TRENTADUE

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CAPITOLO 32 | AND NOW MY HEART STUMBLES ON THINGS I DON'T KNOW

"Tu l'hai saputo prima di me. È successo qualcosa, non è vero? E tu l'hai capito prima. È come essere di fronte a una cosa talmente grande che non riesci a vederla. Ancora adesso non sono sicura di riuscirci. Ma almeno so che c'è."

Abbassò lo sguardo e lui attese.

(Ian McEwan – Espiazione)

*

BOCCHEGGIO, raggiungendo zoppicando la fine dell'esametro. Quando alzo lo sguardo dal libro, Will mi sta già guardando: è in piedi, accanto alla sezione poesia, con una mano appoggiata allo scaffale come se ne avesse bisogno per restare in piedi.

"Era così terribile?" chiedo, mordendomi il labbro. La voce sale e si fa più sottile – il suono della supplica – alla fine della domanda.

"Beh," inizia, passandosi l'altra mano tra la barba incolta. Abbandona la sua posizione accanto allo scaffale e mi raggiunge alla cassa, un lieve sorriso di scuse sul viso. "Ci sei quasi," mi dice. Picchietta l'indice sul legno del bancone, in un ritmo che ormai conosco bene ma che decisamente non padroneggio del tutto. "... arrivi precisa a metà, poi cedi," osserva con un mezzo sorriso di comprensione.

Un pomeriggio in cui credevo che la fitta fiumana di clienti de La Libellula fosse ormai finita e che Will non dovesse passare a recuperare delle fatture, lui mi ha sorpresa a declamare in latino i versi dell'Eneide per i corridoi della libreria – da quel momento ha intrapreso la missione personale di correggere la mia pronuncia classica e di insegnarmi il senso del ritmo, a quanto sembra fondamentale per leggere in esametri senza ferirgli le orecchie. La verità è che è decisamente più paziente con me di quanto io senta di meritare.

"Riprendiamo?" chiede, guardando l'orologio e poi tornando a fissarmi, interrogativo. "A che ora hai detto...?"

Passo distrattamente un dito sulla carta dell'Eneide, pensierosa. "Ancora una mezzora abbondante," considero. Sorrido pensando a James. "Passano a prendermi."

Oggi pomeriggio c'è la conferenza di Ian McEwan alla Biblioteca Bodleiana: ho convinto James e Vicky a venire con me – non che ci siano voluti poi troppi sforzi – e Matt accompagnerà la mia amica.

Quanta strada abbiamo fatto, da quella mattina di lacrime sul tavolo della mia cucina. Vorrei riuscire a spiegarlo anche a me stessa, quanto io mi senta cambiata e allo stesso tempo sempre la stessa, eppure non ci riesco – ed è una novità, per me che non sono mai a corto di parole. Per fortuna, sono sicura che, anche senza saperlo, Ian McEwan avrà le parole delicate ed espressive che mi mancano – ho riletto Espiazione accoccolata contro il petto di James, in questi giorni: consumata dalla poesia come sono sempre stata, avevo quasi dimenticato la potenza della prosa, quando viene dalla penna di qualcuno che sa come usarla.

"Pronta?" la voce gentile di Will mi riporta alla tranquillità della libreria e della nostra lezione.

Gli sorrido, e lui ricambia.

"Rileggi dal verso quattrocentododici, tieni il tempo con la mano."

Passo la lingua sulle labbra, concentrata nel ritrovare il punto di partenza. Tenendo il libro con una mano, appoggio l'indice della destra sulla scrivania, pronta a contare e cantare i miei accenti.

Un ultimo respiro profondo e, sotto lo sguardo attento di Will, ricomincio la mia lettura.

"Improbe Amor, quid non mortalia pectora cogis!" (1)

(1) Virgilio, Eneide, Libro IV, v. 412: "O amore crudele, a cosa non induci i cuori degli uomini!"

*

Saluto Will ed Elaine, fingendo di non vedere il sorrisetto saputo che la mia collega mi rivolge quando lascio La Libellula con James. Will è più discreto, grazie al cielo – anche se credo che per lui la riservatezza sia più che altro uno stile di vita.

L'aria di aprile è frizzante e leggera.

"I tuoi colleghi sembrano simpatici."

"Lo sono," sorrido, mentre camminiamo l'una accanto all'altro sul marciapiede, diretti verso la Biblioteca Bodleiana. "Will è il mio capo..."

