Capitolo 52

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Le parole di Michael erano state una doccia ghiacciata, eppure invece che svegliarla e aiutarla l'avevano quasi fatta cadere in uno stato di accettazione malinconico. Un torpore stranamente piacevole, l'angoscia ormai sapeva di familiare.

L'aveva distrutta usando la verità, nessun giochetto stupido, nessun trabocchetto, tecnica manipolatoria. Gli era bastato descrivere la realtà dei fatti per zittirla e andarsene in silenzio, da vincitore.
Ma poi vincitore di cosa?
Non è sempre una gara, Vivian.
Non c'è sempre qualcuno da battere.

Andò a farsi una doccia, calda come piaceva a lei. Rimase quasi mezz'ora sotto l'acqua a cercare di mettere insieme briciole di emozioni, di sensazioni piacevoli per bloccare quelle negative e sostituirle con altre più accettabili ma non ce la fece. Finí per non sentire più niente. A terra c'era ancora il bagnoschiuma usato da Michael lasciato aperto sul piatto ruvido della doccia, i vetri umidi. Lo immaginò mentre si lavava di dosso la paura e la stanchezza, mentre ci provava.
Chiuse gli occhi e inevitabilmente pensò al suo corpo nudo, nero di tatuaggi rovinati dagli ematomi scuri. Era tutta colpa sua.
Ma adesso se n'era andato e si sentiva più leggera.
Quanto sei egoista Vivian.

Uscí dal bagno e gocciolante si mosse fino all'accappatoio pulito, posò le mani sul bancone in marmo e vide appoggiato l'asciugamano che prima aveva visto avvolto attorno alla chioma corvina di Michael. Istintivamente lo raccolse tra le dita umide e lo avvicinò al volto, per sentirne l'ultima volta il profumo.

Gli occhi le si riempirono di lacrime, in quel momento pensò che non vi fosse via d'uscita: avrebbe sofferto in ogni caso, che lui fosse rimasto o fosse andato via. Almeno aveva risparmiato a lui una vita d'inferno.

Complimenti, Vivian, nasconditi dietro false nobili intenzioni per mascherare le tue insicurezze.
I suoi discorsi invece che raggirare Michael servivano probabilmente a confondere lei, a trovare una scusa per fare schifo come faceva sempre. Per rifiutare qualsiasi aiuto, per fingere di star bene, sentirsi forte e intoccabile.

Il tessuto soffice dell'asciugamano pregiato le solleticava il viso, la cullava mentre si lasciava andare a dolci ricordi sul suo amato. Ripensó al loro primo incontro, a quella sera sul pianerottolo del palazzo che avrebbe ospitato la loro calda casa per due bellissimi e indimenticabili mesi.
Ricordava bene l'aria accigliata con cui l'aveva salutata, ma allo stesso tempo la guardava con l'espressione di chi avesse finalmente trovato qualcosa di nuovo. Era bellissimo, cosí spensierato.

Sospirò, si asciugò i capelli e li legò in una coda bassa per tenerli in ordine. Cercò qualcosa di suo o femminile tra le sue stanze e quelle di Giulia, recuperò della biancheria e un abito di Dolce e Gabbana, nero, stretto sul petto, si allargava in una gonna rigida fino a metà poppaccio, eccessivo e troppo elegante: in perfetto stile Archibald.
Decise di cercare altro, un maglioncino di cashmere misto seta e una gonnellina a balze di Burberry che la rendeva decisamente graziosa, per una che qualche ora prima aveva tramortito una povera domestica per la strada.

Indossò dei collant bianchi e ai piedi delle mary jane in vernice, per fortuna le aveva lasciate lí dall'anno prima forse promettendosi di non usarle più, oppure le aveva solo dimenticate durante una delle sue mille scappatelle. Quella casa era stata spesso usata come posto d'emergenza dove portare tutte le sue conquiste da una notte e via, mai avrebbe pensato che un giorno ci si sarebbe ritrovata con Michael a discutere di quanto fosse poco coraggiosa.

Sul letto della sua stanza giaceva tutto in disordine, tutto sistemato come se davvero fosse un ambiente vissuto. In realtà il gelo si era impatronito della vita di Vivian da ormai cosí tanto tempo che ormai il niente era diventato la normalità.

Guardando l'accappatoio di Michael lasciato lí sul materasso, in mezzo a metà completo elegante del fratello e i suoi vestiti le sembrò quasi di poterseli immaginare in un'altra realtà, una diversa.
Una realtà in cui potessero stare insieme senza problemi, senza che i suoi muri fossero pronti a cacciarlo via.

Dove lei avrebbe potuto chiedergli di sistemarle la cerniera del vestito da dietro, sempre troppo difficile da tirare su da sola e lui le avrebbe chiesto aiuto per sistemare i gemelli sui polsi e la cravatta elegante, lamentandosi perchè quegli abiti sicuramente non facevano per lui. Le avrebbe detto che anche se odiava gli eventi eleganti e le cose in famiglia la trovava stupenda ogni volta che indossava il suo tubino nero di Saint Laurent e i tacchi a spillo.

