TRENTACINQUE

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CAPITOLO 35 | JUST HOLD ON TO WHAT WE KNOW IT'S TRUE

"Nessuno può far tornare indietro il destino."

(Béroul – Tristano e Isotta)

"DEVO chiederti scusa."

In piedi accanto a me, un gomito appoggiato casualmente sul bancone e il busto orientato nella mia direzione, Kevin chiede alla barista due caffè americani e un bagel di sesamo. Quando volta lo sguardo nuovamente per incrociare il mio, cerco di sorridergli lievemente, anche se non posso fare a meno di torturarmi con le unghie la pelle già rovinata nell'interno del pollice.

"No, non devi. Io non avrei dovuto trattarti in quel modo, sono stato..." risponde pacato, senza riuscire a concludere la frase.

Crudele. Ripenso a come mi sono presentata nel suo ufficio, una settimana fa: trafelata, spettinata, sull'orlo di una crisi di lacrime e di nervi e senza giustificazioni. Kevin sarà stato crudele, ma lo sono stata anche io.

Si muove appena per appoggiarsi al bancone anche con l'altro gomito e sospira, abbassando appena lo sguardo sull'anello d'oro che porta all'anulare sinistro.

Io rimango immobile, concentrandomi sulla schiena della ragazza che sta preparando le nostre ordinazioni: il dettaglio del fiocco del grembiule che porta annodato sui fianchi non è sufficiente a distrarmi dalla sensazione del suo avambraccio contro il mio.

"... io... capisco perché sei venuta nel mio ufficio, Livia, davvero," – Kevin tormenta l'anello con le dita dell'altra mano, sfilandoselo e risistemandolo, mentre io cerco di non soffermarmi troppo sulla dolcezza della sua voce nel pronunciare il mio nome: da troppo tempo il suo chiamarmi Livia aveva soltanto il sapore di una sfida, e per un momento ricordarlo è quasi un conforto. - "E' lo stesso per me."

Mi guarda, interrompendosi per dare il tempo alla giovane barista di sistemare i nostri caffè e il mio bagel davanti a noi. Il richiamo verso il passato che quella frase risveglia dentro di me mi obbliga a rifugiarmi in un sorso bollente di caffè.

Kevin impreca a bassa voce, risistemandosi la fede al dito con un gesto quasi stizzito. "... vorrei solo fosse più semplice."

Spezzo con le dita un boccone di bagel, senza rispondere.

I silenzi si sono sempre allungati tra di noi quieti, affettuosi, sinceri: adesso continuiamo a fare colazione senza un'altra parola, nella ressa caotica della caffetteria, e l'unica cosa che sento è il vuoto di qualcosa che c'era e adesso non più.

*

Richiudo le sensazioni dolceamare dell'incontro con Kevin in un angolo scuro della mia mente, concentrandomi nel dedicare il resto della giornata al ripasso per l'esame di Storia e critica del cinema di domani mattina.

Rileggere di Vertigo e Kim Novak è più doloroso di quanto immaginassi, ma la mia passione per la persona di Orson Welles e per le sue opere mi aiuta a raggiungere la fine della giornata: esploro con calma i miei appunti, alla ricerca di osservazioni che posso aver sottovalutato.

James suona il campanello del mio appartamento poco prima delle sette, quando ho appena finito di ripetere ad alta voce le pagine sul cinema russo e di affettare le verdure per condire il riso basmati.

"Porto doni," mi sorride sulla porta, alzando la busta di carta che tiene con una mano.

"Timeo Danaos et dona ferentes," ribatto con aria saputa, prendendo il sacchetto dalle sue mani per lasciare che sistemi la camicia di flanella sull'appendiabiti.

Il suo sorriso si trasforma in un'espressione interrogativa mentre mi segue in cucina, e io scrollo appena le spalle, un po' in imbarazzo. "E' latino," gli spiego, sistemando la busta sul tavolo e iniziando ad aprirla per vedere cosa contiene.

"Ovviamente."

Alzo lo sguardo dal sacchetto, incrociando l'affettuosa presa in giro nei suoi occhi; gli faccio una linguaccia e un sorriso, ritornando con le guance arrossate all'esplorazione della busta.

