SETTE

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CAPITOLO 7 | CASA, DOLCE CASA

2017

"Well I came home, like a stone
And I fell heavy into your arms
These days of dust which we've known 

will blow away with this new sun."(Mumford and Sons - I will wait)

NELL'ANDIRIVIENI eterno dell'aeroporto, Kevin si china appena su di me, per calcarmi meglio la cuffia di lana grigia sulla testa. Faccio una smorfia e lui ride, baciandomi rapidamente sulle labbra prima di piegarsi per mettersi il mio zaino sulla spalla. Mi guardo intorno, a disagio: i gesti d'affetto - per quanto minuscoli - in pubblico, mi lasciano sempre addosso la sensazione di essere osservata. Scoperta.

"Non serve," dico a Kevin, cercando inutilmente di recuperare il mio zaino dalla sua presa. Scaccia via le mie mani con un sorriso, e allora io controllo l'orologio. "Non hai lezione, tra un'ora?"

"Abbiamo ancora un po' di tempo," mi risponde. Cerca oltre la mia spalla, tra la folla della sala, le ruote delle valigie e i suoni di addii e abbracci. "Ti va un caffè?"

Inarco un sopracciglio, "Come se abbia mai detto di no a una proposta del genere," lo prendo in giro.

Lascio che mi circondi le spalle con un braccio mentre ci confondiamo nel caos dell'aeroporto, diretti verso il bar.

2014

"I feel an aching when you step into my body, in my mind."
(Dabin & Daniela Andrade - Hold)


Oggi è il giorno della prova scritta di filologia romanza.

Procedo con passo rapido verso l'università, tra le vie affollate di lavoratori e altri studenti che si tuffano nel freddo pungente della mattina. Ripeto sottovoce i miei appunti sul sostrato celtico e rispondo a un piuttosto agitato messaggio di Gracie, scrivendole che , passerò prima al bar per un caffè e per spiegarle la metafonesi.

Sono agitata - giusto un po', perché lo sono sempre prima di un esame - ma so anche di essere davvero preparata, al diavolo la falsa modestia. Ho seguito ogni lezione, trascritto ogni appunto, e ho passato le ultime due settimane a schematizzare e ripetere ad alta voce ogni singola pagina. Voglio un voto alto, ma se fosse soltanto la mia ambizione sarebbe tutto più facile. La verità è che voglio che il professor McKidd abbia sotto il naso una prova tangibile della mia passione per la sua materia. Avrei amato la filologia romanza allo stesso modo, senza di lui? Dentro di me, conosco la risposta.

È una mezzora molto concitata, in cui Emily e Luke si interrogano a vicenda sui Neogrammatici e io faccio la fila alla cassa della caffetteria per procurarmi una tisana per Gracie, che è sull'orlo di una crisi di nervi. Joe e Blake passano a salutarci e ad augurarci buona fortuna, e ci accordiamo per pranzare qui tutti insieme, quando avremo finito.

Quando arriviamo in aula, il professor McKidd è già arrivato, in piedi accanto alla lavagna a conversare con una donna sulla quarantina, davvero molto bella - è l'assistente, la professoressa Morris, mi sussurra Emily all'orecchio, mentre io cerco di ignorare la mia inaspettata morsa di gelosia. Stupido cuore, ti sembra il caso di fare i capricci proprio ora?

*

"Avete a disposizione due ore," spiega il professor McKidd alla classe, muovendosi tra i banchi per distribuire la prova scritta, "Scrivete il vostro nome su ogni foglio, e ricordatevi di consegnare anche la brutta copia."

Si sporge verso il mio posto per passarmi il compito; i nostri sguardi si incrociano, poi lui passa oltre la mia fila e io vengo completamente assorbita dai fogli davanti a me.

Il tempo scorre velocemente mentre io scrivo, scrivo e scrivo, risposte così dense e dettagliate che ogni tanto devo fermarmi e lasciare la penna per il crampo alle dita. Quando alzo lo sguardo, il professor McKidd è seduto alla cattedra, e mi sta già guardando. La professoressa Morris cammina tra le file più indietro, e tutti gli altri devono essere concentrati sulle proprie prove, perché si lascia andare a un lieve sorriso nella mia direzione, mentre mi osserva massaggiarmi la mano indolenzita.

Bevo un sorso d'acqua dalla mia bottiglietta e mi rimetto all'opera.

*

Quando è tutto finito e noi siamo di nuovo immersi nell'aria gelida del cortile, diretti verso la caffetteria, Gracie mi prende sottobraccio, chiedendomi come ho risposto alle domande sui sostrati. Le spiego con pazienza, mentre Emily parla al cellulare qualche passo avanti a noi e Luke procede accanto a me, in ascolto. Sono davvero felice di aver stretto i miei rapporti di amicizia con loro: siamo diventati un gruppetto affiatato in poco tempo, ed è bello avere qualcuno con cui condividere i momenti di studio e di svago, nonostante la mia vita proceda sempre di corsa - come oggi, ad esempio: dopo pranzo, ho giusto il tempo di passare da casa a cambiarmi, e poi devo correre a La Libellula.

