TRENTUNO

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CAPITOLO 31 | SO LET THE MEMORIES BE GOOD FOR THOSE WHO STAY

"you call to tell me you miss me

i turn to face the front door of the house

waiting for a knock

days later you call to say you need me

but still aren't here

the dandelions on the lawn

are rolling their eyes in disappointment

the grass has declared you yesterday's news

what do i care

if you love me

or miss me

or need me

when you aren't doing anything about it

if i'm not the love of your life

i'll be the greatest loss instead"

(Rupi Kaur)

*

21 marzo 2018, mercoledì

"VUOI parlarmi di tua moglie?" chiedo, la voce sottile.

Faccio ruotare il cucchiaino nella mia tazza ancora fumante, i raggi di questo sole tiepido di metà marzo che mi scaldano la guancia attraverso il vetro della finestra. Il mio caffè non è mai zuccherato.

Kevin è alla scrivania, il corpo contratto e le dita piegate sulla superficie di legno - se potesse, lo inciderebbe con le unghie. Mi guarda dritto negli occhi, incredulo e incattivito. Io rimango immobile, in attesa. Ho mai assaggiato qualcos'altro che non fosse l'attesa, insieme a lui? - è passato tanto tempo, e io mi sto sforzando di dimenticare.

*

17 marzo 2018, sabato

"Matt è adorabile," considero con un lieve sorriso, impegnata a sciacquare nel lavandino le molteplici tazze di caffè che ho consumato durante questa giornata. "Verranno anche loro alla conferenza di McEwan, ho fatto bene secondo te? Vicky mi sembra felice, finalmente le cose vanno davvero bene, oh, e ti ho detto che anche Piper-"

Mi interrompo, lanciando un'occhiata divertita oltre la mia spalla; osservo James che scruta pensieroso i miei fogli, sparsi sul tavolo della mia cucina, con gli appunti per il convegno della professoressa Lee - corruga la fronte, concentrato su un particolare scarabocchio, e quando alza la testa per incrociare il mio sguardo è forse la prima volta in cui lo vedo inarcare un sopracciglio per la confusione, e non con il sotteso intento di sedurmi.

"Aramaico?" mi chiede, accennando con il mento alla carta sparsa davanti a lui.

"No," sorrido, tornando a sfregare le tazze con la spugna. "Sanscrito."

Le braccia di James mi circondano i fianchi - intreccia le dita sul mio addome, sfregando la barba nell'incavo del mio collo e baciandomi con lentezza, risalendo verso l'orecchio. "Lo dici come se possa davvero fare una qualche differenza, per me," mormora piano.

"Lo spero," dico con un sospiro. Una delle sue mani scivola all'interno dei miei pantaloni, sotto il tessuto morbido della tuta ma ancora sopra il cotone dei miei slip - per ora. "... perché ho bisogno di ripeterti ad alta voce una parte dell'introduzione, dopo..."

"Tutto quello che vuoi, Holly."

James sorride sulla mia pelle e io chiudo gli occhi, cercando di non perdere la concentrazione mentre il mio corpo mi urla che le tazze possono essere lavate dopo, dopo, dopo.

*

21 marzo 2018, mercoledì

"Credevo dovessimo discutere del capitolo," mi fa notare.

Negli angoli in penombra di questo ufficio ci siamo baciati, abbiamo fatto l'amore, abbiamo letto Tristano e Isotta - e leggere è sempre stato un po' come far l'amore, non è vero? Sulla scrivania inondata di sole abbiamo mangiato, parlato, riletto compiti scritti e discusso della metafonesi e di quegli amanti che all'alba dividono le loro strade.

Il mio mondo intero e il suo, tra le mura di un ufficio. Ho sempre pensato che fosse abbastanza.

Alzo appena la mia tazza, e non so se sto brindando alla sua salute - salus, salvezza - o alla sua rovina.

"Credevamo tante cose."

