DICIOTTO

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CAPITOLO 18 | A WHITE BLANK PAGE AND A SWELLING RAGE

"Leave all your love and your longing behind

You can't carry it with you if you want to survive."

(Florence + The Machine - Shake it out)

*

DOPO Natale, le vacanze sono state principalmente lunghi pomeriggi in compagnia dei miei nipoti a rileggere Harry Potter e ad abbuffarci di cioccolata.

Ho passato una buona mezzora, una sera in cui Esme e Dylan sono usciti a cena e i bambini erano in salotto a guardare Brave - ci sono mille e più modi per punirsi, e io li conosco tutti -, a scribacchiare sull'agenda i miei progetti per gli esami da sostenere, a gennaio e febbraio. Organizzazione dello studio, libri da riassumere, schemi da preparare. Sono brava in questo genere di cose. Poi mi sono ricordata dei punti interrogativi sugli appunti per la mia tesi, e improvvisamente mi è venuto da vomitare.

È un discorso che andrà fatto, eccome. Finché sono al sicuro in Irlanda, però, voglio fingere che i problemi siano tutti chiusi in una scatola, sepolta sotto il letto del mio appartamento a Oxford.

*

Cece arriva da Dublino all'improvviso qualche giorno prima della mia partenza, portando con sé costosi regali tardivi e racconti dei peggiori incidenti natalizi che ha visto nella sua sala operatoria. Spinte dall'ondata di vitalità che quella straniera di mia sorella ha portato nei nostri pigri pomeriggi casalinghi, io, lei e Esme decidiamo di trascorrere una serata al pub, a ingozzarci di birra e patatine fritte e a salutarci come si deve prima che il lavoro, l'università e la vita ci separino di nuovo.

Mi faccio strada tra il chiasso allegro del pub per ordinarmi una birra e il ragazzo biondo appoggiato al bancone mi rivolge un sorriso gentile quando scivolo trattenendo il respiro tra lui e un altro avventore, finendo per dargli una gomitata nelle costole.

"Scusami," parlo a mezza voce, ben sapendo che anche se urlassi non servirebbe a sovrastare la musica e le risate che riempiono il locale.

Il sorriso gentile è appena accennato e ancora sulle sue labbra quando mi dice figurati, e io mi ritrovo a ricambiare la sua espressione. I suoi capelli biondo scuro sono spettinati e colorati dei riflessi delle luci ambrate del locale, un connubio perfetto con la sua pelle abbronzata. Oh.

Arrossisco e distolgo lo sguardo all'improvviso, colta di sorpresa dalla catena di immagini vivide che fioriscono nella mia mente. La risata calda e divertita dello sconosciuto mi riempie le orecchie.

Cosa stai facendo, Holly?

Esme e Cece mi aspettano al tavolo di cui ci siamo fortunosamente appropriate, confuse da qualche parte tra la folla e la musica di questo affollato venerdì sera.

Puoi anche smetterla di comportarti come se ci fosse qualcuno ad aspettarti, a casa.

Mi sento in colpa. E sono arrabbiata, perché mi sento in colpa.

Perché la verità è che non c'è mai stato nessuno ad aspettarti, a casa.

Tamburello con le dita sul bancone, in attesa di riuscire ad attirare l'attenzione del barista e cercando di non guardare più il ragazzo dai morbidi occhi chiari il cui avambraccio sfrega contro il mio nella linea affollata di clienti in attesa al bancone.

Quando torno al tavolo, Esme e Cece hanno la stessa espressione saputa sul viso.

"Cosa c'è?" chiedo innocentemente, bevendo un sorso di birra.

Cece assapora un sorso del suo whiskey, inclinando appena la testa all'indietro come ho visto fare solo a mio padre. "Ti abbiamo vista mangiarti con gli occhi il biondino al bancone, sorellina," mi dice sorridendo e riappoggiando il bicchiere sul tavolo.

Esme annuisce, e io faccio vagare il mio sguardo incredulo tra le due, sentendo il rossore allargarsi a chiazze sulle mie guance. "Non è vero!" mi ribello, mortificata. "E poi c'è un sacco di gente, come hai fatto-"

Mi interrompo prima di imbarazzarmi ulteriormente, e butto un'occhiata indietro, al bancone del bar. Pessima mossa. Lo sconosciuto è ancora là, ma è seduto su uno degli sgabelli alti, e guarda esattamente nella mia direzione, bevendo lentamente dalla sua birra. Oh, merda.

Quando torno a voltarmi verso le mie sorelle, fanno decisamente fatica a trattenere le risate. Mi passo le mani sul viso, alla ricerca del lato divertente di questa situazione.

"E' molto carino, in effetti," nota Esme, sporgendosi appena oltre la mia figura per osservare lo sconosciuto. "Hai buon gusto, Holls."

Disperata, le tiro una patatina fritta. "Dio, che imbarazzo."

Esme mi rilancia la stessa patatina, e arriccia le labbra disgustata quando me la metto in bocca.

