TRENTAQUATTRO

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CAPITOLO 34 | YOU'LL BUILD YOUR WALLS AND I WILL PLAY MY BLOODY PART TO TEAR, TEAR THEM DOWN


MOLTI dei giovedì folk del Nelson li ho vissuti tra le lenzuola di James, al piano di sopra: il ritmo trascinante ma anche un po' malinconico dei gruppi che si esibivano dal vivo è sempre stato soltanto un rumore di fondo a cui non ho mai prestato molta attenzione.

Questa sera invece sono seduta al mio solito sgabello, le dita che tamburellano seguendo la musica sul legno del bancone. Il locale non è particolarmente affollato, ma l'attenzione di tutti i presenti è rapita dall'uomo dalla voce graffiata che accarezza dolcemente la propria chitarra sul piccolo palco, montato per l'occasione al centro del pub.

Jamie appoggia la porzione di patatine fritte che gli ho ordinato prima accanto alla mia Guinness, e approfitta di un momento di calma al bancone per appoggiarsi con i gomiti davanti a me.

"Non male, mh?"

Annuisco, incantata.

Sul palco, Jacob è nel pieno del primo ritornello di una cover acustica di The wolf: non ha il tono inconfondibile di Marcus Mumford, ma c'è qualcosa di sorprendentemente ruvido nella sua voce che carica la sua versione, più lenta dell'originale, di una inaspettata malinconia.

Jake canta di tenere il lupo lontano dalla porta e io mi inclino appena verso James, allungando una mano per accarezzargli una guancia. La sensazione della sua barba sotto le mie dita basta a rendermi felice.

"Tu sei un po' un lupo, in fondo," gli dico, inclinando appena la testa neanche volessi studiarlo meglio. "Selvatico."

Gratto con le unghie sulla sua guancia e lui mi guarda – c'è un'intensità nei suoi occhi blu, mentre la musica si stende sotto di noi, che non riesco del tutto a decifrare.

"Cosa c'è?" chiedo con un mezzo sorriso. James mi osserva, ancora senza dire nulla, e io inizio a sentirmi vulnerabile sotto il suo sguardo. Arrossisco, ritraendo la mano. "Avresti preferito qualche altro animale?"

Lui afferra la mia mano e se la riporta vicino al viso con lentezza, piegandola delicatamente per baciarmene il palmo. C'è qualcosa di predatorio nei suoi occhi – lupo, l'avevo detto.

"No," dice soltanto, riabbassando la mia mano sul bancone e intrecciando con lentezza le nostre dita. Mi guarda, gli occhi blu adombrati di promesse che mi lasciano con le guance arrossate e le labbra dischiuse. "... lupo va benissimo."

Lascia indietro i tuoi giorni selvaggi, voglio guardarti negli occhi, perché sei tutto quello che ho sempre desiderato.

Torno a seguire Jake, che sul palco percorre le corde della sua chitarra acustica per gli accordi finali della canzone, la mano di James ancora sulla mia.

(Il corsivo è una traduzione libera di "The Wolf" – Mumford & Sons)

*

"È stata una bella serata," considero, appoggiando il mio parka su una delle sedie al tavolo della cucina, "Jake è davvero, davvero bravo."

Alle mie spalle, James mi circonda i fianchi, le mani che lavorano lentamente per sfilarmi la camicia bianca dai jeans.

"Mh-mh."

Chiudo gli occhi, reclinando appena la testa all'indietro quando il suo naso mi sfiora l'orecchio e sorrido, pigramente soddisfatta dalle sue attenzioni. Mi bacia, percorrendo il mio collo con dolorosa lentezza, mentre le sue mani iniziano ad occuparsi della mia cintura e la mia destra sale all'indietro, appigliandosi in una carezza ai capelli scuri sulla sua nuca.

"Cantante, chitarrista, proprietario di un pub..." elenco, trascinando le parole sotto le sue carezze. "Ce n'è abbastanza per far sognare una ragazza..."

"Divertente," replica, il tono denso di sarcasmo. Il bacio nell'incavo del mio collo si trasforma nella leggera ma decisa pressione dei suoi denti sulla mia pelle. "Co-proprietario," rimarca.

"Oh, ma certo," rido, "Sicuramente-"

Non riesco a evitare di inarcarmi contro il suo petto quando la sua mano sinistra scivola nei miei slip e l'altra risale il mio addome fino al tessuto del reggiseno, senza curarsi di sbottonare ulteriormente la mia camicia.

"Stavi dicendo?" chiede nel mio orecchio.