Un brivido di freddo la fece tornare alla realtà, doveva finire di prepararsi e la aspettavano due ore di viaggio in auto per tornare a Manhattan. Non aveva neppure un telefono che funzionasse, se ne ricordò quando lo presenper avvisare che avrebbe fatto tardi.
Beh, mi aspetteranno.
O inizieranno senza di me.

Si rese conto che non aveva neanche la possibilità di chiamare qualcuno che la portasse di lí a New York, brava stupida. E adesso? Cosa avrebbe fatto, tutta vestita e imbellettata, con un cellulare rotto e nessuna possibilità di chiamare John, o chiunque altro?
Doveva trovare una soluzione.

Avrebbe potuto prendere i mezzi. In Italia aveva imparato a non esserne schifata, e anche se il suo abbigliamento c'entrava ben poco con il sudiciume della metropolitana era l'unico modo che aveva di raggiungere casa.
Casa, quindi ora è diventata quella, casa tua?

S'infilò il cappotto pesante e prese una borsetta chiara, doveva sbrigarsi se non voleva che si facesse troppo tardi. Non era mai bene frequentare alcuni luoghi dopo certi orari, quando erano deserti, a quel pensiero le venne da ridere. Le erano rimaste quelle paure da ragazza normale, ma adesso girava con una pistola nella pochette serrata nella mano sinistra. Di cosa aveva da preoccuparsi?
Niente.

E infatti, con niente nell'anima e nel petto, Vivian scivolò fuori dalla sua residenza estiva, che poi sua non era, e se ne andò a casa del fratello, in attesa della sua prima grande cena di famiglia. Immaginava già i loro visi delusi, quando le sue ballerine chiare avrebbero varcato la soglia di casa Archibald sole e non con Michael. Qualcuno avrebbe riso, sicuramente i cugini Thomas e Archie avevano pensato ad una scommessa per l'occasione e Vivian poteva immaginare riguardasse o entro quanto sarebbe scappato una volta a tavola, oppure se effettivamente avesse avuto il coraggio di presentarsi o meno.

Pulí la suola delle scarpette di Prada strofinandole sul tappetino all'ingresso, il cappotto le scivolò giù dalle spalle e Dorotha l'avvisò che stessero già mangiando.
Ovviamente.

Camminò fino alla sala da pranzo, si fece strada e vide una tavolata non troppo grande di familiari intenti a consumare l'antipasto. Allora non era troppo in ritardo.
C'erano due posti vuoti, vedere la sedia di Michael senza di lui accanto alla propria la fece rabbrividire.
« E il tuo amico? »
« Gli ho detto di andarsene. »
Vi fu un silenzio in cui nessuno capí quella risposta, mentre Vivian prendeva posto i commensali si rivolgevano sguardi interrogativi, come a chiedersi l'un l'altro se qualcuno sapesse qualcosa. Vivian ghignò, per la prima volta erano costretti a farsi gli affaracci loro.

Intervenne Archie, ridacchiando. « O magari è scappato a gambe levate. »
Vivian battè una mano sul tavolo, presa da una rabbia che solitamente non le apparteneva. « O magari non sono affari tuoi! » Si meravigliò del suo stesso gesto, infatti quando riprese lucidità si osservò la mano arrossara dalla pressione esercitata sul tavolo duro, coperto da una bellissima tovaglia ricamata a mano.
Sul tavolo c'erano delle candele, erano fastidiosissime ma almeno impedivano ai commensali di guardarsi troppo a lungo e troppo bene. Mascheravano bene le ferite, nessuno fece domande, la compassione era bandita.

« Thomas, mi devi trecento dollari. » Archie allungò una mano verso il fratello che era seduto vicino a lui, lo sguardo fermo sulla figura della cugina. Avevano sempre avuto l'orrenda abitudine di scommettere su tutto, era divertente per loro, li faceva sentire intoccabili, superiori a quelle vicende da stupidi.

A quel punto Vivian assottigliò le iridi chiare, le fissò in quelle di Archie mentre le sistemavano il suo piatto davanti, poi si rivolse al fratello. « Thomas, scommetti con me che stasera Archie non riuscirà a bere più di te? »
Che diavolo di scommessa era? Lo sapevano i cugini più grandi, che senza vergogna e sotto gli occhi dei genitori scommettevano sulle cose meno normali.
In realtà il loro piano era proprio quello di istigarlo a bere, bere tanto fino a dimostrare di essere il migliore mentre si vomitava vergognosamente sulle vesti pregiate.
L'avevano già fatto con altri in passato ed era sempre molto divertente giocare con la volontà delle persone.

