Capitolo 20.

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- Kate, non dovresti abusare delle tue doti da licantropo per spiare le persone - borbottò il moro in preda all'imbarazzo. 

-Jared, non dovresti abusare del tuo fascino da licantropo per rimorchiare le persone - Kate schernì il ragazzo e gli lanciò una frecciatina riformulando con arguzia la sua stessa frase. 

- Non sto rimorchiando - bofonchiò Jared sentendosi accusato e passandosi nervosamente una mano fra i suoi scuri capelli. 

I due iniziarono a battibeccare ma la mia attenzione fu pienamente catturata da una piccola casetta in legno, circondata da decine e decine di mazzi di fiori bianchi, come se fosse una grande lapide, più che una casa. Era avvolta dal silenzio. Mi avvicinai incuriosita e sospettosa alla staccionata bianca che separava il sentiero dalla misteriosa casa e riuscii a leggere il nome intagliato perfettamente nella targa, appesa alla parete grazie ad una sottile e mal ridotta cordicella. 

- Lawless - lessi ad alta voce. 

A meno che non ci fossero altri Lawless licantropi morti di recente, quella era la casa di mio padre, la casa di Nick, l'uomo che fino a qualche giorno fa ero convinta fosse mio padre, e che fosse morto in un incidente d'auto, quando invece la sua vita si era spezzata per causa mia, ucciso da qualche Dannato al servizio di Erasmus. Sentii una fitta al cuore per il dolore, mentre diverse lacrime rigarono il mio volto. 

Oltrepassai la staccionata e mi precipitai nel giardino di casa Lawless, brulicante di bianche e maestose composizioni floreali. Raggiunsi la porta di ingresso e con la mano destra tremolante, feci per afferrare la maniglia dorata, quando una mano si posò delicatamente sulla mia. Era decisamente più grande rispetto alle mia piccola e ossuta mano, ma rimaneva comunque affusolata: le dita erano lunghe, le nocche arrossate e sul dorso si potevano intravedere diverse venature in rilievo. 

- Cosa pensi di trovare dentro, Julie? - chiese quella voce sottile e inconfondibile.

- N-non lo so - ammisi singhiozzando -era mio padre- sussurrai tirando su col naso. 

- Andiamo da Herbert, ascolta ciò che ha da dirti e poi affronteremo ogni cosa. Se vuoi entrare fa pure, non sarò io a fermarti. Però ti prego, Julie - disse Jared appoggiando la sua mano sinistra sul mio braccio e avvicinando le sue labbra al mio orecchio -Fidati di me - pronunciò queste tre parole scandendole bene fra loro con una breve e impercettibile pausa. 

- Cosa sono tutti quei fiori bianchi? - domandai con la voce strozzata. 

- Si chiama Stella del mattino. E' un fiore che rappresenta la vita e la speranza. Quando un licantropo muore con onore, è nostra usanza portargli questi fiori in segno di rispetto e di ringraziamento, ma soprattutto per augurargli una vita migliore, ovunque si trovi -  disse il ragazzo porgendomi il bianco fiore di cui stava parlando. Lo presi delicatamente fra le dita: aveva tre grossi petali esterni di un color bianco neve, mentre all'interno il bianco sfumava nel verde. Elegante e puro, quel fiore emetteva un odore dolciastro di miele che invase le mie narici.

Mi lasciai scappare un profondo sospiro e, mantenendo gli occhi puntati a terra per non far vedere al moro i miei occhi gonfi, mi allontanai da quella casa per raggiungere Kate, la quale ci stava attendendo a braccia conserte. Si avvicinò e mi abbracciò accarezzandomi dolcemente la schiena. 

- Mi dispiace per la tua perdita - disse a bassa voce. Poi si staccò dall'abbraccio - Forza - mi incoraggiò scuotendomi delicatamente per le braccia e regalandomi un sorriso rincuorante. 

Ci incamminammo in silenzio, ognuno assorto nei propri pensieri. Proseguimmo per non so quanto tempo, le case e la staccionata erano svanite da un pezzo, lasciando spazio ad una vasta ed infinita distesa verde. I miei piedi cominciavano a chiedere pietà e il sole aveva già raggiunto la sua massima altezza nel cielo. Ormai le mie gambe si muovevano a ritmo alterno quasi in maniera automatica, finché ad un certo punto non andai a sbattere violentemente contro una parete invisibile. 

- Ma che diavolo... - imprecai pressando il palmo della mia mano sulla fronte dolorante.

 Jared scoppiò in una fragorosa risata. 

- Siamo arrivati - annunciò Kate.

- Dillo a lei - disse il ragazzo sghignazzando e facendo allusione al frontale che avevo appena avuto. 

- Non è divertente, Jared - mi lagnai ancora dolorante. 

- Stiamo per incontrare Il Saggio, porta un po' di rispetto invece di fare il cretino - rincarò Kate rimproverandolo. 

- Rilassati - suggerii il ragazzo con fare scocciato per poi inginocchiarsi e smuovere con le mani le foglie sul terreno, in cerca di qualcosa. 

