Capitolo 21.

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Mi ritrovai all'interno di un enorme e lussuoso salone rettangolare, privo di finestre, perimetrato da pareti ricche di affreschi e imponenti specchi placcati d'oro. Sul pavimento, di un marmo talmente lucido da sembrare uno specchio, non vi era alcun tipo di arredamento, lasciando la stanza completamente vuota. Diverse porte color crema, anch'esse, come gli specchi, caratterizzate da dettagli dorati, si affacciavano sull'ampia entrata, precisamente due per ogni parete laterale e una per quella frontale. Alzai gli occhi in direzione del soffitto e rimasi sbalordita: gli affreschi delle pareti non erano niente in confronto alla bellezza e alla particolarità delle raffigurazioni del soffitto. Riuscii ad intravedere la figura di alcuni lupi, uomini nudi, donne, bambini e persone dall'aspetto demoniaco, il tutto arricchito da numerose decorazioni in rilievo, tra le quali vi erano svariate parole, che non riuscii a decifrare, e diverse pietre preziose, che brillavano incastonate nelle volte. 

Rimasi pietrificata con il capo chinato verso l'alto per diversi minuti, intenta a decifrare e cogliere ogni particolare di quell'opera d'arte, quando una possente voce mi fece sobbalzare.

- Noto con piacere che i miei affreschi vi hanno impressionata, signorina Campbell - la sua voce era dura e impenetrabile, con una nota di eleganza.

Distolsi immediatamente lo sguardo dal soffitto per cercare l'uomo che mi aveva rivolto la parola. 

In fondo al salone, un uomo sulla cinquantina stava in piedi, con le mani incrociate dietro la schiena e gli occhi puntati su di me. Indossava una lunga veste in raso, color verde bottiglia, dalle maniche ampie e lunghe. La veste, le cui estremità erano arricchite da strani simboli argentati, gli arrivava fino a sotto le ginocchia. I pantaloni chino erano neri, così come le stringate ed eleganti scarpe nere che indossava, perfettamente lucidate.

I suoi capelli neri, lunghi fino a sotto il suo pronunciato mento, camuffato da un sottile strato di barba scura, ammorbidivano e circondavano le sue guance scavate e la mascella segnata, che tanto rendevano quel volto severo e segnato, come se fosse perennemente serio e sull'attenti. La fronte, decisamente ampia e quadrata, era percorsa da diverse rughe d'espressione che la facevano sembrare corrucciata. Anche attorno agli occhi, piccoli e infossati, dello stesso colore dei capelli, vi erano diverse rughe che ricordavano le zampe delle galline. 

Il misterioso uomo mi fissò per diversi istanti, poi le sue sottili labbra formarono un piccolo sorriso e avanzò nel salone con lenti passi, fino a posizionarsi dinanzi a me e porgermi la mano piena di anelli dalle mille forme. 

- Io sono Herbert. Immagino che avrà già sentito parlare di me - si presentò l'uomo.

Afferrai tremolante la sua mano e la strinsi - Julie - 

Rimasi pietrificata, per tutto quel tempo immaginai Il Saggio come un vecchio raggrinzito dalla barba grigia e lunga, mai mi sarei aspettata un uomo così affascinante e giovane. Non gli avrei dato più di 50 anni. 

- Oh, so benissimo chi siete - rispose ampliando il sorriso sul suo volto - non mi aspettavo di fare la vostra conoscenza così presto, ero convinto che il Signor Lawless sarebbe riuscito a tenervi al sicuro almeno fino alla maggiore età ma, sfortunatamente, la fortuna non fu dalla sua parte - confessò sciogliendo la presa e incamminandosi verso la prima porta sulla parete destra. Stava parlando di mio padre. 

- Vi prego di seguirmi - ordinò con tono pacato.  Sembrava provenire da un'altra epoca, dal modo di fare e di parlare. 

Io, Jared e Kate seguimmo l'uomo senza proferire parola. Osservai Herbert entrare nella piccola stanza e farci cenno di accomodarci su un elegante divanetto bordeaux in pelle vera, privo di cuscini, posizionato proprio accanto alla porta dalla quale eravamo entrati. Le pareti erano completamente ricoperte da librerie di un legno scuro e levigato, mentre dinanzi al divano, vi era una scrivania piena di fogli ingialliti e altre cianfrusaglie, dietro la quale vi era una possente poltrona dello stesso colore del divano, arricchita da un contorno dorato ricco di dettagli incisi. Una grande finestra nella parete posteriore alla scrivania, abbracciata lateralmente da tende scure con dettagli floreali color crema, illuminava l'intero studio, rendendo quella stanza un po' meno cupa e opprimente. 

L'uomo si sedette dietro alla scrivania e poggiò i gomiti su di essa, unendo le mani e posandovi il mento sopra. 

