Prologo

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Dicembre 1931, Nochtown

Erano gli inizi del mese, il gelido vento invernale faceva rabbrividire gli abitanti della città di Nochtown. Il ghiaccio aveva ricoperto le strade, provocando a non poche persone dei comici scivoloni. Febbre e raffreddori mettevano in difficoltà molti lavoratori, che non vedevano l'ora di tornare a casa per riscaldarsi. I pochi aristocratici che possedevano un'auto erano costretti ad andare a piedi, perché il freddo aveva mandato in panne il motore.
Il tempo era sempre glaciale e piovoso e quando non pioveva e c'era il sole arrivava la nebbia.
Le giornate trascorrevano lente per tutti, e per la piccola Lilith in particolare.

Aveva sette anni, la pelle pallida e delle lentiggini sulle guanciotte paffute da bambina, con i capelli nerissimi che scendevano in ciocche ondulate, e dei grandi occhi verdi. Era costretta a letto per via della febbre che da una settimana la assillava, e quel giorno non aveva niente di meglio da fare che guardare fuori dalla finestra vicino al baldacchino, in attesa che suo padre tornasse, dopo tre giorni che mancava da casa.
Il suo papà era un giornalista. Lavorava per il "The British News", un giornale piuttosto popolare, che aveva sede nella vicina Cambridge. Il signor Hunting prendeva il treno tutti i giorni per andare alla casa editrice dove, sedutosi alla sua scrivania e preparata la macchina da scrivere, si occupava dell'articolo che la settimana dopo avrebbe dovuto consegnare al suo capo. Ogni tanto gli veniva affidato un compito che lo vedeva costretto a partire per Londra o altre città importanti e a rimanerci per qualche giorno, ma quando tornava portava sempre qualche regalo alle sue due figlie: Elizabeth, di undici anni, e Lilith, la più piccola, chiamata amorevolmente Lily.

La bambina si rallegrò subito quando vide un uomo molto familiare arrivare davanti alla porta di casa. Sentì la sorella correre giù per le scale per salutare il padre, allora si alzò dal letto per andare anche lei ad abbracciarlo.
La mamma e il dottore le avevano raccomandato di non alzarsi fin quando la febbre non si fosse abbassata, ma non poteva trattenersi.
Scese piano i gradini coperti da un soffice tappeto verde e si fermò solo quando arrivò sulle scale di fronte all'ingresso.
Jason Hunting, alto, avvolto da un lungo cappotto nero e con un cappello in testa, le sorrise, mentre stringeva la figlia maggiore in un abbraccio.
Lasciò Elizabeth dandole un bacio sulla fronte e poi si avvicinò a Lily. La piccola osservò a lungo gli occhi, verdi come i suoi, e i capelli biondo cenere sempre pettinati sotto il cappello. Le piaceva scompigliarglieli e sentirlo ridere, quando lo faceva.
«Eccola qui! La mia piccola futura giornalista!» esclamò l'uomo, prendendola in braccio.
Lilith voleva diventare una giornalista, come suo padre. I genitori pagavano un insegnante privato per farla studiare e l'avrebbero mandata in un collegio quando avrebbe compiuto tredici anni.

Jason Hunting le sorrise e, poi da una tasca del cappotto estrasse due pezzi di carta.
La bambina li prese e lesse ciò che c'era scritto sopra: "Il Circo delle Meraviglie. Clown, giocolieri e freaks".
Guardò il padre con gli occhi luccicanti. «Possiamo andare?» chiese emozionata.
L'uomo annuì. «Sono due biglietti: uno per me e uno per te. Sei contenta?»
«Sì!» La bimba lo abbracciò e guardò la madre in attesa di conferma.
«Se guarirai presto potrai andare» disse lei, osservando il marito un po' contrariata. A lei il circo non era mai piaciuto. Lo trovava pericoloso.

Lily fece di tutto per farsi passare la febbre il prima possibile.
Prima che il dottore andasse a casa loro per visitarla, si metteva della neve sulla fronte, sperando che la temperatura si abbassasse.
Quando il medico le chiedeva come stesse, lei rispondeva che si sentiva benissimo e che molto probabilmente era guarita, anche se non era vero e aveva un gran mal di testa.
Finché, una settimana dopo, il dottore annunciò che la bambina era finalmente sana e che poteva uscire di casa.

