Lo Straniero

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«Siamo solo un popolo di pescatori. Cosa potremmo mai fare per difenderci?» Melar si alzò in piedi per far sentire la sua voce sul mormorio che correva nella sala gremita. Guardò la moglie e il figlio di undici anni, pensò a loro e a come proteggerli e si sentì impotente.

Ister, il capo villaggio, annuì col capo e socchiuse gli occhi davanti a quella verità: «Questo è anche il mio timore, amico mio. È per questo motivo che vi ho chiesto di riunirci questa sera, per trovare insieme una soluzione.»

La sua gente lo ascoltava, in attesa che la sua saggezza facesse, ancora una volta, un miracolo.

In quelle terre coperte dai ghiacci, sulle montagne innevate in modo perenne, si era infatti palesata una minaccia: un drago.

Più di uno l'aveva visto volare alto nel cielo e, anche se non aveva attaccato il villaggio, tutti si aspettavano che lo facesse da un momento all'altro.

Le loro case, fatte di ghiaccio, sarebbero scomparse sotto le fiamme sputate dalle sue fauci.

Donne, bambini, animali, tutto doveva essere messo al sicuro da quell'essere, portatore di distruzione.

Durante quella riunione avevano messo a punto una strategia di fuga; ma per la difesa? Come avrebbero fatto?

La paura era il sentimento che più si respirava tra i banchi, sui quali si accalcavano vecchi e ragazzini. Chiunque avesse avuto un'idea sarebbe stato libero di esprimerla, di sottoporla agli altri e cercare di realizzarla.

Ma nulla ancora erano riusciti a organizzare, né per una difesa, né tantomeno per un attacco nei confronti della bestia.

«L'ho visto dirigersi verso le montagne a nord, alle Caverne Millenarie» li informò Aseth. «Dovremmo andare a scovarlo e cacciarlo dalle nostre terre!» Era lui a capo dei pescatori del villaggio. Era lui a dover organizzare le spedizioni per raggiungere fiumi e torrenti sempre più lontani in cerca di cibo. Era lui il più intrepido tra loro. Toccò a lui quindi manifestare quell'istinto di ribellione al timore della morte.

«Vi prego, no!» Una voce sconosciuta dal fondo della sala grande attirò l'attenzione di tutti i presenti.

Un uomo, alto e dall'aspetto reso ancora più imponente dalle grandi pellicce che indossava, fece qualche passo attraverso i banchi. Aveva un arco infilato sul busto e una faretra piena di frecce sulle spalle. I capelli, lunghi e marroni, fuoriuscivano da un copricapo ricoperto di pelo, che — era chiaro — usava per proteggersi dal gelo di quelle terre.

Sembrava stanco, spaesato, eppure sicuro di sé, come se quel luogo fosse la meta di un lungo viaggio.

«Chi sei?» chiese Ister per tutti.

«Il mio nome è Conrad. Vengo dalle Gole del Karmak.»

Sussurri di stupore si inseguirono sulle bocche dei presenti: cosa ci faceva uno straniero del sud nelle loro terre?

«Perché non vuoi che uccidiamo il drago?» chiese Aseth, facendosi avanti. «Sei in combutta con lui? Perché saresti qui altrimenti?» Era diffidente e diede quindi voce ai timori dei suoi compagni.

«Aseth, quest'uomo ha affrontato un lungo viaggio» lo ammonì Ister: «Ha bisogno di rifocillarsi e di riposo.» Il loro era comunque un popolo ospitale e cercò di tener fede ai loro costumi e tradizioni. «Il mio nome è Ister e, a nome dei miei compagni, ti do il benvenuto nel Villaggio Boreale.» Gli fece cenno di sedersi: «Vieni avanti, Conrad. Prendi un po' di cibo.» Gli porse del pesce arrostito.

Lo straniero accettò di buon grado l'invito, prendendo posto su una panca vicino al vecchio.

Gli diedero del vino speziato, che erano riusciti a barattare in un villaggio vicino; dopo averne bevuto un sorso, che scorse caldo nella sua gola, Conrad rispose alla domanda che gli aveva posto il pescatore: «Non si tratta di una combutta. La sto inseguendo perché sto cercando di salvarla.»

«Lei?» chiese Melar incuriosito.