La sua voce è poco più di un sospiro arrocchito, ma la sensazione liquida e bollente che si annoda nel mio basso ventre è abbastanza da farmi provare le vertigini. Mi volta lentamente tra le sue braccia, spingendomi indietro quanto basta perché le mie cosce tocchino il tavolo.

"Non mi ricordo, non importa," concludo rapidamente.

Ride a bassa voce mentre io appoggio i palmi delle mani sul legno di castagno, e in un gesto che vorrei fosse più aggraziato mi siedo sul tavolo, allargando le cosce quanto basta per accomodare la sua figura contro di me. Così, lui in piedi tra le mie gambe e io seduta sul suo tavolo, devo alzare il mento e sporgere il viso in avanti per raggiungere la sua bocca.

Quando lo faccio lo sento sorridere appena sulle mie labbra; le sue mani scivolano dal mio viso fino alle mie spalle, spingendomi dolcemente indietro fino a che non mi ritrovo completamente stesa sul tavolo della cucina. Le mie gambe istintivamente salgono per intrecciarsi sulla sua schiena, mentre lui appoggia i palmi delle mani ai lati della mia testa e si piega su di me.

Percorre il mio volto e scende con lo sguardo fino a quanto del reggiseno si intravede dalla mia camicia fuori posto, tracciando con le dita una carezza dalla mia guancia fino al primo bottone ancora allacciato.

Mi spingo in avanti al suo tocco e cerco allo stesso tempo di avvicinare ancora di più il suo corpo al mio – i miei jeans aperti ai suoi -, disperatamente alla ricerca di un modo per averlo più addosso.

Sulla sua bocca c'è la piega di un sorriso pericoloso mentre mi muovo sotto di lui; i suoi occhi tornano a scurirsi di quell'ombra predatoria quando la sua mano finisce di sbottonarmi la camicia, e le sue dita scostano il tessuto della mia camicia per rivelare completamente il mio reggiseno.

Appagata, mi godo la sua reazione.

Il pomeriggio trascorso in un negozio a far disperare una povera commessa sembra all'improvviso soltanto un incubo lontano, totalmente ripagato dal modo in cui James mi sta guardando in questo momento.

"Sapevo che ti sarebbe piaciuto," dico, senza riuscire a trattenere la piega impertinente nella mia voce.

L'uomo che ha organizzato per me una festa di compleanno a sorpresa, con tanto di palloncini e decorazioni nei colori dell'Irlanda, ora mi sta guardando come se fosse pronto a strapparmi i vestiti di dosso e mangiarmi viva. Come si dice? Trovati un uomo che sappia fare entrambe le cose.

"... per me?" chiede, e sorriderei se non fossi troppo impegnata a non gemere al percorso riverente delle sue dita, che scivolano dai miei seni ancora coperti dalla seta sul mio addome fino ai miei jeans aperti, a tracciare il bordo dei miei slip, dello stesso tessuto e della stessa sfumatura di rosa antico del reggiseno.

"Avevo addosso un reggicalze la prima volta, questo è niente-"

Mi bacia, spingendo la sua lingua nella mia bocca e muovendosi contro di me all'improvviso – una scarica di eccitazione mi percorre e pulsa dolorosamente nell'esatto punto in cui i suoi fianchi premono contro i miei, e da quel momento James sembra assegnarsi come missione personale quella di dimostrarmi quanto abbia apprezzato la mia biancheria – rovinandomela.

Il mio ultimo pensiero coerente, prima che la sua bocca e la sua lingua siano su di me e le mie mani scattino tra i suoi capelli, a tirare e pregare, è soltanto soldi ben spesi.

*

Il modulo A del corso di Storia e critica del cinema si chiude il venerdì in tarda mattinata, con una appassionata lezione su Vertigo, di Alfred Hitchcock: alla professoressa House piace coinvolgerci nelle sue riflessioni, e certe volte trovo impossibile distogliere lo sguardo dalla sua figura sottile che si aggira tra i banchi, reclamando con la profondità delle sue analisi la mia completa attenzione.

Ascolto in silenzio, il dorso della mano sistemato sotto il mento e lo sguardo concentrato sulle immagini che danzano sul proiettore, quando la professoressa spegne le luci per commentare con noi alcune sequenze fondamentali del film.

Vertigo è costruito su simbolismi di colore, di effetti e di parole: c'è del proustiano in Madeleine Elster che va ben più al di là del nome, e all'improvviso, mentre ascolto Judy Barton implorare Scottie Ferguson di amarla, vorrei soltanto essere da un'altra parte. If I let you change me, will that do it? If I do what you tell me, will you love me?