James annuisce, circondandomi i fianchi con un braccio e sporgendosi per baciarmi su una tempia, mentre io continuo a raccontargli entusiasta della mia libreria. Abbiamo appena attraversato la strada quando frugo nelle tasche della mia giacca di jeans, in lotta per accendermi una Lucky Strike e continuare a camminare.

James mi consola divertito, sfilandomi l'accendino dalle dita e la sigaretta dalle labbra. "Lascia, faccio io."

Sbuffo sonoramente, "Ci siamo fermati, sono capace anch'io così!"

Mi ignora, concentrato nell'inspirare una lunga boccata di fumo, e all'improvviso io mi rendo conto di trovare tremendamente erotiche le cattive abitudini.

"Tieni." – mi porge la Lucky Strike con un sorriso sghembo, un sopracciglio che si inarca appena davanti alle mie labbra schiuse e alle mie guance improvvisamente rosse. "Galway?" chiede, divertito. Lo sa l'effetto che mi fa, oh, lo sa eccome.

"Oh, sta' zitto."

James ammicca ma non dice nulla, il sorriso ancora sulle labbra.

Quando raggiungiamo la Biblioteca Bodleiana, non mi sorprende trovarla gremita di studenti e professori: mi faccio largo a fatica tra la calca, con Vicky che si sbraccia – riesce a fare anche questo elegantemente, incredibile – per farci segno di raggiungerla fino alle due sedie che è riuscita a tenere libere per noi.

Matt è seduto accanto alla mia amica: gli soffio un bacio con la punta delle dita, rendendomi conto troppo tardi di star guardando Vicky con un sorriso probabilmente troppo simile a quello con cui mi ha guardata Elaine, nemmeno mezzora fa – certe volte forse dovrei essere un po' più come Will.

L'intervento di Ian McEwan si perde in un mare di contributi di esperti, quando so che a me per essere felice basterebbe ascoltare la sua voce quieta che legge e commenta un passo del suo libro. Il professor Hanson parla da quelle che mi sembrano ore, e accanto a me osservo Vicky immergersi nella sua copia di Chesil Beach e Matt in procinto di addormentarsi. Accarezzo la mia consunta edizione di Espiazione, tutta orecchie, bordi mangiati e sottolineature, cercando di non cadere vittima della voce strascicata di Hanson – se fossimo ad Hogwarts, insegnerebbe Storia della Magia.

James, accanto a me, è concentrato sulla figura dell'oratore sul palco. Mi prendo qualche momento per osservare il suo profilo, interrogandomi su che tipo di studente sia stato. Sono curiosa. Lui si volta verso di me e mi fa un cenno con il mento che è quasi di rimprovero – non guardarmi, ascolta, dice il suo sguardo. Sorrido, colpevole, accarezzandogli il dorso della mano con le dita e tornando a concentrarmi sulla conferenza.

Dopo Hanson, la situazione viene recuperata egregiamente. Gli oratori successivi sono molto più appassionati, e a me si annoda lo stomaco per un po' al pensiero di rischiare di essere l'Hanson della conferenza di linguistica, il giorno del mio compleanno. Voglio essere precisa e organizzata come Minerva McGrannit, non soporifera come il professor Rüf.

L'ultimo intervento è Ian McEwan: parla pochissimo, purtroppo, rispetto a tutti gli altri, ma non importa. Accavallo le gambe e lo ascolto con attenzione parlare della sua idea di romanzo, della maniacalità con cui scrive sempre su quaderni a righe dalla copertina verde – e rigorosamente in penna nera. Parla degli scrittori che lo hanno ispirato in gioventù, e io mi appunto qualche nome a matita sulla prima pagina di Espiazione, sotto la dedica Per Annalena: Golding, Kafka, Mann, Calvino... dello scrittore italiano nomina Il Barone Rampante, e con la coda dell'occhio posso vedere accanto a me Vicky annuire. Sottolineo il titolo, pensando alle prossime sterline ben spese che lascerò in cassa a La Libellula.

Un battito di ciglia e Ian McEwan ha finito di raccontarsi – io e Vicky assistiamo impotenti alla calca sovrumana che si forma intorno al palco, scambiandoci uno sguardo sconsolato e decidendo in silenzio di non tentare neanche di perderci tra la folla.

