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Atterrammo sul pianeta Terra nel 1985, l'anno in cui ci fu il Live Aid a cui parteciparono anche i Queen.

«Ma siamo a Wembley.» Chiese Jo confusa «Cosa ci facciamo?»

«È il 13 luglio 1985, l'anno del Live Aid e il momento più importante per i Queen.» Le spiegai.

«Oddio, non ci posso credere! Vedremo il concerto?» chiese lei sorpresa.

«Ti ho portata qui per un motivo, no?» le dissi.

«In realtà quando ci sei tu arrivano anche i problemi.» Constatò lei.

«Naah non sempre.» Replicai.

«Ora però non mettiamo a rischio la vita del cantante, che già sarà breve. Una domanda: ma visto che abbiamo una macchina del tempo possiamo salvarlo, no?» chiese felice lei.

Io la guardai con lo stesso sguardo con cui guardai Rose quando le dissi che la morte di suo padre era un punto fisso nel tempo.

«Mi dispiace ma la sua morte è fissa nel tempo e se lo salviamo molti suoi album come ad esempio Innuendo non usciranno mai. Lui deve morire purtroppo.»

«Ok, ho capito.» Disse lei triste.

«Ma ora, bambina mia, non pensiamoci e andiamo al più bel concerto della tua vita.» La spronai facendole tornare il sorriso.

Ci avviammo verso lo stadio e arrivati ai cancelli mostrai la mia carta psichica alle guardie.

«Salve ragazzi, io sono John Smith e lei è mia figlia Johanna e abbiamo i primi posti nel parterre.»

La guardia ci guardò la carta psichica e ci fece cenno di entrare.

«Papà ti rendi conto?! Siamo dentro al Wembley Stadium al concerto con i Queen!!» disse lei urlando dalla gioia.

C'era veramente tantissima gente che spintonava per prendersi i primi posti nel parterre vicino al palco e con grande fatica riuscimmo ad avvicinarci.

«Se non vado errata i primi a esibirsi sono gli Status Quo, dopo gli Style Council, i Boomtown Rats, Adam Ant, Ultravox, Spandau Ballet, Elvis Costello, Nik Kershaw, Sade, Sting, Phil Collins, Howard Jones, Bryan Ferry, Paul Joung, Alison Moyet, U2, Dire Straits e finalmente i Queen.» Spiegò lei.

«Esattamente, sei molto brava! Come sai tutte queste informazioni?» ero meravigliato dalla sua grande memoria.

«Le ho lette su Internet e me le sono memorizzate nel caso in cui mio padre mi avesse portata al Live Aid.»


JOHANNA'SPOV


Il concerto si tenne in un' arena grandissima e di forma ovale: da un lato c'erano gli spalti, interamente riempiti e al centro il parterre dove io mi trovavo che da quanti fan c'erano non aveva fine.

Davanti a me avevo il palco con un pavimento bianco e su un rialzo nero; sullo sfondo un simbolo che assomigliava a una chitarra con su scritto " Live Aid".


Il concerto iniziò e io, come i molti fan qui presenti, aspettavo solo che Freddie Mercury salisse sul palco per dare il via a quella che si sarebbe prospettata la sua migliore esibizione.

Finalmente quando i Dire Straits lasciarono il palco, Freddie arrivò facendo a pugni con l'aria e si sedette davanti al pianoforte cominciando a cantare la prima canzone in scaletta: Bohemian Rhapsody.

Freddie era un uomo veramente bellissimo privo di imperfezioni, anche se lui sosteneva che la sua dentatura fosse il suo unico difetto: portava un paio di jeans e Adidas, una t-shirt bianca che lasciava scoperto il suo petto. Il suo volto era stupendo: occhi marroni e i suoi iconici baffetti.

Io ero lì davanti lui che lo guardavo con occhi pieni d'amore e ammirazione mentre lui cantava e muoveva le sue splendide mani.

Mi voltai verso gli altri membri: Brian May con la sua splendida Red Special e la sua capigliatura immancabilmente riccioluta , Roger Taylor alla batteria e sempre sexy e biondo e infine John Deacon che se ne stava da un lato a suonare il basso.

Al termine della canzone Freddie prese la sua asta del microfono e fu il turno di Radio Gaga e io fui euforica.

Freddie era veramente bellissimo e io ero lì che cantavo a squarciagola mentre battevo le mani a tempo.

Dopo Radio Gaga l'affascinante frontman diede vita alla sua celebre improvvisazione e io, insieme al pubblico, ripetevo quel suo "Eoh".

