Capitolo 11

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Restai nuda sopra il letto, avendo ancora le mani legate alla ringhiera non riuscivo a muovermi e ad ogni tentativo di liberarmi mi facevo ancora più male. Lui se ne andò da quella porta, lasciandomi sola. Mi aveva umiliata, colpendo nel più profondo della mia intimità, eppure ero stata io che glielo avevo permesso, gli avevo permesso di trascinarmi in un mondo che fino ad ora mi era stato oscuro, gli avevo permesso di prendere di me ciò che lui voleva. Mi sono donata a lui con l'inconsapevolezza che avrebbe potuto farmi qualcosa di male e invece mi ha fatto solamente scoprire un nuovo mondo, un mondo fatto di dolore e piacere. Le sue inclinazioni erano ben diverse dalle mie, ma in qualche modo me le aveva fatte scoprire.
I suoi occhi invece erano un mondo diverso: quella luce che emanava dava calore, intimità, ti faceva sentire al sicuro, protetta, quei suoi stessi occhi smentivano tutto quello che lui era.
Iniziavo a sentire dei leggeri brividi di freddo, così cercai di mettermi sotto le coperte cercando di alzarle con le gambe che erano ancora libere, dopo qualche movimento, che mi costò molta fatica, ci riuscii e poco dopo mi addormentai.

La luce del sole mi svegliò. Dalla finestra filtrava un raggio che colpì il mio viso facendo aumentare il calore.
Appena aprii gli occhi incontrai subito lo sguardo di Paolo, seduto di fianco a me nel letto.
"Buongiorno" mi disse con tono pacato e dolce.
Io non risposi, ero leggermente confusa, la sera prima mi aveva abbandonata nuda senza dire una parola e questa mattina era diventato affettuoso e dolce tutto insieme.
Quell'uomo mi destabilizzava, mi faceva perdere tutte le certezze che avevo, non riuscivo a capirlo.
"Vuoi restare a letto tutto il giorno o ci vogliamo alzare?" continuò, liberando le mie mani dalla presa delle manette.
Finalmente ero libera, le mie braccia si erano indolinzite e mi guardai i polsi che erano diventati tutti rossi.
"Domani non avrai più niente." mi disse, mentre io continuavo a guardare quel rossore.
"Perché lo fai?" domandai, curiosa di sapere perché gli piacessero queste cose, perché aveva questa inclinazione.
"Perché io sono fatto così, è la mia natura, non può essere cambiata." disse passando la sua mano dietro il suo collo massaggiandoselo.
"E ti piace?" domandai.
"Certo che mi piace sennò non lo farei. Ora smettila di fare domande e alzati." disse tornando serio, come se avessi colpito qualcosa della sua intimità.
Non continuai con le domande pensando che ci sarebbe stato del tempo opportuno per fargliele.
Mi alzai dal letto e notai sopra il mobile dei vestiti: un paio di jeans molto stretti e una maglietta semplice.
Mi andai a fare una doccia e li indossai.
Uscita dalla stanza, scesi lungo quella enorme scalinata e per poco non cadevo.
"Stai attenta" sentii dire da Paolo che si trovava in un'altra stanza.
Non gli si poteva nascondere niente, sentiva davvero tutto, pensai.
Decisi di esplorare per bene la casa, passai dal salotto dove ero stata ieri sera, fino alla cucina, poi notai una stanza con due computer e un pianoforte e delle casse attaccate in alto.
"Si, scrivo musica." lo sentii dire da dietro e sobbalzai.
"Ah e cosa scrivi?" domandai, mentre mi misi seduta sullo sgabello del pianoforte schiacciando qualche tasto.
Lui si avvicinò a me e si mise seduto iniziando a suonare una melodia dolce, a tratti semplice con giusto qualche nota che si ripeteva, a tratti invece molto complicata dando l'idea di un conflitto interiore. Era come una melodia tra inferno e paradiso, tra tranquillità e pura sregolatezza, era la musica che descriveva la sua personalità, una miscela di note completamente diverse l'una dalle altre.
Mi alzai e girai intorno alla stanza, in alto al centro c'era un grande lampadario e le pareti erano di un bianco latte che con la luce del sole emanavano una forte luminosità.
Ad un lato, quasi coperta da una tenda, notai una porta. Mi avvicinai e cercai di aprirla, ma la mano di Paolo mi bloccò poco prima.
"Non devi aprire questa porta" disse lui mostrando un'espressione dura e prendendo la chiave dalla fessura della porta per mettersela in tasca.
"Perché?" chiesi facendo un passo indietro e cercando di liberarmi dalla presa delle sue mani.
"Perché non è ancora arrivato il momento." disse passandomi una mano sopra la mia guancia lasciando una scia di calore incontrollabile.
Iniziavo a desiderarlo, ogni suoi tocco era come una scia che aumentava il mio desiderio. Lo desideravo con tutto il suo mondo, tra dolore e piacere volevo lui.