In caffetteria, Blake ci accoglie a braccia aperte, facendoci segno da un tavolino che ha occupato per noi. Emily lo raggiunge, e mentre Luke e Gracie si mettono in fila per la cassa, Joe emerge dalla ressa accalcata al bancone, con in mano un bagel e un bicchiere di carta fumante.

"Ehi!" gli faccio cenno.

Mi raggiunge, i capelli spettinati e quel suo sorriso un po' malandrino sulle labbra. Saresti stato un ottimo James Potter.

"Allora, com'è andata?"

Alzo le spalle, ricambiando il suo sorriso, "... Ma sì, penso bene, anche se non sapremo nulla prima di due settimane..."

"Tieni, ho pensato che ne avresti avuto bisogno."

Schiudo le labbra e arrossisco, mentre mi porge il bagel e il caffè. "Joe, non dovevi!" lo rimprovero debolmente. Accetto lo spuntino dalle sue mani, e con le mie ormai piene mi alzo in punta di piedi per baciarlo rapidamente su una guancia. Quando lo guardo di nuovo negli occhi, e faccio un mezzo passo indietro, quasi mi intenerisco nel vederlo grattarsi la nuca, il suo sorriso un po' sornione completamente fuori posto accanto alle sue guance un po' rosse. Chi l'avrebbe mai detto.

"Non ti ci abituare," mi prende in giro, arruffandomi i capelli. Sorrido, bevendo un rigenerante sorso di caffè e lasciando che mi passi un braccio attorno alle spalle, stringendomi a lui mentre camminiamo verso il posto dove Blake ed Emily sono seduti.

Ancora stretta a Joe, il mio sguardo passa oltre i due fratelli, verso un tavolino in fondo alla sala, sulla stessa linea retta ma di molto oltre il nostro. Seduto, da solo, il professor McKidd ha davanti a sé una tazza fumante di caffè e un toast. Mi sta guardando, dritto negli occhi, un'espressione seria e indecifrabile sul viso mentre mi osserva.

"Tutto bene?" mi chiede Joe, avvicinandosi appena al mio orecchio. Sento la sua mano stringermi delicatamente la spalla, impensierito da come mi sono irrigidita. Si china appena su di me per parlarmi, e nella posizione in cui siamo, il suo naso sfiora la mia tempia.

"Sì, sì, tutto bene," ribatto velocemente, sciogliendomi dalla sua stretta e facendogli un sorriso.

Lo sguardo del professor McKidd brucia sulla mia nuca anche quando mi siedo, dandogli le spalle.

2017

Il volo non è molto lungo, poco più di un'ora. Il mio posto è accanto al finestrino, e tra le nuvole posso vedere l'Irlanda stendersi sotto di me.

Rimarrò qui una settimana intera, per il matrimonio di Esme; per la prima volta dopo tanto tempo, l'intero clan Gardner sarà riunito sotto lo stesso tetto - figurativamente parlando. Non vedo l'ora: io e le mie sorelle non siamo tutte e tre insieme sotto l'occhio vigile di mia madre da anni, tra il mio continuo andirivieni e il lavoro di Cece, e non so quantificare quanto mi manchi andarmene in giro per le colline sulla sgangherata jeep di mio padre - assurdamente sgangherata, perché mio padre faceva il meccanico -, respirando il profumo del vento e del cielo pulito.

Casa, dolce casa.

*

Quando arrivo, il cielo oltre le vetrate dell'aeroporto di Galway è scuro e gonfio di nubi che promettono pioggia.

Con lo zaino sulle spalle, mi guardo in giro, alzandomi appena in punta di piedi alla ricerca di un viso conosciuto. Mi rendo conto di aver scritto a mia madre l'orario del mio arrivo, ma di non averle chiesto chi sarebbe venuto a recuperarmi. Sto considerando l'opzione di fare una telefonata a casa, giusto per accertarmi che non si siano scordati di me, quando dietro di me una mano si appoggia sulla mia spalla.

"Ciao, Dale."

Giro su me stessa, il sorriso già sulle labbra e un po' di magone a quel soprannome, perché quella voce ha così tanto il sapore di casa che non mi ero resa conto fino a questo momento quanto mi fosse mancata. Dylan è davanti a me, le braccia aperte pronte ad accogliermi, e io lancio un gridolino paurosamente simile a uno squittio - "Chip!" - mentre mi tuffo a tutta forza nel suo abbraccio, trovando rifugio nel calore della sua stretta. Mentre mi solleva da terra e fa' un giro completo su se stesso, sussurrandomi all'orecchio quanto è felice di vedermi, io chiudo gli occhi e so di essere a casa.

"Home isn't a place, it's a feeling."
(Cecelia Ahern - Love, Rosie)

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