"Vuol dire temo i Greci anche quando portano doni, si usa per dire di non fidarsi dei nemici anche quando- oh!" mi interrompo alla fine della mia scarna spiegazione, portando alla luce dal sacchetto un contenitore di plastica contenente due enormi fette di torta al cioccolato. "Ma che meraviglia!"

James sorride al mio entusiasmo, prendendo un piatto dalla credenza per sistemarci le porzioni di dolce. "Mia madre è passata a trovarmi," commenta distrattamente, "... ha detto che la torta ti avrebbe portato fortuna per l'esame."

Alzo la testa di scatto, incontrando il suo lieve sorriso, e realizzo che ha interrotto lo spostamento del dolce nel piatto per concentrarsi sulla mia reazione.

"Tua madre- cosa?" chiedo, confusa.

In questi mesi, James mi ha raccontato qualche dettaglio sulla sua famiglia: so che i suoi genitori sono separati ma in buoni rapporti, che il padre si è risposato e vive ancora Glasgow, e che la madre ha recentemente concluso un viaggio di tre mesi in camper per tutta la Gran Bretagna prima di fare ritorno a Dorchester. Quello che non sapevo era che sua madre fosse a conoscenza della mia esistenza.

"È arrivata senza avvisarmi, come al solito," – alza gli occhi al soffitto, ma mi sembra piuttosto rassegnato. – "... e niente, il tuo spazzolino è nel mio bagno, Holly, e sul cuscino c'è quella tua maglietta dei Flogging Molly che usi per dormire..." – Mi sorride appena, sollevano le spalle. – "... Non ho intenzione di fartela conoscere domani, se è questo che ti preoccupa, ma non è che ci sia qualcosa da nascondere."

Annuisco, recuperando con lentezza il controllo di me stessa.

In fondo, è vero, è piuttosto normale che sua madre sappia della mia esistenza: tracce della mia presenza sono sparpagliate per tutto l'appartamento di James, dalle mie calze di lana alla ricetta per i pancake alla banana che ho attaccato sopra il frigo.

"Hai ragione," commento, la voce tranquilla. "... ringraziala, quando la senti," aggiungo, rubandogli il piatto dalle mani per sistemarlo sulla credenza. "E adesso..." mi alzo in punta di piedi per recuperare una pentola, "C'è da scaldare l'acqua per il riso."

James mi circonda i fianchi con un braccio: la sua stretta è un abbraccio gentile mentre deposita un bacio tra i miei capelli. "Come mai tutte queste ricette, ultimamente?"

Riempio la pentola d'acqua e la sistemo sul fornello, mentre lui allenta appena la presa sulla mia vita ma non mi lascia del tutto andare.

"Basta cinese, mi sta venendo la gastrite," recito, imitando una voce profonda e un accento scozzese in un modo che lo fa sorridere, un sopracciglio inarcato. Alzo appena le spalle dopo aver acceso il fuoco sotto la pentola, e James mi riattira tra le sue braccia. "... così mi sono messa a cercare delle ricette carine su Pinterest," gli spiego, alzando il viso per incrociare il suo sguardo, "... non sai cos'è, Pinterest, vero?"

Un sorriso lieve gli aleggia ancora sulle labbra mentre mi accarezza una guancia, il pollice delicato sul mio zigomo. "So che tu sei dannatamente carina, questo è sicuro," mormora con dolcezza.

Mentre sporgo appena per baciarlo, vorrei dirgli che le sue tecniche di approccio sono ancora da migliorare – invece mi viene soltanto da sorridere, perché non c'è niente da nascondere, ed era davvero da tanto tempo che non mi sentivo così.

*

"Sai," – Jamie mi scosta i capelli bagnati da una spalla, liberando l'incavo del mio collo per appoggiarci il mento e baciarmi dietro l'orecchio. Mi muovo tra le sue braccia, il brivido del solletico nel punto delicato su cui la sua barba sfrega sulla mia pelle, cercando di non far cadere il libro nell'acqua. – "... credevo che questa sera mi avresti obbligato ad ascoltarti ripetere tutto il quaderno..."

