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CAPITOLO 8 | LEONI ROSSI E PRINCIPESSE D'IRLANDA

2017


"Loving can hurt, loving can hurt sometimes

But it's the only thing that I know

When it gets hard you know it gets hard sometimes

It is the only thing that makes us feel alive


We keep this love in a photograph

We made this memories for ourselves

Where our eyes are never closing

Hearts are never broken

Time forever frozen still

(Ed Sheeran - Photograph)


GUARDO fuori dal finestrino, il paesaggio famigliare di Galway che scorre sotto il mio sguardo.

Il viaggio in macchina verso casa è fatto di musica alla radio in sottofondo, di chiacchiere e risate. Dylan, al volante, mi racconta tutto quello che mi sono persa o di cui ho avuto solo qualche notizia.

Le cose in officina - da quando mio padre è in pensione lui è passato da socio a proprietario dell'attività - vanno più che bene, anche se il carico di lavoro gli ha lasciato ben poco tempo per occuparsi dei preparativi per il matrimonio - di cui si sono occupate principalmente Esme e mia madre, che, a quanto riesco a capire dalla nostra conversazione, sono decisamente sull'orlo di una crisi di nervi.

Cece non è ancora arrivata da Dublino - e probabilmente sarà qui quasi all'ultimo, perché prendere ferie quando sei un chirurgo non deve essere facile come a La Libellula -, e mio padre cerca di godersi la sua pensione, ma qualche volta fa un salto in officina a scambiare due chiacchiere con i suoi clienti abituali o a vedere come vanno le cose.

Charlie e Liam hanno iniziato la scuola e sono già il tormento delle insegnanti, Alexander è sempre calmo, posato e tranquillo, quasi innaturalmente tale per essere un bambino di dieci anni, e uragano Amelia fa disperare suo padre un giorno sì e l'altro di più.

"Le dico una cosa, e lei deve fare il contrario," mi dice Dylan, la rassegnata esasperazione così evidente nella voce. Ci fermiamo a un semaforo, e lui si volta verso di me. "Tu non eri così alla sua età, Dale, com'è possibile?"

Quando avevo dodici anni - l'età di Amelia ora - Dylan ne aveva ventisei, e lui era già più che un'abitudine in casa nostra, perché lui e Esme non sono mai stati lontani un singolo giorno da quando avevano diciotto anni.

Rido, perché ricordo tutto alla perfezione. "Puoi scommetterci, a dodici anni ero convinta che tu fossi l'uomo della mia vita!" gli faccio una linguaccia e lui si unisce alla mia risata, "... facevo fatica a mettere in fila due parole quando c'eri tu, avevo una cotta tremenda."

"Oh, è così?" mi chiede sorridendo.

Alza le sopracciglia, e io lo colpisco appena su una spalla, esasperata. "Un errore di gioventù, li facciamo tutti," lo prendo in giro, prima che lui mi pizzichi il braccio con uno sdegnato 'Ehi!' e l'abitacolo dell'auto si riempia nuovamente delle nostre risate.


2014


"I couldn't leave if I wanted to

Cause something keeps pulling me back to you

From the very first time we loved,

From the very first time we touched


The stroke of your fingers, the scent of you lingers
My mind running wild with thoughts of your smile
Oh, you gotta give me some
Or you could give it all but it's never enough, no

There's an energy
When you hold me, when you touch me, it's so powerful
I can feel it, when you hold me, when you touch me
It's so powerful"

(Major Lazer & Ellie Goulding & Tarrus Riley - Powerful)


Sto camminando per le strade affollate del venerdì sera, le mani affondate nelle tasche del cappotto e l'aria fredda di questa sera di novembre che mi frusta il viso. Joe ed io abbiamo cenato insieme alla fine del mio turno a La Libellula, chiacchierando di come era andata la nostra giornata e altre leggerezze.

Quando ci siamo separati, il suo bacio sulla guancia è arrivato pericolosamente vicino alla mia bocca. Si è allontanato da me, sotto il mio sguardo incredulo, salutandomi con un cenno della mano e quel suo inconfondibile sorriso.

Non sono così ingenua da non aver capito di piacergli, almeno un po'. E riesco ad ammettere a me stessa che anche lui mi piace, almeno un po'.

È piacevole.

Sono appena uscita a cena con un ragazzo, sono stata bene, mi sono divertita. Eppure, allo stesso tempo, una parte di me non riesce a fare a meno di ripensare alla sensazione dello sguardo del professor McKidd che scorre sulla mia figura, delle sue mani che si stringono sulle mie braccia e della piega appena divertita delle sue labbra.

