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Suo padre rovistò a lungo nell'armadio, in cerca di una vecchia cravatta blu a pallini rossi che non metteva da anni. La trovò in un cassetto sotto delle vecchie coperte.

La mostrò emozionato a Rose. "È un regalo di tua madre. L'ultimo Natale che abbiamo passato insieme. Spero di essere ancora capace di farmi il nodo."

Rose osservò quella cravatta in sintoseta da due soldi. Cercò di ricordare l'ultimo Natale insieme a sua madre. Trovò il vuoto nella sua memoria.

Papà armeggiò con il nodo per un paio di minuti, osservandosi in un piccolo specchio sull'interno dell'anta dell'armadio, e accompagnando i suoi sforzi con buffe smorfie della bocca. Poi ammirò soddisfatto il risultato. "Non sono così arrugginito, vero?", disse sorridendo.

Uscirono. Il mattino inoltrato di Siebengrade era pervaso da un bagliore grigio chiaro, il massimo dell'allegria che poteva offrire la città. Trovarono parcheggiata sotto casa un'auto pubblica condivisa.

Mentre guidava, papà canticchiava allegro. "Madamina, il catalogo è questo..." Per un attimo, Rose ebbe la sensazione di trovarsi in auto con uno sconosciuto. Si sentì in trappola ed ebbe quasi paura, mentre osservava le strade di Siebengrade scorrere veloci. Se quell'uomo adesso si fosse arrabbiato con lei, e avesse minacciato di picchiarla... sarebbe stato quasi rassicurante. Sarebbe stato come tornare nel vecchio mondo che conosceva. Rose cercò di essere razionale e di calmarsi. Poi le tornarono in mente i dardi di luce rossa. Si sentì di nuovo persa. Li aveva visti uscire dai palmi delle sue stesse mani. E qualcosa le aveva detto di infilarli nella testa di papà. Doveva essere stato un sogno, o un'allucinazione... eppure tutto era coinciso proprio col cambiamento di papà. E quello era reale.

"Guarda! Il nuovo centro commerciale!" disse suo padre indicando col mento un cartellone pubblicitario che annunciava l'apertura dell'Hyperdrome. "Lo inaugurano oggi. Forse cercano personale. Potrei propormi come guardiano notturno, che dici? È troppo tempo... troppo tempo che non faccio nulla." Aggiunse le ultime parole con una nota di tristezza nella voce.

Rose annuì senza riuscire a dire nulla. Dopo tanti anni, papà finalmente cercava lavoro. Era una cosa da urlare di gioia. Ma era anche la conferma che qualcosa era cambiato... troppo velocemente.

Arrivarono al Centro Medico 3. Mentre passavano accanto alla reception, Rose si domandò se non dovesse chiamare aiuto. Forse doveva rivolgersi all'infermiera di turno e dirle qualcosa come: aiutatemi. Credo di avere la tecnopeste, qualunque cosa sia la tecnopeste. Anche mio padre non sta bene. Cioè, sta bene, ma troppo bene, capite? Naturalmente non disse nulla.

Mentre si avvicinavano alla stanza di Miki, Rose ebbe l'impressione che i medici nei corridoi la osservassero. Potevano capire da qualche segno che lei era malata? Forse il suo viso era già pieno di puntini blu. Per quello che ne sapeva, poteva essere quello il decorso della tecnopeste. A momenti, la avrebbero catturata e messa sotto stretta quarantena. Mio Dio, poteva contagiare qualcuno? Sarebbero tutti morti per colpa sua?

"Rose... Rose mi senti?" le stava chiedendo suo padre. "Forse dovremmo portarle dei fiori. O dei cioccolatini. Che ne dici?"

Rose non sapeva cosa rispondere, Anzi sì, la risposta giusta era: non puoi scusarti con una scatola di cioccolatini, dopo averla massacrata di botte.

Evidentemente il silenzio di Rose fu abbastanza espressivo. Suo padre capì il messaggio e annuì triste.

Arrivarono alla stanza 14. Prima di entrare, papà si sistemò il bavero della giacca e strinse il nodo della cravatta. Sembrava un fidanzatino nervoso. Guardò Rose, come per cercare la sua approvazione. E Rose si sorprese a fare una cosa stupefacente. Non ricordava di averla mai fatta prima. Sorrise a suo padre. Gli sorrise perché in quel momento era tenero, buffo e divertente.

"Sei a posto", gli disse.

Entrarono nella stanza. Miki era ancora a letto. Stava parlando con la grassona ricoverata insieme a lei. Ridevano di qualcosa. Sembravano rilassate. Miki si voltò verso Rose e papà. Rose ora poteva vedere chiaramente il grosso cerotto sulla sua fronte. Sembrava essere stato sostituito da poco con uno pulito.

"Ciao Miki. Come stai?" chiese Rose.

"Una favola, non vedi?" rispose Miki sarcastica. Poi girò lo sguardo su papà. E per un momento, nei suoi occhi Rose lesse un'espressione... interrogativa. Oh mio Dio. Non lo riconosce neppure.

Durò solo un attimo. Poi Miki si irrigidì nel letto. Un'ombra di paura le oscurò gli occhi. Aveva capito che suo padre era lì.

"Ciao, Miki" disse papà, quasi con timidezza.

"Ciao, papà", rispose Miki incerta, dopo qualche secondo.

Papà si era ammutolito. Guardava per terra con un'espressione corrucciata, come se cercasse qualcosa che aveva perso. Poi si passò una mano sul volto, con un gesto risoluto. Aveva deciso che c'era un solo modo per uscirne.