Guardo nello specchio nero del mio caffè senza zucchero, e mi chiedo da quand'è che la mia lingua è più amara del sapore che ho sulle labbra.

*

22 marzo 2018, giovedì

Chiudo gli occhi, reclinando appena il capo tra i cuscini.

"Basta, basta..." mormoro - la mia voce è quasi una cantilena.

James si muove sopra di me - dentro di me: le sue spinte sono lente ma decise, e quando la sua mano scivola per stringermi una coscia e sollevarmi appena i fianchi e il punto in cui mi tocca è improvvisamente perfetto, dio mio se è perfetto, il sospiro che mi sfugge dalle labbra suona fin troppo come una preghiera.

Si china su di me e io inarco i seni contro il suo petto, affondando d'istinto le dita tra i suoi capelli umidi quando piega il viso per parlarmi e baciarmi l'orecchio.

"Ancora una volta," dice soltanto, il respiro affannoso tra una parola e un'altra, accompagnato dal ritmo senza perdono del suo corpo che spinge contro il mio.

Geme sul mio collo, mordendomi l'incavo della spalla quando riesco ad allacciare appena più in alto la mia gamba contro la sua schiena. Le dita che erano sulla mia coscia riescono a salire più su, fino a stringermi il sedere, mentre i suoi movimenti si fanno sempre meno controllati e io so che sta per venire che sta lottando con tutto se stesso e contro se stesso, perché non sopporta di fare promesse per poi non mantenerle.

La sua mano risale rapidamente alla ricerca del punto in cui i nostri corpi sono uniti - mi accarezza, impegnato più che mai nell'ultimo sforzo di trascinarmi nell'oblio dell'orgasmo insieme a lui. Le sue dita, unite a una spinta che mi fa gemere ad alta voce, senza controllo, sono il mio punto di non ritorno.

Mi inarco contro di lui nello stesso istante in cui lui collassa su di me, e il mondo attorno smette di esistere per un tempo che non so quantificare, travolto da una sensazione che è così meravigliosa da fare quasi male.

*

21 marzo 2018, mercoledì

"Ci siamo sposati giovani," - fa una pausa. Un ricordo danza davanti ai suoi occhi, ma io non posso vederlo. - "... Siamo cresciuti insieme, era la mia vicina di casa," - alza lo sguardo per incontrare il mio, e fa ritorno alla realtà solo per un istante, prima di mettersi a scavare a mani nude nelle memorie che ho scelto di condividere con lui. - "... un po' come Keeran."

Nessuno è un po' come Keeran, vorrei dirgli.

Mi piego appena indietro sulla poltrona, cercando di rimanere impassibile mentre inclino le spalle e provo a trovare una posizione più comoda per la mia schiena, e alla fine realizzo che sarei solo crudele, e che in fondo è qualcosa che non posso sapere - forse ognuno di noi ha il proprio Keeran Sullivan, e forse ogni Keeran Sullivan ha la sua Olivia Gardner. Dio mio, quando sono diventata così egocentrica?

Così non dico nulla, alzando appena il mento e invitandolo a continuare.

*

23 marzo 2018, venerdì

Sulla strada di casa, con il vento nemmeno troppo freddo di questa giornata di primavera che mi spinge indietro i capelli - non piove, incredibile! - e le mani piene di borse della spesa, non riesco a fare a meno di pensare che quella di oggi sia stata davvero una giornata produttiva: la professoressa Lee si è complimentata per come sta prendendo forma la mia presentazione, a Storia e Critica del Cinema abbiamo iniziato a parlare di Orson Welles e dire che ne sono affascinata è minimizzare, e a La Libellula ho comprato un'edizione dell'Eneide con commento linguistico che mi terrà impegnata sicuramente per un po' - Will mi ha guardata con bonaria rassegnazione, guadagnandosi una sdegnosa linguaccia.

Sto considerando se farmi immediatamente una doccia appena metterò piede in casa o scrivere prima a James, per dirgli che ho finalmente fatto la spesa e invitarlo a mangiare qualcosa, quando la scenetta davanti alla porta del mio palazzo, man mano che mi avvicino, cattura tutta la mia attenzione.

