Capitolo 50

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Tornò giù con due scatolette tra le mani, supponeva fossero quelli gli antidolorifici che Vivian gli aveva chiesto, anche se gli sembrarono troppo forti, alla fine non aveva niente di rotto, non era necessario prendere quelle pasticche.
Allora ricordò perchè Lorenzo l'avesse chiamato, o meglio, in che condizioni fosse Vivian quando lui era giunto sul suolo americano e perchè. Probabilmente in quella famiglia non era l'unica ad avere problemi con le dipendenze, solo che non se ne accorgevano neppure. D'altronde quale altro modo c'era per affrontare una realtà simile se non renderla più accettabile?

Strinse le labbra e decise non fosse il momento di fare troppe storie, avrebbe provato a tenere la bocca chiusa.

Quando la vide con quella pasticca bianca sulla lingua che ingoiò senza neanche bisogno d'acqua per buttarla giù, tanto era abituata, si domandò da quanto tempo lo facesse. Da quanto quella pratica le fosse stata inculcata nella testa come giusta. Il suo sguardo tornò sulle medicine. « Le rimetto su. » Fece presto a toglierle, ma lei allungò un braccio per ordinargli di fermarsi.
« Lasciale, ce le portiamo dietro. »
« Io non ne ho bisogno. »
« Ma se ti hanno distrutto di calci. »
« Quella roba va bene solo se ti sei spaccato le ossa. »

Lei roteò lo sguardo. « Non è mica cocaina. »
Non ce la fece, non riuscí a trattenere il suo carattere orribile, la sua lingua velenosa sempre pronta a pungere e non gli riuscí neanche usare delle espressioni tali da far comprendere alla donna che lui amava che stesse parlando per il suo bene, non perchè pensasse di essere migliore. L'immagine di lei in ospedale lo tormentava ancora.
« Che c'entra, non è che siccome è una medicina puoi prenderla a cazzo. »
Sei proprio uno stupido.
Si alzò e le lasciò la scatoletta di medicinali sul divano in modo sprezzante, fu tentato di tirargliela ma si trattenne, non era mai stato furioso in quel modo ed era davvero raro che tenesse tanto alla salute di qualcuno che non fosse se stesso. Non era abituato a controllare emozioni mai provate, cosí forti e travolgenti.

« Non la prendo a cazzo, mi hai vista mentre mi prendevano a calci e mi buttava a terra! » Alzò la voce, provò ad alzarsi ma ancora l'antidolorifico non aveva fatto effetto, quindi si ributtò all'indietro e ringhiò. Odiava non essere sempre al massimo delle sue possibilità, era infatti quello il motivo per cui tutta la sua famiglia non vedeva di cattivo occhio l'uso che facevano di quei medicinali: odiavano sentirsi deboli, era una loro ossessione e sradicarla era impossibile.

« Infatti devi riposare. » E tu chi sei per imporglielo? Davvero era intenzionato a fare il salvatore della giovane irrecuperabile?
« Sono venuta qui per quello, se non mi facessi la predica riuscirei a rilassarmi molto meglio. » Socchiuse gli occhi, decisa a concedersi qualche momento di calma, Michael fece per parlare ma anche questa volta si frenò, Vivian aveva bisogno di riposare ed erano entrambi esausti, nervosi. Forse era meglio parlarne in un'altra occasione, sempre che vi fosse stata.

Intrattabile, era quella la parola adatta per definire Vivian, se si fosse trattato di qualcun altro Michael l'avrebbe mandato al diavolo molto prima, ma con lei era diverso. Esercitava su di lui un potere che gli impediva anche solo di pensare di allontanarsi, sapeva che v'era una parte di Vivian buona e innocente che viveva mascosta in un angolo della sua anima costantemente minacciata dalla sua versione cattiva. Si era innamorato di quella minuscola traccia di innocenza e pensava di poterla proteggere.

Si mise a sedere sul divano vicino a lei, le prese una mano e inteecciò le sue dita magre alle proprie, la sollevò per baciarne il dorso. « Scusa. »
Lei gli sorrise, consapevole di non meritare alcun tipo di scuse, piuttosto era lei che doveva ringraziarlo di essere voluto rimanere lí. Chiunque al suo posto sarebbe scappato, invece lui le teneva la mano come se non avesse quasi ammazzato un uomo qualche ora prima, come se non avesse mai tenuto tra quelle stesse dita che adesso intrecciava alle sue una pistola.

