si sentiva più fuori posto, era lì che doveva essere. « Adesso che siamo tutti, vi spiego cosa faremo. »
Ebbe paura di quella consapevolezza, di quella nuova parte di se che ormai sapeva essere così simile al resto della sua famiglia.

Il fratello maggiore non attese neppure che lei si mettesse comoda, appena giunse inizió a parlare, a dare ordini su come muoversi, cosa fare e perchè. La bionda si guardó attentamente intorno, accanto a lei v'era la madre, il padre, Giulia e perfino sua zia, i cugini che non vedeva da così tanto tempo che probabilmente se li avesse incontrati per strata non li avrebbe subito riconosciuti.
Avevano passato la loro infanzia insieme, adesso parevano estranei.

Era l'unica donna tra i più giovani, abituata ad essere protetta ma anche a pensare in modo più scaltro di loro, quando spiava gli allenamenti, li convinceva a rivelarle i segreti. O li manipolava per ottenere cose che loro non aveebbero mai chiesto.

« Ho già avvisato i miei uomini, Giulia tu rimani a casa, perchè se chiamano per un riscatto devi rispondere. Io vado con gli altri, Vivian tu con Thomas e Archie. »
I cugini si guardarono come increduli, non credevano la bionda capace di far nulla, piuttosto la intendevano come un peso in più da sopportare e di cui preoccuparsi. Ma tanto lei lo sapeva, che John l'aveva messa con loro perchè non erano capaci di fare un cervello in due.

« Quali zone copriamo? » domandó Archie, aveva appena vent'anni e si comportava come se volesse crescere troppo in fretta, imitava il fratello in tutto. Il loro mito assoluto era John, l'avevano sempre visto così risoluto, non immaginavano dietro a quella facciata vi fosse in realtà una persona dolce. La voce era flebile anche se cercava di essere seria e forte come quella del cugino.

« Io quella dei cinesi, voi quelle degli Italiani. »
I Rossi. A quanto pareva Vivian ci si sarebbe trovata davvero, alla fine, faccia a faccia con il minore dei loro.
Non osó opporsi, probabilmente John non ci aveva neppure pensato, e in ogni caso per sua nipote era disposta a farli fuori tutti.

Archie annuì, i ricci scuri si mossero sulla sua testa mentre chinava il capo e incrociava i piedi a terra.

Non avevano idea di chi avesse la loro nipotina e figlia, sapevano solo si trattasse di un uomo di mezza età abbastanza alto, forse magro e vestito di nero. Aveva una barba folta e poi niente. Era una descrizione compatibile con quella della maggior parte della popolazione maschile a New York.
Immaginavano comunque fosse uno di quei due clan ad averla, per ricattarli o per convincerli a desistere dal mettersi contro di loro.

I suoi genitori immaginava sarebbero rimasti con Giulia, nell'attesa, lorogante, di avere notizie. Non era mai bene rimanere da soli, soprattutto se si era fragili emotivamente. Ormai nessuno era al sicuro.

Vivian aveva paura di guardarle il volto, per vent'anni non vi aveva mai visto neppure una micro espressione che potesse far pensare a dei veri sentimenti, ora urlava al mondo intero quanto fosse disperata, afflitta.
Sembrava quasi umana, forse era quello il lato di lei che aveva fatto innamorate John.

La invidió, nel suo cappotto lungo riusciva a scegliere quando e a chi mostrare parti di se stessa, Vivian non ci riusciva.
Lo sguardo era perso sebbene attento alle parole del marito, era distrutta e lo si capiva facilmente da come non avesse mai interrotto John o cercato di intromettersi per apportare accorgimenti e correzioni al suo piano.

John se ne stava poggiato allo schienale del divano con il busto, le braccia conserte e lo sguardo preoccupato.
Temeva di non rivedere mai più sua figlia.
« Prendete quello che vi serve e andate. Voglio qui mia figlia entro domani. » Altrimenti sarebbe morto d'ansia, d'angoscia, di sensi di colpa.
Vivian annuì convinta e attese che le desse la sua arma, non si aspettava di potersela scegliere. « Vivian, vieni qui. » I cugini si voltarono verso di lei, la odiavano per essere la preferita di John solo perchè era la sorella. Quello che legava tutti era uno strano rapporto, si odiavano e invidiavano profondamente ma erano pronti a farsi ammazzare pur di salvare Vittoria. « So che odi queste cose, mi dispiace. »
Lei lo guardó dritto negli occhi. « Odio i giochi di potere, non salvare la mia famiglia. »
« Puoi andare nel mio studio e prendere quello che vuoi, tanto sai come si entra. »
Sul viso della giovane apparì un ghigno compiaciuto, non amava usare le armi, ma vendicarsi era una delle sue cose preferite quando le interessava davvero, quando si sentiva realmente colpita da un'ingiustizia.
Quel sentimento immorale la rendeva identica a sua madre, a suo padre, a chiunque altro della sua famiglia.

