2 - SEBASTIAN

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Lo sciame aveva oscurato il cielo di Roma.

Sopra Piazza del Popolo incombeva qualcosa di così massiccio da sembrare una nube densa che però emetteva un suono terribile: ronzava con la potenza di un amplificatore e la diffusione di un radar.

Una mandria di persone prese dal panico correva in tutte le direzioni, se Arianna non si fosse spostata l'avrebbero calpestata. Moriremo! , gridò l'uomo che le arrivava incontro. Arianna lo schivò per un soffio, ma non poté evitare un gruppo di turisti che la travolse facendola precipitare. Finì faccia a terra.

Il ronzio era implacabile ma la testa le stava esplodendo per un altro motivo: qualcosa le colava dalla tempia sinistra fino all'occhio. D'istinto lo chiuse e si toccò. Si osservò le dita insanguinate e le venne da vomitare ma non svenne. Le porte del Giornale erano proprio alle sue spalle, doveva solo alzarsi e scappare.

Sporadici varchi aperti dagli sciami lasciavano penetrare spiragli di luce diurna o sarebbe stata l'eclissi. Arianna li osservò con un solo occhio aperto, sull'altro c'era troppo sangue. Per questo non si accorse della bicicletta. Il campanello che aveva strombazzato due volte era stato appena udibile, le mosche attutivano qualunque rumore o suono, persino le grida della gente. E quella ruota frenò a un centimetro dal suo corpo ancora a terra.

Ehi, alzati! Così ti farai schiacciare! O almeno questo le era parso di sentire.

Arianna non si mosse, la testa le girava, la mano copriva l'occhio.

Vide il giovane scendere dalla bicicletta e chinarsi su di lei. Si sentì sollevare e in pochi secondi era tra le braccia di questo tizio biondo e altissimo che chiedeva qualcosa. Arianna era ostaggio del frastuono, del panico indotto e di quelle braccia teutoniche. Riuscì per miracolo a indicare le porte della redazione.

Nell'atrio l'eco si spense quanto basta per capire che il tipo parlava ora in italiano ora in francese e, in sostanza, le chiedeva il badge d'accesso al piano che avrebbe permesso allo sbarramento interno di sollevarsi ora che anche la sede del quotidiano era stata colta da un fuggifuggi generale e il portiere era svanito nella calca.

Arianna sfilò il cordoncino dal collo della maglia ed espose il cartellino di riconoscimento facendo salire l'asta metallica. Una volta superato il varco si fece mettere giù. Era spossata, incredula ma abbastanza lucida da lanciare uno sguardo attento al ragazzo che l'aveva salvata. Uno con un portatile a tracolla e una penna appesa al collo doveva essere un-

«-Collega» le disse alla fine di una frase incomprensibile in francese. «Freelance», aggiunse.

Arianna e i suoi capelli scuri e corti tagliati un po' di corsa e un po' alla maschietta, nel suo completino retrò da collegiale alle prime armi e poi col viso esile e sporco di sangue, avvertì immediatamente una scossa di disagio: doveva trattarsi di un professionista, mentre lei era solo una stagista terrorizzata.

«Ho bisogno di un terminale» le disse ancora.

A occhi così chiari da far tornare il sole alle tenebre, Arianna non avrebbe mai detto di no, se non per il dubbio.

«Terminale?»

«Sì. Emplacement. Comment se prononce? Computer in rete».

Arianna avvampò abbastanza da abbinarsi al sangue che l'aveva già disegnata.

Lo scortò per due rampe di scale tra urla e fughe di colleghi esaltati fino a un gruppo di tavolini addossati alle pareti e ora abbandonati. I monitor erano accesi e la connessione non era saltata. Gli indicò il suo, quello con gli adesivi di Greenpeace e di Dylan Dog sugli angoli. E di nuovo avvampò: agli stagisti toccava il buco in fondo, faccia al muro, col computer di vent'anni fa. Lo pensava e il biondo era già seduto a smanettare sulla tastiera alla velocità del fulmine.

«Cazzo fate?» tuonò la stridula voce di Giancarlo, il caporedattore.

Arianna abbozzò una frase che sapeva più di balla che di senso e subito il francese si mise in piedi e sovrastava Giancarlo di due spanne, gli porse la mano e disse: «Sono Sebastian Cavèl. Devo comunicare col mio giornale a Parigi. Le sarei grato se-».

«'Sto cazzo» lo fermò col palmo in aria, «sei la concorrenza!».

«Ho lo scoop» disse il biondo. «Facciamo a metà».

Giancarlo cambiò espressione. Si rivolse prima ad Arianna: «Anselmi! Hai sangue ovunque, vai a lavarti!». Definirlo insensibile le parve riduttivo. «Qua c'è il finimondo di mosche, avevi ragione con quella storia del clima, lo scoop me lo prendo io ma il trafiletto te lo pubblico». Tornò a guardare l'ospite straniero, «Che sai?».

«Non il clima» disse subito il francese, «Je suis sûr que. La causa è un'altra. Ma devo mettermi in contatto con Vespucci, un entomologo».

Giancarlo rifletteva mentre la gente urlava e le mosche si schiantavano contro i vetri della redazione. Arianna, che fino a quel momento non aveva aperto bocca, indietreggiò. Un po' per il terrore un po' perché quei due se la cavavano meglio senza di lei.

«Ma solo se la jeune fille est avec moi» aggiunse Sebastian. «Se la ragazza viene con me» spiegò in italiano.

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