Capitolo 49

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Dopo aver fatto i controlli in ospedale li tennero qualche ora in più solo per accertarsi che non ci fossero altre analisi da eseguire. Michael probabilmente non era mai stato trattato con cosí tanta premura, ma sapeva bene cosa potessero comprare i soldi.
Portarono loro da mangiare e finalmente Vivian riacquistò un po' di forze, doveva prepararsi alla cena della sera.
Forse invitarlo non era una cattiva idea, avrebbe avuto, poro aver conosciuto gli Archibald, mille buoni motivi per scappare via.
Anche se probabilmente se non era riuscito a fargli cambiare idea la vicenda vissuta qualche ora prima con i Rossi, non ci sarebbe rouscito neanche qualche commento scomodo o verità temibile della sua famiglia.

Era la seconda volta che si ritrovava imprigionata dalla sua stanchezza in quell'odioso ospedale, sdraiata sullo stesso lettino di qualche giorno prima.
Voglio andarmene.
Ma dove?

Lo sapeva, sapeva benissimo dove il suo cuore volesse trovarsi in quel momento, da Michael. Saperlo vicino e non poterlo vedere, posare ogni tanto lo sguardo su di lui come aveva fatto mentre era arrivata l'ambulanza, la stava distruggendo. Si sentiva mancare l'aria e pensò che fosse davvero una stupida, credeva di essere molto più forte.

Furono dimessi, si ritrovarono fuori dalle loro stanze con addosso gli stessi vestiti sporchi di prima, gli sguardi radiosi e coperti da un velo invisibile di speranza. Non c'era futuro per loro, tutto quello che potevano fare eea godersi il presente e vedere cosa sarebbe successo il giorno dopo. Lui infilò le mani in tasca e le rivolse uno sguardo talmente familiare che per poco Vivian non si commosse. Si chinò e avvicinò il suo orecchio.
« Il vestito da cameriera non ce l'hai più? » Invece che pensare alla povera Dolores, al male che aveva causato e che fosse stata realmente una persona orribile ad averla fatta svenire in quel modo ripugnante, le venne da ridere.
Le avevano per fortuna portato un cambio decente, dei pantaloni neri e una camicetta rossa, decisamente elegante, avrebbe detto che non fossero cose da lei ma in realtà proveniva tutto dal suo armadio.

« Posso sempre procurarmene un altro. »
Non ce la faceva a resistergli, avrebbe voluto urlargli di sparire dalla sua vita, di mettersi in salvo perchè alla fine niente era come sembrava. Che prima o poi si sarebbe comunque annoiato quindi tantovaleva svignarsela ora, senza danni, senza bruciature.
Risero insieme e si guardarono per una volta senza malizia, ancora una volta si stavano dicendo quanto si amassero con lo sguardo. Troppo codardi e complessi per ammetterlo ad alta voce.

« Sei stato invitato a cena da mio fratello. »
Alzò le sopracciglia, raccogliendole le dita della mano con la propria. « Devo mettermi lo smoking? » Quei gesti cosí dolci le sembravano strani, non li meritava.
« No— no, non devi venire per forza. »
« Hai paura che riesca a conquistarli? »
Non riusciva a lasciarsi andare, lo guardava e ogni volta che si beava di quella vista doveva subito stringere i denti perchè un allarme nella sua testa le ricordava in ogni momento quanto fosse impossibile che a lui potesse piacere ciò che lei avesse da offrirgli. « Si, e che loro conquistino te. »
« Sono stato già conquistato da una di loro, in realtà. »
Era una dichiarazione? Vivian rimase zitta, forse l'ospedale era il luogo meno romantico per confessarsi quelle cose ma parevano destinati a confrontarsi sempre lí. La guardò e non c'era malizia nei suoi occhi profondi, la sua era un'affermazione incredibilmente vera e romantica. Quindi era questo, il lato amorevole dell'egoista Michael? Gli vide una luce diversa negli occhi e se ne innamorò perdutamente.
Come avrebbe mai potuto respingere qualcosa di simile?

Schiuse la bocca per rispondere con una delle sue solite battute insulse, ma poi pensò che dopo tutto quello che avevano passato si meritassero qualcosa di meglio. E al diavolo tutto il resto, le paranoie e le paure. « Sei tu che hai conquistato lei. » Ci avrebbe pensato dopo a come proteggerlo, a come cacciarlo via o qualsiasi altro piano avesse in mente. In quell'istante si era scordata di tutto, perfino di come si chiamasse o dove fosse. Esisteva solo lui nel suo mondo adesso perfetto.