- Jared Lee - Herbert pronunciò nome e cognome del ragazzo seduto alla mia sinistra - perché la ragazza è qui? - domandò sereno.

- L'ho trovata nel bosco, priva di conoscenza. Sta succedendo, Herbert. Non potevo più temporeggiare - il moro rispose con altrettanta serenità. 

- Molto bene - annuì l'uomo - Cosa sa la ragazza? - chiese divenendo più serio. 

A rispondere fu Kate - Le ho detto che Erasmus la cerca da prima che nascesse, le ho raccontato del giorno in cui è nata e di ciò che successe all'ospedale. Sa che Avril e James sono i suoi veri genitori e che, sia noi che lei, siamo dei licantropi - spiegò con precisione - e sa dei guardiani - aggiunse infine. 

- Sa perché Erasmus la cerca? - domandò facendosi più serio.

- No - rispose subito la ragazza dai capelli rossi. 

- Non offenderti Kate, mi fido di te, ma ho bisogno di sapere ogni cosa - Herbert si alzò e venne verso di me. 

Prese la mia testa fra le mani e la strinse con una leggera pressione. Istintivamente scattai in piedi. 

- Che vuole fare? - chiesi spaventata.

- Ho già fatto - rispose tornando al suo posto - ho letto i vostri ricordi più recenti - ammise con nonchalance, come se frugare nella mente delle persone fosse la cosa più naturale al mondo.

- Che cosa? - sbottai disgustata, sgranando gli occhi.

- Non mi avreste di certo raccontato di vostro fratello e della vostra amica, o sbaglio? - Herbert prese un foglio bianco e cominciò ad appuntare delle cose. 

- Loro non centrano niente con questa storia - affermai con decisione. 

- I vostri sospetti sono più che fondati, Julie. E' probabile che sia stato un Dannato a mordere vostro fratello - l'uomo continuò a scrivere senza guardarmi e ignorando le mie parole.

- Non ha il diritto di entrare nella mia testa - sputai sentendomi violata. 

- Vi prego di perdonarmi, ma finché non sarà pronta, non potrò fare altrimenti - tentò di giustificarsi, senza sembrare troppo dispiaciuto - Sedetevi - ordinò.

- Pronta per cosa? - domandai obbedendo, senza ricevere alcuna risposta. 

- Purtroppo, il destino del figlio di Nick è segnato - ammise con rammarico - ma vi prometto che farò tutto ciò che è in mio potere per aiutarlo - Herbert mi scrutò attentamente - Avete la mia parola - aggiunse poggiando una mano sul cuore.

- I-io la ringrazio. Non potrei mai vivere sapendo che la sua vita è rovinata a causa mia - mormorai con voce fievole. 

- Quanto alla vostra amica, non posso garantire anche per lei - comunicò freddamente.

- Lei è così per colpa mia. Non posso abbandonarla, devo aiutarla - mi lamentai contrariata. 

- Questo dimostra che non siete ancora pronta - l'uomo dalla lunga veste verde si alzò e guardò fuori dalla finestra, con le braccia tese lungo i fianchi - Voi siete la chiave di tutto, Julie. Ma la vostra incapacità nel gestire voi stessa e i vostri sentimenti potrebbe mettere l'intera umanità in pericolo - Herbert sospirò profondamente, continuando a fissare l'enorme distesa verde al di fuori della finestra. 

- Che scenario apocalittico - mormorai a bassa voce assumendo un atteggiamento ironico. 

Jared mi tirò una gomitata nel fianco e mi gettò un'occhiataccia. 

- Sei capace di ironizzare anche in questi momenti, è pazzesco - borbottò il moro portando una mano sulla fronte e scuotendo la testa. 

- Lo è - confermò Herbert senza battere ciglio. Mi sentii in imbarazzo perché era riuscito a sentire la mia insulsa battuta. 

- Io non capisco. Sono la chiave di cosa? Perché questo Erasmus mi cerca? Cosa vuole da me? - sparai le domande a raffica, completamente confusa da ciò che quell'uomo stava farfugliando. 

- Ora vi racconterò tutto, affinché possiate comprendere la vostra importanza, ma ad una condizione: non dovete farne parola con nessuno, ad eccezione dei guardiani, e inoltre, una volta scoperta la verità, non potrete più tirarvi indietro. Voi, Julie, avete una missione importante - Herbert si voltò e si diresse verso uno scaffale pieno di libri.

- Gli stregoni sono gli esseri sovrannaturali più antichi e potenti al mondo. Più uno stregone vive, più il suo potere cresce, motivo per il quale gli stregoni più temuti appartengono alle famiglie più antiche. Earwistink, Vinson, Neelam, sono queste le prime famiglie di stregoni apparse in America. Come già sai, il mio cognome è Earwinstink, lo stesso cognome di Erasmus, mio fratello - Herbert si voltò per osservare la mia reazione di completa sorpresa.

