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CAPITOLO 19 | IN THIS TWILIGHT HOW DARE YOU SPEAK OF GRACE

"Do you remember when we were two beautiful birds

We would light up the sky when we'd fly

You were orange and red like the sun when it sets
I was green as an apple's eye
You said you loved all the songs that I'd sing
Like nothing that you'd ever heard
And I said I loved you with all of my heart
When we were two beautiful birds"

(Bautiful Birds - Passenger feat. Birdy)

*

Dicembre 2017

"DIO mio Kevin, perché non puoi andartene e basta?" urlo, esasperata.

Mi muovo attorno al tavolo della cucina, cercando di mettere la maggiore distanza possibile tra di noi. Lui ha addosso solo i pantaloni, e mi guarda come se stessi dicendo cose senza senso. Vattene, voglio solo piangere in pace, vorrei dirgli, è davvero così difficile da capire?

L'adrenalina del sesso è scivolata via, e adesso mi resta addosso soltanto una sensazione di dolore, acuto, continuo, sottile.

"Non finché non avremmo parlato," ribatte, deciso. Con pochi passi si muove dalla soglia e percorre la mia cucina, imprigionandomi tra le sue braccia e la credenza. "Livia, io-"

Lo schiaffo lo colpisce in pieno viso. La sua guancia è arrossata e la mia mano brucia, ma non posso permettergli di chiamarmi così. "Vuoi parlare?" esplodo. Abbasso la mano, senza dare segni di voler fuggire dalla sua prigione. Il viso di Kevin, appena voltato di lato per la forza del mio schiaffo, torna su di me. Alzo la testa, senza smettere di guardarlo negli occhi, e affondo. "Fantastico, inizia tu. Raccontami ancora una volta del tuo matrimonio in pezzi, e di come tu e tua moglie stiate ancora insieme soltanto per i figli. Coraggio, sto aspettando."

*

Gennaio 2018

Mi osservo allo specchio: viso struccato, jeans, Dr. Martens e maglione blu notte, largo e comodo - forse è un abbigliamento un po' troppo sportivo per un appuntamento con un professore, ma in fondo, cosa importa quando il professore in questione ti ha già vista nuda?

Ho lo stomaco annodato dalla tensione all'idea di quello che mi aspetta questa mattina. Non vedo e non parlo con Kevin da quasi un mese, ormai, e la sola idea di ritrovarmi con lui in una stanza chiusa mi fa salire la nausea.

Ma devo farlo. La mia tesi giace abbandonata - appunti sparsi e scritti di fretta, qualche pubblicazione scientifica ancora da leggere e un documento mezzo vuoto sul computer- e ormai so di avere trascinato la situazione il più a lungo possibile.

Faccio un respiro profondo e prendo il cappotto.

*

C'è stato un tempo - un tempo che sembra lontano un'eternità - in cui questo ufficio era il mio piccolo ritaglio di paradiso.

Ho bevuto il caffè sulle sedie davanti alla scrivania, gli appunti di filologia romanza sparsi sul legno davanti a me, ho letto romanzi e poemi accoccolata sul divano, durante quei pigri pomeriggi in cui il sole sembra faticare a tramontare. Se chiudo gli occhi, riesco quasi ad afferrare la sensazione della superficie fredda della porta che contrasta con le mani bollenti che percorrono la mia pelle nuda, o l'umido dei baci affondati sulla mia spalla mentre i miei palmi stringono il legno della scrivania.

Sbatto le palpebre e torno alla realtà, incrociando lo sguardo dell'uomo in piedi davanti a me.

Seduto alla scrivania, circondato dai fogli sparsi e da una tazza di caffè ancora fumante, Kevin alza lo sguardo e mi trova appoggiata allo stipite della porta aperta, le braccia incrociate e lo zaino buttato su una spalla sola.

Ho le guance ancora arrossate dal freddo e i capelli ancora spettinati dal vento gelido che soffiava per strada, e lui mi guarda come se mi vedesse per la prima volta. Come quel giorno in caffetteria, quando leggevo Tristano e Isotta e mi sono quasi rovesciata addosso il caffè.

Vorrei dirgli che ha perso ogni diritto di guardarmi così, ma le parole mi muoiono dentro, incastrate da qualche parte vicino al mio cuore.

