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Si fecero strada attraverso la folla, cercando un posto dove nascondersi. Rose pregò che nessuno notasse la luce che emetteva Duke. Lui si faceva condurre da lei, tenendo una mano sulla sua spalla. Rose sentiva le sue dita stringere. Era come se lei fosse diventata un'ancora che tratteneva Duke in questo mondo.

Presero le scale. Erano completamente deserte. Alla luce di neon lampeggianti scesero fino all'ultimo livello. Si ritrovarono in un buio parcheggio sotterraneo. Si nascosero in un angolo senza auto, al riparo di un grosso pilastro. Duke si lasciò cadere, sedendosi per terra contro il muro.

Nell'oscurità la luce di Duke era ancora più evidente.

"Rose. Adesso devi promettermi di essere coraggiosa." La sua voce era un mormorio.

Rose si sedette accanto a lui. Prese la sua mano fra le sue. Era come tenere fra le mani un fuoco che emetteva luce ma non bruciava.

"Duke, cosa significa che stai per riunirti a Mercury?" disse lei faticando a trovare la voce.

"Me ne sto andando, scimmietta. Se potessi scegliere, rimarrei. Hai bisogno di imparare ancora tanto sui tuoi poteri."

Rose sentì un'aria fredda gelarle la pelle. "Vuoi dire che Mercury... ti sta uccidendo?" chiese con un filo di voce.

"Mercury non uccide" rispose Duke. "Ma a volte ti accoglie presso di sé. Ti dissolvi anima e corpo in lui".

"Non può essere così crudele."

"Mercury non è crudele. È solo libertà assoluta. Non è più crudele del vento che soffia dall'oceano e spazza via ogni cosa."

"Allora, se non ci sarai più, odierò il vento, odierò tutto. Odierò anche me stessa. E odierò Mercury."

"No, Rose. Rimani sulla via di Mercury, anche se è difficile. Sei destinata a grandi cose."

Rose scosse la testa. "Che mi importa di salvare il mondo. Io voglio salvare te. Dobbiamo chiamare un dottore!"

"Nessun dottore può salvarmi adesso. Resta con me. Non andare via."

Rose rimase in silenzio. Poi ebbe la sensazione di non stringere più nulla fra le mani. Le aprì. La mano di Duke era diventata luce incorporea. Le dita di lei passavano attraverso le sue, senza toccare nulla.

Cominciò a piangere.

"Sai perché non puoi andartene?", disse lei, cercando di trattenere le lacrime. "Non ti ho ancora presentato i miei. Ti ho nascosto in soffitta, come un sogno. Che stupida. Ma tu non sei un sogno, vero Duke?"

Rose guardò il suo viso. I suoi lineamenti si confondevano ormai nel bagliore. Lei ebbe l'impulso di accarezzarlo, ma si trattenne. Aveva paura che non avrebbe toccato nulla.

"Sì, ora capisco cosa voleva dire Annika", disse lui. La sua voce sembrava provenire da un altro luogo. "Adesso vedo le menti di tutti. Vedo i loro desideri, la loro rabbia. E vedo anche tutto l'amore di cui sono capaci. È indescrivibile."

"Le menti di tutti? Duke... non ti capisco" disse Rose asciugandosi le lacrime.

"Tutti gli abitanti di questa città. Sono come trasparenti. Potrei riscrivere le loro menti, renderli liberi... ma per loro non è ancora il momento. Però posso fare qualcosa per te, scimmietta. Perché vedo anche te."

Improvvisamente, Rose si sentì invadere da una tranquillità infinita. Fu come immergersi in una vasca di acqua gelata. Per lo shock, inarcò la schiena e riempì i polmoni d'aria.

L'angoscia che prima attanagliava la sua mente si trovava ora di fronte a lei, come un oggetto distante.

Sentì una voce nella sua mente. Vedi scimmietta? Ora anche tu sei libera. Se vuoi, posso gettare via tutta questa tristezza per te.

