TRENTATRE

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CAPITOLO 33 | 'CAUSE YOU WERE ALL I EVER LONGED FOR

"how can our love die
if it's written
in these pages"
(Rupi Kaur)

*

20 aprile 2018, venerdì

DOPO la conferenza di Ian McEwan alla Biblioteca Bodleiana le mie giornate sono state un susseguirsi senza sosta di turni a La Libellula, lezioni di Cinema e studio, studio, studio. È la fine di aprile, il mio compleanno si avvicina e io non riesco minimamente a interessarmene, ho la prova scritta di Cinema tra poco e la presentazione per la conferenza della professoressa Lee tra ancora meno.

Ci sono momenti in cui vorrei solo chiudermi al buio nella mia camera da letto e fingere che il mondo non esista; invece le ore trascorrono, che io lo voglia o no. Continuo a leggere un po' di versi latini quando incrocio Will in libreria – sto migliorando, lentamente – ma qualche volta anche lui o Elaine hanno dovuto tollerare quella voce acuta che mi viene quando sto ripetendo qualcosa e sorbirsi i miei tentativi di suonare professionale nel bel mezzo di un delirio sul sanscrito vedico.

Ho un diavolo per capello, e a farne le spese più di tutti – con aggraziata e placida tranquillità, devo ammetterlo – è certamente James.

"Okay, devo dirlo."

Adesso, ad esempio.

La sua voce mi richiama alla realtà: è stravaccato sul divano con gli appunti della mia presentazione sulle ginocchia, e si sfrega il mento con una mano.

"... possiamo tornare a studiare cinema, per favore?" – Volta una pagina dei miei appunti nella mia direzione, mostrandomi un foglio zeppo di parole in sanscrito. – "Non sono un genio, ma almeno sul tuo adorato Orson Welles possiamo discutere."

"Placati, Rosabella," gli faccio una linguaccia, tornando verso il divano e raccogliendomi i capelli in uno chignon sicuramente storto sopra la testa. "Mi mancano solo due pagine, poi ordiniamo la cena. Promesso."

"Pizza?"

"Cinese?"

James si lascia ricadere tra i cuscini del divano, sconfitto, i miei appunti sulla faccia.

*

22 aprile 2018, domenica

La domenica mattina mi risveglio pigramente tra le lenzuola di James.

Ieri sera sono rimasta a fargli compagnia oltre il bancone del Nelson piluccando una porzione di patatine, e poi sono tornata nel suo appartamento. Ho studiato, guardato un paio di puntate di Community sul mio portatile e poi sono andata a dormire, senza preoccuparmi troppo di aspettarlo sveglia – quando è al pub è praticamente impossibile che torni su prima delle due, e io non sono esattamente un animale notturno.

Ora lui dorme e io mi siedo al tavolo della sua cucina, rigirandomi tra le dita una delle penne che ho lasciato sparse sul legno insieme al mio computer e ai miei appunti. Guardo James nel letto, la sua schiena nuda tra le lenzuola e il viso affondato nel cuscino – se perfezione non fosse una parola così sterile, sarebbe quella che userei questo momento. Ho la sensazione che la mia felicità sia qui, ora e a portata della mia mano - eppure, ancora non ci riesco.

Preparo il caffè, sorridendo senza voltarmi al grugnito soffocato di James che si stiracchia tra le coperte. Sto esplorando in punta di piedi l'armadietto sopra i fornelli alla ricerca di una confezione di cereali quando, alle mie spalle, le sue mani si chiudono sui miei fianchi e la sua barba sfrega sul mio collo.

"Buongiorno."

"...'giorno," mormora pigramente, la voce ancora arrocchita dal sonno.

Arrossisco e mi volto nel suo abbraccio, abbandonando la ricerca dei cereali. Non ho ancora acceso il fornello sotto il caffè. James si spinge appena di più contro di me, inclinando appena il viso per baciarmi. Senza fretta.

Mi lascio sollevare come se non pesassi nulla, allacciando le cosce attorno ai suoi fianchi e ridendo quando ci scontriamo con una sedia nel percorso verso il letto.

Il caffè può aspettare.

*

"Mi mancate anche voi," sospiro, incrociando le gambe sul divano.

Da Galway, mio padre mi rassicura, promettendomi una giornata sulle colline non appena potrò tornare. Lo saluto con un sorriso un po' annacquato, mormorando un ti voglio tanto bene che mi lascia un nodo di pianto a premere sulla gola.

Mi sento ridicola – le lunghe telefonate dall'Irlanda riescono sempre a mettermi di buon umore, di solito. Non oggi. Deve essere emotività post-sesso, , decido, se esiste una cosa del genere.

"Ehi," James si siede accanto a me, sistemando una tazza di caffè sul tavolino davanti a noi. "Tutto bene?"

Abbandono la testa sulla sua spalla, scegliendo di rimanere in silenzio per un po'. James mi sta accarezzando con lentezza il dorso della mano quando mi decido a parlare.

"Mi manca casa mia," ammetto debolmente. Devo fare un lungo respiro, il groppo del pianto che di nuovo tenta di salire. Cerco di non pensare alla voce di mia madre che dice che quando tornerò mi preparerà la torta di mele, la mia preferita. Non è razionale, ma vorrei piangere.

"Sono stanca," dico, inspirando nuovamente. Confessare le mie debolezze è sempre stato faticoso. "... il lavoro, la presentazione, l'esame che si avvicina..." – la tesi, vorrei aggiungere.

Mi sollevo, sfregandomi gli occhi con la mano e ricacciando giù il pianto nervoso come meglio riesco. "Ho paura di non riuscire a fare tutto per bene, di dimenticarmi qualcosa..." ammetto con un pigolio. "... e mi manca casa mia," ripeto. "Sono sempre tornata per il mio compleanno."

Bevo un lungo sorso di caffè sotto lo sguardo di James, che mi osserva con un sorriso leggero e intenerito sulle labbra. Si sporge appena per accarezzarmi una guancia con il pollice quando ripongo la tazza sul tavolino. In questo momento il suo affetto non fa altro che rendermi più malinconica.

"Scusami, adesso mi passa," – scuoto la testa, sforzandomi di sorridere. Tu ti scusi troppo.

James si sporge per baciarmi, chiudendo sul mio viso anche l'altra mano. Le sue dita mi accarezzano con lentezza mentre la sua bocca si muove sulla mia. Chiudo le dita sul suo polso, piacevolmente rapita dal tocco della sua lingua.

Quando si scosta dal mio viso, mi guarda con decisione, spostandomi una ciocca di capelli dietro l'orecchio. "Sei preparata, Holly, sia per l'esame, sia per la presentazione," dice. "Ti ascolto ripetere cose assurde da così tanto tempo che ormai potresti mandarci me, alla conferenza, e fare comunque una discreta figura."

