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ll laboratorio era freddo e buio. Esattamente quello che ci si poteva aspettare a bordo di una nave spaziale. Eppure Marley doveva ammetterlo: Lower le aveva messo a disposizione tutto il meglio, per quanto riguardava le attrezzature scientifiche. L'unico inconveniente era avere Lower stesso fra i piedi.

"I campioni sono stati sufficienti?" domandò Lower. "Altrimenti procederò a estrarne altri".

"Più che sufficienti" rispose Marley. "Lasci a quella povera ragazza qualche goccia di sangue. Le mostro una cosa".

Marley inserì un vetrino col sangue di Rose nel microscanner a risonanza. Sullo schermo apparve l'immagine di un pulviscolo nero in movimento su uno sfondo rosso.

"È sicura che non ci sia pericolo?". Lower sembrava meno rilassato del solito.

"La nanomacchine separate dall'ospite non sono aggressive" lo tranquillizzò Marley. "Aumenta di mille" ordinò al microscanner. Il pulviscolo nero divenne uno sciame. "Ora blocca. Aumenta di dieci." Lo sciame si congelò. L'immagine si ingrandì. Sul grande schermo del laboratorio apparve l'inquadratura minacciosa di una nanomacchina di Mercury.

Sembrava la fusione fra un'astronave e un insetto. La sua forma aerodinamica era perfetta per librarsi nell'aria o navigare nel flusso sanguigno. Il suo corpo biancastro era costellato da piccoli cerchi neri.

"Quelli sembrano occhi" disse Lower. "Ma naturalmente non possono esserlo."

"Micro collettori di gravitoni". Marley, nonostante il suo odio per Mercury, era affascinata da una tale meraviglia tecnologica. "Aprono nello spazio-tempo micro wormhole che permettono a ogni nano di comunicare con le altre. La rete di Mercury si estende per tutta la galassia."

"E queste cose sono prodotte direttamente dall'organismo degli infettati..."

"Sono cellule staminali modificate."

Lower era stupefatto. Marley fu tentata di essere orgogliosa dei risultati ottenuti da Mercury. Si maledisse solo per averci pensato.

"Com'è possibile che il sistema immunitario non reagisca all'infezione?" chiese Lower.

"Ricorda che Mercury sceglie le sue vittime? Dal punto di vista biologico, produce nano infettanti con antigeni specifici, che vengono riconosciuti come propri dall'ospite."

"Così non c'è rischio di rigetto. È come un trapianto fra donatori compatibili. Il caso di singolarità più straordinario che abbia mai visto".

"Fra tutte le Intelligenze Artificiali Angeliche, Mercury ha sempre dimostrato un talento particolare. Vuole vedere la sua anima?"

Marley premette alcuni tasti su un computer. Una cascata minuta di cifre e lettere rosse invase ogni schermo del laboratorio.

"Sono riuscita a hackerare la sua rete. Sto copiando l'intero codice sui database della nave".

"Le nano sono una creazione di Mercury. Ma questo codice è opera sua, dottoressa."

Marley ignorò le lusinghe di Lower. "Si è evoluto nel corso degli anni. Ma sì, riconosco i lineamenti della mia creatura."

"Mercury ha sempre dimostrato disprezzo per l'umanità?" chiese Lower distrattamente. "Oppure è quello è un aggiornamento successivo?"

"Lei non capisce. Mercury ama l'umanità. La ama fin troppo. Non può tollerare la nostra propensione alla violenza. Vuole difenderci da noi stessi."

"Vuole pacificare l'umanità? Allora è proprio un mostro. Togli il conflitto agli esseri umani, e togli loro la vita."

"So già come la pensa, Lower." Lo sguardo di Marley si perse per alcuni secondi nel codice che scorreva sugli schermi.

Lower la richiamò alla realtà. "E ora, come pensa di procedere?"

"Modificherò il codice. Ne creerò una versione semplificata e lo reimmetterò nelle nano HLA-compatibili di Rose".

"Una sorta di vaccino" commentò Lower.

"Esatto, Lower. Le nuove nano saranno in effetti delle anti-nano. Una volta iniettate nella ragazza, cercheranno e distruggeranno le nano di Mercury."

"Se funzionasse, sarebbe una cura definitiva."

Marley annuì. "E sarebbe il primo passo per liberarci di Mercury per sempre."


"Spero che abbiate sanificato bene il negozio", disse la signora Kemper appoggiando la sua scatola di biscotti alla crema sul rullo della cassa.

