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Prese l'ombrello e uscì, cercando di non farsi sentire da papà e Miki. Mentre scendeva le scale, si domandò se non dovesse avere paura. Stava affrontando quello sconosciuto da sola. Eppure Rose sentiva che c'era già un legame fra loro due, anche se non sapeva quale. E se doveva avere paura, non era di quel ragazzo.

Rose attraversò piano la strada, dirigendosi verso la panchina su cui era seduto. La pioggia scrosciava sul suo ombrello e tutto intorno a lei, sull'asfalto lucido. Lui non la perdeva di vista un attimo. La aspettava con infinita pazienza. Non c'era luogo nella galassia in cui lei potesse sfuggirgli.

Rose si fermò a un metro di distanza. La maglietta nera di lui, i jeans, i capelli biondi erano zuppi. L'acqua accarezzava in grossi rivoli i suoi lineamenti perfetti, la barba incolta, i muscoli delle braccia delineati sotto la pelle sottile.

Lui rimaneva in silenzio. Lei non sapeva come iniziare. Alla fine gridò attraverso la pioggia: "Mi hai seguita?"

Lui scosse la testa. "So sempre dove sei. Come tu sapevi che ero qui".

Il rumore della pioggia copriva quasi le loro parole. Se voleva continuare, Rose doveva avvicinarsi. Prese coraggio, e avanzò fino a che il suo ombrello non riparò la testa di lui. Ora lui la guardava dal basso, con occhi grigio chiari che brillavano come fuochi nell'ombra.

"Grazie", disse.

"Mi chiamo Rose".

"Il tuo nome non è più solo Rose. Ora sei una Mercury. Il tuo nome completo è Mercury Rose."

Bene, pensò Rose. Questo è completamente pazzo.

"Io mi chiamo Duke", continuò lui.

"Lasciami indovinare... Mercury Duke."

Lui annuì serafico.

"Che cosa diavolo vuol dire essere una Mercury?" chiese Rose. "È una cosa bella o una cosa brutta?"

"È la cosa più importante che può capitarti. Mercury ti ha scelto come ospite. Ora Mercury vive dentro di te".

"Aspetta... questo Mercury c'entra qualcosa con la tecnopeste? Mi hai attaccato una malattia alla festa?"

Lui scosse la testa. "Mercury non è una malattia", disse. "Nessuno sa quale sia la sua origine. Quanto alla sua natura, è senz'altro vicina a quella di un dio. Forse è un antico dio galattico che si è risvegliato per salvare l'umanità da se stessa."

"Ah, fai parte di una setta. Suonate alle porte la domenica pomeriggio? Scusate se non vi lascio un'offerta. Non ho un soldo bucato."

"Non tutti possono unirsi a noi. Mercury sceglie i suoi adepti uno a uno."

"Quindi... io sono stata scelta? E in base a cosa?"

Lui rise. "Le scelte di Mercury sono davvero imperscrutabili. Forse questo pianeta non offriva niente di meglio."

Rose ne aveva abbastanza. "E se a me non importasse nulla di questo Mercury? Se fossi io a non volere essere scelta?"

Lui fece spallucce e sorrise. "Mercury farà a meno di te."

"Bene", disse seccamente Rose. "Spero che il treno arrivi presto. Se ti rivedo qui intorno domani, chiamo la polizia". E si girò per rientrare a casa.

Aveva già fatto qualche passo, quando il ragazzo aggiunse: "Ma tu potrai fare a meno di scoprire i tuoi poteri?"

Rose si bloccò. "Poteri?"

"Poteri oltre la tua immaginazione".

Rose si voltò, e incrociò di nuovo quegli occhi che sembravano avere tutte le risposte. Chiese con titubanza: "Comprendono infilare dardi di luce nella testa delle persone?"

Lui fu sorpreso. Si alzò dalla panchina e si avvicinò a lei. "Come lo sai? Non dirmi... che l'hai fatto!"

Rose si morse le labbra. Annuì imbarazzata, come se avesse ammesso una marachella.

Il ragazzo si passò la mano fra i capelli fradici di pioggia, e le dedicò uno sguardo di ammirazione. "Hai riscritto la mente di qualcuno, senza neppure essere addestrata. Mercury non ha scelto male."

Riscritto la mente di qualcuno? Rose non era certa di avere capito bene.

Una vibrazione sorda annunciò l'arrivo del magnetotreno. I suoi fari illuminarono la pioggia, creando l'illusione di una foresta di cristallo intorno a loro.

"Allora", disse il ragazzo, "prendo il treno ed esco dalla tua vita? Oppure rimango?"

Rose lo squadrò. La sua maglietta nera aveva ancora più buchi della notte precedente.

"Hai l'aria di uno che ha dormito per strada" disse lei. "Ce l'hai un posto per ripararti?"

Il ragazzo scosse la testa.

Rose chiuse gli occhi e sospirò. In che guaio si stava cacciando?

"Seguimi" disse. "Ma rimani assolutamente in silenzio".

Entrarono insieme nel palazzo. Il ragazzo lasciava pozze d'acqua sul pavimento a ogni passo. Rose guardò il suo viso alla luce debole delle lampadine. Ebbe la sensazione che i suoi lineamenti avessero qualcosa di familiare. Stupida, pensò, ieri l'hai baciato. Per questo ti sembra di conoscerlo già.

Salirono le scale in silenzio. Rose cercò di essere più leggera dell'aria, soprattutto quando passarono davanti all'ingresso chiuso del suo appartamento. Dall'interno, sentì provenire la voce di suo padre che rideva. Passarono oltre, e salirono al piano di sopra.