Si inginocchiò accanto al letto di Miki. Le prese una mano e la strinse fra la sue. Miki si pietrificò. Impallidì vistosamente.

"Non ti chiedo di perdonarmi", disse papà. "Neanch'io riesco a perdonarmi. Se ripenso a ieri sera, è come... come avere in testa i ricordi di un'altra persona. Una persona che odio. Non so come spiegartelo."

Miki guardava suo padre a bocca aperta. Con la mano libera, stringeva le coperte serrando le dita.

"Quello che cerco di dirti" continuò papa "è che ti prometto che d'ora in avanti sarà tutto diverso. Basta bere. Basta... rabbia. Aveva ragione tua madre: la mia rabbia ha avvelenato tutto. Hai il diritto di odiarmi, ma se vuoi ancora un po' di bene al tuo vecchio, credimi se ti dico che mi dispiace. Mi dispiace tantissimo."

Miki era più che sbalordita. Sembrava non riuscire a trovare le coordinate per comprendere quello che stava succedendo. Annuì e a mormorò incerta: "OK", probabilmente solo per l'abitudine a non contraddire mai suo padre.

Papà baciò la mano di Miki, poi, sempre stringendola fra le sue, vi appoggiò teneramente sopra la sua guancia. Stette così alcuni secondi in silenzio, con gli occhi chiusi.

I dottori dissero che Miki poteva tornare a casa. Miki si rimise i vestiti con cui era arrivata al Centro Medico la notte prima. Sulla sua maglietta dei Death Karavan c'erano ancora macchie di sangue secco.

In macchina papà continuava a fischiettare. "Miki", disse mentre rientravano verso Kantorstadt, "se te la senti, vorrei fare un salto allo spaccio. Non abbiamo più niente in frigo."

"Come vuoi tu, papà", rispose prontamente Miki dal sedile posteriore.

Lo spaccio... significava rivedere Clash, pensò Rose.

Parcheggiarono. Il mattino di Siebengrade continuava a essere insolitamente luminoso. Mentre si avvicinavano allo spaccio, papà camminava tendendo le mani in tasca, osservando con un mezzo sorriso la città attorno a loro. "Oh, signorine", disse a un tratto con una voce fintamente cupa, in una sorta di parodia della severità, "non voglio sentire discussioni. Da oggi in avanti mangeremo più verdura". Poi sorrise a trentadue denti. "Ci farà bene", aggiunse.

Entrarono allo spaccio. Papà prese un carello e si indirizzò sicuro alla sezione frutta e verdura. Miki trattenne per il braccio Rose.

"Non si è arrabbiato con te per ieri sera?" chiese Miki sottovoce. E quello che voleva dire era: non ti sei presa la tua razione di botte?

"Miki, mi dispiace tantissimo per quello che è successo" disse Rose.

"Papà mi ha chiesto perdono. È la prima volta che lo fa" incalzò Miki.

Sì, pensò Rose. Ed è tutta colpa mia. Un momento... colpa?

"Lo fai sembrare un problema" ribatté Rose. "Forse si è solo stancato di rendere la nostra vita un inferno. Forse è cambiato."

"E che sembra... strano. Allegro."

Rose fece spallucce. "E allora?"

Miki annuì incerta. "Sì, forse è OK." Non sembrava convinta.

Raggiunsero papà. Il carrello era già pieno di sacchetti di lattuga in sospensione chimica e di pomodori stabilizzati.

"Papà, forse dovremmo prendere qualcos'altro oltre la verdura. Non so, un po' di carne" disse Rose.

"Touché, signorina. Però proviamo qualcosa di fresco. Basta preparato al tacchino".

Poi papà si bloccò davanti a uno scaffale. Rose si sentì brividi di ghiaccio salire fino al collo. Un cartello giallo con scritte a pennarello rosso annunciava un'offerta speciale sul whisky.

Suo padre prese dallo scaffale una bottiglia. Per alcuni secondi, osservò incantato il liquido color ambra racchiuso nel vetro. Era come se... cercasse di ricordare qualcosa.

Rose si sentì precipitare. Ora tornerà a casa e si ubriacherà. Come aveva pensato che la loro vita potesse essere qualcosa di diverso? Si girò verso Miki. Sua sorella sembrava in attesa. Come se aspettasse che un pezzo del puzzle cadesse finalmente al posto giusto.

Papà rimise la bottiglia sullo scaffale. Alzò le sopracciglia. Aveva solo scacciato via un brutto pensiero.

"Forza, signorine. Cosa stiamo aspettando?", disse papà. E si diresse tranquillo verso il banco macelleria.

Rose tornò a respirare. Rivolse lo sguardo verso sua sorella, sorridendo. Miki era a bocca aperta. Era quasi contrariata.

"Non può avere smesso", disse. "Ricomincerà".

"Tutti possono cambiare" rispose Rose. "Anche lui". E mentre lo diceva, se ne convinceva lei stessa. Forse i dardi di fuoco rosso erano stati solo un sogno. Forse avere mandato Miki all'ospedale era troppo persino per suo padre. Ora aveva deciso di cambiare vita. Cosa c'era di strano?

Si mossero per raggiungere papà. Rose sospirò, girò la testa e all'improvviso le sue gambe diventarono di pietra. Attraverso gli scaffali, a un paio di corsie da loro, aveva visto lui. Il ragazzo biondo che aveva baciato alla festa.

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