"Deduco quindi che le cose con il tuo bel barista di Oxford non stiano andando poi troppo bene?" mi chiede Cece, accavallando le gambe e muovendo appena il whiskey rimasto nel bicchiere.

Il mio bel barista di Oxford, quale- oh!

Improvvisamente, ricordo cosa ho raccontato alle mie sorelle l'ultima volta in cui sono tornata a casa e abbiamo avuto la malaugurata idea di chiacchierare di uomini.

"Io, no, sì, cioè, non saprei," balbetto meravigliosamente, scatenando l'ilarità delle mie sorelle. Sono completamente impreparata a questa conversazione, così mi rifugio nella mia birra. Esme, che sembra avere pietà di me, mi dà un buffetto sulla guancia e sposta la conversazione sull'ultima mirabolante avventura di Cece, di cui ci stava raccontando prima che mi allontanassi per prendere da bere.

Le loro voci allegre si uniscono al sottofondo di chiacchiere e musica del pub, mentre completamente dimentica dello sconosciuto al bancone del bar mi ritrovo a giocare con quello che resta delle patatine fritte, trascinata dai ricordi di un'altra serata, in un altro pub.

Un sorriso spontaneo affiora sulle mie labbra al pensiero di James che mi chiama ragazza di Galway. Il rossore sulle mie guance, ormai quasi scomparso, ritorna al ricordo della sensazione del suo tocco che scivola sulla mia spalla e delle sue parole, pronunciate con lentezza e la voce piena di malizia.

"... potrai tornare e avere un assaggio di Scozia."

In questo momento, pensare alla Scozia sembra una deliziosa punizione per le mie ovaie, piuttosto che per il mio cuore.

Ringrazio mentalmente James, capace di scacciare la mia consueta amarezza anche da un'altra nazione, e finisco la mia birra, decidendo che la prossima sarà una Gordon.

Come assaggio di Scozia può bastare. Per ora.

*

All'inizio, tornare a Oxford è solo triste.

Tutto l'amore che ho sempre provato per questa città e che nonna Marie mi aveva dolcemente trasmesso sembra perso inevitabilmente. Kevin è da nessuna parte e dappertutto.

Le ore trascorrono lente durante i miei turni a La Libellula, e ogni volta in cui la campanella all'ingresso annuncia l'arrivo di un nuovo cliente alzo gli occhi, terrorizzata al pensiero di trovarmelo davanti. La scatola dei problemi inizia a fare capolino da sotto il letto, e mentre inizio a concentrarmi sullo studio per sbarazzarmi di più esami possibili, i punti interrogativi sulla mia tesi aumentano, rimanendo senza risposta. L'unica cosa che so è che non potrò fare finta di niente per sempre, anche se al momento è bello crederci un po'.

A peggiorare le cose, la mia totale, devastante frustrazione sessuale. È imbarazzante. Sono stata abituata troppo bene, credo, sessualmente parlando, e ora che sono sola con me stessa il mio corpo si rifiuta di collaborare. Normalmente, la mia immaginazione funziona sempre più che alla perfezione, e trovare un po' di sollievo almeno in quel frangente della vita non è mai stato un problema. Adesso, qualsiasi sia la fantasia intricata che costruisco nella mia testa in partenza, la mia mente non riesce a fare nient'altro che produrre torbidi ricordi di me e Kevin nei nostri momenti migliori e stop, il tutto non va a finire da nessuna parte. A quanto pare, fantasticare sul professore di filologia romanza con cui hai vissuto una travagliata storia d'amore per più di due anni e che hai cacciato dal tuo appartamento dopo averlo visto a passeggio in strada felice e contento con moglie e figli non è un buon modo per raggiungere l'orgasmo. Chi l'avrebbe mai detto.

Per lo meno, i miei nuovi vicini mi rallegrano un po', perché sono chiaramente degli squilibrati.

L'incontro con l'uomo nudo sul balcone e il lampo della furia dai capelli rossi che lo aveva agguantato per trascinarlo dentro mi aveva già lasciata con qualche sospetto, ma a togliermi ogni dubbio è stata la domenica mattina in cui ho deciso di fare sfoggio di tutte le buone maniere da perfetta vicina con cui mia madre mi ha educata: mi sono alzata alle sei e mezzo e ho preparato una oscena quantità di biscotti con le gocce di cioccolato - chi voglio prendere in giro? Divorerò tutti quelli avanzati in pigiama, piangendo davanti a 500 Days of Summer su Netflix.

Se ci ripenso non riesco a trattenere il sorriso.

Squilibrati, chiaramente. Terribili, adorabili squilibrati.

*

Suono il campanello con una mano, reggendo con l'altra il mio piatto stracolmo di biscotti ancora tiepidi e pensando che forse dovrei passare a lasciarne un po' anche alla signora Bloom, che è stata così gentile da prestarmi lo zucchero che mi serviva.