L'uomo annuì mesto: «Si chiama Eròma ed è la donna che amo.»

Nei successivi minuti Conrad raccontò la sua storia e quella della sua amata, di come uno stregone di nome Elam, infatuatosi di lei, l'aveva soggiogata e trasformata in un drago, per domarla e tenerla come sua prigioniera.

«Non poteva sopportare un rifiuto da parte di Eròma, perciò, quando lei ha confessato di amare me, Elam l'ha trasformata.» La sua voce era cupa e piena di rimprovero, verso se stesso per non essere riuscito a impedirlo, e rabbia, verso lo stregone per lo stesso motivo, in realtà. «Era bellissima... è bellissima. E lui invece l'ha incatenata, con un incantesimo, alla sua volontà... e la cavalca per portarla lontano da me.»

«E li hai seguiti? Fin qui?» si informò ancora Melar.

Conrad annuì: «E li seguirò fino in capo al mondo!» raddrizzò le spalle in un gesto risoluto. «Sono qui per salvarla.»

«E come credi di farlo?» Aseth era ancora scettico nei suoi confronti.

Conrad si sfilò l'arco attraverso la testa e lo strinse forte, finché le nocche non gli diventarono bianche: «Dovrò eliminare Elam.»

I presenti, che non avevano di certo un'indole battagliera, trattennero il respiro, spaventati anche da quella promessa di violenza.

Solo Aseth continuò a fissare lo straniero negli occhi, scorgendone la disperazione di un uomo pronto a tutto, pur di riavere indietro la donna che amava. «Be', di certo non potrai farlo da solo.» Si alzò in piedi nel pronunciare quelle parole.

Ister, che lo conosceva meglio di tutti gli altri e aveva intuito il suo intento, gli diresse un cenno di approvazione col capo: «Ne sei sicuro?»

Solo allora Conrad capì cosa aveva in mente il pescatore e si alzò a sua volta dalla panca: «No,» scosse la testa, «non posso mettere in pericolo la tua vita. È una cosa che devo fare da solo.»

Aseth scoppiò in una fragorosa risata: «Tanti auguri allora! Voglio proprio vedere come farai a trovarli su quelle montagne... da solo

Pantis, uno degli uomini più esperti nella pesca e grande compagno di avventure di Aseth, gli si avvicinò senza nemmeno cercare di celare la sua apprensione: «Ma tu non puoi partire! Non puoi lasciare il villaggio! Come faremmo senza di te? Sei tu il nostro maestro!»

Aseth gli mise le mani sulle spalle e, guardandolo dritto in quegli occhi, chiari come il ghiaccio della valle, lo rassicurò: «Hai ragione, sono il maestro e vi ho insegnato tutto ciò che sapevo. Lascio il villaggio in ottime mani, se sarai tu il Capo Esploratore.»

La meraviglia e l'onore si mescolarono sul volto dell'amico, finché la commozione non li spinse a scambiarsi un forte abbraccio, condito di pesanti pacche sulla schiena.


Il mattino dopo, quando il sole era ancora pallido all'orizzonte, Conrad e Aseth partirono alla volta delle Caverne Millenarie, con bisacce ricolme di viveri e pelli, per sopravvivere al gelo che attanagliava quelle terre.

Attraversarono il bosco, dirigendosi sempre più a nord; Aseth si era già spinto verso quelle zone in cerca di torrenti o laghi nei quali pescare. Sapeva quindi dove svoltare, quali sentieri seguire e sapeva misurare gli intervalli di tempo durante i quali riposare.

Conrad quasi arrancava a stargli dietro, affaticato dall'aria gelida che gli bloccava i polmoni. Non era un guerriero, era un lord, che non si era mai dovuto procurare niente nella sua vita, se non il rispetto degli altri. Ma quel viaggio l'aveva cambiato, l'aveva formato. La vita stessa l'aveva plasmato a essere un uomo.

Aveva usato il suo arco per procacciarsi il cibo, aveva scoperto che non sempre ci si poteva fidare degli altri, se si portava una sacca ricolma di monete sonanti appesa al fianco.

Gli uomini e le donne che aveva conosciuto la sera prima, invece, non avevano niente, eppure avevano offerto a lui quel niente.