"Ehi, ciao!" sorrido, avvicinandomi e alzando una delle borse della spesa a mo' di saluto.

Sibyl mi sorride, mentre Dev si scosta un ciuffo di capelli dagli occhi e il cagnolino che tiene al guinzaglio, alla mia vista, inizia a tirare nella mia direzione e a scodinzolare. Mi basta questo per decidere di avere un nuovo migliore amico, lasciare a terra senza troppi complimenti le buste della spesa e chinarmi per affondare le mani in tutto quel pelo rossiccio.

"Ma chi è il cane più bello del mondo, eh?" chiedo, allegra - la voce mi si alza di due ottave, come ogni volta in cui parlo con un cane o un bambino. "Ma certo che sei tu, ma certo!" continuo, soddisfatta quando la bestiola uggiola felice dopo una sonora grattata dietro le orecchie. Mi lascio leccare la faccia, accucciata sul marciapiede e sotto lo sguardo forse un po' esasperato dei miei amici.

"Scusate," continuo sorridendo, cercando di recuperare un tono di voce decente. Alzo lo sguardo verso di loro, intenerita dal cagnolino che spinge il naso umido sul palmo della mia mano per ricevere altre carezze. "Mi piacciono i cani."

Sibyl si lascia sfuggire un suono decisamente simile a una risata un po' strozzata. "Non avevo dubbi," dice con un sorriso, mentre Dev si gratta una tempia. Sembra in imbarazzo.

"Non sapevo avessi un cane!" trillo, entusiasta.

"Oh, no, non è mio-"

"E' di un nostro amico, lui è fuori città, quindi ce ne occupiamo noi per qualche giorno," - interviene Sibyl, sovrastando il balbettare di Dev.

"Come si chiama?" chiedo, guardandolo con un sorriso intenerito, nella vana speranza di metterlo un po' più a suo agio.

"James," dice Dev.

"Rudy," parla invece Sibyl.

Schiudo le labbra, passando lo sguardo tra i miei due amici. Il cagnolino, qualsiasi sia il suo nome, sembra impermeabile ad ogni tipo di discussione, perché si sdraia a pancia in su sul marciapiede, in attesa di altre manifestazioni d'affetto - rimarrò qui per sempre, te lo prometto.

Sibyl guarda Dev - malgrado la sua carnagione olivastra, so che sta arrossendo. "Il cane si chiama Rudy," ripete lentamente la mia amica, gli occhi azzurri che trovano i miei, "Il nostro amico si chiama James."

"Peccato," sorrido, affondando le dita nel pelo soffice del petto del cagnolino che inizia di nuovo a scodinzolare. "James non è un brutto nome da cane, in fondo," - alzo lo sguardo di nuovo su Sibyl, e lei mi guarda divertita. - "Per favore, non dirlo al tuo capo."

*

21 marzo 2018, mercoledì

Racconta una storia di cui il fondo della mia mente aveva già delineato i tratti, tanto tempo fa. Agli albori di tutto questo, passavo le notti sotto le mie lenzuola, gli occhi aperti nel buio, a immaginare un matrimonio ormai finito e due bambini piccoli e innocenti, colla senza colpa di una nave in tempesta e naufragio. Ma c'era qualcosa che avevo sempre ignorato con la forza della mia arroganza, appiccicata sulla pelle da chissà dove - lui la ama. Ancora, ancora un po', o non ha mai smesso. È davvero importante?

L'ho visto coi miei occhi, e lo sento anche ora, mentre racconta delle difficoltà lavorative della loro prima vita insieme, dei figli che non arrivano, che non arrivano mai, dei tradimenti reciproci - casuali e senza importanza - prima della pace e di Samuel. Sono cresciuti insieme, sono cambiati insieme. Sono diventati due persone diverse, molte volte, tante volte, ma si sono sempre ritrovati, alla fine della strada. Io sono solo - casuale e senza importanza. Un contrattempo. Avevo ragione.