Non osare, ripose lei. Se questa tristezza è tutto ciò che mi rimarrà di te, allora la conserverò gelosamente. La coltiverò giorno per giorno.

Il dolore si impossessò di nuovo di lei. Dovette trattenersi dall'urlare. Ricominciò a piangere in silenzio.

Passò altro tempo. Minuti, o forse un'eternità.

"Rose" mormorò infine lui. "Grazie per avermi chiesto di amarti. L'amore per te mi ha tenuto insieme. Mi ha permesso di arrivare fin qui. Ma ora... è troppo anche per me."

Rose si strinse nelle proprie gambe. Affondò il volto nelle ginocchia, e le bagnò di lacrime. Poi si girò verso Duke. Era ormai così luminoso che le faceva male guardarlo.

"Rose" continuò lui. "Vorrei chiederti una cosa anch'io. Vorrei chiederti di non piangere. Ma so già che non mi ubbidirai. E sai perché? Perché sei una stupida, stupida scimmietta."

Il bagliore aumentò ancora, e inghiottì quello che rimaneva di lui. Poi la luce velocemente si abbassò, fino a spegnersi del tutto. Dove prima c'era Duke, erano rimasti solo i suoi vestiti vuoti. Un filo gentile di fumo si alzava dalla sua maglietta, come da un fuoco spento.

Rose voleva gridare, ma tutto ciò che fece fu aprire la bocca in un urlo silenzioso. Strinse le mani a pugno, fino a provare dolore. Dopo un tempo indefinito, si impose di smettere di piangere. Le ci volle qualche minuto, ma ci riuscì.

Strisciò a carponi per un paio di metri, poi faticosamente si rimise in piedi. Camminò incerta fino alle scale. Al primo scalino, si sentì le gambe così pesanti che credette di non farcela. Si dovette reggere al corrimano.

Attraversò il centro commerciale facendosi strada fra la folla. Sentì l'impulso di fermare qualcuno, uno sconosciuto qualsiasi, per dirgli che Duke se n'era andato, che quel ragazzo meraviglioso non c'era più. Ma poteva solo camminare, sperando che nessuno capisse quanto era sconvolta. Come potrò tenere tutto questo dolore solo per me?

Imboccò piano la strada verso casa, sforzandosi di mettere avanti un piede alla volta. Siebengrade, il cielo grigio, l'intero universo le apparirono crudelmente vuoti ora che non c'era lui. Non avrebbe potuto sentirsi più sola, neanche se fosse rimasta l'unico essere vivente in tutta la galassia.

Perse la cognizione del tempo. Le sembrò di andare alla deriva in un mare infinito. Percorse strade sconosciute, e per circa un'ora si smarrì completamente. Ora che Duke l'aveva lasciata, che senso aveva camminare in una direzione piuttosto che in un'altra? Nessuna strada l'avrebbe ricondotta da lui.

In una via poco frequentata, passò accanto ai graffitisti che aveva salvato pochi giorni prima. Stavano riempendo di colore il muro di una fabbrica abbandonata. Forse la riconobbero. Rose colse paura nei loro occhi, mentre la guardavano da sotto i cappucci abbassati. Piacere, sono Rose il mostro. Quando lei passò oltre, le parve quasi di udire un sospiro di sollievo. Non preoccupatevi, pensò Rose. Noi Mercury abbiamo la vita breve. La colpì un pensiero. Un giorno anche lei si sarebbe dissolta nella luce come Duke? Forse è così che si sarebbero rincontrati. Due anime che esistono solo nella mente di un dio. Sarebbe stata eternamente con lui.

In qualche modo, alla fine arrivò davanti a casa sua. Mentre saliva le scale, pensò alla possibilità di raccontare tutto a suo padre e a Miki. Ma da dove avrebbe iniziato? Dal fatto che aveva nascosto al piano di sopra un semidio, con cui aveva fatto anche sesso? O dal fatto che anche lei ormai non era più completamente umana? Oppure avrebbe spiegato a papà come gli aveva riscritto il cervello?