Alla fine dell'improvvisazione fu il turno di Hammer To Fall, poi Crazy Little Thing Called Love, We Will Rock You e infine We Are The Champions.

Alla fine dell'ultima canzone lui salutò i suoi fan e fu il turno di David Bowie, degli Who, di Elton John, degli Wham e poi sul palco ritornarono Freddie e Brian con la loro canzone Is This The World We Created...?.

Il frontman era vestito di bianco e sembrava un angelo sceso in terra.

Dopo Paul McCartney e la Band Aid l'evento terminò e io avevo tutto il mascara colato, sentivo malissimo e non avevo più voce.

«Jo, ti piacerebbe incontrare i Queen, David Bowie e Elton John?»

«Ma come...?»

«Con la mia carta psichica posso tutto, mia cara.»

«Davvero?! Oh cazzo incontrerò Freddie!!»

Mio padre mi stupisce sempre di più! Lo amo troppo!

Io piansi di felicità mentre ci avvicinammo al backstage e una volta dentro notai il bellissimo frontman.

«Ciao Freddie, io sono una tua grandissima fan mi chiamo Johanna.»

«Ciao Johanna, vuoi che ti faccia un autografo, darling?» mi chiese lui con il suo splendido sorriso che mi fece quasi svenire.

Annuii incapace di dire una parola di più e gli feci firmare la mia maglietta poi lo abbracciai.

Poi fu il turno di Bri e anche lui fece lo stesso, infine Rog e Deaky.

Dopo i molti abbracci il fotografo ci scattò la foto e io abbracciai per l'ultima volta Freddie e mi diressi da David.

Uscimmo all'esterno dell'area VIP nella quale si trovavano le diverse roulotte dei cantanti su un prato verdeggiante.

Cominciammo a cercare quella di David Bowie e una volta trovata bussai timidamente alla sua porta che venne aperta da un bellissimo uomo concorti capelli biondi e un occhio celeste.

«Salve,lei dev'essere una mia fan.»

«Sì, mi chiamo Johanna.»

«Johanna, un bellissimo nome per una bellissima ragazza, entrate dentro.»

Noi entrammo e ci sedemmo su una piccola poltroncina.

«Quanti anni hai Johanna?»

«18 signor Bowie.» Gli risposi cercando di non piangere dall'emozione.

«Oh, dammi del tu.»

«D'accordo David.»

Gli feci firmare il suo ultimo album e poi presi la mia macchina fotografica per scattare la foto.

«Grazie David per la sua disponibilità.»

«Ma figurati dolcissima Jo.»

Uscimmo e poco più in là trovammo la roulotte di Elton John e io bussai.

«Chi è?»

«Sono una sua fan.»

«Vieni dentro tesoro.»

«Grazie Elton.»

Elton John era l'uomo più particolare che avessi mai visto: portava un abbigliamento vistoso e un paio di occhiali davvero buffi.

Entrai e mi misi seduta su una piccola poltroncina.

«Allora come ti chiami tesoro?»

«Mi chiamo Johanna Tyler ma tutti mi chiamano Jo.»

«È un bellissimo nome perché lo dovrebbero ridurre a due lettere? Mentre lui dev'essere tuo padre.»

«Sì, io sono suo padre John Smith.» Si presentò lui.

«Avete cognomi diversi.» Chiese curioso lui.

«È una lunga storia Elton e poi non capiresti.» Tagliai corto.

«Va bene, ti devo autografare qualcosa?»

Io gli misi tra le mani il suo ultimo album, scattai una foto e lo ringraziai.

Una volta all'esterno mio padre mi domandò.

«Allora ti ho resa felice?»

«Papà dimmi che stai scherzando, ho incontrato le tre leggende della musica e secondo te non sono felice?!»

Ma è serio?! Cioè ho incontrato gli idoli della mia vita, non è mica da tutti!

«Te l'ho chiesto solo per vederti sorridere.»

Erano quasi le due di notte e io ero stanca morta. Arrivati nel TARDIS andai in bagno per struccarmi e mettermi il pigiama.

Il bagno del TARDIS era piuttosto grande: c'era una vasca bianca e davanti un mobile con un lavandino anch'esso bianco; in quel mobiletto c'erano dei cassetti in cui misi tutti i trucchi e una piastra. Accanto alla vasca c'era infine un bidet e un gabinetto.

La mia stanza era altrettanto semplice: c'era un letto con accanto un comodino e un abat jour bianca; c'erano inoltre degli scaffali con alcuni libri e una piccola scrivania mentre le pareti erano color blu notte.
Vicino al mio letto attaccai alcuni poster dei miei idoli e sul comodino misi alcune foto di famiglia.