"Scusa," mi sfugge di nuovo. Sorride esasperato e io ridacchio, sporgendomi per baciarlo di nuovo.

Mi lascia fare, una mano che scende a percorrermi la schiena sotto la maglietta. "E a maggio sarai di nuovo a casa, non mancano neanche due settimane. Nel frattempo, so io quello che ti ci vuole stamattina."

"Sesso?" chiedo di buon umore, la voce finalmente più leggera.

"Dio, donna, sei insaziabile."

Le tracce di una risata incredula ancora sulle labbra, mi allungo sul divano con l'idea di baciarlo nuovamente, ma lui si alza in piedi, tendendomi una mano. "Andiamo, forza."

"Dove?"

"A fare colazione." - sorride. - "In uno di quei tuoi bar hipster dove le foto su Instagram vengono da dio alla luce naturale, e cose del genere."

Rido, prendendogli la mano. "Cosa ne sai tu di Instagram?"

*

Dopo aver fatto colazione con James – da Veronica's servono dei danesi alla crema che sono la fine del mondo, e la luce sul tavolo nero e lucido era davvero perfetta per immortalare il nostro cibo – l'ho accompagnato al mercato coperto a fare la spesa: passeggiare lentamente, una mano tra la sua e un cestino nell'altra, lamentandomi con passione del prezzo della frutta fuori stagione è stato sorprendentemente rilassante.

"Possiamo guardare i fiori?" chiedo, saltellando verso una bancarella coloratissima senza aspettare risposta. Il profumo della terra umida nei vasi mi riempie le narici. James mi segue a passi lenti, e anche se è alle mie spalle e non posso vederlo, impegnata come sono a mettere il naso tra le piante, so che sorride.

"Tutto quello che vuoi, Holly."

Intimità, empatia, affetto – alla luce del sole. La potenza di queste sensazioni mi colpisce con forza in momenti precisi, momenti come questo. Sono un animale nato in cattività improvvisamente libero nella natura selvaggia - è questo l'effetto che mi fa la normalità.

Io e Keeran ci siamo lasciati troppo giovani per poter condividere questo tipo di domesticità, e la mia vita insieme a Kevin non ha mai visto nulla oltre le mura di casa mia o i mobili del suo ufficio.

Oh, che stupida ragazzina sei stata.

Qualche volta però, prima che io riesca a fermare la mia mente – il mio cuore -, penso che in fondo, il luogo non fosse davvero importante. Avevamo le nostre poesie – di altri, ma nostre – e nient'altro riusciva davvero ad avere importanza.

("Devi andare via.")

Ha senso davvero recriminare ancora? È andata così, sono parole mie. Ma la verità è che ciò che è fatto non può essere disfatto (1), e che perdonare non è dimenticare.

Sarebbe troppo semplice altrimenti, no?

Prendo un mazzetto di lavanda, affondandoci il naso. James mi circonda la vita con un braccio e appoggia il mento sulla mia spalla, osservandomi con un lieve sorriso incuriosito.

Chiudo gli occhi, respirando il profumo della lavanda – mi sembra quasi di sentire la sua voce.

("Ti amo, mo leannan. Lo sai, non è vero?")

(1) Macbeth, Shakespeare

*

23 aprile 2018, lunedì

La malinconia di questi ultimi giorni mi si cuce addosso, poco importa quanto tempo io trascorra in attività che dovrebbero distrarmi – studiare, mangiare, fare sesso.

Oggi è l'ultimo giorno prima della presentazione – del mio compleanno – e io mi sento così stanca e al limite di ogni cosa da non riuscire neanche a sentirmi in colpa per non aver organizzato nulla per festeggiare, qui ad Oxford. Avrei dovuto scrivere a Vicky, magari proporre qualcosa anche a Emily, Luke e Gracie, anche soltanto una birra al Nelson... e invece non ho fatto nulla. Perché come ogni volta, quando finisco per farmi assorbire completamente dallo studio, finisco per dimenticare gli altri, e me stessa.

È la nostalgia di casa, a rendermi così. Toglie i colori ad ogni momento e lo inonda di grigio, rendendomi apatica e piatta. Senza di lui. Stupidaggini, Kevin non mi serve per compiere gli anni – domani mi sveglierò e avrò ventisette anni, e non sarà cambiato niente.

("Già. Non è cambiato niente.")

Appoggio il coltello piatto sul tovagliolo, lasciando per metà il burro spalmato sulla mia fetta di pane.

("Te! È te che voglio, dannazione!")

In silenzio, mi prendo il viso tra le mani e piango.

*

"Sicura di non volere nulla?"

"Tranquillo," ribatto rapidamente, sforzandomi di non tirare rumorosamente su col naso.

"Guarda che non sarebbe un problema, poi dopo pranzo vado e ti lascio studiare," – c'è una traccia di promessa maliziosa nella parola studiare.

Sorrido, asciugandomi gli occhi con il dorso della mano.

"Davvero, Jamie, non preoccuparti," – mi sfugge. Lo infastidisce quando Jacob lo chiama così, ma ora non si lamenta. Forse lo infastidisce tutto quello che fa Jacob, in generale. Non mi stupirebbe poi troppo. – "... ho ancora qualcosa in frigo, mi arrangio."

Tengo il cellulare schiacciato tra spalla e orecchio mentre mi frugo nelle tasche dei pantaloni per cercare un fazzoletto. Sento il suo mh in risposta, e so che non lo sto convincendo per nulla.

"Sono solo un po' stanca," ammetto, e non è una bugia. È qualcosa che gli ho già detto, e, tra le altre cose, è vero.

Mi fa promettere di non passare tutto il giorno a ripetere ad alta voce ogni cosa, passeggiando per casa come una matta – come effettivamente faccio di solito – e mi strappa qualche sorriso raccontandomi delle ultime mirabolanti avventure di Sibyl oltre il bancone.

Quando ci salutiamo e chiudo la chiamata, la mia casa scivola nel silenzio e io sono sola, circondata dai miei – nostri – libri e da troppi pensieri.

Bevo il mio ultimo sorso di caffè e abbandono il portatile - aperto sul tavolo della cucina, il documento della presentazione già pronto e ormai ricontrollata fino alla nausea – in cucina, zampettando fino alla mia libreria in salotto. Mi stringo nella felpa, osservando l'intero scaffale che riservo alla filologia. A Kevin. I miei libri, la mia vita è tutta qui, allineata su una mensola. Ripenso ai primi giorni del nuovo anno, quando sono stata nel suo ufficio e sono tornata a casa con l'Edda. Sfioro la costa del volume con lentezza. Com'era? Quella ragazza saggia era la mia carne e il mio cuore, eppure non potevo chiamarla mia. (2) Cuore e carne, sempre – emozioni crude, nude. Siamo fragili e distruttivi quanto le frasi che sottolineiamo a matita nei nostri libri.

