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Spinsero la sedia a rotelle lungo corridoi oscuri e interminabili. La testa di Rose continuava a essere un peso fastidioso in fondo al collo. China su se stessa, vide confusamente che non indossava più la sua tunica, ma un camice bianco ospedaliero. Sentì che aveva i piedi nudi.

Cercò di impedire alla testa di oscillare. La sollevò con un moto preciso della sua volontà. Vide confusamente davanti a sé poliziotti armati che la precedevano. Scorse per terra strisce rosse luminose. Le aveva già viste prima. Capì di essere sulla Vanguardia.

Sentiva freddo, ma questo l'aiutava a schiarirsi le idee. L'avevano riportata nello spazio? Quando? La sua mente mise in ordine i ricordi. La fine di Duke. I poliziotti a casa. La cattura. E poi il villaggio in Giappone. Ma quello era un sogno creato da Mercury nella sua mente. Questa era la realtà. La cara, vecchia, dolorosa realtà.

Arrivarono a una pesante porta d'acciaio. Un poliziotto digitò un codice, e la porta si aprì girando faticosamente sui cardini. L'agente disse nel comunicatore: "Bella addormentata pronta all'intervista."

Spinsero Rose all'interno di una piccola stanza. Si trovò seduta a un tavolo. Alle sue spalle, avvertiva la presenza dei poliziotti armati.

Davanti a lei, si apriva una grande vetrata. Doveva essere molto spessa, perché tutto ciò che si trovava al di là appariva lievemente deformato. Rose riconobbe comunque le due figure sedute oltre il vetro. Erano un uomo e una donna.

"Buongiorno Rose", disse la donna. "Ti ricordi di me? Sono la dottoressa Marley. E questo è il dottor Lower."

La donna si sforzava di apparire amichevole. Sorrideva incerta. L'uomo invece teneva le sopracciglia alzate in un'espressione di imperturbabile perplessità. Rose li guardò senza dire nulla.

"Per prima cosa perdonaci per averti confinata in ibernazione" continuò la donna. "È stato anche per la tua sicurezza".

"Fosse stato per me," intervenne l'uomo, "non ti avremmo mai tirata fuori di lì. Ma a sentire la dottoressa, i protocolli dell'Unione ci impongono di concederti ogni tanto un'ora d'aria".

La donna sospirò spazientita. Evidentemente non aveva gradito l'interruzione del suo collega.

"Dopo un mese di koglast, sarai sicuramente a pezzi" riprese la dottoressa. "Ma vedi Rose, da oggi in poi le cose possono andare in modo diverso. Possiamo lavorare insieme. Cercare insieme una cura per la tua... condizione."

Rose aprì bocca, ma non le uscì parola. Qualcosa grattò nella sua gola producendo un rantolo esangue.

La dottoressa fece un cenno. Qualcuno entrò nella stanza e appoggiò davanti a Rose un bicchiere d'acqua.

Rose sollevò lentamente il braccio. La sua mano raggiunse il bicchiere. Non provò neppure a sollevarlo. Con determinazione, lo avvicinò a sé facendolo scorrere sul tavolo. Si chinò per bere un sorso. L'acqua entrò nella sua bocca secca e scese nella sua gola facendola rabbrividire.

Sollevò la testa e trasse un profondo respiro, provocandosi lancinanti dolori intercostali. Infine guardò negli occhi la dottoressa e disse con una voce spettrale: "Rimettetemi dentro."

L'uomo ridacchiò divertito.

"Forse avrai fame" insistette la dottoressa. "Il tuo apparato digestivo probabilmente deve ancora risvegliarsi. Ma potresti provare ad assaggiare qualcosa di buono. Spero che questo ti piaccia."

Qualcuno appoggiò sul tavolo un piatto con una fetta di torta. Era glassata di rosso. Sulla glassa c'era una piccola fragola.

"Visto che anche noi garantiamo almeno un pasto al mese?" commentò l'uomo. "Non siamo così disumani".

Rose non aveva fame. Ma il rosso della glassa esercitò su di lei un'attrazione ipnotica. Prese la forchetta appoggiata sul piatto. Si sforzò di impugnarla correttamente con le sue dita deboli. Staccò un pezzetto di torta, e se lo infilò in bocca. Lavorò con le mandibole quella massa dolciastra. Sentì qualcosa colare attraverso le sue labbra, e vide tracce di bava rossastra macchiare il suo camice bianco. Venne il momento di inghiottire. Credette di soffocare, mentre quella pasta densa le scendeva in gola. Alla fine mandò giù tutto. Riaprì la bocca ansimante.

"Allora, ti piace?" domandò la dottoressa speranzosa.