Archie e Thomas si scambiarono un'altro sguardo carico di invidia, loro in quello studio non c'erano mai entrati. Lo chiamavano studio ma era in realtà il deposito delle armi degli Archibald, o di buona parte. Se ne occupava John mentre sua madre gestiva il tesoro, cioè controllava che i conti filaasero come dovevano e che nessun furbetto mettesse mani dove non doveva.

Vivian annuì per ringraziarlo e si spostó insieme agli altri, tutti ormai si erano apprestati a svolgere i compiti loro assegnati, le parole del fratello erano così infiammate d'ira e l'atmosfera così tesa che nessuno, neppure sua madre, osó parlare. La minore sapeva non fosse d'accordo con la scelta di farla lavorare in prima linea, ma non disse nulla, non davanti a lei.

Mamma Archibald richiamó i suoi nipoti per far loro un discorso molto severo su come dovessero comportarsi, voleva tenessero d'occhio sua figlia che non aveva mai visto maneggiare davvero un'arma, o in una situazione di pericolo come quella.
Temeva di dover seppellire la sua piccola Vivian troppo presto, per quanto potesse essere anaffettiva ci teneva alla figlia, solo che non reputava necessario dimostrarlo.

Vivian invece se n'era andata dall'altra parte della casa, la porta dello studio era aperta, quando entró sarebbe potuta sembrare una stanza qualunque, un ufficio ben arredato in legno scuro. Le librerie riempite di tomi antichi e cimeli inestimabili, la scrivania perfettamente in ordine. Non v'era un foglio fuori posto, anche John aveva la tendenza quando le cose si mettevano male a diventare ossessionato dall'ordine. Come se aggiustando la realtà attorno a lui potesse risolvere anche i suoi dilemmi interiori, le venne da sorridere.
Disprezzare quella famiglia significava disprezzare se stessa, l'aveva fatto per così tanto tempo, si era odiata al punto da volersi ammazzare.

Aprì un cassetto della scrivania e trovó una chiave, con quella andó davanti alla libreria e premette il dito su un interruttore nascosto da un quadro sul muro, la libreria si giró e mostró l'ingresso ad una stanza nascosta.
Il famoso studio.

Dentro v'erano armi di ogni genere, da taglio, da fuoco, arnesi che Vivian non aveva mai visto e che non le sarebbero serviti. Le mura erano lasciate scoperte, le mattonelle scure ben visibili illuminate da una serie di lampadari caldi che pendevano dal soffitto.

Aprì una valigia e trovó una serie di beretta adagiate sul tessuto in velluto rosso.
Modello 92, maneggevole e leggera. L'ultima volta che ne aveva presa in mano una aveva diciotto anni e aveva giurato a se stessa di non farlo mai più.

Sentì un brivido percorrerle le dita delle mani non appena le fece scorrere lungo l'impugnatura, le parve assurdo di starla tenendo ancora stretta tra le dita. Una scarica di adrenalina le fece sudare subito i palmi tanto che dovette asciugarseli sulla maglietta.
Non si torna indietro Vivian.

Se la infiló dietro ai pantaloni e chiuse tutto, stando attenta a rimettere tutto in ordine. Lasció la chiave al suo posto, sotto agli stessi fogli, nello stesso cassetto di legno.
Mentre rimetteva in ordine le scartoffie di John vide un coltellino in oro, l'impugnatura aveva una testa di leone e ricordava che da piccola adorasse quell'oggetto.
Aveva cercato di rubarglielo una quantitá infinita di volte, lui le aveva detto che sarebbe stato suo un giorno, ed effettivamente al compimento dei suoi 18 anni, quando aveva affinato le arti del combattimento, glie l'aveva regalato.
Si aspettava che lo usasse, invece poco tempo dopo era scappata e glie l'aveva mollato sulla scrivania, come a fargli un dispetto.

Decise di riprenderselo, allungó le dita attorno all'impugnatura scintillante, perfettamente lucidata. L'aveva conservato per tutto quel tempo.

Tornó dagli altri, o meglio, dove prima si trovavano tutti. Adesso c'erano solo i suoi genitori e Giulia.
Sua madre l'avvisó. « Ti aspettano fuori. » Li salutó con un cenno del capo e raggiunse i suoi cugini, Thomas era alla guida mentre Archie la aspettava fuori dall'auto.
Vivian aprì lo sportello del passeggero e fece per mettersi davanti, Archie la guardó scocciato. Pensava davvero che quel posto fosse suo? Vivian lo fulminó, forse mentre lei non c'era aveva potuto prendersi una serie di cose che non gli appartenevano, adesso era bene che tornasse dove gli spettava, sotto di lei.
Thomas era il più anziano dopo John, poi c'era lei e alla fine il fratello.

