DODICI

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CAPITOLO 12 | GLASGOW

2017

"We will be who we are, and they'll heal our scars, sadness will be far away."

(Mumford and Sons feat. Birdy - Learn me right)

QUEST'ANNO il XXIX Congresso Internazionale di Linguistica e Filologia Romanza si svolge all'Università di Glasgow: le più grandi menti moderne - nazionali e straniere - del sapere umanistico si incontrano nella suggestiva cornice di un istituto imperturbabile dinanzi al tempo che scorre, per fare il punto sulla situazione attuale della ricerca filologica e linguistica.

Al telefono, mio padre sembrava particolarmente confuso dal mio entusiasmo. Tutto quello che ti rende felice, piccolina, mi ha detto, mentre io mi aggiravo per casa mettendo in valigia i vestiti adatti alle piogge di Glasgow e Kevin mi osservava con un sorriso dal divano, una tazza di tè bollente tra le mani.

Il mio relatore ha detto che mi sarà utile per la tesi, gli ho spiegato, facendo una linguaccia silenziosa all'uomo nel mio salotto e guardandolo ammiccare per tutta risposta, prima di bere un ponderato sorso di miscela indiana.

Non è una bugia: quando abbiamo registrato la nostra partecipazione, sul finire dell'estate, io e Kevin abbiamo parlato a lungo dell'utilità che i contributi di alcuni partecipanti al congresso avrebbero potuto dare alla mia tesi. Al punto a cui sono arrivata ora, posso effettivamente dire che ci saranno un paio di professori che dovranno - ahi loro! - rispondere a molte delle mie domande.

Cinque giorni di incontri, conferenze, tavole rotonde e seminari dedicati ai più svariati argomenti abbracciati da linguistica e filologia. Cinque giorni di Kevin, tra le mura dell'edificio che lo ha visto crescere, formarsi e affermarsi come studente prima, professore poi.

Ogni parte di me - la diligente studiosa e l'innamorata appassionata - scalpita all'idea di partire.

"Tra quanto dobbiamo essere in aeroporto?" chiedo dopo aver chiuso la telefonata con mio padre, aggirandomi tra salotto e stanza da letto per piegare altri vestiti.

Kevin mi segue fino in camera, rimanendo appoggiato allo stipite della porta - la tazza da tè ancora tra le dita - e osservandomi mentre frugo tra i cassetti dell'armadio. "Un'ora, un'ora e un quarto," mi risponde, "... ti serve una mano con la valigia?"

"No, solo..." da inginocchiata davanti ai cassetti, mi rialzo con un sorriso soddisfatto, "... trovata!" esclamo. Stringo al petto la maglia blu dell'Università di Glasgow.

Quando gli passo accanto per tornare in salotto, dove la mia valigia giace aperta e ancora mezza sfatta accanto al divano, Kevin mi agguanta con la mano libera, premendomi contro di lui e baciandomi tra i capelli.

Sorrido, sfregando la guancia contro la sua, ruvida di barba, e rubandogli dalla mano la tazza di tè, prima di zampettare verso la valigia.

*

Il naso all'insù e gli occhi spalancati, faccio fatica a contenere il mio entusiasmo. Io e Kevin stiamo camminando sotto uno dei portici di un chiostro: studenti di fretta ci sfiorano e procedono oltre, completamente insensibili alle meraviglie circostanti. Abitudine, immagino - persino io non dedico più un secondo sguardo ai corridoi di Oxford, forse.

"Così ti piace, mh?" mi chiede Kevin con un sorriso, lo sguardo pieno di affetto mentre io faccio una piroetta su me stessa, attirandomi l'occhiataccia di una classe di passaggio, probabilmente verso un'altra lezione. Devo essere davvero ridicola - la mia treccia ordinata, il vestito di tartan sotto il cappotto e le calze di lana spesse, in totale contrasto con la mia eccitazione incontenibile.

"Sembra Hogwarts!" proclamo allegra, come se questa frase potesse effettivamente spiegare quanto mi piaccia l'Università di Glasgow - nella mia testa, lo fa.