I suoi baci si spostano, scivolando lentamente dal mio collo alla spalla mentre io inclino appena all'indietro la testa. L'acqua nella vasca non è più bollente ma ancora calda, e sulla superficie piatta persiste ancora qualche traccia di schiuma profumata.

"Ho finito di ripetere tutto prima che arrivassi," mormoro pigramente, sistemandomi meglio contro il suo petto, "... adesso voglio solo rilassarmi."

"Sai, qualcuno potrebbe avere da ridire sulla tua idea di rilassante," mi fa notare.

Le sue mani scivolano sottacqua ad accarezzarmi l'addome, risalendo lentamente verso i miei seni, e quando mi inarco contro di lui devo usare tutta la mia forza di volontà per continuare a stringere la mia Eneide con la mano.

"Il latino è rilassante, a suo modo," ribatto, trattenendo un sorriso. "... la situazione di contorno aiuta."

"Capisco." - James ride sommessamente sulla mia pelle, un bacio gentile nell'incavo del mio collo che si trasforma in un morso leggero. Quando parla di nuovo, dopo qualche lungo attimo di silenzio, sulle sue labbra c'è ancora l'ombra di un sorriso. – "... continua, dai."

Mi raddrizzo appena contro di lui, cercando di non lasciarmi distrarre dalla sua mano che si stringe sulla mia coscia per aiutarmi a sistemarmi sul suo corpo: alla luce aranciata del mio bagno, unita a quella delle candele profumate alla cannella, riprendo a leggere dal punto del libro II dell'Eneide in cui mi sono interrotta.

*

Al mattino, io e James facciamo colazione insieme alla caffetteria dell'università: è martedì, il giorno di chiusura del Nelson, e lui mi promette che sbrigherà un paio di commissioni mentre io sarò impegnata con lo scritto.

Raggiungo l'aula con il sapore del mio caffè americano ancora sulla lingua e l'ultimo morso di bagel al salmone affumicato e avocado ancora da mangiare: trovarla semi-deserta non mi sorprende poi troppo, visto l'orario. Mi siedo in una delle prime file e recupero il mio quaderno dallo zaino, sfogliando le pagine e ricapitolando le informazioni principali per ingannare l'attesa.

Metto piede fuori dalla classe tre ore dopo, le dita impiastricciate di inchiostro, i capelli raccolti maldestramente sulla testa e quella sensazione di fastidio alle tempie che precede l'esplosione dei miei tipici mal di testa post-esame: il messaggio di James che trovo su WhatsApp mi dice che mi sta già aspettando nel cortile fuori dalla caffetteria. Quando lo raggiungo, mi offre un abbraccio e un caffè americano, che trangugio in un unico e rapido sorso – l'emicrania me la farà pagare, più tardi.

"Allora?"

Alzo appena le spalle, buttando il bicchiere di carta ormai vuoto in un cestino mentre rientriamo insieme nella caffetteria, che inizia ad essere sempre più affollata visto l'approssimarsi dell'ora di pranzo. "Non so, mi sembra bene," commento, "... non c'erano domande su Orson Welles, purtroppo," – mimo un broncio esagerato, guadagnandomi una sua mezza risata. – "... ma ne avevo una su Hitchcock e una sulle avanguardie tedesche..." arriccio appena il naso mentre ci mettiamo in coda alla cassa, "... se avesse chiesto quelle russe sarebbe stato più facile, ma va bene lo stesso. La domanda più difficile era quella di tecniche cinematografiche..."

Mi interrompo, infastidita dal battere dei raggi del sole attraverso una delle grandi vetrate esattamente sul mio viso, quando un'idea mi colpisce. "Ehi!" proclamo allegra, stringendogli un avambraccio sotto il suo sguardo interrogativo. "Ti andrebbe di mangiare in cortile?"

Un quarto d'ora dopo, conclusa la coda alla cassa e recuperati i nostri pranzi – un'insalata di pollo per me, tre bagel uovo strapazzato e bacon per lui e un improbabile succo di melograno da dividerci -, siamo nel cortile, alla ricerca di un posto dove sederci: ci sono tanti altri studenti che hanno avuto la nostra stessa idea, e lentamente il prato si popola mentre il sole di questa insperata giornata di bel tempo scalda sempre di più.