Le spostò una ciocca dorata dal viso per liberarlo completamente da qualsiasi cosa gli impedisse di ammirarlo in tutta la sua perfezione, con la stessa mano le accarezzò delicatamente una guancia e l'attirò verso di sè. Aveva ritratto cosí tante volte quel volto e in mille modi diversi, ma ogni volta che l'aveva vicino gli sembrava sempre la prima, mentre scorgeva un dettaglio nuovo, una sfumatura diversa.

Si baciarono finalmente, e anche se quello non era il luogo più romantico del mondo lo divenne improvvisamente.
« Sono curioso di conoscere tuo fratello. »
« Quando non è incazzato è quasi di compagnia. »
« Già, mi ricordo la sua faccia incazzata. » Faceva chiaramente riferimento a quando la trovò per puro caso nell'appartamento di Lorenzo. Quante cose erano cambiate da allora.

« Spero non abbia invitato anche i miei cugini. » O i suoi genitori, ancora peggio. Non aveva mai presentato nessun amico o ragazzo al padre, alla madre poi non aveva neppure mai confessato di essere stata con qualcuno, ovviamente poi l'aveva capito da sola.
« Perchè? »
« Sono due stupidi, inaffidabili. Erano con me, oggi. Tu li hai visti? » L'avevano lasciata fare tutto da sola, c'erano stati degli imprevisti nel piano ma non avevano avuto la capacirà di intuire che dopo tutto quel tempo sarebbero dovuti intervenire anche in assenza di un vero ordine da parte di Vivian. E invece, avevano bisogno di qualcuno che urlasse loro cosa fare in continuazione.

« A me sembra che tu non abbia avuto bisogno di nessuno. » Ed era una delle cose che più amava di Vivian, faceva sentire tutti inadeguati perchè dimostrava in continuazione di non aver bisogno di niente, amche se lui lo sapeva che da sola non si sarebbe mai bastata.
Abbassò il capo e fece muovere la chioma dorata. « Mi hanno fatto il culo. » 

« Mi chiedo come tu faccia a stare impiedi, sinceramente. » Strinse i pugni accanto ai fianchi, se avesse potuto li avrebbe presi a calci. Era stato devastante vederli torturare Vivian, distruggerla fisicamente contro i muri freddi della prigione in cui erano srati rinchiusi. Eppure era stata lei a proteggerlo, con il suo corpicino esile e magrolino, pieno di lividi e zoppicante. Gli aveva salvato la vita ben due volte, la prima quando l'aveva riaccesa arrivando a Firenze, e poi lí a New York.

Era cosí infatuato che non riusciva a vedere il lato mostruoso di quella famiglia, di quella realtà tossica e putrida. Vivian glie lo urlaava ogni volta che poteva ma pareva sordo e cieco.
« Senti, adesso che non scappiamo più da nessuno, ti va di andare negli Hamptons? Ci vuole un po' per arrivare ma almeno lí potremo stare per conto nostro. »
Alzò le sopracciglia. « Hai una casa anche lí? »
« Villa estiva, non mia, io non ho niente. »
Finse di pensarci qualche secondo, poi alzò le spalle e piegò la bocca a mostrare un'espressione convinta. « E come entriamo? »
« Quando ero piccola ho fatto una copia delle chiavi e l'ho lasciata sotto il vaso. »
« Ti è sempre piaciuto scappare, eh? »
« Già, anche se non ci sono mai riuscita davvero. » Strinse le labbra sottili e sospirò amareggiata, anche in Italia aveva fallito. La verità era che il suo posto non era altro che quello, insieme a tutti gli altri Archibald.

« Scappare da se stessi è impossibile. »
Si sorprese ancora di quanto la conoscesse bene, le parole di Michael la colpirono dritta dove dovevano, nell'anima.
Si chiese quante altre cose di lei avesse compreso in quei due mesi in cui avevano vissuto insieme.

Non ti merito.
Non meritava neppure l'amore che provava, le sensazioni che le regalava. Avrebbe rovinato tutto, perchè era fatta cosí. C'era qualcosa di rotto nella sua testa, nei suoi comportamenti che la spingeva ogni volta a fare la cosa sbagliata.
Rimase in silenzio e ripescò dalla tasca del cappotto il cellulare rotto, riprovò a farlo funzionare ma era impossibile.