Una volta toccato il letto mi addormentai profondamente.

Doveva essere già mattina quando un rumore improvviso provenente dall'esterno della cabina mi fece svegliare di soprassalto.

«Papà, che succede?» chiesi allarmata.

«Non lo so stavo dormendo anch'io. Vestiti che usciamo a vedere.»

Feci come mi aveva ordinato e preparata uscimmo.

Quello che vidi mi paralizzò: c'erano dei Dalek che, attraverso un braccio rotante simile a uno scolapasta, lanciavano delle luci laser uccidendo le persone. Quegli esseri inoltre possedevano un solo occhio, un guscio protettivo di metallo e un secondo braccio rotante simile a uno stura tubi.

«Papà, ma quelli sono Dalek? Come fanno a essere sopravvissuti?» chiesi impaurita.

«Non ne ho la minima idea, sopravvivono sempre.»

«Dobbiamo salvare Freddie, David ed Elton da questi alieni prima che sia troppo tardi.»

«Hai ragione, andiamo.»

Corremmo fino al loro albergo e arrivati al loro piano notai che la porta era stata buttata giù.

«Oh cazzo! Papà i Dalek hanno preso la band! Freddie non può morire nel 1985.» Esclamai preoccupatissima.

«Allora è meglio se raggiungiamo la nave Dalek.»

«Papà, aspettami al TARDIS io controllo che Elton e David stiano bene.»

«Ok, ma fai attenzione e controlla che non ci siano altri Dalek.»

Annuii e andai alla loro ricerca e proprio mentre stavo per arrivare al loro piano udii una voce metallica.

«Abbiamo come ostaggio il cantante Freddie Mercury che ci servirà per ottenere la figlia del Dottore così da eliminare tutti i Signori delTempo.»

«Un ottimo piano ora sterminiamo gli altri due.»

Oh no, questa volta non la farete franca odiosissimi Dalek!

Io avendo udito il loro piano uscii allo scoperto.

«Fermi non muovetevi o vi ammazzo!»

«Ecco la figlia del Dottore, sterminare! Sterminare!»

«Se mi uccidete il Dottore vi ucciderà uno per uno, quindi fareste meglio a non sparare»

«Allora cosa vuoi fare Signora del Tempo?»

«Ho ascoltato il vostro piano, voglio che mi portiate sulla vostra astronave.»

«Ti vuoi sacrificare per un inutile terrestre?»

«Se questo lo salverà sì.»

«D'accordo allora seguici.»

DOCTOR'SPOV

Io sentii alcune voci e il rumore di un teletrasporto: la mia bambina è in pericolo e si vuole sacrificare per salvare il suo idolo, devo fermare a tutti i costi quei maledetti Dalek. Non posso permettermi di perdere anche lei.

La paura mi assalì come un fiume in piena. Il mio respiro era affannato. Corsi verso il TARDIS come non mi era mai successo in tutta la mia lunga vita.

Arrivato chiamai l'unica persona che poteva aiutarmi in quella situazione.

«Jack, hai un momento?»

«Dottore non si saluta più?»

«È importante che tu venga qui a Wembley nel 1985 perché mia figlia è stata catturata dai Dalek.»

«Arrivo immediatamente.»

Riattaccai e lui si teletrasportò qui.

«Posso sapere che ci fate a Wembley nel 1985?» chiese curioso.

«Volevo mostrare a Jo il Live Aid.»

«Un bel regalo Dottore.»

Atterrammo nella nave Dalek e cercando di non farci notare andammo alla ricerca di mia figlia.

C'erano alieni dappertutto e la loro astronave era decisamente enorme: le pareti erano blu cielo e c'erano moltissime porte. Era praticamente impossibile trovarla. Cercando di non fare il minimo rumore, camminammo all'interno della nave Dalek. La paura invase i miei cuori. Potevano averla già uccisa o peggio. Non poteva essere così. Cercai di calmarmi. Ero il Dottore e come tale dovevo comportarmi. Ero stato un soldato e avevo ucciso senza rimorso.

All'improvviso sentii una voce femminile provenire da una stanza.

«Mio padre arriverà statene certi.»

«Tu menti!»

«Lui arriva sempre per salvarmi la vita.»

«Ora però è troppo tardi tu verrai sterminata. Soldati sterminate, sterminate, sterminate!!»

L'urlo dei Dalek arrivò chiaro alle mie orecchie e corsi verso quella stanza. Questa volta i Dalek non l'avrebbero fatta franca. Era mia figlia quella che avevano.





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