Tra un boccone di insalata di pollo e un altro, chiedo a James di raccontarmi del viaggio di sua madre in camper di questi ultimi mesi: divertita, lo ascolto mentre mi mostra le foto che lei gli ha inviato per documentare i suoi spostamenti, selfie ridicoli compresi. L'ex signora McAvoy, anche attraverso lo schermo di un cellulare, sembra una donna decisamente allegra ed espansiva – ripenso alla torta al cioccolato che ho mangiato ieri sera e sorrido, pensando che in fondo, conoscerla non sarebbe poi tanto male.

*

"Holly, ehi..."

Intontita, apro lentamente gli occhi: davanti a me metto pigramente a fuoco il panorama del cortile del dipartimento di Letteratura, mentre alle mie spalle catturo la sensazione del petto di James contro la mia schiena, il mio corpo sistemato ai lati delle sue cosce.

Il sole è ancora alto nel cielo, anche se qualche nuvola leggera inizia a disturbarlo; sparsi lungo il prato ci sono ancora molti studenti, chi impegnato a chiacchierare, chi a leggere, anche se sicuramente sono molto meno dell'ora di pranzo.

"... che ore sono?" chiedo, la voce un po' impastata.

James sorride vicino al mio orecchio, "Quasi le tre," sussurra, intrecciando le dita della mano con le mie, "... ti sei addormentata."

Arrossisco appena, ancora troppo annebbiata dal sonno e dalla sensazione di placida soddisfazione che provo in questo momento. "Possiamo restare così ancora un po'?" chiedo soltanto, muovendomi appena tra le sue braccia per riuscire a incrociare i suoi occhi.

Jamie mi guarda con un sorriso leggero: annuisce appena prima di baciarmi tra i capelli, aiutandomi a risistemarmi comodamente tra le sue braccia.

Ritrovando la sua mano e intrecciando nuovamente le nostre dita, mi godo il suo profumo, l'aria tiepida di questa giornata e il brusio delle chiacchiere degli altri studenti sparsi per il cortile. L'intimità è diversa per ognuno di noi – per me è il sorriso di James vicino all'orecchio, e le sue braccia mi stringono delicatamente.

Nuovamente sul punto di cedere al sonno, il mio sguardo vola più in là, alle colonne del porticato che conducono all'ingresso del dipartimento: due uomini discutono in tranquillità, un bicchiere di caffè tra le mani e la tracolla su una spalla. Camminano affiancati, procedendo all'ombra del chiostro, probabilmente diretti dalla caffetteria all'ingresso della sezione di Letteratura.

Involontariamente, mi irrigidisco appena tra le braccia di James; lui si china appena su di me. "Tutto bene?" chiede, il pollice che sfrega sul dorso della mia mano.

"Tutto bene," dico con voce flebile, mentre i due uomini raggiungono l'entrata del dipartimento.

Kevin tiene aperta la porta per il professor Morgan, e quando alza il viso e si muove per entrare a sua volta, il sorriso ancora sulle labbra a una battuta del collega di filologia classica, i suoi occhi incrociano i miei.

Stretta nell'abbraccio di James, distolgo lo sguardo.

Tutto bene.

"It's everything you wanted, it's everything you don't; it's one door swinging open, it's one door swinging close. Some prayers find an answer, some prayers never know. We're holding on and letting go."

(Ross Copperman – Holding on and letting go)


Eccoci amici! In questo capitolo scopriamo qualcosa in più sulla famiglia di James (nella mia mente sua madre è una versione hippie di Susan Sarandon, sapevatelo!) e poco altro, oltre alle scene iniziale e finale che sono tutte di sguardi tra Holly e Kevin (con un cameo di quell'infame di Jeffrey, urg!).

Nel prossimo capitolo ci aspetta la festa di compleanno di Piper, e la catena di rivelazioni che porterà nella vita di tutte le nostre protagoniste. Non perdetevela!

A venerdì prossimo! ;)

Holly

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