« Michael, mi presti il tuo? Il mio è andato, avviso mio fratello cosí per qualsiasi cosa chiama te. » L'aveva detto davvero? Era cosí strano, potersi affidare a qualcun altro. Michael parve sorpreso ma acconsentí subito. « E andiamo, altrimenti non faremo neanche in tempo a farci una doccia. »
Si voltò e prese a camminare, barcollava un po' ma non osava chiedere aiuto. Andò da sola per la sua strada certa che Michael la stesse seguendo: lui rimase fermo qualche istante ad osservarla nel suo lento ondeggiare, cosí autoritaria da non riconoscerla. Non sapeva dire se fosse una leader, probabilmente si trovava meglio da sola ma sicuramente il suo posto era al comando.

Adesso che poteva lasciarsi andare non si vergognava più di quel lato autoritario e maniaco del controllo, quando era con lui non lo sopprimeva come faceva in Italia.
Invece che impaurirlo l'aveva resa ai suoi occhi solo più affascinante.

La seguí fuori e salirono sul primo taxi, quando furono dentro avvisarono John dei loro piani. « Se ha bisogno di qualcosa può usare i miei vestiti, ne ho lasciati un paio invernali anche lí. » Vivian rimase sorpresa da quel gesto cosí generoso da parte fretello, solitamente l'altruismo non faceva parte degli Archibald e neppure tanta premura verso gli altri. Non riuscivano ad essere gentili tra di loro, figuriamoci con gli estranei.

Vivian iniziò a pensare che vi fosse qualcosa di orribile sotto, si torturò le labbra per tutta la durat del viaggio e quando furono arrivati si ritrovò a credere che forse era lei quella che si era sempre sbagliata. Avendo agito per tutta la vita in modo ostile probabilmente aveva indurito ancora di più i rapporti già difficili che la legavano alla sua famiglia.
Comunque non voleva rovinarsi quei momenti, quindi si accoccolò sulla spalla di Michael dolcemente e attese che il viaggio giungesse alla sua fine. Egli strinse i denti, ancora indolenzito dalle botte ricevute tutto il giorno ma non osò farla spostare, la sensazione che gli regalava ogni volta che erano vicini faceva passare qualsiasi male.

Arrivarono ancora più stanchi di quando erano partiti, due ore di viaggio per raggiungere il luogo più isolato che conoscessero avevano fatto sentire loro tutta la fatica che l'adrenalina aveva anestetizzato. Si addormentarono, quando furono arrivati Michael fu il primo ad aprire gli occhi, pagò e dolcemente cercò di far destare anche Vivian. I dolori erano diventati più forti, lei fece fatica perfino ad uscire dall'auto.

Michael provò ad aiutarla prestandole un braccio, era certo che avrebbe rifiutato qualsiasi aiuto, orgogliosa com'era.

Infatti si fece largo lentamente fino all'ingresso della villa, salí degli scalini in pietra che conducevano alla porta principale, e fece per piegarsi e spostare il vaso, ma desistette.

Quando fu al limite della sopportazione del dolore richiamò Michael che dovette prendere la chiave al posto suo, scosse il capo rassegnato, era davvero testarda.
La villa si estendeva in largo, davanti aveva un piazzale in pietra che conduceva ad un garage chiuso. Due piccole rampe di scale portavano all'ingresso principale, una porta scura e non troppo grande che dava su un salotto grandissimo. Davanti, appena entrati videro una finestra immensa che dava sul mare.
Vivian accese subito la luce e si tolse le scarpe, lasciandole sul pavimento polveroso. I divani erano coperti da teli bianchi, vederli cosí gli fece tornare in mente quando l'aveva dipinta completamente nuda a casa sua, seduta su uno di quei lenzuoli.

I suoi sogni furono interrotti dalla voce nervosa di Vivian. « Dovrebbero esserci degli antidolorifici da qualche parte. » Si buttò sul divano, esausta. « Forse nel bagno di sopra, ce la fai ad andare a prenderli? » Si portò una mano sulla fronte.
« Si, avoglia. » Andò di sopra e iniziò ad aprire le stanze, trovò un bagno e cercò a tentoni la luce. Era tutto in marmo scuro, il lavandino ricavato da una conca scavata su un bancone dello stesso colore della pietra che decorava i muri. L'illuminazione era tutta studiata per far risaltare il lusso di quell'ambiente, per la prima volta Michael si sentí a disagio: ogni volta che accanto a lui c'era l'americana non se ne accorgeva, ma lí non c'entrava davvero niente. Fu come una doccia fredda, staccarsi da lei.
Cazzo.

Perchè era lí? Ah, si. Gli antidolorifici.

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