Quella sera stessa, dopo essersi imbacuccata ben bene, Lilith e suo padre presero un taxi per andare nella periferia di Nochtown, dove si era accampato il "Circo delle meraviglie".
C'era tantissima gente, per lo più adulti, molti in compagnia di bambini di ogni età.
A Lily sembrò il posto più bello di sempre: giostre con mille luci colorate, maghi che facevano apparire conigli dal cilindro e animali di ogni genere. Dei giocolieri facevano volteggiare delle clave per aria, lanciandosele tra loro. Un clown dal vestito pieno di toppe colorate gonfiava palloncini e li piegava fino a formare degli animali. Due uomini camminavano con dei trampoli svettando tra la folla.
Lily posava gli occhi su tutto e su tutti, volendo godersi ogni singolo istante in quel luogo colorato e magico. Persino lo zucchero filato le sembrava qualcosa di fantastico. Le parve di star mangiando delle nuvole.

All’interno del grandissimo tendone a strisce bianche e rosse, si tennero le esibizioni principali: ci furono spettacoli di acrobazia, trapezisti, domatori, clown giocolieri, delle ragazze che facevano acrobazie su dei cavalli in corsa, cani addestrati da dei bambini, elefanti che salivano su piccole pedane...
Fu un’esperienza meravigliosa.
Quando uscirono all’aria aperta era già buio pesto e per Lily era il momento di tornare a casa.

Mentre si avviavano verso l'uscita del circo, però, un uomo si avvicinò al signor Hunting. Era basso, tarchiato, un po' gobbo, vestito totalmente di nero e con un cilindro in testa del medesimo colore.
«Vuole dare un'occhiata, signore?» disse, e indicò una piccola tenda illuminata che inizialmente Lily non aveva notato.
La bambina sporse la testa oltre le gambe dello sconosciuto, per osservare quelle piccole tende poco illuminate e dall’aspetto sinistro, e non vide l’espressione esitante di suo padre.
«No, grazie, c'è mia figlia con me» obiettò il signor Hunting, venendo però interrotto da Lily.
«Possiamo vedere, papà? Ti prego!»
«Visto? Ai bambini piace questo genere di cose» ridacchiò l'uomo con un sorriso sghembo.
Padre e figlia si guardarono, e i grandi occhi emozionati della bambina non fecero che convincere l’uomo a entrare nella tenda semi-illuminata, preceduti dal saltimbanco.

C'era un piccolo gruppo gente, anche ragazzi di qualche anno più grandi di Lily.
Un altro uomo vestito di nero richiamò l’attenzione, dicendo: «Bene, signori! Se volete seguirmi, il giro può cominciare!» E iniziò a camminare, seguito dalla folla.
Non appena si dette il via alla "mostra", la bambina vide una cosa stranissima: un uomo, nudo, la pelle scura in netto contrasto con i corti pantaloni bianchi, completamente tatuato. Sedeva su uno sgabello di legno, mettendosi in mostra per gli spettatori, ma ciò che più stupì la bambina era il vetro che lo separava da loro.
Un uomo dietro a un vetro, come gli abiti che la mamma guardava quando andava a fare un giro per i negozi.
“Questo sì che è strano!” pensò la bambina, alzando lo sguardo per osservare la reazione di suo padre, trovandolo impassibile.

«Un selvaggio dell’Africa Nera» esclamò con enfasi il signore in nero mettendosi a lato del vetro in modo che tutti lo vedessero, «Ogni minima parte del suo corpo è ricoperta da tatuaggi. Non parla la nostra lingua - il suo cervello primate non è in grado di comprendere un linguaggio così elaborato» sussurrò, abbastanza forte da farsi sentire da tutti. Molti risero.
Lily guardò l'uomo tatuato. Se davvero non conosceva la lingua, doveva aver sentito le risate a lui rivolte. La bambina poté notarlo dal suo sguardo triste. Gli dispiaceva per lui. Non era carino ridere della gente.
Il girò continuò. Ogni tanto il saltimbanco si fermava per descrivere ciò che i presenti avevano davanti.
«La donna barbuta!... L'uomo gatto!... Il pesce umano!... Una vera sirena!... Il ragazzo pipistrello!... La donna cannone! ...»
«E che cannone» aggiunse, mentre tutti quanti ridevano alla vista di una signora grossa come cinque uomini messi insieme e pesante come dieci.
Lily si rattristava sempre più. Avrebbe voluto fare qualcosa per quelle povere persone, il cui unico difetto era stato quello di nascere diversi dagli altri.