« Io andrei direttamente nel loro covo del cazzo. »
« Se l'hanno presa davvero loro ci stanno aspettando. Ci fanno saltare in aria in tre secondi. »
« Hai un'idea migliore, miss Italia? » Vivian serró i denti, quel nomignolo era una chiara provocazione a lei che non fosse abbastanza degna da potersi atteggiare a capo di nessuno.
« Ovviamente, ho un'idea migliore, idiota. »
« Davvero? Non sono qui per farvi da babysitter, quindi chiudete quella bocca di merda. »
Detto ció Thomas premette sull'acceleratore e sfrecciarono alla velocità della luce verso le zone degli Italiani.

« Thomas, non possiamo presentarci lì così,  ci serve un piano e rallenta, cristo santo! » Vivian alzó la voce per farsi sentire sopra il rombo prodotto dalle ruote che si muovevano veloci sull'asfalto. Archie rimase in silenzio, pietrificato.
« Voglio ammazzarli tutti. » L'espressione era seria ma dentro stava esplodendo, cercava di mantenere la calma ma aveva sempre odiato quegli stronzi.
« Così ti fai ammazzare tu, e anche noi. »
« Ti do dieci secondi per darmi un piano migliore dell'effetto sorpresa. » Strinse le mani sul volante, i muscoli s'irrigidirono e da sotto il maglioncino scuro.
« Potrei intrufolarmi in casa loro, poi vi faccio entrare e quello sarebbe un vero effetto sorpresa.
E poi non sappiamo neanche se l'hanno presa loro. »
« Come vorresti intrufolarti? »
« Posso far finta di essere una cameriera, figurati se i domestici sanno quale sia la mia faccia. »
« Non saresti mai credibile. »
« Ho lavorato come cameriera due mesi, me la caveró. » Thomas mostró un'espressione disgustata, approvava il piano di Vivian ma pensare che avesse pulito e sparecchiato piatti altrui lo faceva sentire sporco. Che schifo cugina.

Archie pareva essersi nascosto tra i sedili della Jaguar, mimetizzato nella pelle scura e presiosa che rivestiva gli interni dell'auto di lusso.
« Non posso arrivare con questa auto, dobbiamo rubarne un'altra. »
Vivian non potè che trovarsi d'accordo, gli fece cenno di accostare e poi si voltó verso Archie. « Abbiamo qualcosa con cui spaccare il vetro? »
Lui annuì, se quegli idioti l'avessero comsultata prima non avrebbero dovuto improvvisare.
Ecco perchè John mi ha mandata con loro. Si passó una mano sul viso e si sforzó di rimanere il più razionale possibile, ma stava sudando, l'adrenalina si era trasformata in ansia. Non era abituata a tutta quella roba, sapeva essere intelligente e scaltra ma poi l'azione era tutt'altro.
« Ci penso io. » Thomas capì la cugina e non si sentì di giudicarla. Anche se più tardi sarebbe praticamente dipeso tutto da lei. Uscì dall'auto e si fece passare da Archie la mazza che si portavano sempre dietro, accuratamente nascosta in uno scompartimento creato apposta sotto i sedili.

L'auto scelta era anonima, grigia, mediocre, una Honda di cui la bionda non conosceva il modello esatto, non le importava. L'importante era che fosse riconducibile a qualsiasi americano.
Thomas si guardó brevemente intorno e poi fece scontrare la sua arma contro il vetro dell'auto che si frantumó quello che bastava per raggiungere la maniglia e aprirla.
« Archie, sei tu quello che sa far partire le cose. » il maggiore richiamó il riccio, che si affrettó a raggiungerlo.
Si chinó sotto al sedile e inizió ad armeggiare con i cavi, quando ebbe finito provó a mettere l'auto in moto e questa si accese subito. Sul viso le labbra carnose s'incresparono in un sorrisetto soddisfatto, orgoglioso di se stesso. « Muoviamoci. »

Thomas tornó nella Jaguar per spostarla mentre Archie liberava il parcheggio.

Quando arrivarono davanti all'abitazione di Massimo Rossi, lo stronzo che aveva scagliato suo figlio minore contro John, Thomas dovette trattenere la tentazione di prendere la pistola e provare ad ammazzarlo con le sue mani. Serró i denti e proseguì lontano, s'infilarono in una via abbastanza isolata e buia, adesso era il turno di Vivian.
Doveva trovare un modo per arrivare in quella casa senza essere scoperta. Dubitava che non sapessero del suo arrivo, anzi, temeva che quel tizio strano che l'avesse seguita a Firenze qualche mese prima fosse proprio uno di loro.
« Te la senti? » Thomas allentó la presa sul volante, fermo, per cercare una risposta nello sguardo della cugina. Non potevano permettersi cazzate, ci avrebbero rimesso loro e tutta la famiglia. I capelli neri gli ricadevano scompigliati sul viso, contrastavano con gli occhi di ghiaccio incredibilmente simili a quelli di Vivian.

Non è che abbia molte alternative.
Prese un respiro silenzioso e profondo, si preparó ad uscire dall'auto ed essere protagonista di un piano che probabilmente non avrebbe funzionato. « Si. »

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