*

4 aprile 2018, mercoledì

"Dunque, le prime sono soltanto vedute, durano pochissimo," - parlo tra me e me seduta sul mio sgabello al bancone del Nelson, gli occhi che scorrono sul foglio che la professoressa House ha distribuito questa mattina a lezione. "... si trovano tranquillamente su You Tube-"

Mi interrompo, alzando la testa con un sorriso quando un boccale entra nel mio campo visivo - potrebbe essere pieno di birra fino all'orlo, invece è sorprendentemente e meravigliosamente ricolmo di fumante caffè americano.

James ricambia il mio sorriso senza dire nulla, una luce divertita nei suoi occhi blu che l'atmosfera già soffusa del suo pub a metà pomeriggio non riesce a celare del tutto.

"Dio mio, stai per fare così tanto sesso, dopo," lo minaccio allegra.

"Lo spero," ribatte senza perdere un colpo, inarcando quanto basta le sopracciglia per farmi ridere e arrossire insieme.

Alzo gli occhi al soffitto e risistemo la mia fotocopia nel quaderno per dedicare la mia totale attenzione al peccaminoso boccale di caffè che mi aspetta.

James ride a bassa voce, sporgendosi sul bancone con le mani appoggiate ai lati dei miei gomiti per baciarmi sulle labbra. Chiudo gli occhi, rapita dalla sensazione della sua bocca sulla mia e da quanto ormai sia diventato familiare il sapore della sua lingua.

"Andrebbe brevettato, facci un pensiero," aggiungo debolmente quando ci separiamo, abbassando appena la testa sul mio boccale di caffè.

Lui mi osserva con un sorriso, alzando appena una mano per sistemarmi dietro l'orecchio una ciocca di capelli che è sfuggita alla mia coda. Indugio appena nel suo tocco, sfregando il naso sul palmo della sua mano.

"Allora?" chiede con un'ultima carezza, spostandosi poi per recuperare da sotto il bancone una cassa di bicchieri puliti da asciugare. "Dicevamo, di queste vedute?"

*

21 marzo 2018, mercoledì

In un lampo di sconsideratezza, penso a Will che legge Saffo per me, alla sua voce arrocchita fatta di spigoli che si arrampica sul greco antico. Kevin parla con delicatezza, cercando inspiegabilmente di non ferirmi, e io vorrei dirgli di non trattenersi e di non preoccuparsi, perché ha davvero fatto abbastanza. Il tempo passa. Io dormo sola.

C'è il rumore del cuore che batte nel mio petto schiacciato tra le mie costole, il suo suono profondo che sembra arrivarmi fino alle orecchie. C'è lo sguardo di Kevin, che segue con attenzione ogni sfumatura del mio viso. C'è la tazza di caffè, che ormai è vuota, appoggiata sulla scrivania. Ci sono io, che sorrido debolmente.

È ora di dire quello per cui sono venuta qui.

*

9 aprile 2018, lunedì

"Holly..."

Il suono del mio nome, pronunciato con affetto e calore, è accompagnato dalla sensazione di una carezza leggera sulla mia schiena nuda e da un bacio sulle labbra.

Rigirandomi tra le lenzuola, apro appena gli occhi, abituandomi lentamente alla semioscurità in cui è immerso l'appartamento e mugugnando alla perdita del contatto della mano di James sulla mia pelle.

"Perché ti stai vestendo?" chiedo con disappunto, realizzando solo in questo momento che è ancora a petto nudo, ma impegnato a chiudersi i jeans. Si piega per recuperare da terra la sua maglietta grigia mentre io sbadiglio pigramente, le gambe ancora intorpidite e attorcigliate nel lenzuolo.

"Devo scendere ad aprire," mi dice con un lieve sorriso, in piedi accanto al letto. "Sono quasi le cinque."

