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Il capitano Olmos era nervoso. Gli capitava sempre, quando lo mandavano in missione tenendolo all'oscuro di cosa c'era davvero in gioco.

Era seduto sulla poltrona del ponte di comando, e osservava i volti dell'equipaggio illuminati dalle luci fioche degli schermi di controllo. Da circa dieci minuti i suoi uomini erano impegnati a manovrare la Dickson Carr a velocità sub-luce, in una lunga marcia di avvicinamento a Sieben. Per precauzione, Olmos aveva ordinato di uscire dal salto oltre-luce a 500.000 chilometri di distanza dal pianeta. L'equipaggio aveva mugugnato, alla prospettiva di dover manovrare la nave manualmente. Non che qualcuno si fosse lamentato con lui. Ma un capitano certe cose le percepisce nell'aria.

"Mi sembra una prudenza inutile" disse Gibson, dando voce al pensiero dell'equipaggio. Il primo ufficiale non aveva mai avuto reticenze a manifestare le sue obiezioni al capitano. "Dopo tutto" continuò "siamo in missione diplomatica. Sieben è una piccola colonia indipendente, sostanzialmente priva di armamenti. Che minaccia può rappresentare?"

"C'è qualcosa che non mi torna, in questa storia", rispose calmo Olmos. "A cominciare dai babysitter". Olmos si riferiva ai trenta contractor, che in quel momento bighellonavano nella zona ricreativa della nave. L'Unione aveva imposto la loro presenza a bordo, senza dare spiegazioni.

"E poi lei. La nostra ospite", concluse Olmos, sibilando fra i denti.

Sullo schermo di navigazione, il pianeta Sieben si era fatto via via più grande. La sua sfera scura ora incombeva sul ponte di comando.

"Incredibile che un pianeta così grigio sia dichiarato abitabile" disse Gibson.

"Sicuramente una delle terraformazioni peggiori che abbia mai visto" concordò Olmos.

Da alcuni minuti erano in corso i contatti radio con il pianeta. Olmos udiva un gracchiare sommesso provenire dagli altoparlanti delle Comunicazioni. Il protocollo esigeva che il capitano si presentasse preliminarmente alle autorità locali. Si trattava solo di attendere che qualche funzionario rispondesse all'appello.

La porta di ingresso sibilò. Olmos non aveva bisogno di voltarsi per sapere chi fosse entrato. Solo un'altra persona sulla nave aveva l'autorità per presentarsi sul ponte di comando senza annunciarsi al capitano.

"Dottoressa Marley". Olmos si sforzò di adottare il suo migliore tono diplomatico. "L'avrei contattata nel giro di pochi minuti. Come vede, siamo in prossimità di Sieben."

La Marley non rispose. Aveva gli occhi fissi sul grande schermo di navigazione. Sembrava scrutare l'immagine del pianeta, in cerca di qualcosa. Ansiosamente.

La presenza di quella donna era un'altra cosa che non tornava a Olmos. Gli alti papaveri erano stati irremovibili: la dottoressa Marley, una delle maggiori autorità scientifiche dell'Unione, avrebbe accompagnato la missione della Dickson Carr. Il motivo? Generici "interessi di ricerca". Per ordini espliciti dall'alto, il capitano Olmos doveva provvedere a qualsiasi richiesta della dottoressa.

"Siamo già entrati in contatto col pianeta?", chiese la Marley, senza staccare gli occhi dallo schermo.

"Stiamo tentando di aprire le comunicazioni. Se vorrà attendere nei suoi alloggi, la avvertirò appena avremo risposta."

"Preferisco aspettare qui."

Se le circostanze fossero state diverse, Olmos avrebbe trovato quella donna quasi affascinante. Doveva avere superato da poco i cinquanta. I suoi capelli bianchi erano raccolti in minuscole treccine afro, e contrastavano con la sua pelle nerissima. Aveva un corpo atletico, che cercava di nascondere sotto un mantello chiaro, ornato ai bordi da ricami geometrici etnici. Sicuramente un richiamo a qualche popolazione del continente Africa di Madre Terra.

L'ufficiale delle Comunicazioni segnalò un contatto in ingresso. Olmos diede ordine di passarlo sullo schermo.

