Capitolo 16.

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Dicono che la notte porti consiglio. Generalmente è così ma, ahimè, non se ti ritrovi a dover dormire con un ragazzo-lupo conosciuto da poco, in una qualche dimensione sperduta e con i sensi di colpa alle stelle.

Continuai a rigirarmi nel letto, in cerca della posizione giusta per poter dormire, ma il mio cervello non aveva la minima intenzione di rilassarsi, così come il mio cuore. Entrambi continuavano a lavorare senza sosta per trovare una maledetta soluzione: non potevo accettare che delle persone morissero per colpa mia, per proteggermi da uno stregone psicopatico che, per chissà quale motivo, mi cercava senza sosta fin dal giorno della mia nascita. Ma come potevo aiutarli, quando non avevo nemmeno il controllo su me stessa, sulla mia vita? Mi sentivo un'estranea all'interno del mio stesso corpo, come se avessi vissuto la vita di un'altra per sedici anni. Desideravo aiutare le persone che amavo più di ogni altra cosa al mondo, ma non potevo farlo rinchiusa in una dimensione abitata da soli licantropi. 

Licantropi, vampiri, stregoni, era tutto così assurdo. Nonostante avessi visto Kate cambiare aspetto in maniera repentina e spaventosa, non riuscivo ancora a credere del tutto all'esistenza di quelle creature sovrannaturali, né tanto meno al fatto che io stessa fossi una di loro. Pensai che, forse, Kate e Jared facessero parte di una qualche strana setta e che mi avessero drogata o ipnotizzata affinché io vedessi ciò che loro volevano farmi vedere. Non poteva davvero essere reale ciò che mi stava accadendo. Per di più, non potevo accettare che Ann e Nick non fossero i miei genitori biologici e che questi ultimi, molto probabilmente, erano stati assassinati o rapiti dallo stesso stregone che mi dava la caccia. Eppure, il mio istinto e il mio cuore mi dicevano che dovevo smettere di tormentarmi e credere alle parole di Kate perché quella era la verità, sebbene fosse del tutto irrazionale. 

- Riesci a stare ferma o devo legarti?- sbraitò il moro sedendosi e accendendo l'abat-jour.

Sobbalzai per lo spavento.

- Scusa - mormorai imbarazzata.

- Potrei non rispondere delle mie azoni - avvisò cupo, cercando di incutermi paura.

Spense la luce e si sdraiò nuovamente.

La curiosità e il crescente bisogno di risposte mi diedero la brillante idea di sfruttare quell'occasione per riempire il moro di domande. 

Accesi la luce.

- Jared - lo chiamai sporgendomi verso di lui e strattonandolo per un braccio.

- Finalmente! Ci voleva tanto per chiedermelo? - rispose entusiasta.

- Per chiederti cosa? - lo guardai con un punto di domanda stampato sul volto.

- Di abbracciarti perché non riesci a dormire. Non mi offendo mica - disse maliziosamente, avvicinando il suo viso al mio.

Per una frazione di secondo caddi nella sua ragnatela, persa nei suoi occhi profondi e nel suono dolce delle sue parole, poi riuscii a prendere fiato e rifiutare la sua allettante proposta.

- No, io.. voglio dire si, cioè non posso.. - iniziai a balbettare cercando di trovare le parole per formare una frase di senso compiuto.

- Ho capito. Non sei sola - si allontanò e fece per tornare a dormire ma lo bloccai, afferrandolo per la spalla.

- Non è questo. Voglio solo parlare - confessai 

-Non possiamo farlo domani? Ho sonno - declinò scocciato, come se non avesse sentito il mio " Non è questo"

- No, adesso. Ti prego - lo implorai imperterrita, poggiando una mano sulla sua guancia, nella speranza di intenerirlo.

- Dimmi, ti ascolto - rispose rassegnato arrossendo. Lo trovai dannatamente carino e mi lasciai scappare un sorriso compiaciuto. 

-Tu sei un licantropo, giusto? - 

- Pensavo avessimo superato questo punto - rispose ironico, come se fosse la cosa più ovvia del mondo, per poi gettarsi nuovamente con la schiena sul letto.

- Da quanto tempo? - domandai curiosa. 

-Dobbiamo per forza parlarne ora?- sbraitò sbuffando rumorosamente.

- Si - ribattei decisa.

Jared si tirò su controvoglia e si rimise seduto, strofinandosi gli occhi come per cacciare via il sonno.

- Davvero vuoi sapere a quest'ora come sono diventato un licantropo?- chiese sbadigliando.

Annuii.

Jared sbuffò esasperato - Okay - si passò una mano fra i capelli e il arruffò - Facciamo due passi?- chiese il moro saltando giù dal letto.

- Certo - 

Non avevo la benché minima voglia di camminare, ma a quanto pare serviva a Jared per raccontare la sua storia, perciò lo accontentai. 