Mi passo le mani sul viso, sfregandomi gli occhi nel tentativo di sembrare più reattiva di quanto non sia in questo momento. "Mh, okay, dammi un minuto e sono fuori da qui," prometto con un altro sbadiglio. Mi sollevo, passandomi le dita tra i capelli per pettinarli, "... dio mio, il sesso e i pisolini pomeridiani..." ridacchio.

James si china su di me con un mezzo sorriso, baciandomi sulla fronte e rispingendomi con delicatezza tra i cuscini. "Dormi ancora un po'," mi propone con noncuranza. Nella penombra, seguo il suo sguardo concentrato che gioca con una ciocca dei miei capelli biondi, rigirandosela attorno all'indice. "So che sei stanca..."

Mi stiracchio tra le lenzuola, gli occhi che già si richiudono, appagata dal suo tocco e dalla sua proposta: in questi ultimi giorni ho fatto un paio di turni in più a La Libellula, per arrotondare, sto continuando a preparare la presentazione per la professoressa Lee e un nuovo tutorato di Linguistica Generale, il tutto mentre cerco di rimanere al passo con le lezioni di Storia e Critica del Cinema - e con tutte le acrobazie che James mi fa fare, questo lunedì pesa sulle mie spalle come il primo lunedì dopo le vacanze natalizie, o peggio ancora, come il lunedì di inizio di un nuovo semestre.

"Magari allora solo cinque minuti," gli concedo, risistemandomi il lenzuolo fin sotto il mento.

James mi accarezza una guancia e io chiudo di nuovo gli occhi, felice nell'oscurità.

*

21 marzo 2018, mercoledì

"Ti ho amato così tanto," dico, alla ricerca dei suoi occhi azzurri. "Ti amo ancora, davvero, e tu lo sai," continuo. Allungo una mano sulla superficie di legno, coprendo a mala pena il dorso della sua con il mio palmo. Tanto tempo fa, una carezza leggera come questa è stata l'inizio di ogni cosa. "... ma non basta, e non voglio più."

Prendo un respiro. Kevin rigira la mano sotto la mia, stringendomi le dita.

"Non puoi avermi e restare con tua moglie - abbiamo fatto questa vita per tanto tempo, abbiamo ferito noi stessi lungo la strada e troppe persone sul nostro cammino. Non ti sto chiedendo di scegliere, non è questo," lo anticipo quando lo sento aumentare appena la presa.

Le mie dita scivolano appena in avanti fin sul suo polso, accarezzandolo appena. Kevin si porta la mia mano alle labbra, baciandomi le nocche. Sciolgo la stretta, muovendomi appena per sfiorargli la guancia e poi rimettermi seduta.

"Sono io che scelgo," parlo, decisa. "... e questo, Kevin, non è quello che mi merito. Mi hai amata come nessun altro aveva mai fatto prima, come non so se qualcun altro sarà mai in grado di fare..." - abbasso lo sguardo per un solo istante - "... ma mi hai sempre amata a metà."

*

9 aprile 2018, lunedì

Mi lascio cadere sul mio sgabello, godendomi la tranquillità del Nelson il lunedì sera.

James mi osserva oltre il bancone, i gomiti sul legno e quel suo incancellabile sguardo sornione mentre si gode la calma del locale e forse anche le mie gambe accavallate - Sibyl non c'è, Jake non ho idea di dove possa essere, ma fortunatamente la serata sta trascorrendo abbastanza tranquilla. In fondo, è un lunedì.

"Hai ancora sonno?" chiede, sporgendosi quanto basta per accarezzarmi una guancia con il pollice.

D'istinto, indugio nel suo tocco, chiudendo gli occhi per un momento mentre non riesco a non lasciarmi sfuggire un sorriso.

Quando mi lascia andare scuoto appena la testa, allungandomi a mia volta per stringere le dita sulle sue, sopra il bancone.

"Non troppo, ma berrei una birra."

Stavolta, è lui a sorridere - dio mio, riesco solo a pensare, senza riuscire a contenere la placida tranquillità che sto provando neppure nei miei pensieri, siamo ridicoli.