Soltanto quando sono fuori dall'aula, all'aria fresca del cortile e sotto i raggi del sole tiepido di primavera, realizzo che quella che si è appena conclusa era l'ultima lezione della mia carriera universitaria. Oh. Aggiusto lo zaino sulle spalle e mi incammino in silenzio verso la caffetteria, dove Emily, Blake e Joe mi aspettano per pranzare insieme.

La voce di Kim Novak insegue i miei pensieri per tutta la giornata.

And if you lose me, then you'll know. I, I loved you. And I wanted to go on loving you.

(Il corsivo sono citazioni da "Vertigo" recuperate da IMDb)

*

Questo finesettimana a La Libellula è pigramente tranquillo, lasciandomi libera di leggere ad alta voce il latino di Virgilio sotto lo sguardo di Will. Elaine sta riordinando gli scaffali della sezione Esoterismo, e ogni tanto si affaccia con la testa oltre la porta del corridoio - non so dire se più preoccupata dalla mia pronuncia o da quello che vede scritto sulle copertine dei manuali che sta sistemando.

"Stai migliorando."

"Lo dici solo per essere gentile."

Will mi osserva, a metà tra il divertito e l'esasperato. "Devi davvero lavorare su come accettare un complimento."

È in piedi, accanto ai nutriti scaffali della sezione Poesia: si abbandona lì ogni volta in cui io mi siedo alla cassa con l'Eneide tra le mani, e io inizio davvero a pensare che abbia bisogno di essere circondato dai versi di artisti di ogni secolo per sopravvivere al mio modo di leggere gli esametri.

"Probabile." - Infilo la matita che sto usando per segnare gli accenti dei versi dietro l'orecchio, reclinandomi sulla sedia quanto basta per sgranchire la schiena. – "Adesso che ho archiviato la presentazione per la conferenza, avrò molto più tempo per esercitarmi."

Quando mi guarda con le sopracciglia appena aggrottate, delle sottili rughe d'espressione gli segnano la fronte. "Ricordami, stai preparando un esame?"

"No." - Scuoto appena la testa con un lieve sorriso e Will mi osserva, in attesa che io prosegua. Recupero la matita dai miei capelli e me la passo tra le dita, riflettendo attentamente su cosa dire. Fargli sapere che la malinconia nei suoi occhi e nella sua voce quando abbiamo parlato di Sofocle ha acceso in me la passione per la letteratura antica mi sembra all'improvviso inutilmente emotivo e sicuramente troppo personale. – "E' solo... mi piace. E ho sempre voluto imparare la metrica. Avevo deciso che l'avrei studiata da sola, piuttosto, prima che tu ti facessi carico della mia educazione," concludo con un guizzo d'ironia, abbastanza per mantenere la conversazione leggera.

"Qualcuno doveva pur farlo," ribatte, usando il mio stesso tono.

Ridacchio sotto il suo sorriso lieve e i suoi occhi gentili, brandendogli contro la matita in uno sdegnato 'ehi!' di avvertimento. Per un momento mi sembra sia sul punto di aggiungere qualcos'altro, ma all'improvviso lo scampanellio della porta d'ingresso annuncia l'arrivo di un cliente, ed è subito ora di rimettersi al lavoro.

La giornata trascorre senza intoppi fino alla fine del mio turno: quando metto piede fuori da La Libellula, James mi sta aspettando dall'altro lato della strada, un bicchiere di carta di caffè fumante in una mano e quello che ormai è un mozzicone di Marlboro nell'altra.

Lo bacio su una guancia e gli rubo il bicchiere dalle dita, bevendone un sorso lunghissimo sotto il suo sguardo divertito mentre mi godo il sapore amaro del caffè sulla lingua.

"E se fosse stato per me?" chiede, osservandomi con il capo appena inclinato.

Inarco un sopracciglio, in una delle mie migliori imitazioni delle sue occhiate. "Era per te?" chiedo, senza riuscire a trattenere una mezza risata.

James inspira l'ultima boccata di fumo, un sorriso leggero che gli piega le labbra mentre spegne quel poco che rimane della sua sigaretta sotto la suola delle scarpe.

"No," dice soltanto, chiudendo gli occhi per un istante, "Bevi."

Con il sorriso ancora sulle labbra affondo di nuovo nel mio caffè, la mia mano libera che scivola a cercare la sua mentre camminiamo lentamente verso il mio appartamento.

Questa sera ad occuparsi del Nelson ci sono Jake e Sibyl, e io ne ho approfittato per convincere James a fermarsi da me. Nei giorni scorsi mi ha fatto giurare solennemente che non avremmo ordinato cibo cinese, almeno per un po', e così ho dovuto inventarmi qualcosa.

"Un... cosa?" mi chiede, interrompendo a metà il mio racconto. Alza lo sguardo dal filetto di pesce spada che sta tagliando, guardandomi senza capire.