Ma cosa ci vedi in me.
Avrebbe voluto chiederglielo ma temeva la risposta. « Ha detto John che puoi prendere i suoi vestiti, puoi prendere quello che vuoi. » Sbadigliò e finalmente trovò la sua pace, crollò nel silenzio di quella villa disabitata. Non si erano neppure premurati di prendere delle coperte, accendere i riscaldamenti. Ricordò di quando Vivian per la prima volta aveva messo piede nella loro casa a Firenze: non aveva capito di avere un coinquilino neppure quando aveva visto la luce e tutto il resto attaccati. Capí il perchè del suo disagio, non era proprio abituata a fare quelle cose per conto suo.

Pensò a quanto dovesse essere stato difficile per lei adattarsi ad una vita cosí lontana dalla sua. Le lasciò lentamente la mano e andò al piano di sopra per cercare delle coperte, frugò negli armadi delle stanze da letto e ne trovò due: glie le mise entrambe addosso. Le adagiò una per una delicatamente sul suo corpo ormai steso.

Lui invece decise di andarsi a fare una doccia bollente, ne aveva un bisogno assoluto. Quando fu da solo sotto l'acqua ebbe ancora modo di riflettere, chiuse gli occhi e si rivide davanti Sergio Rossi in persona, mentre lo prendeva e cercava di costringerlo a seguirlo da qualche parte. Si era difeso come aveva potuto, fu proprio guando riuscí a sferrargli un pugno in pieno viso che il maggiore dei Rossi non ci vide più.
Richiamò i suoi compagni che bloccarono presto l'italiano in modo che lui potesse vendicarsi e sfogare tutta la rabbia repressa che pareva incapace di staccare dalla propria persona. Era il carattere distintivo di Sergio, una ferocia spaventosa ed era anche quello che l'aveva fregato con Vivian: si era lasciato accecare dalla sua bramosia di essere onnipotente, di compiacere il padre.

Gli sferrò dei pugni sul viso e poi allo stomaco, poi con una mazza gli colpí le costole a destra.
Si sfiorò con la mano quella parte di pelle e la vide viola, strinse i denti e ritrasse le sue dita immediatamente. Anche solo sfiorare quel punto infiammato lo faceva impazzire dal dolore. Lasciò che l'acqua gli scorresse sul corpo per scaldarlo, come se potesse pulirgli via tutta l'agitazione.

Chi l'avrebbe mai detto che un giorno si sarebbe ritrovato a rischiare tutto per una ragazza?
Si tirò i capelli all'indietro facendo attenzione a non spostare il cerotto sulla fronte, ogni movimento pareva una tortura, quella doccia invece che rilassante gli parve una punizione.
Ora capiva perchè gli Archibald s'imbottissero di antidolorifici, se quegli episodi succedevano cosí spesso rischiavano di passare tutta la vita a sopportare quelle bruciature e lividi.

Si toccò con una mano il labbro rotto, speró non si fosse riaperta la ferita. Vide le proprie dita insanguinate e decise fosse il momento di uscire, stava cadendo a pezzi. Prese un'asciugamano che aveva messo lí prima e la strofinò velocemente contro i capelli corvini, si guardò finalmente allo specchio, cosí pulito e appena uscito dalla doccia potè notare tutti i segni delle botte sul suo corpo. Sui fianchi degli ematomi scuri che minacciavano di diventare peggio, l'occhio gonfio, la fronte sanguinante e il labbro spaccato.
Faceva davvero schifo, si chiese se il bell'abito che avrebbe indossato quella sera sarebbe stato capace di farlo apparire affascinante, invece che fatiscente.

Sentí dei passi selire su per le scale, Vivian si era svegliata. Voleva chiederle di accendere i riscaldamenti perchè si gelava ma dubutava sapesse dove fossero, decise di stringersi in uno degli accappatoi che aveva trovato e rivestirsi il più presto possibile.

« Stasera il tuo outfit è offerto direttamente dal mitico armadio di mio fratello, e ti avviso, ha solo completi eleganti. » Lo sorprese alle spalle, sembrava essersi ripresa quasi completamente. Effetto di quella roba che aveva preso qualche momento prima? Non sentiva più i dolori e ogni movimento adesso le riusciva bene, bastava non guardarsi allo specchio e avrebbe potuto fingere di stare benissimo.