Uscimmo di casa e Jared mi prese in braccio in stile principessa, camminando a passo spedito.

-Che diavolo fai? Mettimi giù! - urlai cercando di divincolarmi dalla sua presa salda.

- Sta ferma - ordinò serio.

- Io mi muovo quanto voglio e tu non- sbraitai prima che Jared mi tappasse la bocca con la sua mano. 

- Se urli così attirerai l'attenzione. Nessuno sai chi sei realmente, per gli altri sei una stupida ragazzina impicciona che si è fatta male e che ora dovrebbe essere a letto con la sua stupida distorsione, perciò chiudi quella bocca - parlottò con un'insopportabile aria di superiorità. 

Alzai gli al cielo. Come faceva a passare da "ragazzo dolce, gentile e premuroso" a "ragazzo insensibile,  acido ed odioso"?

- Posso chiederti, almeno, dove mi stai portando?- domandai ancora irritata. Stavamo, o meglio stava, camminando da minimo un quarto d'ora senza dire una parola.

- Dove nessuno può vederci - rispose con tranquillità.

Il mio cervello elaborò un pensiero poco "sobrio" che volli scacciare all'istante. I miei occhi caddero sulla liscia pelle del suo collo, sulla sua mascella definita e perfetta, sulla forma sensuale delle sue labbra. "Chissà cosa si prova nel baciarle" pensai. Osservai i suoi occhi così neri e profondi, riuscivano a trasmettermi un mix fra timore, familiarità e sicurezza. In quel momento, pensai che i suoi occhi, fossero davvero lo specchio della sua anima: Jared era bello e misterioso, premuroso e insensibile, gentile e orticante. Un miscela di opposti. Ma perché era così tormentato?

Mi domandai se anche lui riuscisse a capire chi fossi semplicemente osservando i miei occhi, ma mi risposi in un nano secondo. Non sapevo manco io chi fossi realmente, come avrebbe potuto capirlo qualcun altro? Cominciavo a dubitare anche che il mio vero nome fosse Julie.

- Stai attenta - avvisò il ragazzo, interrompendo il silenzio e i miei intimi pensieri.

- A cosa? - chiesi guardandomi intorno, in cerca di un imminente pericolo. 

- A non guardarmi troppo, piccola Julie. Altrimenti me ne accorgo - rispose sfacciatamente con un ghigno malizioso sul viso.

Arrossii talmente tanto che probabilmente le mie guance divennero più rosse del sangue. Sperai che il buio impedisse a Jared di accorgersene.

- Non ti stavo guardando. Stavo pensando con gli occhi accidentalmente rivolti verso di te. Figurati se sto a guardarti - blaterai inventandomi una scusa e e camuffando una risatina nevrotica di chi è appena stato scoperta in flagrante.

-Si, certo- rispose il moro ridendo, senza credere alle mie parole.

-Certo!- ribadii con sicurezza, affermando la mia teoria.

Improvvisamente Jared mollò la presa e io caddi a terra con un tonfo.

-Ahia! - mi lamentai per il dolore della caduta  - Ma sei impazzito?- urlai tirandomi su con la schiena dolorante.

-No, l'ho fatto volutamente - sghignazzò incrociando le braccia al petto.

In quel momento, ritirai ogni pensiero positivo su Jared dalla mia mente.

- E si può sapere per quale motivo? - chiesi su tutte le furie, avvicinandomi a lui, forse un po' troppo.

-Perché non si dicono le bugie, piccola Julie- prese una ciocca dei miei capelli, attorcigliandola fra le sue dita.

- La smetti di chiamarmi così? E' fastidioso - asserì coi nervi a fior di pelle - e poi, io non mento - mentii spudoratamente, poggiando le mani sui fianchi. 

- Lo stai facendo anche adesso e lo hai fatto prima - rispose in preda alle risate, prendendosi gioco di me. Mi chiesi cosa lo facesse ridere così tanto.

-Ti ho detto che non ti stavo guardando!- insistetti nuovamente. In realtà si, lo stavo guardando, ma perché mai avrei dovuto ammetterlo? 

- Andiamo Julie, ammettilo! Lo sento quando menti - borbottò portando la testa all'indietro con fare esasperato. 

- Si perché tu mi conosci talmente bene da capire quando sto mentendo- lo presi in giro, marcando il "talmente bene".

- Oppure sei talmente pessima nel mentire - rispose imitandomi e marcando platealmente il "talmente pessima" - E comunque, lo capisco da un'altra cosa, se ti interessa - continuò con una smorfia compiaciuta sulle labbra.

- Sentiamo. Da cosa lo capisci? - chiesi disinteressata, convinta del fatto che si sarebbe inventato qualche idiozia per infastidirmi.

- Dal battito del tuo cuore, piccole Julie - dichiarò posando delicatamente la sua mano sul mio petto, proprio in corrispondenza del mio cuore.








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