Ci stiamo affaccendando attorno al tavolo della mia cucina per preparare la cena, con come unico sottofondo alle nostre chiacchiere la riproduzione casuale dell'Awesome Mix. Vol. I dei Guardiani della Galassia che ho fatto partire a volume minimo dal mio cellulare.

Sorrido alla confusione nella sua voce, continuando ad affettare i ciliegini di Pachino che questa mattina ho pagato una cifra irripetibile al mercato coperto. "Un poke," ripeto più lentamente, "...è una funzione di Facebook, una specie di... oh, ti ricordi i trilli di MSN? Andiamo, siamo circa della stessa generazione, devi aver avuto MSN."

Mi fulmina con lo sguardo per un lungo momento – ridacchio, mentre lui annuisce.

"... ecco, ti dicevo, mi ha mandato un poke, che è una cosa che credo facciano soltanto i serial killer, e così ho controllato sulla sua pagina, e beh, la foto di tutti i suoi gatti come immagine del profilo non è stata propriamente rassicurante..."

Proseguo il mio animato racconto, spiegandogli di come, molti poke e molte foto di gatti dopo, sono riuscita a capire che quell'Edward Wheeler che stava cercando disperatamente di mettersi in contatto con me via Facebook fosse il Teddy di cui Piper non riesce a smettere di parlare.

"Sta organizzando una festa a sorpresa per il compleanno di Piper-"

"Sdolcinato."

Stavolta è il mio turno di fulminarlo con lo sguardo. "Oh, ma davvero?"

Riusciamo entrambi a mantenere un'espressione seria soltanto per pochi istanti: lui torna ad occuparsi del pesce spada, il sorriso ancora sulle labbra, e io abbandono i pomodorini per recuperare una padella dal ripiano sopra il lavandino, ondeggiando al ritmo rilassante di Fooled around and fell in love di Elvin Bishop.

"... comunque, c'è un motivo per cui te lo sto dicendo," continuo, sistemando il tegame sul fornello e passando alla ricerca dell'olio. James ha finito di tagliare il pesce a dadini e si volta verso di me, pulendosi le mani nel canovaccio che ho appoggiato allo schienale della sedia. "... Teddy mi ha detto di aver parlato anche con Vicky, e che gli farebbe piacere se ci foste anche tu e Matt."

Gli do le spalle per accendere il fornello e bagnare d'olio la padella, continuando a battere il piede a tempo di musica. Perché all'improvviso farmi accompagnare da Jamie alla festa di compleanno di Piper sembra un passo fondamentale nella nostra relazione? Il mio ragazzo. .

"Quando sarebbe?" chiede James, avvicinandosi con il piatto su cui ha disposto i tocchetti di pesce spada. Temporeggio, invadendo il suo spazio per aprire il cassetto delle posate e prendere un cucchiaio di legno; lui mi osserva con un mezzo sorriso, in attesa, tenendomi il piatto inclinato quanto basta per permettermi di spargere il pesce nella padella.

"Giovedì, il tre," – prendo dalle sue mani il piatto e gli lascio il cucchiaio, spostandomi per sciacquarlo nel lavandino. – "... ad Abridge, è a poco più di un'ora di macchina da qui..." - Chiudo l'acqua, voltandomi di nuovo verso il tavolo per recuperare il canovaccio che James ha usato poco fa e asciugarmi le mani. – "... se devi lavorare quella sera mi arrangio-"

"No, posso organizzarmi con Sibyl, non dovrebbe essere un problema," risponde, pensieroso. "Mi basta farglielo sapere il prima possibile..."

Lo raggiungo ai fornelli, con tra le mani il piatto su cui avevo diligentemente ammucchiato i pomodorini, e lui alza lo sguardo dal pesce spada che sta rimestando con il cucchiaio di legno: la sua espressione, da concentrata, si ammorbidisce mentre mi osserva con un accenno di sorriso. Usa il cucchiaio per aggiungere i ciliegini alla padella, mentre io tengo inclinato il piatto e l'attacco inconfondibile di Come and get your love riempie la stanza.

"... mi fa piacere, accompagnarti."

"Sono contenta," dico soltanto.

L'affetto nei suoi occhi mi riempie il cuore di tenerezza: è una sensazione timida e allo stesso tempo frizzante, che mi scalda dalle guance alla punta delle dita. Mi alzo sulle punte dei piedi per baciarlo su una guancia con entusiasmo.

Il mio ragazzo. Sì.

"We stood there and I kissed her for the last time, and she said 'If you lose me you'll know that I loved you and wanted to keep on loving you.' And I said, 'I won't lose you.' But I did."

(Vertigo)

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