Davanti a loro, apparve l'immagine di un uomo imponente sui sessanta anni. Aveva lunghi capelli neri fluenti striati di bianco, con un'evidente stempiatura, e folti baffi spioventi. Il suo volto sembrava scrutare il ponte di comando dallo schermo. Parlò con calma, conservando un'espressione arcigna.

"Stato indipendente di Sieben. Qui governatore Hendricks. A cosa dobbiamo la visita degli unionisti?".

Bene, si disse Olmos. È il momento di andare in scena. "Sono il capitano George Francis Olmos della Dickson Carr, della Flotta dell'Unione Galattica. La nostra missione è porre le basi per la stipulazione di nuovi accordi commerciali..."

"La Vanguardia. Qualcuno è salito a bordo?". La Marley aveva interrotto bruscamente i salamelecchi di Olmos. L'affronto era tale che il capitano rimase senza parole.

Il governatore Hendricks sembrò divertito da quell'uscita irrituale. "E questa volta, con chi ho il piacere di..."

"Dottoressa Marley", rispose secca la donna. "Mi ascolti, due settimane fa una nave priva di passeggeri alla deriva è entrata accidentalmente nella vostra orbita."

"Ne sono al corrente, dottoressa. Quella nave ha violato lo spazio territoriale di un pianeta indipendente, senza identificarsi. Provvederemo a sequestrarla."

"L'Unione non ha alcuna rivendicazione da fare sulla Vanguardia", tentò di inserirsi Olmos. Quella nave era un ferro vecchio, prossima alla dismissione. Perché diavolo era così importante per la dottoressa?

"Deve essere subito messa in quarantena." La Marley l'aveva interrotto di nuovo. "Ed è di fondamentale importanza che ci permetta di salire a bordo."

Hendricks si accarezzò i folti baffi, pensieroso. "Quarantena. Tutto ciò ha qualcosa a che fare con... la tecnopeste?"

"La tecnopeste non esiste. È solo una leggenda", rispose sprezzante la Marley. "Sulla Vanguardia si è sviluppato un virus mutante estremamente pericoloso. La nave è stata evacuata. E in seguito, accidentalmente, è andata alla deriva"

"È un po' tardi per la quarantena", rispose Hendricks con un mezzo sorriso. "Mi hanno appena informato che sulla Vanguardia è in corso una festa."

"...una festa?", boccheggiò la Marley.

"Qualche centinaio di giovani sfaccendati ha pensato di salire per fare baldoria. Se il vostro virus esiste davvero, significa che avremo qualche perdigiorno in meno da sfamare su Sieben."

"Ci. Permetta. Di salire. A bordo" scandì la dottoressa, nello sforzo evidente di mantenere la calma.

"Ma per evitare il contagio, potrei fare distruggere la nave con dei missili", continuò pensieroso Hendricks.

"Con tutte quelle persone a bordo?". La dottoressa era allibita.

"Se fosse nell'interesse della salute pubblica..."

"Mercury potrebbe avere già contagiato qualcuno!" sbottò la Marley, fuori controllo. "E lei, piccolo dittatore vigliacco, si mette di mezzo!"

Hendricks assunse un'aria perplessa. "Mercury? È questo il nome del virus? Di solito non li battezzate con sigle incomprensibili?"

La Marley apparve in difficoltà. "È... solo un nome in codice", balbettò incerta. "Non è il nome scientifico."

Hendricks non si scompose. "Beh, sapete che vi dico? Secondo me state raccontando palle. Con questa storia del virus volete solo impedire alle forze di Sieben di prendere legittimamente possesso della Vanguardia. Tipico dell'Unione." Girò la testa, per parlare con qualcuno fuori dall'inquadratura. "Interrompi le comunicazioni", ordinò seccamente. La sua immagine scomparve dallo schermo.

Olmos si alzò lentamente dalla poltrona di comando. Emise un lungo sospiro, e attese alcuni secondi per recuperare la calma. Infine si girò verso la dottoressa Marley. Disse cupamente: "Ora, in sala tattica. Io e lei da soli. E questa volta, voglio tutta la verità."

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