Ricordo di avergli detto di avermi amata a metà - lo penso ancora, ma adesso realizzo che non è questo il problema. Penso a quando James mi ha baciata sotto casa, dicendomi che quello era esattamente un primo appuntamento, a quando mi sono fermata a dormire da lui quando gli è venuta la febbre e sono rimasta sveglia tutta la notte a guardare il soffitto, e realizzo che il problema non è Kevin che mi ha amata a metà.

Il problema sono io - l'ho amato con tutto il mio cuore, e adesso non mi resta che un pugno di cenere.

("Ti amo, Livia."

Che sciocca, Olivia. Lo sapevi già. Lo hai sempre saputo.

"Ti amo anch'io.")

Mi allontano dalla libreria, prendo la giacca ed esco di casa.

(2) Edda poetica, Havamal

*

"Cosa ci fai qui?"

Mi chiudo la porta dell'ufficio alle spalle.

"Domani è il mio compleanno."

Kevin è seduto alla scrivania. Ha addosso quella camicia azzurra di cui posso ancora richiamare la sensazione sotto le dita, con le maniche arrotolate come fa sempre quando lavora e il nodo della cravatta allentato. C'è una tazza di tè vuota appoggiata accanto a una pila di libri, e davanti a lui dei fogli sparsi. La luce del mattino inonda l'ufficio dal vetro della finestra che si affaccia sui cortili dell'università.

Non si muove dalla sua posizione oltre la scrivania e io rimango immobile, la schiena contro la porta. Mi tremano le mani. Ci fissiamo in silenzio per qualche istante, i suoi dannati occhi azzurri che indagano il mio viso. Sento il cuore battermi furiosamente nel petto, il suono ritmico che rimbomba nelle mie orecchie, mentre provo l'irrazionale istinto di nascondermi tra le sue braccia.

"Credevo fossi a Galway," osserva. Reclina appena il busto, spingendo di poco indietro la sedia.

"Dovevo," replico rapidamente. Mi allontano dalla porta e inizio a muovermi avanti e indietro, tormentandomi le mani. Più respiro, più mi sembra difficile riempirmi i polmoni. "... ho una conferenza, quella organizzata dalla professoressa Lee, domani mattina, e quindi niente, ho preparato tutto ma non sono sicurissima di un paio di cose e ho pensato che forse..."

La mia improponibile sequenza di bugie muore lentamente sotto il suo sguardo.

"Olivia." – lascia andare la penna che stringe tra le dita, appoggiandola con lentezza sulla superficie di legno. Il mio nome sulla sua bocca è un sospiro pericoloso, quasi un avvertimento. "Cosa ci fai qui?" ripete.

"Domani è il mio compleanno," ripeto, senza fiato. Lo sai. Mi sento sul punto di scoppiare di nuovo a piangere e vorrei che una frase così semplice bastasse a spiegare il tormento confuso che sento in questo momento. Ti prego.

Si alza e io mi immobilizzo, le braccia strette lungo i fianchi. Mi raggiunge lentamente, e mi guarda come se ogni passo nella mia direzione gli costasse fatica. "Livia, tu non puoi..." – è in piedi davanti a me quando solleva appena una mano per poi riabbassarla quasi di scatto, la rabbia mal contenuta nel suo tono di voce.

Allungo una mano, stringendo gentilmente le dita sul suo avambraccio, tra il polsino arrotolato della camicia e del suo gomito. C'è qualcosa di confortante nella sensazione della sua vicinanza, ma Kevin continua a parlare senza allontanare gli occhi dal mio viso, quasi neanche se ne fosse accorto.

"... sei venuta qui un mese fa a dirmi quanto io non ti abbia mai amata abbastanza, a dirmi che ti meriti di essere felice senza di me-"

"Non è quello che ho detto!" mi oppongo, vergognandomi della mia voce sottile. Perché sono venuta qui? Carne e cuore.

Libera il braccio dalla mia presa, afferrandomi per le spalle. "... e adesso non puoi arrivare qui all'improvviso a dirmi che domani è il tuo compleanno e a guardarmi così. Non ho più l'età per certi giochetti."

L'ultima frase è come uno schiaffo in pieno viso. Sbatto le palpebre con gli occhi annacquati di lacrime, guardandolo con le labbra dischiuse mentre assaporo tutta la crudeltà delle sue parole. Brucia e ferisce, perché per quanto lui si sia sempre sforzato di non farmelo pesare e io mi sia sempre spinta oltre i miei limiti per negare la verità, alla fine del giorno siamo sempre stati un professore e una studentessa con una relazione clandestina. E io, in fondo, mi sono sempre sentita una ragazzina, rispetto a lui, e lui lo sa, e sa esattamente quanto sentirmelo sbattere in faccia mi ferisca.

Tutto l'impeto che mi aveva riportata qui, alla ricerca di una risposta a tutta la mia malinconia, scivola via, e l'unica cosa che voglio in questo momento e sfuggire alla sua stretta e scappare il più lontano possibile.

"Hai ragione," replico meccanicamente, la voce vuota. Muovo un passo indietro e vedo il rimorso attraversare lo sguardo di Kevin mentre sfuggo alla sua presa sulle mie spalle. "Venire qui è stato un errore. Mi dispiace."

Raggiungo la porta dell'ufficio senza che lui faccia nulla per trattenermi e scappo, come ormai ho imparato a fare così bene.

L'eco triste del mio nome credo di averlo soltanto immaginato.

*

Il percorso a ritroso, dall'università fino a casa, è lento e confuso. Non faccio molto caso a dove metto i piedi, lasciando che sia la mia memoria muscolare a riportarmi davanti alla porta dell'appartamento.

Tutto è come l'ho lasciato, neanche due ore prima: il portatile aperto sul tavolo della cucina, la tazza di caffè vuota, i miei pantaloni del pigiama sul bracciolo del divano.

Come ho fatto a pensare che capitombolare nel suo ufficio potesse dare un senso a ogni cosa? James non lo merita. Neppure Kevin lo merita, malgrado tutti i miei tentativi di convincermi del contrario. Se ami qualcuno così tanto da fargli male, ti hanno insegnato ad amare nel modo sbagliato. Semplicistico, decisamente – ma la mia vita non può essere fatta solo e soltanto di grandi citazioni.

Mi siedo sul pavimento del bagno, la schiena appoggiata alla vasca, e cerco di recuperare un po' di controllo sul mio respiro e sul battito del mio cuore.

E io? Io, me lo merito?