È sbagliato, ma è meraviglioso.

Non ho voglia di tornare a casa, non ancora - nel mio letto, nel silenzio della notte, i miei pensieri si trasformano in complicate fantasie. Scuoto la testa, tirando su il bavero della giacca, e continuo a camminare.

*

Il Red Lion è un pub dall'atmosfera molto più calma e soffusa dei caotici locali così tipicamente universitari a cui ho fatto l'abitudine; ho camminato praticamente per mezza città prima di trovarmelo davanti, con l'insegna in antichi caratteri bronzei e le pareti di bordeaux e legno scuro. Trascinata dai miei pensieri, ho messo un piede davanti all'altro fino a trovarmi in una zona di Oxford completamente lontana da ogni mio punto di riferimento.

Non mi dispiace, alla fine, penso, seduta al bancone del pub. Sorseggio con lentezza dal mio bicchiere di Glen McKenna, e avverto il calore bruciante dell'alcol scivolarmi giù per la gola. Il whiskey è il mio peccato mortale - un bicchiere per far scottare le guance e dimenticare i problemi.

Qualche volta, però, i problemi ti inseguono fino al bancone di un pub.

"Un Glen McKenna, per favore. Liscio."

La voce, quella voce, ha il potere di infiammare ogni nervo del mio corpo. Non è possibile. Incredula, volto appena la testa verso destra, percorrendo con lo sguardo la figura del professor McKidd, in piedi, appoggiato al bancone. Da quel giorno a La Libellula, avevo dimenticato quanto gli stessero bene i jeans.

Si accorge di essere osservato, perché si volta appena nella mia direzione e vedo tutto lo stupore passare nei suoi occhi azzurri, mentre un accenno di sorriso, quasi divertito, affiora sulle sue labbra.

Bevo un altro sorso di whiskey - abbondante.

"Buonasera, professore."

"Olivia."

Il barista fa scorrere il bicchiere di lui. Il professor McKidd beve un lungo sorso, a sua volta, prima di muovere qualche passo e affiancarsi a me. Ci studiamo per qualche istante, prima che, per spezzare la tensione dei nostri sguardi incatenati, io fugga nel bicchiere trangugiando l'ultimo alcol rimasto - errore, errore, errore.

"Non pensavo fossi una donna da whiskey," mi dice. La sua voce è leggera, affettuosa quasi.

Qualche considerazione si fa strada nella mia mente annebbiata - dalla sua vicinanza, dal suo odore, dall'alcol, in quest'ordine. Olivia. Donna. Mi hai pensata?

"E non lo sono, di solito," ammetto. Passo il dito indice sul bordo del bicchiere, appagata da come i suoi occhi si concentrino sul mio movimento. È il mio peccato mortale a parlare, a rendermi le guance rosse e la lingua sciolta. "... non sono così aspra e forte," sorrido appena, concentrata sul bicchiere, "... è stata solo una lunga giornata." Mi prendo qualche secondo e faccio un profondo respiro. Vorrei raccontargli di Joe, ma per fortuna l'alcol non mi ha fatto effetto fino a quel punto, così viro verso una meta più leggera. "... no, io sono una persona semplice. Come tale, apprezzo meglio una buona birra."

"Sei tutt'altro che semplice."

Questa affermazione mi fa alzare lo sguardo di scatto. Il suo tono di voce si è abbassato di un'ottava, il timbro denso di qualcosa di cui non riesco a definire il colore. I suoi occhi sono intensi, concentrati sul mio viso - indugia per più di un istante sulle mi labbra, e a me manca il respiro. Oh.

Il grido allegro di un uomo sulla sessantina - sbatte il boccale di birra sul legno del bancone, non troppo distante da noi, e annuncia solennemente al barista le sue intenzioni di offrire da bere a tutto il suo tavolo di amici - spezza l'incantesimo.

Il professor McKidd si allontana da me, quanto basta per ridarmi la proprietà del mio spazio vitale, "... intendo, mi hai appena citato Dante in una conversazione sul whiskey," mi fa notare, prima di bere un sorso ponderato del suo Glen McKenna.

Seguo con gli occhi quel gesto - lento e languido. Anche i suoi baci devono essere così. Quando ripone il bicchiere sul bancone e si volta di nuovo verso di me, non distolgo lo sguardo.

"Che c'è?" mi chiede.

Passa la lingua sulle labbra, gustandosi un'ultima traccia di alcol, e io sento la sensazione liquida del piacere tra le mie gambe accavallate.