La porta si apre dopo appena qualche istante, e il mio migliore sorriso e la frase d'esordio che mi ero preparata per non sembrare completamente pazza muore sulle mie labbra alla vista di quello che appare sulla soglia. Davvero, l'uomo nudo dovrebbe smetterla di entrare nel mio campo visivo in vesti adamitiche o poco più: in questo caso, ha addosso soltanto un asciugamano bianco, e nient'altro. Mi dice qualcosa che ignoro, impegnata come sono a percorrere risalendo dal suo ombelico ogni centimetro di pelle esposta che riesco a trovare - cosa posso farci? È troppo per il mio povero cuore - cuore, adesso lo chiamano così, penso, archiviando questa visione in una parte del mio cervello che spero la mia mente sia presto in grado di riutilizzare per le mie, ehm, sedute spirituali con me stessa.

Ha un morso sul collo. Aggrotto le sopracciglia e inclino appena la testa, perplessa, pensando che la furia rossa deve esserlo davvero, una furia. Beata gioventù.

"Oh, non è niente," mi dice, sorridendomi con noncuranza. Arrossisco, perché me lo sono mangiato con gli occhi fino a questo momento e lui mi ha lasciata tranquillamente fare. Grazie, uomo nudo. "... mi ha morso un cane."

Cosa?

Mi racconta tranquillamente di essere stato morso da un corgi: la conversazione si sta facendo seriamente surreale fino a quando il suo sguardo non si abbassa sul mio piatto di biscotti.

"Ah, già!" gli dico, recuperando un minimo di parola. Sorrido amichevolmente, allungandogli il piatto. "Mi chiamo Olivia, abito qui di fianco. Non ci eravamo ancora presentati."

Mi invita ad entrare, ricambiando il mio sorriso.

L'appartamento profuma di spezie e fumo. L'uomo nudo mi conduce in salotto, dicendomi di chiamarsi Tom e di fare come se fossi a casa mia. Mi sto sistemando sulla poltrona che sembra più comoda, quando incrocio lo sguardo della figura femminile sulla soglia della stanza. La furia rossa è alta, longilinea e stretta in un accappatoio: è bellissima, e io realizzo all'improvviso che probabilmente non sono gli scozzesi il mio punto debole, ma i capelli rossi. Quello, o la mia frustrazione sessuale inizia a prendere il controllo del mio cervello.

Mi ringrazia per i biscotti e io le sorrido, entusiasta, perché tutto in questo appartamento è così assurdo e allo stesso tempo allegro da farmi sentire piena di energia come non lo ero da tempo. Si offre di preparare il tè per accompagnare i miei biscotti, e mentre lei e Tom si ritirano verso la cucina riesco a vederla che lo afferra per un braccio - è un'abitudine, a quanto pare - sibilandogli un meglio se prima andiamo a vestirci, che ne dici?, che solo per poco non mi fa scoppiare a ridere.

*

Qualche chiacchiera dopo, ho scoperto che la furia rossa si chiama Sibyl e ho detto ad entrambi che possono chiamarmi Holly.

I biscotti sul piatto continuano a diminuire e così il tè nelle nostre tazze, mentre Sibyl mi racconta che studia anche lei ad Oxford da quest'anno. Scienze storiche. In più, a quanto pare ha iniziato a lavorare part-time alla biblioteca dell'università. Le racconto de La Libellula, e ci promettiamo a vicenda di passare a farci un saluto sui rispettivi posti di lavoro. Sul tavolino del salotto giace abbandonato un manuale di storia moderna che sembra aver conosciuto giorni migliori: Sibyl mi dice di avere l'esame la settimana prossima, e io le racconto un po' di quando ho dovuto prepararlo per la triennale. Ci scambiamo aneddoti e opinioni sotto lo sguardo stralunato di Tom, che probabilmente preferirebbe sentirci parlare di qualsiasi cosa che non fosse l'università. Lui e Sibyl sono adorabili.

"Tu cosa studi, Holly?" mi chiede lei, addentando un biscotto.

"Filologia," rispondo. Abbasso lo sguardo sulla mia tazza, cercando di evitare che la filologia si porti via tutto il mio buon umore. Buffo come la ruota giri, certe volte.

Quando rialzo la testa, Sibyl e Tom si stanno guardando, preoccupati per il mio improvviso silenzio. Li osservo, chiedendomi se anche io e Kevin ci siamo mai guardati in quel modo - intensamente, come se fossimo stati capaci di comunicare senza le parole. Sì, decisamente sì.

"Siete davvero carini," dico con un mezzo sorriso. "E' tanto che state insieme?"

Quello che segue alla mia frase innocente è il caos: rispondono contemporaneamente un allarmato oh no no no, Sibyl ride istericamente, Tom la pizzica chiedendole cosa ci sia di tanto ridicolo e poi finisce per rabbuiarsi all'improvviso quando lei ribadisce che sono amici, soltanto amici.

Sospiro, sorridendo appena a questi due squilibrati a cui mi sono irrimediabilmente già affezionata, rifugiandomi nella mia tazza di tè.

Solo amici, certo.

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