"L'emporio Hamilton garantisce la massima sicurezza a tutti i suoi clienti" rispose Clash. Era la frase concordata con i suoi genitori. Nelle ultime settimane, Clash aveva dovuto ripetere quelle parole un milione di volte.

"Non è neanche colpa di quella ragazza" continuò la Kemper. "Certo, se stava a casa nessuno la infettava. Un po' se l'è andata a cercare."

Clash continuò a passare i prezzi in silenzio. La sua scarsa loquacità non scoraggiò la Kemper.

"Il cugino di mio marito ha visto la scena. La cattura, dico. Quella strega tentava di infettare tutti lanciando malefici. Si vedeva la tecnopeste uscire dalle sue mani come un fumo sporco".

Clash strinse le labbra. Per quanto ne capiva, forse era merito di Rose se quei poliziotti avevano restituito i soldi. Forse tutti dovevano ringraziarla, invece di considerarla maledetta.

"Fino a prova contraria, non ha fatto del male a nessuno" si lasciò sfuggire.

La Kemper lo guardò allarmata. Clash sospirò. Difendere Rose voleva dire essere subito sospettati di tecnopeste.

"E avrei potuto esserci io al suo posto" continuò Clash. "Ero a quella festa con lei."

La Kemper ormai era terrorizzata. Pagò, mormorò un saluto e scappò via.

Bravo, si disse Clash. Fai scappare i clienti. Gli affari vanno già così bene.

Dopo la scoperta della malattia di Rose, la gente aveva paura di uscire. In quel momento, due ore dopo l'apertura, l'emporio era ancora semivuoto.

Un movimento catturò la sua attenzione sullo schermo accanto alla cassa. Erano le immagini delle telecamere a circuito chiuso. Davanti allo scaffale dei preparati sintetici, una ragazza si stava infilando una barretta energetica monopasto nella manica.

Clash scosse la testa. Odiava dover fare il poliziotto. Si alzò dalla cassa per raggiungere la ragazza. Sperò che sarebbe bastato un richiamo per dissuaderla. Non aveva nessuna voglia di un litigio.

"Vuoi un cestello per i tuoi acquisti?" disse appena l'ebbe di fronte. Lei si voltò verso di lui allarmata, mormorando un "no". Aveva scritto colpevole sul viso.

Clash la guardò meglio. Si rese conto di conoscerla. L'aveva già vista molte volte all'emporio. Era la sorella di Rose. Indossava una felpa sgualcita. Aveva gli occhi segnati, come se non avesse dormito.

Lui cercò di rassicurarla. "Tu sei Miki, vero? Io sono un amico di tua sorella."

"Allora sei l'unico rimasto" disse lei.

Clash capì cosa intendeva. "Mi dispiace per quello che la gente dice. Non è giusto."

Miki si toccò i capelli sopra l'orecchio e annuì. Quando riabbassò il braccio, la barretta si sfilò dalla manica della felpa e cadde per terra.

Lei chinò la testa sconfortata. "Non sono un granché come ladra, vero?" disse.

"Lascia stare, te la regalo io". Clash raccolse la barretta e gliela porse.

"Scusami. È che il sussidio di papà sta ritardando, e senza Rose... scusami ancora."

Era in preda all'imbarazzo più totale. Accennò ad andarsene.

"Aspetta" la trattenne Clash. "Come sta Rose?"

Miki scosse la testa. "Non ci dicono niente. Non sappiamo dov'è. Neanche se è ancora..." Si fermò. Stava trattenendo le lacrime.

Dopo alcuni secondi continuò: "Papà non si dà pace. Si ritiene responsabile. Ma lui non ha colpe."

Clash conosceva la voce che girava: era stata Miki a chiamare le autorità.

"Si vede che gli appestati non hanno diritti", mormorò lei.

"Già" rispose amaro Clash. "Come i commercianti taglieggiati dalla polizia. Almeno finché qualcuno non fa qualcosa."

Miki lo guardò interrogativamente.

"Niente", disse lui. "È che non ne posso più di questo pianeta. Di come veniamo trattati."

La ragazza annuì. "A volte vorrei avere davanti il governatore Hendricks e dirgli: vogliamo solo sapere se Rose sta bene."

Clash ebbe un'idea. La più folle che avesse mai avuto in vita sua. Ma era così stanco di essere assennato.

"Andiamo a chiederglielo insieme" disse. "Alla Torre."

"Stai scherzando." sussurrò Miki. "Non ci riceverà mai."

"Allora gli lasceremo un messaggio. Forse qualcuno ci dirà qualcosa."

Miki lo guardò incerta per alcuni secondi con i suoi occhi tristi. Poi disse solo: "Ok. Facciamoci sentire".

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