"Come la mia signora comanda," recita, sfuggendo alla mia carezza per trafficare alla spillatrice; io rido, perché ricordo alla perfezione un'occasione in cui ha usato questa stessa identica frase - un quarto d'ora dopo stavamo facendo l'amore per la prima volta, giusto qualche tavolo più in là.

La vista delle due Galway Hooker mi scalda le guance e il cuore.

"Slainte," sorrido, facendo scontrare i boccali.

"Ti prego, non dirlo mai più."

James mi guarda senza avvicinare il bicchiere alla bocca, le labbra piegate in un sorriso malizioso di cui non riesco a ritrovare la ragione.

"Perché?" chiedo senza capire, il boccale ancora sollevato e la fronte corrugata.

"Perché ogni volta in cui lo dici penso solo alla tua bocca sul mio-"

"JAMES MCAVOY!" strillo indignata e incredula, scatenando su di me gli sguardi confusi dei pochi altri avventori del pub. "BACI TUA MADRE CON QUELLA BOCCA?!"

*

21 marzo 2018, mercoledì

C'è qualcosa che vorrebbe dirmi, lo leggo nel suo sguardo - vorrebbe negare, vorrebbe provare, non lo so. Alla fine, sceglie di non parlare, e di questo almeno posso essergli grata.

"Non posso rimpiangere niente, non voglio," proseguo, perché so che glielo devo. Deve saperlo. "... Non lo farò. Ma finisce oggi, qui. Finisce adesso, perché quello che mi merito è essere felice. Da sola, con qualcun altro, non ha importanza. Un amore a metà non è quello che mi merito, non è quello che voglio, ed è l'unica cosa che conta."

Mi sento distrutta, ma anche fiera.

Mi alzo lentamente in piedi, lasciando che Kevin, in silenzio, mi imiti. Oggi è il giorno in cui mi lasci andare.

*

12 aprile 2018, giovedì

"Concentrati sul cibo cinese," lo rimprovero, sussurrando nel silenzio e nell'oscurità del mio appartamento.

"Perché parli a bassa voce?" - sorride sul mio collo, continuando a ignorare lo schermo della televisione, e i contenitori di alluminio sul tavolino davanti al divano. - "E' un film muto."

"Ti odio."

La sua risata sommessa vibra sulla mia pelle. Inclino il capo all'indietro, la nuca sullo schienale del divano: vorrei sembrare infastidita, perché il cibo cinese si sta raffreddando e James mi sta distraendo dalla fondamentale visione di Intolerance di David Wark Griffith, ma non riesco a fingere neanche per un attimo.

"Mh-mh."

La sua mano, quella dentro i pantaloni del mio pigiama, prosegue nella sua lenta tortura di carezze - l'altra, che mi circonda le spalle oltre lo schienale del divano, sfiora con nonchalance il mio braccio, le dita sulla mia pelle.

Infastidita, certo, considero con un sorriso, il capo ancora reclinato a guardare il soffitto, gli occhi che con lentezza si chiudono dal piacere quando con un movimento preciso James scosta il cotone dei miei slip.

*

21 marzo 2018, mercoledì

Aggiro con lentezza la scrivania e lui fa altrettanto - ci ritroviamo nel mezzo del suo ufficio, quando mi alzo sulle punte dei piedi per abbracciarlo e lui nasconde gli occhi lucidi nell'incavo della mia spalla, le sue mani che si chiudono sulla mia schiena per tenermi ancorata al suo petto. Chiudo gli occhi. Mi stringe in silenzio e io mi lascio cullare, annegando per un lungo momento nella malinconia del profumo della sua pelle e della morbidezza del tessuto della camicia sotto la mia guancia.

"Mi dispiace."

"Lo so, anche a me."

Ce lo siamo detti tante volte, eppure adesso, in questo preciso momento, riesco davvero a crederci fino in fondo.