Entrò in casa. Dopo, ripensando a tutto, si rese conto di avere avvertito un silenzio insolito. Ma al momento, era troppo assorta nei suoi pensieri per dare peso alla cosa. Appese il giubbino, e avanzò verso la cucina. Sperò che non si vedesse che aveva pianto, e aprì la porta.

Due poliziotti erano in pedi ai lati del tavolo, uno vicino alla finestra, l'altro davanti al frigorifero. Erano in tenuta anti-sommossa. Indossavano un giubbotto anti-impulso nero, e i loro volti erano coperti da una visiera dotata di cellule ottiche, che li faceva sembrare androidi disumani. Reggevano fra le braccia un fucile a impulso. Tenevano la canna rivolta verso il basso, ma dalla tensione delle loro braccia si capiva che erano pronti a utilizzare l'arma se necessario. La loro presenza in cucina era così folle e incoerente, che sulle prime la mente di Rose si rifiutò di considerarli reali.

Seduti al tavolo c'erano Miki, papà e altre due persone: un uomo e una donna. L'uomo, col volto magro e i capelli impomatati, osservava Rose con un misto di curiosità e divertimento. La donna aveva una pelle scurissima, che contrastava con le sue treccine afro bianche.

"Rose" disse suo padre. "Questi signori vorrebbero farti delle domande". Cercava di avere un tono di voce rassicurante, ma appariva molto in difficoltà.

La donna esordì. "Rose, non avere paura. Io sono la dottoressa Marley, e questo accanto a me è il dottor Lower. Siamo qui solo per verificare una segnalazione. Sembra che nella tua famiglia ci sia stato un caso di... come potremmo chiamarla? ...incoerenza comportamentale."

Rose guardò Miki. "Li hai chiamati tu" disse freddamente, e il senso di quelle parole era: mi hai tradito.

"Rose, non so cosa è successo, ma so una cosa" rispose Miki aggressiva. Puntò il dito contro papà. "Quell'uomo non è nostro padre."

Papà abbassò gli occhi. Se avesse preso una pugnalata, non avrebbe dimostrato più sofferenza.

"Preferivi la scimmia che ti ha mandato all'ospedale?" Rose sputò le parole in faccia a Miki. Faticava a trattenere la rabbia. Le girava la testa, aveva la bocca secca.

I due sconosciuti al tavolo cambiarono espressione. Erano diventati inquieti, nervosi, vigili. Rose capì. La sua ultima frase l'aveva tradita.

L'uomo con i capelli impomatati toccò un dispositivo che aveva al polso. Doveva essere un segnale di qualche tipo. Improvvisamente, i due poliziotti puntarono i fucili in direzione di Rose.

"Rose, ascolta" disse ancora la donna. "C'è la possibilità che tu sia entrata in contatto con un agente patogeno molto pericoloso". Cercava di mantenere un tono di voce cordiale, ma era visibilmente nervosa. Rose sentiva che aveva paura. Paura di lei.

"Dov'è il ragazzo della Vanguardia?" disse l'uomo con la faccia ossuta. "Ti ha passato lui la malattia, vero?"

"Vorremmo solo farti delle analisi" riprese la dottoressa. "Possiamo trovare una cura."

Rose si sentiva la testa leggera e le gambe molli. Fu scossa da un rumore violento alla sua destra. La porta d'ingresso era stata spalancata con un calcio. Altri due poliziotti in tenuta antisommossa erano entrati, e ora la tenevano sotto tiro dal corridoio.

"Ti prego, Rose. Permettici di aiutarti." La dottoressa la stava quasi implorando.

Rose guardò la donna. Poi esaminò i fucili puntati su di lei.

"Non è una malattia" disse. "È un dio."

Liberò le nano.

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