Ripongo Espiazione nella borsa, e stringo la mano di James, realizzando che in fondo non è davvero poi così importante che Ian McEwan abbia firmato la mia copia del suo libro. Con la sua prosa, i suoi consigli, le sue parole, ha già scritto il suo nome da qualche parte vicino al mio cuore.

*

James ci propone di seguirlo al Nelson con la promessa di una birra, e ovviamente nessuno ha troppa voglia di farsi pregare.

Il tardo pomeriggio al pub scivola tranquillo, tra una media chiara, un caffè e un paio di porzioni di patatine. Matt e Vicky ci salutano quando è quasi ora di cena, lasciando me sul mio sgabello preferito oltre il bancone e James dall'altro lato, impegnato a versarsi una birra.

"Mangi con me?" chiede, concentrato sul boccale.

"Sì," – annuisco, un gomito appoggiato al bancone e il dorso della mano sulla guancia, concentrata nell'osservarlo. Guardarlo mi scalda il cuore. – "Qui o di sopra?"

Mi porge il boccale e io bevo un sorso di Guinness, sorridendo al suo sapore scuro mentre mi lecco le labbra, soddisfatta. Così tanta strada da una foto nella vasca.

Deve aver intuito il ricordo che mi si è affacciato alla mente, perché incrocia i miei occhi con un'espressione complice, ma non si lascia distrarre mentre mi annuncia che mangeremo di sopra, perché in frigo ha ancora gli avanzi di tutto il cibo indiano che gli ho fatto ordinare ieri e che il suo appartamento non può puzzare di pollo al curry un momento di più.

Ridacchio, bevendo con un ultimo e lunghissimo sorso quello che rimane della nostra birra.

*

Sono quasi le dieci: dovrei rivestirmi e tornare verso casa, lo so, ma non riesco davvero a convincermi ad abbandonare questo letto - nuda tra le lenzuola, lascio che James mi stringa a sé, il naso affondato nel mio collo mentre lo libera con una mano dai miei capelli sciolti.

Sorrido senza staccare gli occhi dal libro, lo sguardo che viaggia sulle parole. "È stata davvero una bella conferenza," dico soltanto.

Nella quiete della sera, James sorride sulla mia pelle - mormora un che vibra appena sul mio collo, lo sguardo che si unisce al mio sulla pagina sottolineata a matita leggera.

Nei miei pensieri, faccio l'amore con te tutto il giorno. (*)

*

Il giorno dopo trascorro la mattina a studiare – sto preparando l'esame scritto di Storia e Critica del Cinema e la presentazione per la professoressa Lee, che come se non bastasse mi ha anche chiesto di preparare un nuovo ciclo di tutorati di Linguistica Generale. Certe volte vorrei solo che quella donna facesse ritorno tra le fiamme dell'Inferno da cui è uscita.

Tutti questi impegni mi stanno impedendo di concentrarmi sulla tesi – va bene, perché ormai posso dire di essere all'incirca a buon punto, quindi non dovrebbe essere un problema esagerato, e allo stesso tempo va ancora meglio, perché pensare alla tesi mi fa pensare a Kevin, e pensare a Kevin mi rende triste.

"Ehi!" saluto allegra, il sorriso sulle labbra mentre ricaccio in un angolo lontano della mia mente le mie nuvole scure. "Hai da fare a pranzo?"

All'altro capo della linea, lo starnuto di James è così forte da costringermi ad allontanare il cellulare dall'orecchio.

"Ehi," ribatte con un rauco filo di voce. "Non sono molto in forma." - tossisce, e io ascolto in silenzio, il sorriso che si contorce in una smorfia preoccupata.

"Hai la febbre?" chiedo, passandomi una mano tra i capelli mentre mi raddrizzo sul divano. Devo aspettare altri tre colpi di tosse e uno starnuto prima di avere una flebile risposta.

"Non lo so, non credo."

"L'hai misurata?"

"Holly, sto bene."

"Palle," commento rapidamente, sporgendomi dal divano per infilarmi le scarpe mentre ascolto un altro suo atroce colpo di tosse. "C'è qualcuno che può sostituirti al pub, oggi?"

"Non sei il mio capo, donna," brontola – com'è che da ammalato il suo accento scozzese tocca nuove vette? Riderei a questo suo tentativo di mostrarsi autorevole, se non mi facesse tenerezza.

"Certo, certo, come no," – mi alzo in piedi, controllando l'ora. – "Ascolta, posso essere lì tra venti minuti, facciamo mezzora, passo anche in farmacia..." rifletto, "... chiama Jacob per farti sostituire. O Sibyl. Meglio Sibyl."