Appoggio la fronte sulle ginocchia e chiudo gli occhi.

*

"Grazie di essere venuto."

Nel buio della mia camera da letto, le braccia di James mi circondano gentilmente la vita, sistemandomi contro il suo petto.

"Sibyl può chiudere senza problemi," dice, un respiro tra i miei capelli. Appoggia il mento sulla mia spalla e io mi muovo appena contro di lui alla sensazione della sua barba sulla mia pelle. Quando parla di nuovo, la sua voce è bassa e quasi dubbiosa, nell'oscurità della stanza. "... ero preoccupato."

Da quando ho spento la luce, i miei occhi si stanno lentamente abituando alla mancanza di luce – riesco quasi a delineare il profilo del mio balcone, oltre le tende, illuminato dai raggi freddi della luna.

"Lo so," ammetto.

Sono rimasta seduta accanto alla mia vasca per quasi tutto il pomeriggio, ignorando l'ora di pranzo e tutto il ripasso che avevo programmato di fare per la mia presentazione. Quando sono riuscita a chiamare James volevo tranquillizzarlo, dirgli che non avevo risposto ai suoi messaggi perché ero stata totalmente assorbita dallo studio, proprio come gli avevo promesso di evitare – quando ha risposto al cellulare stavo già piangendo.

"Vuoi parlarne, adesso?" – Non fa alcun tentativo di rigirarmi nel suo abbraccio, lasciando che io stringa appena un po' di più il suo avambraccio sotto la mia maglietta. – "Va bene, se non vuoi."

Se non dicessi nulla, adesso, credo che James archivierebbe senza troppe domande questa crisi all'ansia della presentazione, alla nostalgia di casa. È tutto vero, ma allo stesso tempo, non è abbastanza. Puoi essere triste anche tu, lo sai?

Faccio un respiro profondo, risistemandomi tra le sue braccia per poterlo guardare in viso. Nella penombra densa della stanza, riesco a scorgere il suo sguardo abbassarsi sul mio. La sua mano sale ad accarezzarmi delicatamente il braccio, dalla spalla al dorso della mano – aspetta, in silenzio.

"Ti voglio bene," dico soltanto, nascondendomi di nuovo tra le sue braccia. Davvero, davvero, davvero. Mi sento infantile, piccola, tutta quella parte di me che ho sempre cercato di ignorare quando ero con lui.

Lo sento respirare lungamente, l'ombra di un bacio tra i miei capelli.

"Anch'io, Holly. Anch'io."

*

24 aprile 2018, martedì

In piedi davanti alla mia libreria, lascio scorrere le dita sulla copertina blu notte del libro che tengo tra le mani. È l'alba: alle mie spalle, dalla finestra del salotto, sta sorgendo il sole. James dorme nella mia stanza.

Apro il libro lentamente, ritrovando quella pagina dove la rilegatura aveva cominciato a cedere – i miei versi mi scrutano beffardi, la linea sottile della matita, implacabili davanti alla mia amarezza.
Certamente non so che fare, ma ti amo più di ogni altra cosa al mondo. Che Dio ci conceda di ritrovarci, perché, amore, io possa guarirti, o di morire d'una stessa agonia. (3)

Chiudo il libro e lo ripongo al suo posto sullo scaffale, i primi raggi di sole che inondano la finestra del salotto alle mie spalle.

È l'alba.

Buon compleanno, Livia.

(3) Thomas – Tristano e Isotta

*

James esce dalla mia stanza alle sei e un quarto, gli occhi ancora gonfi di sonno e soltanto dei boxer neri addosso. È una vista gloriosamente felice per i miei occhi.

Mi osserva perplesso, appoggiato allo stipite della porta, mentre mi affaccendo attorno al tavolo della cucina per preparare la colazione.

"Mi hai spento la sveglia?" chiede, passandosi una mano sul viso.

Verso il caffè nelle due tazze che ho già sistemato sul tavolo e gli sorrido, voltandomi verso il fornello per recuperare la padella dove ho fritto le uova. "Dormivi così bene," gli dico, alzando appena le spalle. Sistemo la colazione nei piatti e la padella nel lavandino, "... ti avrei svegliato tra poco, giuro, avevo solo bisogno di ripassare ancora un paio di cose..."

Ho ancora in mano la spatola con cui ho servito le uova quando la sua mano si chiude attorno al mio polso e io mi ritrovo premuta contro il suo petto nudo, la sua altra mano sulla mia schiena, a tenermi saldamente contro di lui.

"Cosa?" sorrido, agitando appena la spatola.

James sfrega appena il naso contro il mio, inclinando appena il viso per baciarmi sulle labbra. Affondo l'altra mano sulla nuca, tra i suoi soffici capelli scuri, e mi godo il lento attacco della sua bocca sulla mia.

"Buon compleanno, Holly."

Sempre con la mano libera, passo le dita tra la sua barba, assaporando il contrasto ruvido sulla mia pelle. "Grazie."

James sorride, sporgendosi per baciarmi un'altra volta, la mano sulla mia schiena che si infila al di sotto dell'elastico dei pantaloni per stringermi il sedere.

Saltello all'indietro, sfuggendo alla sua stretta. "Ho una conferenza tra tre ore!" proclamo scandalizzata, la risata sulle labbra mentre lo minaccio con la spatola.

James sorride. "Tra quanto, hai detto?" chiede, sornione, tornando a muoversi verso di me.

"Tre ore, ma non è questo- JAMES!" urlo quando ignorandomi totalmente mi afferra per le cosce, sollevandomi tra le sue braccia. Stringo le gambe attorno ai suoi fianchi e le braccia sul suo collo, perché lui è seminudo e io gli voglio bene e chi sono io per ignorare il mio corpo, mentre la mia mente tenta di opporre ancora una flebile resistenza. Ho ancora in mano la spatola. "... dai, ti ho preparato la colazione!" provo, senza una reale convinzione.

James inarca un sopracciglio, allontanandosi dal tavolo e procedendo verso la camera da letto. Mi sistema sul letto, piegandosi su di me per baciarmi mentre le sue mani iniziano a sciogliere il nodo dei miei pantaloni del pigiama. Quando separa la sua bocca dalla mia sento le mie guance bruciare alla sola malizia che leggo nei suoi occhi blu.

"Oh, non preoccuparti per me," – mi inarco al suo tocco quando le sue dita sollevano la mia maglietta e la sua bocca percorre lentamente il mio addome fino all'elastico dei miei slip. Sento il suo sorriso sulla mia pelle. – "... so già cosa mangiare."

"JAMES MCAVOY, NON PUOI AVERLO DETTO DAVVERO!"

Lancio la spatola giù dal letto, ridendo e avventandomi sulla sua bocca.