"C'è che tu sei decisamente un uomo da whiskey."

Mi guarda, un mezzo sorriso e un velo di divertimento e stupore nello sguardo. Realizzo che è la prima volta in cui mi rivolgo a lui in modo così confidenziale.

"Continua così, Olivia, e sarò costretto a ordinarne un altro," ammette, sospirando.

L'aria è incandescente tra di noi, e io provo quasi il bisogno fisico di chiudere gli occhi per godermi tutte le sensazioni che sto provando nel sentirlo parlarmi così.

C'è chiaramente qualcosa, qui, tra me e te, e la verità è che questa notte siamo troppo stanchi e troppo lontani dalla protettiva realtà universitaria per far finta di nulla. Ricordo la fitta di gelosia che ho provato quando l'ho visto parlare con la professoressa Morris, e il modo in cui i suoi occhi mi hanno seguita per tutta la caffetteria, quando Joe mi ha stretta a sé e si è chinato per parlarmi all'orecchio.

Far finta di nulla, già, come se fossimo stati bravi fin qui.

"Beh, in questo caso..." distolgo lo sguardo e attiro con un gesto della mano l'attenzione del barista, "Altri due, per favore," chiedo gentilmente; l'uomo annuisce, portando via i nostri bicchieri e recuperando una bottiglia dal ripiano più alto. Quando mi volto nuovamente, vengo ricompensata dal modo in cui il suo sguardo sta esplorando la mia figura. "... non c'è di che, professore." Gli restituisco la stessa occhiata, accompagnandola con un sorriso - il più malizioso possibile.

"Kevin."

Lo dice all'improvviso, e in quell'istante la maschera da donna affascinante che sto cercando di indossare cade. Schiudo le labbra.

"Come?"

Il suo sorriso è appena accennato, ma il suo sguardo è così carico di non detti che sento il mio corpo bruciare di un calore che ha ben poco a che fare con il whiskey.

"Kevin," ripete, e io assaporo il timbro della sua voce. Aspro e forte. "... Mi stai offrendo da bere, direi che è arrivato il momento di chiamarmi per nome."

Due nuovi bicchieri colmi di whiskey vengono appoggiati sul bancone davanti a noi. Prendo il mio e lo alzo, alla sua salute; lui mi imita, e li facciamo scontrare appena prima di rifugiarci entrambi in un lungo sorso.

*

L'orologio del pub segna le due quando è il momento dell'ultimo giro.

Kevin mi osserva, seduto sullo sgabello accanto al mio. "Non sei chiaramente nelle condizioni di guidare," mi fa notare.

Mi sono fermata al secondo Glen McKenna, e anche lui, ma chiaramente l'alcol ha avuto un peso diverso sul mio corpo rispetto al suo. Sono piacevolmente, perennemente accaldata, e una parte di me pensa che possa essere dovuto più alla sua vicinanza che al whiskey.

"Neanche tu," ribatto, "Oltretutto, sono a piedi."

"Anche io," dice, alzandosi in piedi. "Abiti lontano da qui?" mi chiede, mettendosi la giacca.

Mormoro il mio indirizzo, con voce più strascicata di quanto io non sia disposta ad ammettere, e vedo lo stupore nel suo sguardo. "Come ci sei finita qui?"

"Ho camminato," rispondo con ovvietà. "Lunga giornata, ricordi?" Salto giù dallo sgabello con troppo impeto, e traballo sulle mie gambe.

Kevin fa un passo in avanti, stringendo le mani sulle mie braccia per aiutarmi a recuperare l'equilibrio. "Piano, piano..."

Provo l'irresistibile desiderio di chiudere gli occhi e di nascondere il viso nella sua spalla, lasciandomi sorreggere dalla sua solida figura - che è decisamente troppo vicino, per i miei sensi così annebbiati.

"Vieni qui," dice, sfilando il mio cappotto dallo sgabello e aiutandomi ad indossarlo. Scosta i miei capelli rimasti dentro il bavero, e le sue dita passando sul mio collo, appena dietro l'orecchio. Il suo tocco è ruvido e sorprendentemente delicato, e purtroppo dura solo un istante.

"Grazie."

"Andiamo," mi dice. "Ti accompagno a casa."

*

L'aria fredda e la concentrazione del mettere un piede davanti all'altro mi aiutano a recuperare un po' del mio spirito. Il professor McKidd - Kevin, dio mio - cammina accanto a me, le mani infilate nelle tasche e lo sguardo che segue i miei movimenti, neanche avesse paura che io crolli a terra da un momento all'altro.