Devo aspettare due starnuti prima di risentire la voce di James dall'altoparlante del mio cellulare. Quando parla, malgrado il mal di gola e la raucedine, riesco quasi a percepire il sorriso sornione sulla sua bocca. "Oh, vieni qui a curarmi? Avresti dovuto dirmelo subito, avrei fatto molte meno storie."

Ridacchio. "Oh, sta' zitto."

Le strade sono ancora bagnate dal rapido temporale che si è abbattuto sulla città nella tarda mattinata. Respiro l'aria del mezzogiorno, carica di umidità, e alzo lo sguardo verso un cielo dalle nuvole ancora gonfie e cupe. L'ultima volta in cui sono uscita di casa con un tempo simile, è stato per correre a recuperare Vicky, ubriaca fradicia al Nelson. E prima, prima...

Una goccia di pioggia fresca mi scivola sulla guancia, mentre il rimbombo nuovo di un tuono annuncia la ripresa del temporale. Mi calco il cappuccio della felpa sulla testa e inizio a correre tra le pozzanghere, in fuga dai miei ricordi.

*

James mi accoglie sulla porta, gli occhi arrossati e gonfi, i capelli completamente spettinati e il naso spelacchiato. Gli sorrido incoraggiante mentre si scosta precariamente dallo stipite della porta per farmi entrare in casa.

"Non dire niente," mi ammonisce, perdendosi in un nuovo attacco di tosse.

"Ho portato le medicine," gli dico, sollevando prima una delle buste che tengo in mano, e poi l'altra. "E ho comprato gli ingredienti per fare una zuppa."

Mi dirigo verso il tavolo della cucina, sistemandoci sopra le borse della spesa e voltandomi per toccare la fronte e le guance di James, che mi ha seguita docilmente tra uno starnuto e l'altro.

"Non ho la febbre, ma certo," gli faccio il verso, alzandomi in punta di piedi per appoggiargli le labbra sulla fronte. Scotta, ed è decisamente pallido.

"Non sono malato," borbotta a mezza voce, gli occhi chiusi e il viso che indugia nel mio tocco. Le sue mani scivolano sotto la mia giacca aperta, alla ricerca della mia pelle sotto il tessuto della felpa. Si piega appena per baciarmi il collo, e riesco a sentire le sue guance bollenti contro le mie. "Voglio fare sesso," dichiara, in un mugugno strascicato.

"Certo, certo," annuisco, mordendomi un labbro per trattenere una risata inappropriata. Devo usare tutta la mia forza fisica per evitare che si abbandoni su di me con tutto il suo peso – con non poca difficoltà, riesco a guidarlo verso il suo letto.

Quando mi piego per slacciargli i jeans, mi rivolge un sorriso che vorrebbe essere malizioso, ma che la febbre trasforma in un assonnato tentativo di seduzione. "Basta chiedere per favore, tesoro."

"Ti ucciderò," ribatto, scacciando la sua mano quando affonda tra i miei capelli per massaggiarmi la nuca. Lo sento ridere sommessamente e lo ignoro, perché quest'uomo ha davvero bisogno di un antipiretico – la giustizia divina lo punisce trasformando la sua risata rauca in un nuovo colpo di tosse.

Lo metto a letto in maglietta a maniche corte e mutande e lo costringo a trangugiare del paracetamolo, osservandolo storcere più volte la bocca infastidito dal dover deglutire una pastiglia e sentendomi improvvisamente molto vicina alla Esme dell'anno in cui i gemelli si sono presi l'influenza contemporaneamente.

*

James ha dormito per buona parte del pomeriggio – le medicine hanno fatto scendere la febbre lentamente, e quando si è svegliato l'ho letteralmente obbligato a trangugiare una tazza di tisana alla salvia ed eucalipto, uno dei vecchi rimedi miracolosi di mia madre contro tosse e raffreddore.

Ha tentato di opporsi, di alzarsi e di scendere al Nelson per controllare la situazione, ma ha dovuto ben presto fare i conti con il mio lato autoritario, e a quel punto ha cambiato strategia: ha provato ad ammansirmi offrendomi dell'altro sesso, e allora che gli ho riso in faccia, facendogli notare che era talmente debole che scopare con me lo avrebbe steso definitivamente.