Il suo compagno di viaggio, poi, era stato la sua più grande sorpresa nei confronti dell'umanità: benché burbero e scontroso, non aveva avuto nessun dubbio a intraprendere quella missione al suo fianco, senza avere qualcosa in cambio, o alcuna garanzia di mantenere la sua stessa vita legata al mondo terreno.

Quando arrivarono alle Caverne Millenarie, la prima cosa che lasciò Conrad meravigliato fu l'imponenza delle montagne nelle quali erano incastonate: alte e ghiacciate, stagliavano le loro cime contro il pallido cielo di neve, quasi a voler sfidare i viaggiatori, a minacciare la loro esistenza, rendendoli piccoli nel gioco dell'universo.

Sul fondo invece si intravedevano antri contorti e spigolosi, che mostravano squarci oscuri nel gelido candore.

Aseth lo esortò con un cenno dei suoi, uno di quelli che quasi non scorgevi se non sapevi dove guardare: «Andiamo.»

«Dici che sono lì dentro?»

«Se fossero qui fuori sarebbero morti entrambi.»

Il viso di Conrad sbiancò, terrorizzato all'idea di averla persa per sempre. Poi si riebbe, l'espressione diventò dura e sicura: Eròma doveva essere viva, doveva salvarla, non era troppo tardi.

«Andiamo» disse lui stavolta, incamminandosi per primo verso la caverna.

Appena entrati, li avvolse un'oscurità e un silenzio opprimenti: lasciarono alle loro spalle, infatti, il bianco accecante della neve e l'ululato del vento che aveva sferzato i loro corpi fino a quel momento.

«Aspetta,» Conrad bloccò il braccio dell'amico con una mano, «resta qui. Non voglio che corri altri pericoli a causa mia.»

Aseth sghignazzò spavaldo: «Addentrati in queste caverne senza di me e perderai la strada dopo pochi metri.»

Lo straniero fissò quegli occhi color dell'ambra, sicuri, senza il minimo accenno della paura che avevano quelli dei suoi compagni; forse Aseth era solo un pescatore, ma di sicuro aveva più coraggio di tanti altri uomini che aveva incontrato sul suo cammino. Si rassegnò all'evidenza, lasciandogli andare il gomito: «Non l'avrò mai vinta con te, vero?»

«Tu provaci» lo sfidò strafottente. Poi mosse qualche passo verso l'interno della grotta, assicurandosi che l'altro mettesse i piedi dove gli indicava di volta in volta.

A un certo punto, quando ormai non arrivava nessun suono alle loro orecchie, se non quello dei loro cauti passi, si accorsero della presenza di un soffio ritmico, come il fruscìo del vento tra gli alberi, ma più sommesso.

I due viaggiatori si scambiarono un'occhiata, quasi a sottolineare che sì, erano vicini al loro obiettivo.

Voltarono un altro angolo e un altro ancora e Conrad seppe che il suo nuovo amico aveva ragione: non ce l'avrebbe mai fatta da solo ad arrivare fin lì.

E poi la videro.

In un'insenatura di qualche metro più grande rispetto all'ingresso della caverna — lo spazio più grande in cui erano stati lì dentro — era rannicchiata l'enorme figura del drago, illuminata a malapena da un'apertura irregolare della parete.

Aseth la osservò attentamente, in minima parte intimorito dalla sua maestosità, perché maggiormente colpito dai dettagli che ne componevano l'aspetto: grandi squame verdognole, che in determinati incavi viravano verso il viola, ricoprivano interamente quel corpo di rettile; le palpebre erano socchiuse su iridi gialle e sottili; il suono che avevano udito era il fiato caldo e pesante che sbuffava dalle larghe narici; gli artigli neri erano in parte conficcati nel terreno umido che fungeva da pavimento di quel luogo da migliaia di anni.

Fece fatica a ricordare perché fossero lì e che quella creatura in realtà era una povera fanciulla da salvare.

Conrad invece, al suo fianco, fremeva; la vista così ravvicinata della sua amata Eròma, ridotta in quelle condizioni bestiali, gli fece inumidire gli occhi di lacrime di rabbia e compassione. Scorse il malefico guinzaglio di acciaio che le circondava il collo e la rendeva succube di quel mostro e le dita gli tremarono per la collera.

Sordo agli avvertimenti del suo compagno di viaggio, corse da lei, in preda alla fretta di portarla via di lì: «Eròma! Eròma!» chiamò, lanciandosi ad accarezzarle il muso affusolato.