"Non sono ubriaca, te lo giuro."

Mi rivolge uno sguardo scettico. "Mi avevi quasi convinto, prima di uscire dal pub," mi prende in giro. Faccio una smorfia e apro la bocca per ribattere, ma lui mi anticipa. "... lo so, lunga giornata, lunga giornata. Si può sapere cosa diavolo ti è successo oggi?" mi chiede, sorridendo.

"Prima di tutto, una giornata intera di lezione," inizio. "Lo sai, geografia sta usando le tue ore libere per lezioni di approfondimento. Approfondimento di cosa, non è dato sapere," aggiungo, e lo sento ridere sommessamente accanto a me. "Poi, un turno noiosissimo a La Libellula, oggi è andata proprio male, ci hanno portato un carico di libri e la metà era sbagliata, noie burocratiche a non finire, noioso, noioso, noioso," continuo a raccontare - okay, il whiskey non ha ancora finito di fare del tutto il suo corso e ora sono iperattiva. Domani avrò un mal di testa atroce.

Saltello un po' in avanti, presa come sono dalle mie storie. Kevin mi riagguanta per un braccio prima che io possa attraversare a un semaforo rosso.

"Qualcos'altro?"

"Un appuntamento," proseguo, senza riflettere.

La sua presa sul mio braccio si stringe impercettibilmente mentre abbassa lo sguardo su di me, incupendosi.

"Un appuntamento," ripete, con voce calma.

"Sì!" dico, sfuggendo alla sua presa quando raggiungiamo il marciapiede. Faccio qualche passo in avanti e poi mi volto a guardarlo, continuando a camminare all'indietro. "Ed è sfiancante, perché Joe è simpatico, è intelligente, affascinante..."

"Sembra perfetto," mi fa notare, caustico.

"No!" ribatto, quasi parlandogli sopra, allargando le braccia nella foga. "Perché lui non è te!"

Stupida, stupida, stupida- Mi blocco, le guance arrossate dal freddo, le labbra dischiuse e le braccia che ricadono lungo i fianchi. Kevin è immobile a pochi passi da me, l'espressione indecifrabile.

Abbasso la testa, arrabbiata con me stessa, rifiutandomi di continuare a guardarlo.

"Olivia-"

"Siamo quasi arrivati," dico soltanto.

Mi volto e continuo a camminare.

*

Il resto del breve tragitto che ci separa dal mio appartamento trascorre in un rigido silenzio.

Mi segue come un'ombra silenziosa su per le scale del mio appartamento, fino alla porta di casa. Ho le chiavi in mano e lo sguardo concentrato sulle assi del pavimento quando mi volto nella sua direzione, dando le spalle al mio ingresso. Voglio solo raggiungere il mio divano e disperarmi in solitudine, dannazione.

"Grazie per avermi accompagnata," sussurro, giocherellando con il mio portachiavi. Oh, l'orsetto ha perso un bottone-occhio, che cosa macabra, devo ricordarmi di cucirgliene uno-

"Olivia, guardami."

La sua voce è ferma e decisa, e io alzo docilmente la testa.

"Mi dispiace," sussurro, la voce quasi un pigolio nella semi-oscurità del corridoio.

Mi sta guardando, è nel suo sguardo c'è così tanta disperazione da lasciarmi senza fiato.

"No. È lo stesso per me," dice, e nella sua voce riesco a percepire quasi fisicamente tutto il conflitto che si sta consumando dentro di lui.

Fa un passo più vicino, e la sua mano sinistra si alza lentamente, fino al mio orecchio. Vi sistema dietro una ciocca di capelli, e poi scivola sul mio viso, accarezzandomi delicatamente la guancia con il pollice. Ci guardiamo per un lungo momento, in silenzio, e io vedo i suoi occhi scivolare sulle mie labbra e il conflitto trasformarsi in doloroso desiderio.

Indugio nel suo tocco, perché non posso farne a meno.

"Kevin..."

La mia mano copre appena il dorso della sua, il mio palmo soffice sulla sua pelle ruvida. Sfrego il pollice sulle sue dita, in un gesto simile al suo sulla mia guancia. Schiudo le labbra per parlare, ma poi lui fa un passo avanti, rapido, e all'improvviso anche la sua altra mano è chiusa sul mio viso, la mia schiena sbatte contro il legno della porta e la sua bocca è sulla mia.

Gemo sulle sue labbra quando la sua lingua cerca la mia. È irruento, aggressivo. È il bacio di un uomo arrabbiato, che mentre esplora il mio corpo con la bocca e con le mani sta ancora lottando contro i suoi istinti e non si rassegna alla sconfitta.