L'appartamento della signora Snyder era vuoto ormai da un anno, da quando la povera vecchina se n'era andata. Da tempo gli inquilini del palazzo avevano segnalato all'amministrazione centrale l'esigenza di riassegnare l'appartamento, per evitare che fosse occupato da qualche estraneo. Nel frattempo, qualcuno aveva forzato la serratura ed era entrato a rubacchiare. Naturalmente, la serratura non era stata riparata.

Quando Rose spinse la porta, questa si aprì senza sforzo. La corrente elettrica era staccata, ma il lampione dalla strada proiettava all'interno una luce tenue. Si sentiva odore di polvere. Sul vecchio tappeto giacevano cassetti rovesciati, insieme a foto e documenti di una vita passata.

"Duke, giusto?" disse Rose. "Puoi stare qui, per il momento. Basta che non fai rumore".

Duke si guardò intorno. "Almeno è asciutto". Si tolse la maglietta fradicia. La luce accarezzò con gentilezza il suo torace magro e muscoloso.

Rose si sorprese a seguire con lo sguardo il profilo ondulato delle sue costole pronunciate. Si scosse. C'erano troppe cose da chiarire.

"Prima hai detto davvero... riscrivere la mente?", chiese Rose. "Che cosa significa?"

"È molto semplice," rispose lui. "Il potere più importante che ti dà Mercury è quello di cambiare le persone."

"Intendi... convincerle a comportarsi meglio?"

Duke si tolse anche le scarpe. "No, intendo entrare nei loro cervelli e riscrivere le loro sinapsi", disse.

Rose ricordava vagamente cos'erano le sinapsi dalle lezioni di biologia del liceo. Qualcosa come collegamenti interni del cervello, che permettevano di pensare.

"Oh mio Dio. Vuoi dire che ho riscritto il cervello di papà?" si sorprese a esclamare Rose.

Duke non rispose nulla. Con movimenti lenti si slacciò i pantaloni. Cosa diavolo voleva fare?

"Raccontami com'è successo", disse.

Rose cercò di concentrarsi. "Ero molto arrabbiata con mio padre, per motivi importanti. Dalle mie mani sono venuti fuori questi dardi rossi. E li ho infilati nella sua testa."

"E poi? È l'unica cosa che ricordi?" chiese lui.

"Cos'altro dovrei ricordare?"

Con un gesto deciso, Duke si sfilò i pantaloni. Da quello che poteva indovinare Rose alla fioca luce del lampione, era rimasto completamente nudo. Il ragazzo si passò le mani sulle spalle, sul torace e sui fianchi, nel tentativo di asciugarsi.

Rose pensò che avrebbe dovuto scappare via, gridare o qualcosa del genere. Ma in qualche modo, sapeva che non c'era niente di morboso nel comportamento di Duke. Non era esibizionismo, o il tentativo di sedurla. Rose, dai movimenti di quel corpo perfetto nella penombra, percepiva un'altra verità. Duke, semplicemente, era andato oltre tutto questo. E la sua totale innocenza sconvolse Rose, ancora di più dell'immagine di lui che si accarezzava la pelle lucida.

Duke infine smise di asciugarsi, e si rivolse a Rose.

"Tu hai visto tutto quello che di malvagio c'era in quella mente. E l'hai trasformata in una mente buona. Tuo padre è un uomo buono?"

"Beve e mi picchia", rispose Rose, ormai priva di difese.

"Non berrà e non ti picchierà più", disse lui. "Tu l'hai trasformato con il potere di Mercury."

A Rose girava la testa. "Ma non è giusto. Le persone hanno il diritto di essere quello che sono".

"Non hai fatto del male a tuo padre. Lo hai curato."

"Ma l'ho fatto contro la sua volontà!"

"Le scimmie non sono libere. Credono di essere libere, ma non lo sono. Solo Mercury, che è puro pensiero, è veramente libero" disse Duke senza emozione apparente.

Rose era a bocca aperta. "Hai dato della scimmia a mio padre?"

"Tutti noi siamo scimmie agli occhi di Mercury. Tu sei una scimmietta molto carina, se devo dirlo. Anch'io sono una scimmia, anche se molto avanti sulla strada di Mercury. Quindi sempre più vicino alla libertà assoluta che lui è."

Rose cominciò ad avere paura. Si trovava in una stanza buia con un ragazzo completamente pazzo, e completamente nudo.

"E perché questo dio, questo Mercury, ha dato a noi il potere di riscrivere le menti dei malvagi?"

"Che domande, scimmietta." Duke si adagiò su una poltrona coperta da un lenzuolo. Disse: "Mercury vuole impedire che le scimmie si facciano del male. Perché le ama. E noi siamo gli strumenti che ha scelto per salvarle".

Rimase in silenzio. Rose indovinò nel buio i suoi occhi grigi puntati su di lei.

"Non capisci vero?" continuò Duke. "Non preoccuparti. Hai mosso i primi passi sulla strada di Mercury. Capirai presto. Ora perdonami, sono stanco e devo meditare."

Chiuse gli occhi, e si immerse in quello che sembrava un sonno molto profondo.

Rose si rese conto di tremare. Si scosse, come per scacciare via un brutto sogno. Stava già uscendo dall'appartamento, quando sentì Duke dire alle sue spalle: "E sai, fra l'altro baci bene".

Lei si precipitò fuori e scese di corsa le scale.

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