Appoggia la fronte sulla mia, i nasi che si sfiorano, e quando riapro gli occhi sto sorridendo e piangendo tutto insieme.

Il mio insegnante, il mio migliore amico, il mio uomo. L'altra metà del mio cuore.

Passa i pollici sui miei zigomi, cercando di cancellare le tracce delle mie lacrime. Chiudo le mani sulle sue e lentamente le allontano dal mio viso, stringendogli delicatamente le dita e facendo un passo indietro. Cerco il suo sguardo, e quando i suoi occhi azzurri trovano i miei so che lo sa, perché in fondo, ha sempre saputo.

Il suo cuore è spezzato, come il mio, ma oggi va bene così - abbiamo sempre fatto tutto a metà. Non ho rimorsi per questa fine - l'unico rimpianto che porterò con me è non sapere quanto saremmo stati invincibili, se solo avessimo avuto la forza di amarci per davvero.

*

17 aprile 2018, martedì

Io e James camminiamo l'una accanto all'altro sul marciapiede, nell'aria ormai fredda della sera, impigriti dalla cena abbondante ma decisamente soddisfatti.

Lo prendo sottobraccio mentre proseguiamo lungo la strada per casa mia, infreddolita dalla temperatura che si è abbassata più di quanto avessi considerato.

"Ho mangiato troppo," considero con un sospiro appagato.

James inspira l'ultima boccata di fumo dalla sua Marlboro e spegne il mozzicone sul cemento; scioglie la stretta del mio braccio per circondarmi direttamente le spalle e avvicinarmi a sé, baciandomi tra i capelli con dolcezza.

"Decisamente," approva con un sorriso, "... il cibo cinese ha davvero un potere oscuro su di te."

"Dio mio, quanto era buono quel toast di gambero?" rievoco, sognante.

Continuiamo a camminare, sghembi e abbracciati, ridendo nella brezza pungente della notte. Sorrido nell'oscurità, spingendomi maldestramente su di lui per nascondere il viso nell'incavo del suo collo e respirare il suo profumo.

Sento l'impulso irresistibile di fermare il mondo e baciare James in mezzo alla strada, qui, sul marciapiede - e il cuore mi si stringe di una gioia che è quasi commozione quando realizzo che posso farlo, e basta.

Mi guarda con un sorriso divertito quando lo afferro per le spalle e mi fermo davanti a lui, giusto il tempo per circondargli il collo con le braccia e trovare le sue labbra con le mie. La sua mano destra affonda tra i miei capelli, a tenermi il viso sollevato quanto basta per baciarmi come si deve, mentre l'altra mi stringe un fianco per premermi contro il suo petto.

È questo che si prova davvero, allora? La felicità ha il gusto di Marlboro e toast di gambero, adesso, e non ha mai avuto un sapore più dolce.

Chiudo gli occhi e mi godo la sensazione della sua bocca sulla mia, dei nostri nasi che si sfiorano e della morbidezza dei suoi capelli scuri, soffici sotto le mie dita.

"Hai freddo?" mi chiede quando ci separiamo, e un soffio di vento appena più pronunciato mi fa rabbrividire appena tra le sue braccia.

Alzo le spalle, scuotendo il capo. "Non troppo," rispondo, alzandomi sulle punte dei piedi per baciargli la punta del naso.

Mi guarda, passandosi appena la lingua sulle labbra mentre i suoi occhi blu indagano il mio viso. Sono abituata alle fitte di desiderio doloroso, quando il suo sguardo scivola su di me e posso vedere le ombre scure danzare nei suoi occhi, ma questa volta no - il blu delle sue iridi è limpido, e per un istante riesco a leggere il lampo di un sentimento a cui saprei anche dare un nome, se soltanto non avessi paura di pronunciarlo. Oh.

"Tieni," dice soltanto, alla fine. Si toglie la giacca e me la appoggia sulle spalle, circondandomi di nuovo con un braccio mentre proseguiamo in silenzio verso casa mia, mano nella mano.