*

Quel lungo momento davanti alla mia libreria mi ha fatto decidere che non avrei lasciato che niente e nessuno – me stessa, prima di tutto – riuscisse a rovinarmi il giorno del mio compleanno.

Ieri è stata una giornata scura e buia. Ho ceduto alle mie debolezze – alla mia debolezza -, ma oggi è una bella giornata, e non lascerò che le mie paure la rovinino. Ero di buon umore già alle sei del mattino, pronta ad iniziare il mio primo giorno da ventisettenne da adulta – responsabile, appagata. Poi James ha deciso di fare colazione con me, e devo dire che la parte dell'appagamento si è risolta piuttosto facilmente. Credo di potermi considerare appagata fino alla trentina, dopo questa mattina.

Ci siamo salutati davanti alla porta del mio appartamento, lui diretto verso casa sua e il Nelson e io pronta per la conferenza – ho scoperto che James apprezza particolarmente le mie gambe in una gonna a vita alta, il che ha ritardato i miei preparativi finali ma ha decisamente rinforzato la parte dell'appagamento.

In università, la professoressa Lee mi aspetta, già pronta a farmi notare che sono in anticipo rispetto all'orario di apertura dei lavori soltanto di un'ora e mezzo. Ah, beh. Mi siedo in prima fila, controllando i messaggi su WhatsApp mentre sul piccolo palco davanti a me i tecnici stanno ancora trafficando con il proiettore. Deve essere una costante del mondo universitario – avremo sempre dei problemi con il proiettore.

Sorrido, scorrendo l'elenco delle chat e perdendomi nella marea di notifiche.

Buon compleanno tesoro! Non vedo l'ora di riabbracciarti. Non so se il messaggio di papà ti arriverà (ha rotto il telefono, come al solito), ma ovviamente anche lui ti fa tanti auguri. – Mamma.

Tanti auguri di buon compleanno, Holly. (Il telefono funziona perfettamente, tua madre esagera come al solito. Magari, quando torni, potresti darci un'occhiata. Sono piuttosto convinto di non aver fatto alcun abbonamento per raddoppiare la velocità della mia connessione internet e dimezzare il mio credito residuo.) – Papà.

Alla mia sorellina preferita, tantissimi auguri! – Esme.

Buon compleanno Holly, non fare nulla che io non farei (tranne le ali d'angelo sul culo, ecco, di quelle non ne vado fiera e te le proibisco). Ez, grazie. – Cece.

(Chat di gruppo – "Ragazze Gardner")

Tanti auguri Dale. Mi manchi. – Chip.

Buon compleanno, Holly. Ti voglio bene. – Kee.

AUGURI HOLLY!

Ti saluta anche Tom

Anche Dev

C'è anche Zoe, ti fa gli auguri e dice che ti farà una torta

Controllerò che non ci metta cose strane

Ti saluta anche Shaela

E Harry

Ed Ernie

Tanto non ti ricordi neanche chi sono, eri fatta come una pigna quando li hai conosciuti

Basta, ho finito

BUON COMPLEANNO!

- Sibyl.

Tanti auguri, mamma Holly! - Vicky

Tanti auguri Holly! Sono tornato da Portland, un bagel e un caffè ti colpiranno quando meno te lo aspetti. – Joe.

E dove la colpiranno, Joe, in testa? Dio mio, certe volte mi sorprende che tu ora abbia una ragazza. Buon compleanno, Holly! – Blake.

Infame. – Joe.

Blake, idiota, piantala! Tanti auguri tesoro! E in bocca al lupo per la conferenza della Lee! – Emily.

Tantissimi auguri di buon compleanno Holly! – Grace.

Buon compleanno Holly! Fagliela vedere a quella vecchia megera! – Luke.

(Chat di gruppo – "Giuro solennemente di non avere buone intenzioni")

*

La presentazione è un successo.

Gli argomenti della conferenza sicuramente sono interessanti soltanto per esperti e appassionati – forse in qualche caso neppure – e strutturati per essere esposti in un modo che certamente non facilita la comprensione per i meno preparati. Ma dopotutto, sarebbe davvero difficile trovare un modo per appassionare le folle alle statistiche di frequenza dell'ordine sintattico oggetto-verbo-soggetto nel sanscrito vedico. È difficile appassionarcisi in generale, a dirla tutta.

La professoressa Lee, arida e fredda fino alla fine, addirittura si spreca in un mezzo sorriso e qualche complimento alla fine del mio intervento. Io ringrazio il docente di Cambridge in visita con un sorriso e una stretta di mano mentre dentro di me penso a tutte le ore del mio tempo che ho investito in dieci minuti di intervento, un applauso gentile e qualche sorriso.

Scrivo rapidamente a James, sistemandomi lo zaino sulle spalle. Sono le quattro passate, gli interventi di oggi sono finiti e io non vedo l'ora di tornare a casa a indossare dei vestiti più comodi.

Tutto bene, il mondo è un posto nuovo dopo le mie considerazioni sul sanscrito. Facciamo qualcosa stasera? Qualcosa tipo stamattina, ecco. ;)

Facciamo tutto quello che vuoi. ;)

Passo a prenderti alle sette.

Sorrido, rimettendo il cellulare nella tasca del mio parka e frugando alla ricerca del mio pacchetto di sigarette. La sala conferenze si sta svuotando lentamente, ma la ressa accanto alla porta non mi impedisce di notare, tra la folla, l'uomo dai capelli ramati che guarda nella mi direzione.

Mi confondo tra i professori che imboccano la porticina laterale sul retro del palco che porta a uno dei corridoi interni del dipartimento di arte, anche se una volta lì dovrò fare il doppio della strada per ritrovare l'uscita.

Sono già lungo la strada per il mio appartamento, la Lucky Strike nervosamente al sicuro tra le labbra, quando il mio cellulare vibra nella tasca, segnalando l'arrivo di un nuovo messaggio.

Buon compleanno, Livia.

*

"Dio mio spiegami amore
Come si fa ad amare la carne
Senza baciarne l'anima."
(Alda Merini)

*

Una volta a casa, la stanchezza accumulata inizia a farsi sentire.

Mi stendo sul divano, fingendo con tutte le mie forze di non aver ricevuto quell'ultimo messaggio e che lo scaffale di filologia romanza della mia libreria non esista, perché oggi è il mio compleanno, il mondo è pieno di persone che mi vogliono bene e io non posso farmi altro male così – il trillo del cellulare mi riscuote proprio mentre sto per crollare addormentata, con i piedi sul bracciolo e ancora le scarpe addosso: la voce di Piper che canta e strimpella Don't look back in angera cosa servono gli Oasis quando puoi avere Piper Harrison come suoneria per le sue stesse chiamate? - mi sveglia quanto basta per riuscire a recuperare il cellulare senza che mi si chiudano gli occhi.