Kevin ridacchia e mi raggiunge con due rapide falcate, tenendo senza problemi il passo del mio saltellare. Mi prende sotto braccio, guidandomi verso un corridoio a sinistra. "Forza, Livia, per di qua," mi dice, la voce ancora calda dalla traccia di risata che è rimasta.

Sbuffo in modo teatrale, pizzicandogli il braccio. "Grifondoro guastafeste," borbotto all'aria fredda dell'inverno, il sorriso sulle labbra.

2014

"And these figertips will never run through your skin,

and those bright blue eyes can only meet mine

across the room filled with people that are less important than you."

(Of Monsters and Men - Love, love, love)

Il tempo corre troppo in fretta.

Le vacanze di Natale sono arrivate: in libreria abbiamo addobbato gli scaffali con ghirlande verdi e bacche rosse, e alla cassa ho imparato ad arricciare i nastri dei pacchetti con le forbici in un modo che non facesse storcere il naso a molti clienti - e anche a Will, a dirla tutta.

Da quel giorno nell'ufficio di Kevin, le lezioni di filologia romanza sono state una tortura - deliziosa, desiderata tortura.

Settimane ad ascoltarlo, incantata, raccontare delle imprese Rolando e Oliviero, della tragica fine di Isotta e Tristano e dell'amore di lontano di Jaufrè Rudel. Quella mattina, a lezione, quando ha recitato in classe quella lirica a voce alta, e guardandomi negli occhi ha letto il verso "mas so qu'ieu vuelh m'es atahis" (1), lo sguardo lucido e in fiamme, ho dovuto abbassare il viso e rifugiarmi negli appunti, il groppo del pianto che premeva sulla gola.

Incantata, . E con il cuore spezzato.

Dalla sua confessione, non abbiamo più parlato. Ho evitato con cura il suo ufficio, la biblioteca, metto la giacca e me la do a gambe appena la lezione finisce, raccogliendo le mie cose in fretta e furia. Quelle due ore, al mattino, sono l'unico momento della giornata in cui lascio a quest'uomo il completo dominio della mia mente e della mia anima - dopotutto, "Tristano, se avessi potuto parlarti, non mi sarebbe importato morire" (2).

La sua confessione, oh, la sua confessione. La confessione dei suoi sentimenti, la confessione di avere una moglie, la confessione di avere dei figli. Cos'altro abbiamo da dirci? Eppure, ogni volta che il suo sguardo incontra il mio, in mezzo all'aula, il mio cuore spezzato non si arrende.

Toccami, stringimi, amami.

*

Oggi è stato l'ultimo giorno di lezione, e questa sera è il mio ultimo giorno a La Libellula prima di un po' di ferie per Natale.

Domani mattina parto per l'Irlanda: verso Galway, verso casa. La mia famiglia mi aspetta per trascorrere insieme le feste fino al nuovo anno, e io non sto più nella pelle all'idea di riabbracciarli tutti. Ieri Dylan mi ha mandato una foto dei piccoli Charlie e Liam, tra le braccia di Esme. Mi sono sembrati così cresciuti, dall'ultima volta in cui li ho visti, da farmi venire voglia di mollare tutto e di saltare sul primo aereo, per non perdere un altro minuto.

Sono seduta alla cassa, a gambe incrociate e con la coda dell'occhio sempre verso l'orologio - alle sette e mezzo è ora di chiudere tutto e abbassare le serrande, e oggi sono sola. Mancano soltanto dieci minuti, ormai, mi avanza giusto il tempo per rileggere un'altra volta il libro che ho portato con me dalla lezione di stamattina.

Il modulo B di filologia romanza, dopo un agile andirivieni tra epica, romanzo e lirica, si è concluso oggi con un lai di Maria di Francia. Kevin lo ha letto per noi, come ha sempre fatto durante il corso per i componimenti più brevi o gli estratti scelti, ed è stato un momento così intimo e personale che una volta finito tutto ho dovuto comprare l'intero libro di componimenti, nella speranza di placare il mio cuore.