Il mio mazzo di chiavi cade a terra, dimenticato, e le mie braccia gli circondano il collo, le dita tra i soffici capelli ramati sulla nuca. Dal mio viso, le sue mani scendono a stringere i miei fianchi, imprigionandomi tra il suo corpo che torreggia su di me e il legno della porta.

"Livia," sussurra sulle mie labbra tra un attacco e l'altro, "Livia..." ripete, come un mantra.

Preme su di me, e anche se ci sono decisamente troppi vestiti tra di noi, riesco a sentire tutta l'eccitazione fluire e concentrarsi in un unico nodo di calore nel mio basso ventre. Dio mio. Le mie mani abbandonano il suo collo per stringersi al bavero della sua giacca, a tenerlo ancorato contro di me.

Quando siamo costretti a separarci per riprendere fiato, alzo la testa, cercando il suo sguardo.

Kevin appoggia la fronte sulla mia, e i nostri respiri spezzati che sanno di whiskey hanno lo stesso ritmo. Un lungo silenzio si distende tra di noi - è il silenzio della consapevolezza. Di quello che abbiamo fatto, del non poter più tornare indietro.

Le sue mani abbandonano i miei fianchi con lentezza. Quando fa un passo indietro, mi sembra già troppo lontano.

"Devo andare," mormora. Si passa le mani tra i capelli e mi guarda. Sembra un animale braccato. Annuisco, ancora intontita.

C'è un ultimo, eterno attimo, in cui dal suo sguardo disperato penso quasi che stia per avventarsi nuovamente su di me, ma non succede. "Mi dispiace," dice soltanto, prima di avviarsi lungo il corridoio senza voltarsi indietro.

Rimango immobile, appoggiata contro il legno della mia porta d'ingresso, le chiavi di casa per terra. Porto una mano alla bocca, sfiorandomi le labbra con le dita.


2017


Osservo la foto che il mio imbranato papà mi ha scattato con il mio cellulare: di profilo, lo sguardo assorto su un punto lontano, la giacca a vento con il bavero tirato su e i capelli biondi frustati dal vento che si allargano come lingue di sole contro il cielo. A riempire davvero il resto della foto, la distesa infinita di prati verdi e nuvole del Connemara. Passo ai messaggi e apro la prima delle conversazioni nel mio elenco. Fuori dalla finestra spiovente della mansarda, le ombre della notte hanno preso il posto delle ultime striature aranciate del tramonto. Bevo un sorso del tè all'arancia che mia madre ha preparato, speziandolo di cannella e chiodi di garofano. È sempre stato il mio preferito, e io avevo dimenticato fino a questo momento quanto scaldasse il cuore essere amati così.

Prima di pentirmene - non sono mai, mai io a scrivere - allego la mia foto e scrivo il messaggio velocemente, una citazione che non scorderò mai.

"Apart the lovers could neither live nor die, for it was life and death together." (*)

La risposta arriva dopo appena qualche istante.

Mi sei mancata, Principessa d'Irlanda.


(*) Joseph Bèdier - The Romance of Tristan and Iseult



Eccoci, finalmente! Le cose nel 2014 hanno raggiunto un momento di svolta, con quel combattuto bacio davanti alla porta di casa - fidatevi di me, le cose non faranno altro che farsi più complicate. Nel presente, invece, abbiamo qualche sprazzo in più di Dylan (*Luke Evans, una gioia per i miei occhi stanchi*), che Holly considera un po' il suo fratello maggiore - io li adoro insieme, e per di più (grazie a Vicky, che ha molta più fantasia di me) tra di loro si chiamano Chip e Dale, che sarebbero i nostri Cip e Ciop, primo ma non ultimo dei nomignoli affettuosi che vengono riservati a Holly nel corso di questa fanfiction.

Due parole sulle citazioni e le autocitazioni di questo capitolo, perchè sono molte: Holly cita la se stessa del futuro (*lento e languido, coff coff*), cita Dante, cita il Tristano e Isotta di Bedier - che è un capolavoro - e infine, dulcis in fundo, beve Glen McKenna, che è la finta marca di whiskey così famosa in How I met your mother.

Come al solito, se vi va fate un salto da Us against the world e Victoria's state of mind, le altre due fanfiction sulla pagina che sono scritte dalle due adorabili Piper e Vicky - e fatemi sapere se vi è piaciuto questo capitolo!

A venerdì prossimo! ;)

Holly

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