La creatura sollevò la testa e aprì completamente gli occhi da rettile, fissandoli in quelli marroni dell'uomo che un tempo, la donna che era, aveva amato; sembrò forse riconoscerlo, sembrò assumere addirittura un'espressione contrita, sembrò soffrire per la sua condizione e per quella di lui.

Aseth la osservava e si chiedeva se la mente della ragazza fosse ancora lì dentro, in qualche modo.

«Ma che scena straziante!» Una risata derisoria si prese gioco dei due amanti sfortunati.

I due uomini si voltarono per individuare la direzione dalla quale proveniva quella voce sgradevole: una figura avvolta da pelli e mantelli venne fuori dall'ombra, quasi fluttuando, o forse lo stava davvero facendo, grazie alla magia.

«Elam...» digrignò tra i denti il lord.

«Non avrei mai creduto che ti saresti spinto fino a questo punto.»

«Arriverò dovunque per lei!» urlò l'altro, esasperato e ormai preda dell'ira.

Ma Elam rise, come se in realtà avesse a che fare con un ragazzino capriccioso: «Potrai pure essere qui, ma lei non sarà mai tua. Non è neanche più se stessa...» Si voltò a guardare il drago con un'espressione di commiserazione sul volto.

«Che c'è? Non avevi previsto che le cose sarebbero andate in questo modo, quando l'hai trasformata?» La voce possente di Aseth riecheggiò nei meandri della montagna, attirando su di sé la curiosità del mago.

«E tu chi sei?»

«Lui lascialo fuori da questa storia!» gli intimò Conrad, temendo per la vita del pescatore.

«Ma guarda un po'» riprese lo stregone, meravigliato: «C'è un'altra persona alla quale tieni, oltre te stesso!»

«Conrad non è così. Io lo conosco! L'ho conosciuto in questi giorni e so che è un brav'uomo!» Aseth difese l'onore dello straniero, senza pensarci nemmeno una volta: aveva capito di che pasta era fatto e aveva capito che la sua vera tempra stava solo aspettando di venir fuori.

Elam sogghignò ancora: «Un brav'uomo...» ripeté, come se quell'appellativo lo disgustasse. «Lui non l'avrebbe resa felice! Le avrebbe dato la ricchezza, ma non la felicità!» disse ancora, indicando quella che una volta era stata una donna.

«E credi che ora sia felice? Sul serio?» Il pescatore continuava a stuzzicarlo, a rispondergli a tono. «Guardala! Guardala, maledizione!» urlò, rattristato dalla condizione della fanciulla.

«Fa' silenzio, microbo! Lei ora è mia e non le potrà mai succedere nulla di male!»

«Sei tu il male!» La voce sicura, ma vendicativa, di Conrad attirò nuovamente l'attenzione del mago su di sé: aveva impugnato l'arco e incoccato una freccia, che ora era puntata direttamente al cuore del suo nemico.

La scoccò.

Un suono secco schioccò nell'umidità per un istante, seguito dal sibilo della freccia che fendeva l'aria.

Il trionfo splendette sul viso dello straniero, così come su quello del pescatore, ma purtroppo durò poco: Elam ebbe la prontezza di muovere una mano e bloccare, con un gesto magico, l'arma, subito prima che gli perforasse il petto.

I viaggiatori erano confusi, sorpresi: come avrebbero potuto vincere contro quell'essere?

Lo stregone invece era stanco, stanco di aver a che fare con delle nullità, stanco di doversi guardare continuamente le spalle: sollevò un braccio e una morsa invisibile imprigionò Conrad, facendogli mollare la presa sull'arco, che cadde al suolo con uno schianto.

«Lascialo andare!» urlò Aseth, correndo in suo soccorso.

Ma Elam mosse anche l'altra mano e lo sbalzò contro la parete rocciosa, investendolo di una luce bluastra e impedendogli i movimenti: «Stanne fuori, microbo!»

«No!» urlò Conrad, preoccupato per l'amico, benché fosse lui stesso sofferente in quel momento.

Una risata gutturale risalì dal profondo della gola del mago, fino a irrompere nell'oscurità della caverna: «Voi... Siete così patetici...» Strinse ancora di più l'invisibile morsa che imprigionava il lord, procurandogli ulteriore dolore. «Non avete ancora capito che io vincerò... Io vinco sempre!»