Arrivati davanti a due gemelle siamesi, attaccate per la testa, alcune signore presenti si spaventarono.
Erano bambine, avrebbero potuto avere l'età di Lily.
Erano vestite uguali, con due vestitini rosa pastello, tutti fiocchi e velluto, e delle scarpette anche esse rosa con delle calze bianche. Alle estremità delle teste, dove nome ramo congiunte, avevano due piccoli cappellini. Guardavano dritte davanti a loro, l'una non poteva guardare altrove senza che l'altra girasse la testa anch'essa.
"Deve essere molto scomodo" pensò Lily.
Anche loro, come tutti gli altri, avevano quello sguardo triste, spento, come se ogni briciolo di felicità si fosse prosciugato.
"Un uccellino" pensò la bambina, "non può essere felice se chiuso in una gabbia". Pensò al piccolo canarino che aveva nella sua camera: non cantava più da molto tempo.
«Che schifo» sentì bisbigliare un ragazzino a un suo compagno. Lei gli rivolse una smorfia di disapprovazione.
«Prego, signori, da questa parte!» esclamò l'uomo vestito di nero, facendo per andare da un altro lato del tendone.
Tutti lo seguirono, tranne Lily. Aveva lasciato la mano di suo padre e si era avvicinata alla vetrata delle bambine. Il trio si guardò per qualche secondo, non sapendo cosa dire.
Poi la piccola fece una cosa che stupì le due gemelle: poggiò entrambe le piccole manine sulla teca di vetro, con i palmi aperti.
Le due bambine esitarono, forse non capivano. Poi anche loro poggiarono le mani sul vetro, in corrispondenza di quelle di Lily. Per un tenero momento, alle tre bimbe sembrò di starsi davvero toccando, come se nessuna barriera impedisse tale gesto, e si ritrovarono a sorridere all'unisono. Per loro era come aver fatto un patto di amicizia.

«Ehi, tu, ragazzina! Allontanati subito!» Il saltimbanco afferrò Lily per un braccio e la trascinò via dalla teca. La bambina sussultò al contatto con quella mano sudata.
«Ma come ti sei permessa, eh? Lo sai che non si possono toccare gli oggetti in esposizione?»
«Io non ho toccato niente! E comunque non sono oggetti! Sono delle persone, come me e lei!» rispose a tono la bambina, gridando e agitandosi per liberarsi dalla stretta. I suoi genitori le avevano insegnato a parlare con rispetto agli adulti, ma quella volta pensava di dover dare una lezione a quell’uomo.
«Permesso. Scusate. Cosa succede? Lily, tesoro, che hai fatto?» Il signor Hunting si fece largo tra la folla che si era fermata a guardare la scena.
«Io non ho fatto niente, papà! Questo signore è cattivo, tratta le persone come delle cose!»
«Ah! Quindi lei è il padre di questa piccola maleducata!» disse il saltimbanco, evidentemente adirato. «Ringrazi solo che non ha combinato niente di grave!»
«No, ringrazi lei che non le farò causa per sfruttamento! Questa gente non merita di essere qui!»
«È tutto legale, non ho nulla di cui vergognarmi» sottolineò l’uomo vestito di nero, gettando uno sguardo nervoso al reso dei confusi spettatori. «Insomma, queste... persone... sono dei mostri, e io dono la possibilità al pubblico di ammirarli.»
«È lei il mostro» sbottò Lily, con il volto corrucciato, infastidita dai risolini scaturiti nel pubblico.
«Lily, adesso basta, andiamo via» disse suo padre, afferrandola per la mano e trascinandola via, camminando incurante tra la gente che si scostava al loro passaggio.
La bambina si girò un'ultima volta a guardare le gemelle siamesi: le stavano facendo “ciao, ciao” con la mano. Lei ricambiò con un sorriso, prima di uscire dal tendone. All'entrata, c'era un cartello con scritto: "Freaks show. Venite a vedere gli errori della natura più spaventosi del mondo!".
«Mi dispiace, papà» disse la piccola, mentre lei e il padre si lasciavano alle spalle il "Circo delle meraviglie".
«Non ti devi dispiacere di nulla, tesoro. Sei stata molto coraggiosa.»
Non parlarono più, fin quando non arrivarono a casa.

«Da grande» mormorò Lily alla madre, mentre quest’ultima le rimboccava le coperte, «diventerò una giornalista famosa e parlerò di tutte le ingiustizie del mondo, come fa papà».
Sì, avrebbe fatto proprio così. Avrebbe scritto di quante persone cattive abitavano nel mondo, e la gente, leggendo, avrebbe imparato tante cose gentili.
Con questi pensieri in testa si addormentò.
In primavera, Lilith Hunting e suo padre portarono la gabbia del suo canarino nel parco della città di Nochtown, sotto il loro albero preferito.
La aprirono e guardarono l'uccellino volare via, tra i rami, e poi verso altri alberi.

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Eeeeee questo era il prologo del mio (primo) giallo!
Vi prego ditemi che vi piace.
Ho impiegato secoli a trovare nomi e cognomi che non appartenessero a persone reali.
Spero che continuiate a leggere questo libro.
Ciao ciao!

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