« Ma non crescete mai? »
Si levò la voce di sua zia sopra le altre, si zittirono tutti. Vivian inchiodò la testa nel piatto, silenziosamente alzò il capo solo per guardare la reazione di John, che chiaramente scuoteva il capo come a voler dare ragione alla zia, ma in realtà stava morendo dal divertimento.
Vivian strinse le labbra in un sorrisetto compiaciuto, si scambiò un'ultima occhiata con Thomas e poi tornarono tutti al loro cibo prelibato.
Entrambi i cugini indossavano una giacca di velluto, il maggiore verde scuro mentre il riccio nera. Elegantissimi, Vivian immaginò che se ci fosse stato Michael a quella cena si sarebbe sicuramente divertito. Forse sarebbe andato d'accordo con Thomas, condividevano il sarcasmo, anche se quell'idiota di suo cugino ogni tanto si faceva prendere da impeti di rabbia e lei insieme ad Archie spesso si trovavano a dover ripulire i cocci lasciati dalle sue sfuriate.

Il minore era quasi dolce, se fosse nato in una famiglia normale avrebbe sicuramente fatto la parte di quello un po' coccolato da tutti. Gli piaceva la musica e sapeva disegnare, un'altra cosa che aveva in comune con Michael: certo, l'italiano era molto più bravo.
Era assurdo come finisse sempre per pensare a lui, come ogni minima cosa, perfino ad una cena in famiglia, la sua famiglia, le ricordasse di quell'idiota.
Si fece riempire il bicchiere ogni volta che rimaneva vuoto, stava nuovamente deprimendosi?
Non può andare sempre cosí.

« Non è che per caso qualcuno di voi ha un cellulare in più? Il mio è rotto. »
S'immischiò in mezzo a discorsi che non stava ascoltando e sicuramente non avrebbe condiviso solamente per non pensare, per distrarsi e prestare ascolto a qualsiasi altra cosa che non fosse la sua testa.
Gli antidolorifici stavano iniziando a smettere di fare effetto e mischiarli al vino non era stata certo una grande mossa, se ne rese conto quando la testa iniziò a pesarle troppo e il collo sembrava non voler stare più dritto.

Era proprio una stupida. « Si, io. »
Intervenne Thomas, in tempo per cogliere l'occhiata implorante di Vivian, aveva bisogno di andare in bagno, rinfrescarsi. « Mi sa che ce l'ho dietro, è nel cappotto, mi accompagni a prenderlo? »
Sua madre lo fulminò, alzarsi da tavola prima che fosse terminata la cena non era certo il gesto più elegante del mondo. Vivian sospirò e rivolse un sorriso cordiale a tutti, era sempre in prima fila per creare casini, ma alla fine Thomas si sarebbe annoiato terribilmente se non ci fosse stata la cugina ad allietare quella tavola.
E poi se c'era lei, non era più lui la pecora nera della famiglia. « Ti accompagno fino al bagno. »
Con disinvoltura, fece credere che in realtà si stesse alzando solo perchè aveva bisogno di usare la toilette.

Se ne andarono ognuno per conto proprio e s'incontrarono appena oltre la soglia della stanza da pranzo, dove nessuno poteva più vederli. Iniziarono subito a confabulare, come fossero tornati adolescenti.
« Che cosa è? »
« Che cosa? »
« Cosa hai preso? Cocaina? » Abbassò ulteriormente il tono di voce, non la stava rimproverando, voleva solo cercare di risolvere il problema.
« No, ho preso degli antidolorifici e ci ho bevuto su, ho fatto una mega cazzata. »
« Hai usato quelli forti? » Vivian annuí, si ricordó della discussione avvenuta con Michael, aveva ragione lui. Thomas capí che non li avesse presi solamente per i forti dolori, ma proprio per sentirsi come stava in quel momento: pronta ad addormentarsi. « Che cazzo. »
« Che devo fare? » Si poggiò al muro, piegò le labbra in un sorrisetto divertito, Thomas invece la squadrava con lo sguardo di chi sapeva e non capiva, conosceva abbastanza bene Vivian da comprendere che non si fosse trattata di una semplice svista: il suo cervello, il suo subconscio aveva pianificato quella cosa in modo assolutamente perfetto.

Gli pareva inquietante, la cugina era quella più intelligente e scaltra, ma tutti quei pensieri e le connessioni che era capace di creare nella sua testa finivano spesso per annientarla.
Era come se non le controllasse più.

Cosa veniva, dopo?
« Forse devi vomitare, prova a svegliarti e poi ti riporto a casa. Comunque non puoi fare sempre cosí. »
« Tu invece sei un santarellino? Guarda che mi ricordo cosa facevi con Emily, mi chiede sempre di te. » Assottigliò le iridi scure, cercando di allungare il braccio per spingerlo via ma non poteva, aveva bisogno di lui.
Thomas si guardò intorno come se temesse qualcuno potesse sentirli. « Non sono mai arrivato in questo stato ad una cena di famiglia. »

« È l'unico modo per sopportare le voci. »
E poi dovresti provare, è molto divertente.

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