"Pronto?"

"BUON COMPLEANNO!"

Sorrido, allontanando appena il telefonino dall'orecchio per non perdere l'udito. "Ehi!"

"Come stai?"

"Distrutta," ammetto, senza preamboli. "Inizio a sentire il peso della vecchiaia."

"Fai qualcosa per festeggiare?" mi chiede, e so che sta sorridendo. Quando parla di nuovo, però, posso quasi sentire la malinconia nella sua voce. "Non sai quanto vorrei essere lì con te."

"Anche io lo vorrei," le dico. Calcio via le mie scarpe stringate, risistemandomi sul divano. "... quest'anno almeno non ti perdi niente, non preoccuparti," continuo, cercando di suonare leggera. Sbadiglio rumorosamente, malgrado la mano davanti alla bocca. "Sono appena tornata dalla conferenza per la professoressa Lee e ora vorrei dormire per giorni, ma devo iniziare a studiare Cinema e mi piace, il corso è bellissimo, ma devo preparare un sacco di altre cose-"

Quando sono stanca, ho questa abilità di parlare a sproposito – ma chi voglio prendere in giro, ce l'ho sempre, semplicemente quando sono stanca diventa davvero disturbante. Come adesso: ottima idea raccontare alla propria amica che telefona per fare gli auguri di compleanno quanto sia pesante l'università che ha dovuto lasciare per i problemi economici dei suoi genitori. Wow, Holly, delicato.

Mi mordo il labbro, passandomi una mano sul viso e lasciando il discorso a metà. "Scusami," dico soltanto. "Sono proprio una pessima mamma."

"Capita," dice soltanto, ridacchiando debolmente con me. "Ma non mi dà fastidio, davvero."

Sento l'improvvisa necessita di sbattere la testa contro il muro, nella speranza di recuperare un po' di accortezza. Dannazione, non è da me fare figure del genere. Mi sistemo meglio tra i cuscini dopo essermi sciolta la coda di cavallo in cui avevo raccolto i capelli per la conferenza.

"Dai, raccontami del ragazzo delle torte. E ti prego, particolari piccanti, perché se sto per fare un'altra figuraccia vado direttamente a lanciarmi giù dal balcone."

Piper mi racconta di Teddy, il ragazzo delle torte, e di come finalmente le cose sembrino tornate a girare per il verso giusto nella sua vita, malgrado sia più che mai convinta di procedere coi piedi di piombo. Mi mordo la lingua all'ultimo, rischiando quasi di chiederle dell'uomo biondo con cui l'avevo vista sparire oltre la porta sul retro del Nelson, ormai tante sere fa. Una figuraccia alla volta, Holly.

Quando ci salutiamo abbandono il divano e mi spoglio lentamente, lasciando i miei vestiti eleganti in giro per casa e riempiendo la vasca da bagno di acqua bollente e sali profumati in cui potrei dormire per i prossimi vent'anni.

Ne approfitto per chiamare mia madre e raccontarle della conferenza, risolvere dal suo telefono i problemi al cellulare di mio padre e poi chiamare a casa di Esme, per chiacchierare un po' con i miei nipotini. Quando chiudo l'ultima chiamata sono a mollo da così tanto tempo che ogni nervo del mio corpo sembra essersi trasformato in gelatina.

James ha detto che passerà alle sette, il mio frigo è vuoto e il sesso è la mia unica certezza per questa serata. Sprofondo nella vasca da bagno, godendomi l'acqua calda e i miei pensieri.

*

James mi afferra per un braccio quando sto per imboccare la via laterale che conduce al cortiletto sul retro del Nelson e alle scale esterne per il suo appartamento.

"Di qua." - Mi attira contro di lui, stringendomi a sé con una mano premuta sulla mia schiena mentre continuiamo a camminare ciondolando verso l'entrata principale del Nelson.

Sorrido, prendendogli il viso tra le mani per baciarlo, trascinandolo più vicino per il colletto della sua camicia di flanella e continuando a muovermi all'indietro fino a che la mia schiena non incontra il legno della porta del locale.

"Holly, aspetta-"

La sua voce è roca sulle mie labbra quando mi alzo in punta di piedi per incontrare la sua bocca con la mia e circondargli il collo con le braccia, le dita che affondano e stringono tra i suoi capelli scuri. Gli mordo appena il labbro inferiore, approfittando del gemito basso che gli sfugge per cercare la sua lingua con la mia. Le sue mani si stringono sui miei fianchi, i suoi jeans che premono contro i miei in un modo che mi fa soltanto desiderare di intrecciare le cosce attorno alla sua vita e supplicarlo di farlo qui, adesso, ti prego, incuranti dei passanti del martedì sera.

"Ehi, ehi, ehi, ferma," - dice rapidamente all'improvviso, allontanandosi di mezzo passo da me. La mancanza della pressione dei suoi fianchi contro i miei è dolorosa da sopportare. Lo osservo, appoggiata come sono alla porta del suo pub, mentre si passa una mano tra i capelli e respira profondamente. - "Gesù cristo."

Mi guarda con un sorriso quasi incredulo e io sbatto innocentemente le ciglia, in attesa, mentre il mio corpo mi urla di chiedergli per quale dannato motivo non mi abbia ancora trascinata in un luogo chiuso e piegata come più gli aggrada.

Fruga nella tasca posteriore dei jeans e io inclino appena il capo, incuriosita dal foulard di un bel bordeaux che tiene tra le mani. Inarco un sopracciglio, incredula. "Oh, siamo già in quella fase in cui dobbiamo provare cose nuove per ravvivare il rapporto?" chiedo, mettendo il broncio per un istante e poi lasciandomi sfuggire una risatina.

"Vieni qui," dice, ignorando pazientemente il mio divagare.

"... va bene tutto, all'incirca, ecco, ma niente giochi di ruolo professore-studentessa, te lo giuro potrei dare di matto-"

James mi afferra nuovamente per un braccio riportandomi contro di lui, mi fa girare di spalle, rivolta verso l'ingresso del Nelson e mi benda gli occhi legandomi stretto il foulard tra i capelli. Sto ancora ridacchiando da sola, completamente al buio, quando fa l'ultimo nodo al pezzo di seta. La sua barba sfrega piacevolmente sulla pelle del mio collo quando brontola divertito nel mio orecchio, "Dio mio, Galway, avevo quasi dimenticato quanto diventi loquace quando bevi."

Si è presentato sulla porta di casa mia con una bottiglia di Laphroaig prelevata direttamente dalla mensola oltre il bancone del Nelson e con la proposta di festeggiare il mio compleanno prima di beh, spostarci nel suo appartamento a festeggiare il mio compleanno. Davvero, poteva andare diversamente?