Vivian prese a camminare per condurlo nella stanza armadio del fratello, avrebbero dovuto frugare in mezzo al suo ordine maniacale. « Sei sicura che mi vogliano? » domandò lui, ancora titubante. Gli pareva una situazione surreale, una famiglia cosí spietata che gli si mostrava cosí gentile.
Lei mostrò un sorrisetto forzato. « Certo, figurati se perdono l'occasione di farsi i fatti miei. »
Lui a quel punto dimenticò i suoi timori e la raggiunse da dietro, le strinse i fianchi dolcemente e lei bloccò la sua camminata lenta. Michael gli sfiorò il collo freddo con il viso e le lasciò un bacio delicato, come se temesse di poterle fare male. « Quindi sono un fatto tuo? »
Vivian socchiuse gli occhi e accarezzò le mani di lui posate sul suo ventre, inspirò profondamente, si voltò per baciarlo e questa volta nessuno si lamentò delle ferite.

Si guardarono per un istante, sorridendo. Erano cosí contenti che da lontano sarebbero potuti sembrare una coppia normale, invece erano dannatamente incasinati.
Lei si soffermò con le iridi cristalline sul suo viso, gli baciò delicatamente le ferite come se potesse guarirlo, fece scivolare una mano sul suo petto e aprí l'accappatoio blu.
Fu in quell'istante che si ritrasse, vedendo gli ematomi sulle costole fin dietro la schiena. L'avevano torturato per bene, ed era tutta colpa sua.

Per la prima volta nei suoi occhi Michael vi lesse spavento, paura, di solito li mascherava con una buona dose di adrenalina, rabbia, sarcasmo. Lui capí a cosa stesse pensando e prese subito le due estremità dell'accappatoio per richiuderle e liberare la vista di lei da quell'orrore.
« Ma che ti hanno fatto... »
« Niente, niente che non sia sopportabile. »
« Fammi vedere... »
Lo stava implorando, mentre le tremavano le mani e la voce. Aveva visto migliaia di ferite su migliaia di persone, John in ospedale, i suoi cugini tornare a casa nei modi peggiori, ma con lui era diverso: lui le aveva subite a causa sua, non perchè volesse prendere parte ad assurde missioni, giochi di potere o sfide stupide. Su ogni ferita di Michael c'era scritto indelebile il nome della sua amata.

« Però spostiamoci. »
Andarono nella stanza che solitamente occupava lei durante i soggiorni estivi, era spoglia, bianca con qualche quadretto appeso e un condizionatore che azionarono presto, per l'aria calda.
Lui si fece scivolare dalle spalle la parte sopra dell'accappatoio, rivelò la schiena e il petto tatuati, martoriati. Sembrava irriconoscibile perfino a Vivian che ne conosceva ogni dettaglio a memoria.
« Michael, non puoi restare qui. »
« In ospedale hanno detto che passeranno presto. »
« Per poco non ti ammazzavano. »
« Non ero io quello che volevano ammazzare. »
Vivian si portò le mani sul viso, le veniva da piangere. Doveva rinunciare a lui, a tutto quello che avevano conquistato insieme, a tutte le cose che provavano l'uno per l'altra.
Era questa, la sua punizione: doverlo addirittura sbattere fuori di casa per impedire che si facesse altro male.

« Vattene via. Devi andartene. » Sibilò piano, spostandosi i capelli all'indietro.
Lui sbuffò, decise di andarsi a cercare le cose per conto proprio. « Hai rotto con questa storia. »

Lei lo seguí verso la stanza del fratello, alla ricerca di qualcosa di decente da indossare. Doveva essere più decisa. « Non me ne frega un cazzo, decido io chi voglio nella mia vita. »
« E non mi vorresti? » Si voltò, fermo immobile in mezzo alla stanza fredda, illuminato dalla luce che proveniva dal corridoio. Era bellissimo, Vivian s'incantò qualche momento e poi scosse il capo, ricordandosi delle ferite.

Sbattè le palpebre un paio di volte per assicurarsi di essere sveglia. « No. »
Parló cosí piano che fece fatica a capire se avesse realmente usato la propria voce o le avesse solo pensate, quelle lettere. Non era mai stata una peggiore bugiarda.
Michael sembrò accorgersene e infatti se la rise, afferrò la prima camicia che vide appesa e la posò su un ripiano libero. « Menomale che sapevi mentire. »

Abbassò lo sguardo, colpevole. Doveva fare di meglio. « Okay, allora ti dico la verità. » Si avvicinò piano, lo sguardo non tremava più e neanche la sua voce. « Non ti voglio in mezzo ai piedi. » Il tono era duro cosí come la postura, sapeva che con le buone non sarebbe mai riuscita a convincerlo.
Doveva sfoderare la parte peggiore di se stessa. Lui parve crederle per un attimo, poi gli sembrò troppo assurdo che lei gli stesse seriamente confessando una cosa simile.

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