- Erasmus è suo fratello? - chiesi sbalordita. 

- Erasmus era mio fratello. Ha smesso di esserlo diversi secoli fa - sputò con veleno l'uomo. 

- Secoli? - domandai incerta. 

- Capisco che il mio aspetto vi possa trarre in inganno, ma è proprio grazie alla magia che riesco a mantenerlo tale. Ho ben cinquecento anni - ammise con orgoglio, sfilando un vecchio e polveroso libro dallo scaffale. 

Appoggiai le spalle sullo schienale del divano, completamente esterrefatta da ciò che le mie orecchie avevano sentito. Cinquecento anni? Mi sentii una nullità, un moscerino insignificante. Quell'uomo aveva vissuto di tutto e di più. 

- Io e mio fratello eravamo molto uniti, l'amore che ci legava era immensamente unico. Avremmo fatto di tutto per aiutare e rendere felice l'altro. Le nostre strade cominciarono a dividersi quando Erasmus compì 16 anni. Potete solo immaginare quanto fossero amplificati i suoi sentimenti in quel momento: era solo un ragazzino in piena adolescenza e con la consapevolezza di avere un immenso potere a sua disposizione. Fu allora che conobbe la figlia di Anthony Vinson: Vera - Herbert si avvicinò e mi porse un foglietto di carta tutto strappato, sul quale vi era un ritratto di una nobile ed affascinante donna. I suoi capelli erano raccolti, tranne qualche ciuffò che le ricadeva delicatamente sul viso ovale e affusolato. Le labbra sottili formavano un sorriso tirato, mentre gli occhi allungati erano contornati da lunghe ciglia. 

- Vera Vinson fu la donna che fece perdere completamente la testa a mio fratello. Una strega affascinante ed astuta che riuscì a trovare i punti deboli di Erasmus e sfruttarli a suo piacimento. I due cominciarono a frequentarsi e praticare magia insieme, superando ogni limite umanamente accettabile. Più loro si avvicinavano, più noi ci allontanavamo: lei lo faceva sentire libero, onnipotente, sfrenato e vivo, al contrario, io tentavo di controllarlo, di mostrargli la retta via, di porre dei limiti ai suoi poteri. Vera ed Erasmus praticarono magia nera per diversi anni, sacrificarono persone innocenti e commisero atti orripilanti insieme. Fu in quel periodo che crearono il primo Dannato. Costrinsero un uomo a bere un intruglio contenente veleno di vampiro, sangue di stregone e sangue umano, poi lo uccisero, congelando i suoi organi, e lo riportarono in vita. Come potete immaginare, quell'uomo di umano non aveva più niente, oltre all'aspetto fisico. Quando aprì gli occhi, desiderò solo bere sangue umano e servire lo stregone di cui aveva bevuto il sangue prima di morire. La piaga si espanse e ogni uomo che veniva morso da quel mostro, diveniva anch'esso un Dannato - Herbert fece una breve pausa, poi riprese il racconto. 

- Dopo aver scoperto tutto ciò che Erasmus e Vera avevano fatto, e convinto che i Dannati appartenessero proprio a quest'ultima, decisi di ucciderla, per porre fine alla piaga e per tentare di salvare mio fratello dall'abisso in cui stava scivolando. Quando scoprii che il padrone di quei mostri era proprio mio fratello, mi resi conto di aver peggiorato la situazione drasticamente. Erasmus era furioso per ciò che feci, avevo ucciso la donna della quale era innamorato e ciò annientò quel briciolo di umanità che gli era rimasta. Promise che avrebbe creato un esercito di Dannati al suo servizio, che avrebbe ucciso ogni persona a me cara e cancellato dalla Terra ogni forma di umanità, e che io avrei assistito ad ogni morte, ad ogni sacrificio, senza poter intervenire. Solo allora, mi avrebbe ucciso - l'uomo rimase impassibile per tutto il racconto, poi afferrò un altro pezzo di carta ingiallito e me lo porse. Vi era raffigurato un ciondolo a goccia, con un lungo cristallo incolore incastonato fra i dettagli metallici, appeso ad una delicata catenina argentata. 

- E' la collana con la quale uccisi Vera. Quel ciondolo contiene un'energia talmente potente da soffocare e bloccare il cuore di qualsiasi stregone in meno di un minuto. Una volta legata al collo, non può più essere tolta, finché il cuore non si ferma. Ed è l'unica arma che abbiamo per uccidere Erasmus - confessò lo stregone poggiando l'indice sul foglietto di carta che stringevo saldamente fra le dita. 


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