"Non dimenticarti arrapata, Gordon," lo correggo, mentre le sue mani sulle mie spalle mi guidano in avanti.

"Non oserei mai," risponde. "Ora, aspetta..." Lo sento sporgersi appena oltre me, e poi un rumore metallico. Chiavi? Stiamo entrando al Nelson? Beh, a parte la benda, questo non è esattamente qualcosa di nuovo. Le sue mani tornano sulle mie spalle e la sua voce è di nuovo roca vicino al lobo del mio orecchio. Mi spinge delicatamente in avanti, e posso sentire sulla mia pelle il cambiamento dall'aria fresca della sera al chiuso del pub.

"... c'è una sorpresa."

Approfitto con una risata di avere le braccia libere per smanacciare alle mie spalle, alla ricerca del bottone dei suoi pantaloni. "Oh, beh," - Quando riesco ad afferrare la sua cintura mi volto, le mie dita che malgrado la benda conoscono a memoria il percorso per liberarlo dai jeans. Lo accarezzo attraverso la stoffa spessa e lo sento distintamente emettere un sospiro quasi strozzato, mentre mi sporgo in avanti in attesa di essere baciata. – "... a me pare di averla già trovata."

Le sue mani si stringono sulle mie, allontanandomi con grande disappunto dalla zona della sua cintura. Lascio che mi volti nuovamente, e continuo a parlare mentre sento le sue dita salire a slegare il foulard, "... però direi su uno sgabello stavolta, almeno, perché di castagno nel culo ne ho preso fin troppo-"

Mi interrompo a bocca aperta, perché non ho più il foulard sul viso e finalmente posso vedere di nuovo, e lo spettacolo davanti a me non è minimamente quello che pensavo di trovare: il Nelson è completamente addobbato di festoni e palloncini verdi, un allegro Buon compleanno Holly! torreggia sopra le mensole oltre il bancone, e un nutrito gruppo di persone mi guarda con gli occhi sgranati mentre io realizzo che tutti mi hanno appena vista tentare di infilare le mani dei pantaloni del mio ragazzo.

"Lo sgabello c'è," – passo con lo sguardo oltre Vicky, decisamente provata dal tentativo di trattenere una risata, avvolta nell'abbraccio di Matt, e i miei compagni di università – Emily mi sta mostrando i pollici in su con un gran sorriso – fino a incontrare l'espressione sorniona di Tom, che batte invitante una mano sul mio sgabello. Accanto a lui Dev si passa una mano sul viso. – "Ora raccontaci com'è stato questo castagno nel culo..."

"SORPRESA!" strilla Sibyl, smanacciando per tappargli la bocca.

*

Una festa a sorpresa.

Ho fatto avanti e indietro tra i tavoli, chiacchierando allegramente con tutti i miei amici – e non, credo che un gruppetto particolarmente nutrito di invitati siano in realtà amici di Sibyl, ma sono davvero simpatici – e lanciando di tanto in tanto qualche occhiata oltre il bancone, dove James è impegnato a preparare cocktail e a tenere a bada Tom.

"Contenta della sorpresa?"

Alle mie spalle, Vicky mi abbraccia e io sorrido, stringendo le dita sul suo avambraccio. "Sono senza parole," ammetto quando ci separiamo, "... davvero. E grazie, a proposito."

Questi giorni di polvere che ho conosciuto sono stati spazzati via da questo nuovo sole – siete voi. Voi siete il sole (4).

Scuote appena la testa, ricambiando la mia espressione. "È stata tutta un'idea di James," dice, "Io mi sono limitata ad appendere i palloncini e a non tradire il segreto. Non è stato facile, a proposito."

Vorrei dirle qualcosa – qualcosa che disperatamente non sia non è solo questo e tu lo sai, qualcosa che non ci riporti indietro alle lacrime al tavolo della mia cucina perché l'ho vista tra le braccia di Matt e so che stai provando disperatamente a essere felice, tesoro, lo so – ma alla fine sorrido e basta, allungandomi per accarezzarle la guancia, perché io e Vicky amiamo le parole, ma tra di noi o non servono o non sono mai abbastanza. E basta.

Si separa da me quanto basta per muovermi allegramente davanti al viso un pacchetto avvolto in una carta marrone chiaro.

"Buon compleanno!"

"Oh," – sbatto le ciglia, guardando il pacchetto. È un libro, lo so. Ripenso all'incipit di Lolita, ai versi di Tristano e Isotta, e so che non può essere qualcosa di diverso. Sotto il suo sguardo di attesa impaziente e il mio, che a breve sarà sicuramente pieno di lacrime perché sì, piangere è una delle mie attività preferite, scarto lentamente il pacchetto, rivelando la copertina di Chesil Beach.

"Ho pensato che volessi continuare con McEwan," dice.

Scorro le prime pagine e trovo la sua calligrafia – Gli anni possono essere implacabili con la gloria, ma non con te. Buon compleanno, saggia, splendida Holly.

Oh.

Sono di nuovo tra le sue braccia prima di aver quasi finito di leggere. Stringo lei e stringo il libro, e penso che Lolita e Tristano e Isotta non ci servono, adesso, perché siamo abbracciate e staremo bene e abbiamo questo libro che è soltanto nostro.

(4) Citazione decisamente molto libera di I will wait, Mumford & Sons

*

"Posso avere una Gordon, per favore?"

Nell'allegro caos della festa, mi appoggio con i gomiti al bancone oltre il quale James sta trafficando dopo aver bandito Sibyl dalla preparazione dei cocktail – indicativo, devo dire.

Lui inarca un sopracciglio, scuotendo appena la testa con tutta l'esasperazione di cui è capace, e io scoppio a ridere.

"Certe tecniche di approccio non invecchiano mai, mh?"

"Taci, assaggio di Scozia."

Il sopracciglio di James sale, e il suo sorriso si fa malizioso.

"Ha funzionato, no?"

Alzo gli occhi al soffitto, appollaiandomi sul mio sgabello, mentre James traffica con la spina per riempire il boccale della mia birra preferita. Mi perdo un istante a guardarmi attorno, sulle note di TNT degli ACDC, e la realizzazione di essere davvero fortunata ad avere degli amici così meravigliosi sboccia lentamente dentro di me.

"Tieni."

James mi richiama alla realtà, appoggiando il boccale di Gordon davanti a me. Accanto alla birra, un pacchetto rettangolare – carta da regalo azzurra disegnata di lama con la lingua di fuori e buffi cappellini da compleanno.

"Oh," riesco solo a dire, alzando lo sguardo verso di James, le guance improvvisamente rosse. "E vuoi darmelo così, sul bancone?" – sei troppo lontano, vieni qui, devo baciarti.