Adesso che sono qui con il volume dei "Lais di Maria di Francia" appoggiato sulle gambe, nonostante abbia a disposizione un nutrito elenco di liriche, i miei occhi continuano a tornare sulle parole che la voce ruvida di Kevin ha letto questa mattina - Chievrefoil (3).

La porta d'ingresso del negozio si apre con un trillo di campanelli, e io ho solo un istante per domandarmi perché qualcuno decida di passare in libreria, allo scoccare delle sette e mezzo del ventidue dicembre, quando alzo la testa e oh, altrettanto all'improvviso ho la mia risposta.

È Kevin.

Chiudo il libro e mi alzo lentamente in piedi, non riuscendo a distogliere lo sguardo dalla sua figura. Lui è immobile al centro dell'ingresso, le guance arrossate per il freddo dell'inverno che aspetta, oltre le porte della libreria.

Pensavo di aver chiuso le mie emozioni in una scatola, dopo questa mattina, e di avere davanti a me qualche settimana per assaggiare la solitudine e provare a dimenticare. Ma la verità è che l'unica cosa che vorrei assaggiare è la sua bocca, e mettere il mare d'Irlanda tra di noi non servirà a nulla.

"Ehi."

"Ehi."

Guarda l'orologio appeso alla parete, rompendo i nostri sguardi, legge l'ora e si gratta la nuca, in imbarazzo. "So che stai per chiudere, ma oggi era l'ultima lezione, tu sei scappata via, e io volevo solo..." prende un lungo respiro, la mano che scivola tra i capelli, "... salutarti, dio, che idiota..." si interrompe, forse alla ricerca delle parole più giuste.

Per una volta, sorprendentemente, sembra non trovarle.

Per una volta, sorprendentemente, sembro averle io.

Perché se davvero si ama qualcuno, è semplice.

"Sono contenta di vederti," dico soltanto.

Mi sorride, e io ricambio la sua espressione.

Siamo il nocciòlo e il caprifoglio.

*

Avveniva di loro due

Come del caprifoglio

Che si avvinghia al nocciòlo:

quando si è attaccato e stretto

e attorcigliato al fusto,

assieme possono durare a lungo,

ma se uno li separa,

allora il niocciòlo subito muore

e il caprifoglio lo stesso.

"Mia bella amica, così è di noi:

né voi senza di me, né io senza di voi."

(Maria di Francia, Chievrefoil, 68-78)

*

(1) "Ma ciò che voglio mi è vietato" - Jaufré Rudel, Lanquan li jorn son lonc en mai

(2) Thomas, Tristan et Yseut, 1627-1628

(3) Maria di Francia, Chievrefoil

BONUS: "Perché se davvero si ama qualcuno, è semplice." - "Because if you really love someone, it's simple." - Jessica Day, New Girl

2017

L'inaugurazione del Congresso prevede un rinfresco per l'apertura dei lavori, che inizieranno soltanto nel primo pomeriggio, dopo il discorso del capo del dipartimento umanistico - chiunque abbia pensato di nutrire gli studiosi effettivamente prima delle conferenze è un genio, penso, sorseggiando vino bianco da un flûte da cui a mala pena mi ci passa il naso.

La sala è ampia e luminosa, con il pavimento di intarsi di marmo, il soffitto affrescato e la luce che entra dalle vetrate spaziose che corrono lungo i lati, gettando nuove sfumature di chiaroscuro su ogni elemento architettonico. È una gioia per gli occhi, anche per me che sono nata senza senso artistico.

A mezzo passo da me, a rispettosa distanza, Kevin mi offre una minuscola tartina al salmone affumicato.

"Colazione come Scozia comanda, versione per ricchi," commento, addentando un morso della mia tartina con la mano che non tiene il bicchiere, "... affascinante."

Mi sorride, nel sottofondo del brusio delle conversazioni che si snodano tra docenti, studenti e dottorandi. "Conserva la tua lotta alla borghesia per un'altra occasione," ridacchia, invadendo appena il mio spazio vitale per togliere una briciola di tartina dal mio vestito.