Il delirio di onnipotenza dominava il suo sguardo in quel momento, conscio che nulla possono i semplici esseri umani davanti alla magia.

Fu proprio a causa di quella sua sicurezza incondizionata che Elam non si accorse della presenza di Eròma alle sue spalle.

Il drago si era posizionato dietro di lui, sollevando il busto e spalancando le ali, per quanto quello spazio — benché costretto — lo permettesse. Le pupille erano sottili, scure fessure nelle iridi dorate.

Aseth le guardò bene e vi riconobbe l'odio per quell'essere che l'aveva resa prigioniera, nella mente e nel corpo.

Conrad la fissò e vi riconobbe l'indole battagliera della sua amata, che per altre cose, ben più banali e frivole, si era manifestata fino a quel momento, ma che ora era alimentata dal fuoco della vendetta.

Un fuoco che Eròma fece nascere nel ventre squamoso, e poi risalire in gola e che lasciò liberò dalle fauci, andando a colpire quell'uomo che di umano non aveva più nulla ormai.

Elam urlò, straziato dalle fiamme, scioccato dalla sorpresa che la stessa creatura che aveva generato gli si era rivoltata contro.

La morsa che imprigionava Conrad svanì e anche Aseth fu di nuovo libero di muoversi.

Le fiamme cessarono in una nuvola di fumo che riempì tutto lo spazio, tanto che gli occupanti si ritrovarono a tossire con gli occhi lacrimanti per il pizzicore.

«Aseth! Aseth, stai bene?» chiamò nell'oscurità lo straniero.

Ancora qualche colpo di tosse, ma la risposta del pescatore non tardò ad arrivare: «Sì, sì, sto bene... Ho la pellaccia dura, io. Non sono come te.»

Conrad scoppiò a ridere di quella battuta: se era in vena di scherzi, il suo amico stava davvero bene.

Poi una figura andò loro incontro, si avvicinò lentamente, indistinta nei fumi e nelle fiamme che ormai andavano estinguendosi.

Conrad sbatté le palpebre un paio di volte, anche perché incredulo a ciò che stava guardando: Eròma era lì, davanti a lui, un po' spaesata forse, ma era lei, nel suo vero corpo, nuda, scalza, scompigliata e bella come solo nei suoi sogni e nei suoi ricordi era sempre stata.

Gli sorrise debolmente, prima di accasciarsi al suolo.

«Eròma!» Conrad corse verso di lei e la abbracciò forte, la strinse a sé, mentre lacrime di gioia gli rigavano il volto, pulendolo dalla cenere. «Tesoro mio...» La baciò sulle labbra, morbide come dovevano essere e non fredde come quelle di una lucertola gigante.

«Conrad... mi hai trovata...» sussurrò la fanciulla, accarezzandogli una guancia.

«Non ti avrei mai lasciato a lui. Non ti avrei mai lasciato in quelle condizioni. Non ti lascerò mai più, mia amata.»

Aseth li guardò, lasciando che, per una volta, la tenerezza inondasse il suo burbero cuore e recuperando una piccola lacrima al lato di un occhio, appena in tempo per non farsi scoprire dal suo amico e dalla sua amata.

«Grazie» fu lei, infatti, la prima a rivolgere l'attenzione su di lui: «Ho visto come hai aiutato Conrad.»

La sua voce era leggera, come un fiocco di neve che danza nel vento.

«Ah, ma è stata una passeggiata...» Il pescatore si ritrovò ad arrossire, imbarazzato, anche perché si rese conto di quanto quella ragazza fosse bella e, in quel particolare momento, anche scoperta.

«No, Aseth, grazie davvero» aggiunse Conrad commosso: «Senza di te non ce l'avrei mai fatta, amico.»

«Sì, ok, va bene, basta però con le smancerie e preoccupati di coprire quella povera ragazza! Starà congelando.» Il pescatore riassunse il suo famoso tono burbero per smorzare l'emozione.

Lo straniero si tolse il mantello e avvolse la sua amata in una stretta premurosa, che aveva il dolce sapore di una promessa di felicità eterna... millenaria come quelle caverne.


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Il prompt era questo:

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