- Volete darmi una mano o pensate di rimanere lì imbambolate? - domandò stizzito. Era palesemente infastidito dall'atteggiamento di Kate, la quale era visibilmente preoccupata e coi nervi a fior di pelle. Forse anche lei aveva paura di ciò che Herbert aveva da dirci. 

- Cosa stiamo cercando?- chiesi accovacciandomi. 

- Qualcosa che non ci faccia sbattere la testa come hai fatto prima - rispose divertito sollevando gli angoli delle sue carnose labbra e rivolgendomi un furbo sorriso accompagnato da un prolungato sguardo beffardo.

Decisi di ignorarlo e mi buttai a capofitto nella ricerca. Stranamente, la fortuna fu dalla mia parte e uno strano simbolo apparve, inciso nella terra, sotto l'innumerevole quantità di erba e foglie. Lo studiai attentamente e un ricordo balenò nella mia mente: era lo stesso simbolo inciso sulla corteccia dell'enorme albero sul quale io, Jared e Josh ci eravamo inerpicati fino in cima per accedere a Lyca. Josh aveva poggiato il palmo della sua mano su di esso e, dopo aver pronunciato il suo nome, un varco si era creato nella resistente corteccia, come per magia. 

Spinta dall'adrenalina e dalla curiosità, poggiai la mano sul misterioso simbolo.

- Julie Lawless - pronunciai con fermezza. 

Attesi qualche secondo ma non accadde nulla e sbuffai scoraggiata.

- Vedo che impari in fretta - sussurrò Jared. 

Ritrassi la mano imbarazzata e divenni paonazza. 

- A quanto pare no, non funziona - mormorai con delusione. 

- Perché non è il tuo vero cognome - spiegò con calma il ragazzo al mio fianco. 

Giusto. Non ero nemmeno a conoscenza del mio vero cognome. Mi sentii una nullità.

- Io proverei con.. Campbell. Ti si addice, non credi?- disse pizzicandomi dolcemente la guancia. 

- Perché me lo dici? Cosa è cambiato da prima? - chiesi confusa. 

- Se te lo avessi detto prima, saresti scappata per tutta Lyca in cerca della casa dei tuoi genitori - ridacchiò strizzandomi un occhio. 

- Potrei farlo anche ora - risposi cercando di sembrare convincente. 

- No, invece - disse con sicurezza prendendomi una mano e portandola sullo strano simbolo. 

Inspirai ed espirai profondamente prima di pronunciare quelle parole. 

- Julie - mi bloccai istintivamente. Dovevo pronunciare il mio vero nome, eppure mi sentivo come se stessi prendendo le parti di un'altra persona. 

 - Julie Campbell - esclamai tutto d'un fiato.

Per una frazione di secondo accadde il nulla e mi sentii ancora più confusa di prima. Forse nemmeno loro sapevano chi fossi realmente.

Improvvisamente sentii la mano bruciare, come se si fosse incollata ad un ferro di cavallo infuocato. Quando il dolore divenne insopportabile tolsi la mano con un gesto rapido e la fissai sbalordita. Quel simbolo, di un rosso incandescente, pulsava sul palmo della mia mano, impresso come un tatuaggio.  

Anche il simbolo sul terreno si era colorato dello stesso colore, ma questa volta non si creò alcun varco invisibile nel terreno. Tutto sembrava uguale a prima. 

- Beh? - chiesi in preda alla confusione. 

Jared si alzò e mi porse una mano per aiutarmi a rimettermi in piedi. 

- Guarda con attenzione -  sussurrò indicandomi la barriera dove avevo sbattuto. 

Seguendo il suo consiglio, mi avvicinai a quel muro invisibile per scrutarlo con attenzione e notai che alla distesa verde si sovrapponeva un alto muro di mattoni rossi. Era tutto così confuso e mimetizzato: un secondo prima riuscivi a vedere i dettagli con più nitidezza, quello dopo c'erano solo colline verdi. Era quasi impercettibile, eppure era lì. 

Seguii l'interminabile sfilza di mattoni sovrapposti finchè questi non lasciarono spazio ad un grande e possente portone di ferro. Doveva essere per forza quello l'ingresso. 

- Ho trovato l'entrata! - urlai eccitata.

 Jared e Kate mi raggiunsero con passi da gigante. 

- Perfetto! Adesso entriamo - esclamò la ragazza -a te l'onore, Julie - disse indicandomi il portone. 

Non avevo la più pallida idea di cosa avrei dovuto fare, ma non volevo fare la figura della stordita perciò mi avvicinai il più possibile al portone e provai a immergere la mano, ancora marchiata dallo strano simbolo, oltre la barriera. Stavolta riuscii a oltrepassarla: sentii come del calore avvolgermi le dita man mano che queste penetravano nell'invisibile parete, per poi toccare il gelido ferro del portone. Feci scorrere il palmo della mano sulla ruvida superficie in cerca di una serratura, ma una forza invisibile la stava attirando in un punto ben preciso, come se fosse un corpo magnetizzato. Mi ritrovai in un istante con la mano su un grosso e rotondo pulsante che si attivò al mio tocco, sbloccando la serratura e facendo sì che le porte si spalancassero a noi. 

Jared afferrò prontamente la mia mano sinistra e, insieme, varcammo la soglia dell'enorme portone. 


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