Mi preparò la colazione e ci sedemmo al tavolo della cucina e mangiamo insieme.
"Io nel pomeriggio devo fare dei giri, te cosa farai?" domandò mentre avvicinava la tazzina di caffè per berne un sorso.
"Penso che tornerò a casa." gli risposi.
"Da Davis?" mi domandò alzando subito lo sguardo e lanciandomi un'occhiata fulminea.
"Si" risposi continuando a guardalo negli occhi con aria di sfida.
"Non penso sia una buona idea" disse continuando a sorseggiare il suo caffè.
"Ma cosa vuoi tu da me?" urlai e mi alzai dal tavolo sbattendomi la porta della sua casa alle spalle.
Uscita fuori mi resi conto che ero senza macchina, dannazione, ero incastrata, dovevo ritornare dentro e dirgli di accompagnarmi.
Suonai il campanello neanche dieci secondi dopo essere uscita e lui subito aprì la porta ridendo.
"Come mai torni?" continuò mostrando un suo sorriso beffardo e compiaciuto.
"Indovina" gli dissi ironica e mi andai a buttare sopra il divano.
"Non hai la macchina per caso?!" disse continuando a sorridere in quello modo beffardo che gli sarei saltata addosso per farlo smettere, ma mi trattenni e mi limitai a sbuffare solamente.
"A quanto pare ti dovrò accompagnare io" continuava a dire prendendosi gioco di me.
"Si e sbrigati ho un appuntamento importante" ringhiai contro di lui.
"Che genere di appuntamento?" mi domandò interrogatorio.
"Un incontro a tre" gli risposi con aria di sfida volendo provocare una sua reazione.
"Vedo che ancora non ti è passata la voglia di fare la puttanella" disse lui avvicinandosi di colpo a me e mettendo le sue mani alla spalliera del divano.
Perché gli dava così tanto fastidio quello che io volevo fare? Cosa gli importava di me, non riuscivo proprio a comprenderlo, neanche ci conoscevamo eppure era peggio di mio padre.
Mi prese di colpo la testa e tirandola su mi costrinse ad alzarmi, mi girò di scatto e la sua mano mi spinse la pancia facendomi aderire bene al suo corpo. Mi prese i capelli e tenendoli bene stretti mi inclinò la testa da un lato iniziando a darmi dei leggeri ma intensi mozzichi sul collo per poi scendere verso la spalla.
Il mio corpo iniziava a scaldarsi e quel desiderio che aveva di lui iniziava a crescere.
"In ginocchio a terra, di corsa" urlò lasciandomi i capelli e dandomi una strattonata per fermi mettere a terra.
E di nuovo contro ciò che la mia testa voleva, mi misi a terra in ginocchio con le braccia in avanti che reggevano il mio corpo.
Mi tirò giù i jeans, ed io rimasi nuda, di nuovo di fronte a lui, ma non provavo vergogna, anzi, la cosa mi eccitava e mi faceva sentire viva.
Lui si mise seduto sul divano proprio di fronte a me, e mi guardava, i suoi occhi color nocciola brillanti continuavano a fissare i miei e tra noi ci fu una comunicazione silenziosa, una comunicazione fatta di sguardi, sguardi in cui il desiderio si esprimeva più forte di ogni parola.
"Sei così bella Beatrice, non puoi essere di tutti, tu sarai solo mia." disse alzandosi dal divano e camminando lungo il mio fianco.
"Io sono di chi voglio io" gli urlai restando ferma per paura che mi potesse fare qualcosa e forse anche per eccitazione.
"Tu mi vuoi?" mi domandò avvicinandosi e accarezzandomi il sedere.
Io non risposi, ma sapevo di volerlo più di ogni altra persona in questo momento.
La sua mano colpì forte il mio sedere, lasciando nell'aria un rumore acuto.
"Non mi hai ancora risposto" ringhiò lui dandomi un altro forte schiaffo.
"Si, ti voglio." urlai un po' per il piacere e un po' per il dolore che stavo provando.
"Allora da oggi in poi farai come ti dirò io, senza controbbattere." disse porgendomi una mano per farmi alzare.
Mi prese il volto e lo avvicinò al suo, ora la sua voglia di dominazione era sparita, ed i suoi lineamenti si fecero di nuovo dolci come quelli che avevo visto la prima volta che ci siamo incontrati.
"Non ti farò del male" mi sussurò, e in un nostro bacio sigillammo il nostro patto silenzioso.

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