Quando arriviamo sotto il mio portone e mi volto a guardarlo, la luce di una risata sul viso, James mi guarda interrogativo, inarcando un sopracciglio.

"Cosa c'è?" mi chiede divertito, contagiato dalla mia allegria.

"Stavo pensando," - Allargo appena le braccia sotto la sua giacca. - "Se non avessimo già fatto sesso almeno cento volte negli ultimi tre mesi, questa sera avremmo rispettato tutti i cliché del primo appuntamento." - libera e leggera, inizio il mio elenco. "... oh, andiamo! La cena al ristorante etnico, la camminata mano nella mano, la giacca di lui sulle spalle di lei," - mi mordo appena il labbro, sbattendo le ciglia con tutta la deliberata esagerazione possibile. - "... il primo bacio sulla porta di casa..."

Cerco gli occhi di James, aspettandomi di trovare nel suo sguardo lo stesso divertimento che anima il mio. La sua espressione è talmente inaspettata che la risata mi si spegne lentamente sulle labbra dischiuse: mi guarda, serio come non l'ho mai visto, una determinazione sconosciuta che infiamma i suoi occhi blu.

"Cosa c'è?" chiedo, inclinando un poco la testa e ripetendo la sua domanda, senza capire. Ho detto qualcosa che non va? Sotto questo sguardo, mi sento all'improvviso senza fiato - perché mi guardi così?

Senza spiegazioni, le mani di James si stringono sulle mie spalle, il suo viso che si piega sul mio mentre la sua stretta mi attira contro il suo corpo - mi bacia, divorandomi con la bocca, i denti e la lingua, in un'esplorazione che è così simile a quella prima volta sul marciapiede fuori dal Nelson da farmi quasi girare la testa.

Quando ci separiamo, la sua bocca rimane a un soffio dalla mia. Mi lecco appena le labbra e riapro gli occhi, ritornando al buio della strada, al portone del mio palazzo e all'intensità dei suoi occhi su di me.

"C'è, Holly," dice con calma, sporgendosi per rubarmi un altro bacio - la sua voce è bassa e senza scampo per il battito incontrollato del mio cuore. - "... che questo è esattamente un primo appuntamento."

Oh. Non ho il tempo di pensare o di ribattere, perché la sua bocca si avventa di nuovo sulla mia e le sue mani scendono a stringermi i fianchi, le dita conficcate nella mia pelle in una stretta che urla mia, solo mia, soltanto mia - Sì.

"Vuoi salire?" chiedo in un soffio, sporgendomi per seguire le sue labbra quando si allontana da me.

Sorride, e sulla sua bocca questa volta ritrovo quell'espressione sorniona e un po' maliziosa che in una notte di novembre mi aveva già catturata, come falena alla fiamma, no - come ape al miele.

"Sesso al primo appuntamento?" mi rimprovera incredulo, inarcando un sopracciglio. "Per chi mi hai preso?" chiede, una risata sulle labbra.

Arrossisco, perché mentre si allontana da me vorrei soltanto baciarlo e schiaffeggiarlo, tutto insieme. "Ti odio," dico soltanto, alzando gli occhi al cielo, la sua giacca stretta addosso.

Mi guarda, facendo qualche passo indietro sul marciapiede, le mani infilate nelle tasche dei jeans e lo sguardo divertito. "No, proprio no," mi corregge, quel sorriso ancora sulle labbra.

"No, proprio no," ripeto dolcemente.

Funziona, che funziona un po' come vuoi tu.

"Tieni la giacca," mi dice soddisfatto, voltandosi e allontanandosi sulla strada.

Il sorriso ancora sulle labbra e la sua giacca sulle spalle, lo osservo camminare sul marciapiede fino a che non sparisce alla mia vista, inghiottito dal buio della sera.

Così - è così che voglio che funzioni.

*

"i feel apprehensive
cause falling into you
means falling out of him and
i had not prepared for that"

(Rupi Kaur - Forward)

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