1 - "Insetti"

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" Ogni cosa ha un inizio e una fine perché c'è un limite a tutto.

La fine non è determinata dal nulla assoluto ma dal cambiamento.

Quello che viene dopo è qualcos'altro, qualcosa di diverso. Le persone cambiano, i tempi cambiano.

Tutto molto ovvio, addirittura banale. Finché un giorno succede che la fine, raggiunto il suo limite, non conosca più un nuovo inizio. Succede che quel limite diventa invalicabile. Quello che viene dopo non esiste più.

Questo basta a far impazzire un uomo.

Tuttavia ci si interroga sulle cause di questo collasso del cerchio che ha smesso di chiudersi. Si vuole trovare una spiegazione, un modo per innescare di nuovo l'ingranaggio.

Ma se non ci fosse un modo? Allora davvero impazziremmo all'idea che, raggiunto il limite, non si possa più oltrepassarlo; nessun cambiamento, solo il nulla."

Ore 10:00 pm

Sensazione negativa, si disse Arianna.

Poi finalmente bussò.

Il caporedattore, Giancarlo, era smilzo e lungo, indossava una camicia perfettamente stirata e chiusa fino all'ultimo bottone tanto da farlo sembrare una stampella senza collo. Aveva in mano decine di fogli, un auricolare che gracchiava news in loop nel suo orecchio destro e un pizzetto brizzolato che lo invecchiava di una decina d'anni.

La sua voce era acuta, quasi stridula: «Signorina Anselmi, l'ho fatta chiamare perché non mi torna cosa stia combinando.» La osservò come si fa col maiale al mattatoio, una via di mezzo tra pietoso e divertito, e continuò: «Un trafiletto, non un sermone. Questo le avevo chiesto. Invece lei mi propina un'arringa sui limiti umani e si lancia sulla storia di una casalinga assalita dalle mosche. E non contenta ci scrive cinquemila, dico cinquemila battute.»

Giancarlo era un milanese in carriera che aveva girato il mondo in bicicletta e mangiato cavallette per mesi pur di affermarsi come reporter nella redazione del terzo quotidiano nazionale con sede nella capitale. Non le avrebbe concesso più di un minuto, non ne sprecava per una ventenne stagista che non avesse mai visto una cavalletta da vicino.

«Lo ha letto?» Arianna, dritta come un soldato, rispose senza tradire timore. «L'articolo, dico, lo ha–».

«Tutto?» la interruppe, «Ma certo che no! Ci mancherebbe».

Ormai Arianna non aveva scelta, doveva dare un nome alle cose: «Se lo avesse letto avrebbe capito che c'è un chiaro riferimento al surriscaldamento globale, allo scioglimento delle calotte–».

Giancarlo divenne rosso in viso: «E lei parte da una casalinga di Roma per parlarci del polo?».

Fu allora che Arianna percepì una enorme chiazza asimmetrica proiettata sul vetro. D'istinto rivolse lo sguardo alla finestra alle spalle del caporedattore. Il cielo doveva essere terso in quella mattina di Maggio ma nubi minacciose lo stavano macchiando di grigio. Nubi strane, in continuo movimento, come uno sciame di punti caotici che nulla hanno in comune col gas di una nuvola. Macchie che avanzavano lente verso di loro.

Non se ne avvide ma aveva assunto in pochi secondi l'espressione della bambina spaventata: la bocca semiaperta, lo sguardo rapito.

«Che le prende, adesso?»

Arianna evitò di invitarlo a esprimere un parere sulle macchie del cielo. Doveva farsi assumere, non internare.

«Senta, le garantisco che quella donna aveva la casa invasa dalle mosche, dico sul serio, migliaia di mosche morte!».

E lui di nuovo sbraitò: «E allora?».

«L'ho considerata un'anomalia da imputare al costante clima atipico tropicale che ha investito il nostro paese nell'ultimo decennio» si giustificò.

Giancarlo strappò l'auricolare con un gesto secco e lanciò i fogli sul tavolo. «Arianna Anselmi, ho capito, lei è pazza!», e assottigliò lo sguardo in una ruga tagliente. «A meno che le mosche morte non fossero appiccicate a un cadavere in putrefazione rinvenuto accidentalmente nella casa di questa casalinga del Tufello, direi che non ce ne frega un cazzo che fossero a migliaia e che le abbiano invaso il salotto liberty! Chiaro?».

Arianna indietreggiò e con la spalla sinistra sfiorò lo stipite della porta. Giancarlo era un eccentrico ma era sempre contenuto, professionale. Non lo aveva mai visto perdere le staffe in quel modo. Possibile che la ritenesse una tale inetta?

«Esca!» gridò in ultimo.

Immaginando la ricezione di una mail di licenziamento entro sera, Arianna non se lo fece ripetere e filò via.

Saettò tra i tavoli della redazione ignorando i colleghi che avevano ascoltato le urla provenire dalla stanza del capo e corse giù per due rampe di scale finché non fu fuori da quell'inferno.

Col fiato mozzo si piegò mani sulle ginocchia a cercare di calmarsi ma quel brusio non la smetteva di ronzarle nella testa. Sempre più potente, quasi ipnotico.

Lo stordimento?, si domandò.

Poi alzò gli occhi al cielo e il sangue le si ghiacciò nelle vene, il respirò si bloccò, le sembrò di essere sul punto di svenire. Niente stordimento, erano sciami. Enormi sciami di insetti che affollavano l'orizzonte fino a coprire il sole. Non erano neanche le undici di un mattino qualunque che venne il buio.

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