"Considerato quante cose ti ho dato su questo bancone..."

"Jamie."

"Dai, aprilo."

È un libro, e all'improvviso io non so se sono pronta. Prendo il pacchetto con le dita che tremano leggermente, strappando i simpatici lama con le unghie. Poteva non essere un libro, dopotutto? Le persone che mi conoscono davvero conoscono anche il potere che le parole hanno su di me.

La carta rivela una copertina bianca, un disegno gentile di alberi verde scuro e un titolo, accompagnato dal nome dell'autore, scritti in alto in un pulito stampatello. Leggo, a labbra dischiuse, e realizzo che davvero non ero pronta – Il barone rampante, Italo Calvino.

"Non posso crederci," mormoro, alzando incredula lo sguardo mentre accarezzo quasi con timore la copertina. Alzo lo sguardo verso James, che mi osserva con un lieve sorriso soddisfatto. "Come hai-"

"Ti ho vista sottolineare il titolo, durante la conferenza," dice, scrollando appena le spalle. "E non sei esattamente contenuta riguardo alle tue passioni, se proprio devo dirlo."

"Non sarebbero passioni, altrimenti," dico distrattamente, aprendo il libro per scorrere qualche pagina. Rialzo lo sguardo, tornando a concentrarmi su di lui. "Non so davvero- voglio dire- Jamie, è-"

Mi sorride di nuovo e io mi interrompo, più che mai conscia di essere incredibilmente a corto di parole. Abbassa brevemente lo sguardo sul volumetto che tengo tra le mani e io lo imito. "Will ha detto che questa edizione ti sarebbe piaciuta di più."

La mia testa scatta di nuovo all'insù. "Sei stato a La Libellula?" chiedo.

"Preferivi mi rivolgessi alla concorrenza?" mi chiede, divertito dal mio stupore.

"Certo che no!" proclamo con un sorriso. Tengo il libro con una mano e mi sporgo oltre il bancone per afferrarlo per la maglietta e baciarlo sulle labbra. "Sto per venire di lì a ringraziarti come si deve."

Sorride sulla mia bocca. "Nessun problema per me."

*

"Hai da accendere?"

Sorrido, voltandomi con la Lucky Strike tra le labbra. James si chiude la porta del retro del Nelson alle spalle, e le risate e le chiacchiere dei miei amici all'interno del locale diventano poco più di un piacevole sottofondo mescolato al rock ritmato degli ACDC.

"Sei un uomo fortunato," dico allegra, frugando nella tasca posteriore dei miei jeans per porgergli il mio accendino.

"Lo sono," risponde, quieto, e sotto il suo sguardo affettuoso e serio insieme so di essere arrossita.

Lascio che si sistemi accanto a me, concentrato nell'accendere la propria Marlboro mentre faccio correre gli occhi sul cortile, illuminato dalla luce della mezza luna, e mi concentro per trovare le parole giuste.

Rabbrividisco nella mia maglia nera, l'aria ormai fredda della notte che mi fa rimpiangere di aver dimenticato il parka dentro il locale. Senza dire niente, James stringe la sigaretta tra le labbra e si toglie la camicia di flanella, appoggiandomela sulle spalle e rimanendo in maglietta.

Inspiro l'ultima boccata di Lucky Strike e spengo il mozzicone sotto i piedi, voltandomi a guardarlo con un lieve sorriso mentre srotolo del tutto le maniche della sua camicia e le allungo fino a che non arrivano a coprirmi quasi le dita.

"Grazie."

"Non dirlo neanche."

Scuoto appena la testa, circondandogli la vita con un braccio e lasciando che mi stringa con la mano che non tiene la sigaretta. Lo bacio su una guancia, tra la barba folta, respirando soddisfatta il suo profumo e l'odore di fumo.

"E' una festa bellissima," dico, guardandolo con un sorriso. "Nessuno aveva mai fatto una cosa così, per me."

James inspira una boccata di fumo lunghissima, alzando appena il mento verso l'alto per non espirare sui miei capelli. Malgrado ci sia soltanto la luce giallastra del neon della porta a illuminare il suo viso, potrei giurare che è in imbarazzo.

Appoggio una mano sul suo petto, accarezzandogli distrattamente l'incavo del collo con il pollice. "Davvero, io..." – faccio fatica a trovare le parole giuste. – "Non so come ringraziarti."

Inarca un sopracciglio, riservandomi uno dei suoi meravigliosi sorrisi maliziosi, e quando rido strillando dai, dico davvero! e pizzicandogli un fianco con l'altra mano per poco non gli faccio cadere a terra la sigaretta.

Rimaniamo in silenzio per un po', nella quiete del cortile, stretti l'una all'altro. James finisce di fumare la sua Marlboro e io appoggio la guancia sulla sua spalla, allacciando le dita attorno ai suoi fianchi mentre la sua mano sale ad accarezzarmi con lentezza tra i capelli. Aspetto, perché so che ha qualcosa da dire.

"Non sono mai stato bravo in queste cose," – alzo la testa, sfregando il naso sul suo mento mentre la sua mano scivola sulla mia schiena e l'altra si stringe delicatamente sul mio fianco. Queste cose – vorrei solo abbracciarlo di più.

Si interrompe, e io non posso fare a meno di guardarlo quando i suoi occhi blu si abbassano sul mio viso.

"Stai tranquillo," - Lo bacio con dolcezza, le dita che stringono il cotone della sua maglietta, felice nella sua camicia e nel suo abbraccio. Sorride appena, sollevando una mano per accarezzarmi una guancia. – "Stai andando benissimo."

*

"Si conobbero. Lui conobbe lei e se stesso, perché in verità non s'era mai saputo. E lei conobbe lui e se stessa, perché pur essendosi saputa sempre, mai s'era potuta riconoscere così."
(Italo Calvino – Il Barone rampante)

Ehilà, benvenuti alla fine di questo capitolo  L U N G H I S S I M O! Non negherò che sia stato un parto - avevo la necessità di raccontare per bene tutti questi giorni prima del compleanno di Holly, per cercare di rendervi l'idea del suo stato emotivo decisamente altalenante - e spero, in tutte queste pagine, di esserci riuscita almeno un pochino! 

Se volete saperne di più su Piper, l'organizzazione della festa di Holly, Tom e le sue battute pessime ma divertenti, vi invito a fare un salto sulle altre storie di questo profilo! 

Stiamo arrivando a tirare gli ultimi fili di questo lungo percorso (progetto 39 capitoli e un epilogo), e mentre le cose tra Holly e James si stanno evolvendo, quello che rimane tra Holly e Kevin non riesce davvero a finire.

("Nè voi senza di me, nè io senza di voi.)

Buon finesettimana, a venerdì! ;)

Holly

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