Quando ha sorriso e mi ha detto che gli piace quando parlo sporco, ho dovuto fisicamente trattenermi dal cancellare quell'espressione dalla sua faccia.

*

"Ha un buon profumo," commenta James, soffiando sulla ciotola di zuppa. Alza lo sguardo per incrociare il mio, rivolgendomi un sorriso sghembo.

Appoggiata al bancone della sua cucina lo osservo, in attesa. "Dai, mangia," lo invito, facendo un cenno con il mento alla pentola ancora sul fornello, "Quella che avanza te la metto in frigo, ne ho cucinata troppa."

"Tu non mangi?" chiede, inclinando appena la testa. Assaggia un cucchiaio e si lecca appena le labbra. "È buona."

"E' una ricetta di mia madre," gli spiego, staccandomi dal bancone per recuperare la mia giacca, appoggiata su una delle sedie.

Controllo l'ora e inizio a vestirmi, sotto lo sguardo interrogativo di James. "Te ne vai?" – non riesco a non sentirmi travolta da un'onda di affetto dinanzi al suo tono rauco e non troppo velatamente dispiaciuto.

Scuoto la testa e gli sorrido, aggirando il tavolo per raggiungerlo. "Torno subito," gli spiego, chinandomi per baciarlo su una guancia. Tenta di circondarmi i fianchi con un braccio, ma è ancora troppo intontito perché i suoi riflessi collaborino con il suo cervello. "Mentre dormivi ho telefonato giù, il mio hamburger e le mie patatine fritte dovrebbero essere pronti tra due minuti."

"Oh, non sapevo facessimo anche asporto, adesso," nota, portandosi alle labbra un altro cucchiaio di zuppa.

"Che vuoi farci," – Mi fermo sulla soglia per guardarlo, una risata ancora sulle labbra. – "... essere la ragazza del capo ha i suoi vantaggi," ammicco, soffiandogli un bacio sulla punta delle dita e correndo giù per le scale.

Sono sulla porta del Nelson quando realizzo quello che ho detto.

*

James dorme profondamente, il respiro ancora appesantito dal naso chiuso – ha la faccia sprofondata nel cuscino e mi circonda l'addome con un braccio.

Cerco come posso di riporre il mio libro sul comodino e di spegnere la luce; l'appartamento ricade nell'oscurità, la musica ovattata del Nelson che arriva dal piano inferiore mentre io mi muovo tra i cuscini, alla ricerca di una posizione più comoda per la mia schiena.

È passata da poco la mezzanotte, e io non avevo minimamente programmato di trascorrere la notte qui - non ho mai trascorso la notte qui, e anche se vorrei non darvi troppo peso, all'improvviso mi sembra un passo fondamentale.

I miei occhi si stanno lentamente abituando all'oscurità: la luce di una mezza luna filtra appena dalla finestra, rendendomi più facile esplorare con lo sguardo i lineamenti del viso di James. Sorrido appena, piegandomi per baciarlo sulla fronte. Passo delicatamente una mano sul suo viso fresco di barba, spostando all'indietro qualche ciocca di capelli e lui si agita nel sonno, mormorando qualcosa di incomprensibile mentre il suo braccio si stringe ancora più saldamente attorno alla mia vita.

Guardo il soffitto di travi di legno di castagno, alla ricerca di una risposta che è a portata di mano, ma che non so se sono pronta ad afferrare.

Nei miei pensieri, faccio l'amore con te tutto il giorno. (*)

(*) Ian McEwan, Espiazione

Nota: Tutte le informazioni su McEwan che ho usato per riassumere il suo intervento alla conferenza, le ho prese dall'intervista allo scrittore fatta da Enrico Franceschini in "Vivere per scrivere – quaranta romanzieri si raccontano."

*

Trasalì, come colpita da un'idea sgradevole. "Lo sai vero di che cosa parlo? Dimmi che lo sai."

(Ian McEwan – Espiazione)



Ciao amici, che bello essere tornati! Questo rientro coincide con un capitolo direi poco denso di eventi ma molto denso di sentimenti - che poi è un po' il succo di questa storia, alla fine, no? Fatemi sapere cosa ne pensate del ritorno di Holly, di James malato, dell'ombra di Kevin che è ancora un po' ovunque, in attesa... e preparatevi per la prossima settimana, perchè è in arrivo il compleanno della nostra eroina!

A venerdì, 

un bacio!

Holly

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