*

Dicembre 2017

Siamo entrambi seduti sul mio divano, a distanza come non siamo mai stati su questi cuscini. Mi stringo le ginocchia al petto, appoggiandoci il mento e guardando la televisione spenta.

La vergogna mi brucia addosso più delle sue bugie.

"Non so come ho fatto a credere che potesse funzionare," sussurro, senza guardarlo.

Sento i suoi occhi concentrati su di me, ma non fa alcun gesto per toccarmi, e di questo almeno posso essergli grata. Potrei baciarlo o schiaffeggiarlo, non lo so.

Lo sento respirare lungamente. "Non è cambiato niente..." mi dice. Allunga appena un braccio, ma poi non ha il coraggio e lascia ricadere la mano sui cuscini del divano.

Non ha il coraggio, e non l'ha mai avuto.

"Già," rispondo, continuando a tenere lo sguardo fisso davanti a me. "Non è cambiato niente."

*

Gennaio 2018

"Questo è quello che faremo," dico decisa, camminando avanti indietro tra il divano e la scrivania.

Kevin è seduto alla sua sedia, e ogni volta in cui poso lo sguardo su di lui odio leggere nei suoi occhi quell'espressione di quieta riverenza con cui percorre la mia figura.

"Siamo adulti, possiamo essere professionali," continuo, cercando di non lasciare che l'assurdità di questa situazione blocchi il discorso che ho preparato con cura.

Mi concentro sulla tazza di caffè abbandonata sulla scrivania - devo farlo. Se lascio vagare lo sguardo per l'ufficio, rivedo ogni carezza, ogni bacio, ogni sospiro. Se guardo lui, lo rivedo passare il braccio intorno alla vita di sua moglie e chinarsi per darle un bacio.

"...io devo laurearmi, e non posso cambiare relatore..." anche se non cerco i suoi occhi, riesco quasi a percepire il suo movimento di sorpresa a questa possibilità, così mi affretto a continuare. "... non sto dicendo che voglio farlo. Ho lavorato troppo alla mia tesi per lasciare che questo," mi obbligo a muovere un dito tra di noi, trovandolo con i pugni stretti sul legno della scrivania, "... rovini ogni cosa."

Freddo, ma necessario.

Kevin non dice nulla, e io mi affretto a proseguire, la voce che è ormai poco più di un pigolio tremolante. "Non è necessario che io passi ogni volta in ufficio, possiamo- possiamo scriverci delle mail per le correzioni, insomma..."

Mi guarda, rilassando le dita. "Tutto quello che vuoi, Olivia," dice soltanto.

*

Dicembre 2017

Stiamo di nuovo urlando.

Brandisco una tazza di caffè ormai vuota come se fosse un'arma, prima di spingerla con violenza nel lavandino.

"Tutto questo è ridicolo, te ne rendi conto?" allargo le braccia, "... hai una moglie bellissima che ti adora e per cui chiaramente non hai mai smesso di provare qualcosa, due bambini stupendi, dio mio, Kevin, di cosa dobbiamo parlare, ancora? Cosa diavolo vuoi, ancora?"

"Te! È te che voglio, dannazione!" urla, scaraventando a terra una sedia.

Mi osserva, gli occhi lucidi di rabbia, il respiro affannoso e ogni nervo del corpo teso sotto le mie parole.

Attraversa la stanza a falcate rapide, e in un battito di ciglia stringe le sue mani sulle mie spalle e si avventa su di me, baciandomi con tutta la rabbia di cui è capace.

Lotto graffiando il suo petto nudo, dibattendomi nella sua stretta.

*

Gennaio 2018

Sto indossando il cappotto, preparandomi per abbandonare questo quieto campo di battaglia. Voglio solo tornare a casa e immergermi nella vasca bollente, lasciando che l'acqua calda lavi via questa mattinata eterna.

"Oh, aspetta." Kevin torna alla scrivania e io mi ritrovo a fissarlo interrogativa, mentre fruga tra un paio di cassetti. "... quasi dimenticavo..."

Inclino appena la testa, senza sapere cosa aspettarmi, quando lui riemerge dalla sua ricerca tenendo in mano un pacchetto rettangolare, avvolto in carta rossa e verde. Oh, no. Sembra quasi rimpiangere il suo gesto nel notare i miei occhi spalancati, ma poi tende il pacchetto verso di me.