Rose lasciò cadere la forchetta. Prese il piatto con la torta. Lo lanciò contro il vetro, o almeno questa era la sua intenzione. Ci mise tutta la forza che aveva. Il piatto cadde miseramente poco oltre il tavolo.

La dottoressa scosse la testa sconsolata. Dopo un attimo di silenzio, tornò a parlare. "Rose, ti prego. Dicci cosa vuoi."

Rose sentiva ancora la bava rossastra colarle sul mento. Parlò lentamente, scandendo le parole con la sua voce spezzata.

"Porre fine al regno delle scimmie", disse.

"Il regno delle scimmie?" chiese l'uomo incredulo. Si appoggiò allo schienale e incrociò le braccia. "Stiamo solo perdendo tempo con questa strega."

"Rose, ti prego" riprese la dottoressa. "Non so cosa ti abbia detto il ragazzo che ti ha infettata. Mercury consuma i suoi ospiti, li assorbe nel suo flusso di informazioni. Accadrà lo stesso anche a te. Noi vogliamo salvarti."

"Essere ospite di Mercury mi ha permesso di elevarmi. Ora sono uno strumento della sua missione."

"E in cosa consisterebbe questa missione?" domandò Lower. "Friggere il cervello della gente? Spingerle a fare quello che non vogliono?"

"Le scimmie credono di essere libere. Ma sono condizionate in ogni azione dai loro cervelli."

"Stai dicendo che il libero arbitrio non esiste?" incalzò Lower. "Beh, ti informo che noi esseri umani siamo perfettamente liberi di determinare le nostre azioni. E non c'è super computer che possa convincermi del contrario."

"I nostri cervelli biologici sono una gabbia. Mercury ci libera dalla loro tirannia. Non è una malattia, è una cura."

"Mercury ti parla nel sonno, vero?" intervenne la dottoressa. "Abbiamo rilevato un'attività cerebrale insolita nel koglast. Ti indottrina mentre sei ibernata?"

Rose non rispose nulla.

"No, di più. Ti appare in sogno." La dottoressa sembrava seguire un'intuizione. "Sì, è così. Scommetto che ha preso le sembianze di qualcuno a cui tieni. Tuo padre? Tua sorella? È tipico di lui. Ti sta ingannando, Rose!"

"Mi è apparso per guidarmi". Rose cercava di sforzare la sua debole voce. "Non potreste mai comprendere gli insegnamenti che mi ha impartito. Voi non lo conoscete."

"Io lo conosco benissimo!" urlò la donna fuori di sé. "Io l'ho creato! E quel bastardo ha ucciso mio figlio!"

"Se solo potessi mostravi" continuò Rose. "La pace. La liberazione. Anche voi capireste."

Un'espressione allarmata si disegnò sui volti dei due dottori. Un poliziotto alle spalle di Rose urlò: "Codice rosso! Ripeto, codice rosso!"

Rose non capiva. Poi si rese conto di avere liberato le nano. La nebbia nera si alzava gentile dal pavimento. Rose avvertì in sé il potere che il suo debole corpo in quel momento non poteva offrirle.

Percepì simultaneamente le pareti, il tavolo, i due polizotti chiusi con lei nella stanza. Con la nebbia nera disarmò facilmente i due agenti e li bloccò contro le pareti. Poi ribaltò il tavolo. Usando le nano, Rose sollevò il proprio corpo dalla sedia a rotelle. Ora fluttuava nell'aria. Navigò piano verso il vetro.

L'uomo la guardava con un misto di curiosità e divertimento. La donna appariva terrorizzata, ma anche addolorata.

Rose appoggiò una mano sul vetro freddo. Sì udì il rumore sordo di una frattura. Apparve subito una ragnatela di crepe, che si allargò lentamente dal palmo della sua mano.

"Lasciate solo che vi mostri" mormorò Rose. "È così semplice."

Sentì un dolore acuto al lato del collo. Un ago aveva penetrato la sua pelle, all'altezza del collare che le avevano applicato. Un'ombra avvolse i suoi sensi. Le nano non la sostennero più. Crollò a terra priva di conoscenza.

Marley si avvicinò al vetro. Le fratture lo percorrevano da lato a lato. Ancora un secondo, e la ragazza l'avrebbe mandato in frantumi.

"Devo ammettere che su questo aveva ragione, dottoressa" commentò Lower quasi eccitato. "Un vetro diamante spesso cinque centimetri non basta a fermare un mostro come quello."

"Non è un mostro. È una ragazza che ha bisogno del nostro aiuto."

Nella stanza, i poliziotti stavano rimettendo Rose priva di sensi sulla sedia a rotelle.

"Dica quello che vuole. La strega torna dritta nel koglast. E se fosse per me, butterei via le chiavi della capsula."

Marley non disse nulla. Ma giurò a se stessa che non si sarebbe arresa. Mercury non avrebbe preso un'altra vita.

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