I suoi occhi chiari sono limpidi di felicità, e io non l'ho mai trovato più bello che in questo momento. Uno sguardo complice corre tra di noi - se qualcuno posasse gli occhi su di noi, ora, realizzerebbe di quanto la nostra intimità vada oltre l'essere un professore e una studentessa.

"Kevin!"

L'improvvisa voce femminile mi porta a muovere un mezzo passo indietro, recuperando tutta la mia compostezza. Una donna avanza verso di noi a falcate decise, i lunghi capelli rossi liberi sulle spalle e un sorriso sulle labbra, le braccia appena allargate.

Interrogativa, volto lo sguardo verso Kevin, trovando il suo sguardo concentrato su di lei mentre un sorriso altrettanto entusiasta si allarga sul suo viso. "Moira!"

Si muove verso di lei e si abbracciano, baciandosi calorosamente sulle guance. Finisco il mio bicchiere di vino e lo appoggio sul tavolo alle mie spalle, osservandoli e ascoltandoli scambiarsi cortesie, incuriosita - come stai? - Pensavo fossi a Oxford questa settimana! - Non riusciamo mai a incrociarci - Sono davvero felice di vederti! - Hai una conferenza in programma, vero?

Dall'atmosfera amichevole che traspare dalle loro interazioni, devo essere - o devono essere stati, comunque - molto in confidenza. Lei è assolutamente perfetta nel suo vestito blu notte, con un sorriso così affabile e luminoso da farmi domandare all'improvviso a cosa servano tutte queste vetrate.

La gelosia non mi sfiora neppure - ripenso a un tempo distante in cui ho visto Kevin parlare con la professoressa Morris, il giorno della prova scritta di filologia romanza. Riderei, se il pensiero aggrappato a questo non fosse così amaro - quando sei l'amante di un uomo sposato, quale gelosia puoi permetterti?

Il posarsi dello sguardo di Kevin e della donna sconosciuta - Moira - su di me mi strappa ai miei pensieri.

"Olivia, lascia che ti presenti," mi chiama. Docilmente, mi muovo in avanti, con un sorriso e la mano protesa verso questa donna che ha il nome del destino. "Moira, questa è Olivia Gardner, la mia più promettente laureanda magistrale," - arrossisco - "... Olivia, lei è Moira Thomson. Insegna latino qui a Glasgow ed è stata la mia migliore compagna di studi in questa università."

"Molto piacere," mi dice mentre ci stringiamo la mano. Apprezzo il fatto che non ci sia accondiscendenza nel suo tono. I suoi occhi, come la sua voce, sono sinceri.

Sorriderle mi viene istintivo. "Piacere mio," replico educatamente. Thomson, rifletto per un istante, oh - sciogliamo la nostra stretta, e improvvisamente io so dove ho già sentito il suo nome, "... ho studiato sul suo manuale di linguistica per l'esame di storia della lingua latina," richiamo alla mente - questa donna è troppo affascinante per una lingua morta come il latino - "... e il suo saggio sulle categorie aspettuali delle frasi presentative mi è stato di grande aiuto, per il corso della professoressa Lee."

Ripenso per qualche istante, con muto orrore, al corso di Linguistica Storica e alla sua professoressa, Sylva Lee, un concentrato di nevrosi in un metro e mezzo di altezza e spessi occhiali. Alla triennale di Lettere Moderne insegna Linguistica Generale, di cui io sono il tutor, e questo mi obbliga ad averci a che fare davvero più di quanto io ritenga necessario, o sopportabile - ma dopotutto, non tutti i professori possono essere come Kevin Neil McKidd.

Moira mi osserva, l'espressione compiaciuta, "Vorrei già barattarti con tutti i miei dottorandi," mi dice, complice, e io sorrido. Lei si volta verso Kevin, inclinando appena la testa, "Tienitela stretta, mi raccomando," gli dice.

Kevin incrocia il mio sguardo prima di rispondere.

"Oh, puoi scommetterci."

Buone vacanze di Natale a tutti, folks!

Ci si legge venerdì! ;)

Holly

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