"Lo avevo comprato prima," mi dice, un accenno di sorriso triste sul viso. La sua voce è ruvida e morbida, com'era la carezza delle sue dita. Percependo tutta la mia indecisione, aggiunge, più deciso, "... prendilo, ti prego. Ci tengo che lo abbia tu."

Tremolante, prendo il pacchetto dalle sue mani. Il peso, la forma. È un libro, e a me fa già male il cuore.

"Non posso aprirlo adesso," sussurro. Qui, con te che mi guardi con quegli occhi, è quello che vorrei dire davvero. Un libro non è mai soltanto un libro.

Annuisce. "Lo so." C'è una pausa che si snoda interminabile, lunga e densa di significato. "Mi dispiace."

Ricambio il suo mezzo sorriso. "Lo so. Anche a me."

*

Dicembre 2017

Kevin è seduto al tavolo della mia cucina. Si passa le mani sul viso, e quando cerca il mio sguardo ha gli occhi lucidi. Stavolta sono io ad essere appoggiata con la spalla allo stipite della porta della cucina, le braccia incrociate e i piedi nudi sul parquet.

"Il mio matrimonio è complicato, Olivia," dice soltanto. "Quello che hai visto quel giorno, per strada..." mormora, "... io e Jane non eravamo così... felici da tanto, tanto tempo."

Mi passo le mani tra i capelli, distrutta. "Sono contenta per te," dico in tono piatto. Deve andarsene da qui, perché so di star per crollare a pezzi da un momento all'altro. "... dovresti tornare da lei, da Sam e Lucy," aggiungo. Kevin mi guarda, e per un istante è come se fosse completamente catturato dal sorriso triste e lieve che si affaccia sulle mie labbra. "Torna dalla tua famiglia, Kevin."

"Sei tu la mia famiglia," ribatte, amaro.

Sbatto le palpebre, e sento gli occhi farsi umidi. Non sono più arrabbiata, sono solo stanca, stanca, stanca.

"Se non fosse che sappiamo entrambi che non è così."

*

Gennaio 2018

Quando arrivo a casa, aspetto.

Faccio un bagno caldo, eterno, affondando nell'acqua e nei sali profumati. Mi pettino i capelli con lentezza, sciogliendo i nodi con le mani e poi con la spazzola. Uso quella crema costosissima e profumata alla lavanda che Cece mi ha regalato per Natale, e poi mi preparo una tazza di tè, ignorando l'ora di pranzo.

Aspetto, il regalo ancora incartato abbandonato sul tavolino.

Rimango in salotto tutto il pomeriggio, vestiti comodi e una coperta di lana, a guardare alternativamente il soffitto e noiosi programmi in televisione. Il sole tiepido dell'inverno è già calato da un po' quando mi decido.

Schiudo le labbra mentre rivelo una copertina fatta di intricati toni di verde. Ricordo di Kevin che mi scrive di aver trovato il menù del mio ristorante thailandese preferito nella sua copia dell'Edda, tanto tempo fa. Ricordo di aver avuto l'abitudine di leggere da quel libro fino a tarda sera, nel suo ufficio, mentre lui preparava le sue lezioni.

Sfoglio il libro con reverenza, fino a che una pagina con un piccolo orecchio attira la mia attenzione. Un groppo stretto mi preme sulla gola mentre percorro i versi con lo sguardo, fino ad incagliarmi su poche righe segnate da un tratto di matita.

Un libro non è mai soltanto un libro, e finalmente posso lasciarmi andare mentre i miei occhi si riempiono di lacrime.

*

"That wise girl

was my flesh and my heart

though I could not call her my own."

(Havamal, Poetic Edda - traduzione di Jackson Crawford)





Dunque, gli abbondanti aggiornamenti di questa settimana sono arrivati alla fine, e dalla prossima si riprende con il consueto venerdì, per di più con un capitolo cross-over tra tutte le storie di This_is_a_puzzle (il motivo per cui questa settimana ho pubblicato come un'ossessa, avevo un sacco di cose da far succedere e non ci stavano proprio in un unico capitolo)

Fatemi sapere cosa ne pensate di questo capitolo, ogni commento è ben accetto! Ci vediamo la prossima settimana per un densa serata al Nelson! ;)

Holly

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