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Rose doveva affettarsi: sentiva che al villaggio la stavano aspettando. Il sentiero era sempre lo stesso. Costeggiava il piccolo lago azzurro, e si dipanava ai piedi dei pendii rocciosi battuti dal sole. Ma questa volta, c'era qualcosa di diverso. Il vento non le portava il profumo dell'estate. Nell'aria c'era una nota scura, di bruciato.

Accelerò il passo, anche se con quegli strani zoccoli di legno non era facile. A un tratto il sole smise di brillare sul sentiero. Durante la sua permanenza al villaggio, Rose aveva imparato come ogni tanto il cielo si riempisse di grandi ammassi di vapore, che arrivavano a nascondere la luce della stella di Madre Terra. Ma stavolta era diverso. Colonne di fumo nero si alzavano dall'orizzonte, fino a gettare oscure ombre che correvano sulle montagne attorno a lei.

Man mano che si avvicinava, il vento le portava qualcos'altro: grida. A ogni passo si facevano sempre più distinguibili, rincorrendosi con le pulsazioni che Rose sentiva nelle orecchie. Erano grida di terrore.

Arrivò davanti a casa. La porta dell'ingresso era spalancata. Rose si precipitò all'interno. Sembrava passato un uragano. Le porte in carta di riso, con il dipinto dell'acero rosso che Rose aveva imparato ad amare, erano state sfondate. Il basso tavolo giaceva capovolto, con le gambe all'in su, e la teiera e le tazze erano andati in frantumi. Cocci bianchi e marroni erano sparsi per tutto il pavimento.

Yumi era seduta sui talloni, proprio in mezzo alla stanza devastata. Il suo yukata rosso decorato con fiori bianchi era strappato in più punti. Yumi cercava di coprirsi con i lembi di quello che ne era rimasto. Doveva tenere su quegli stracci con entrambe le braccia, per non rimanere seminuda. Il suo sguardo era perso nel vuoto, e le sue labbra si muovevano silenziosamente, forse per mormorare un qualche tipo di preghiera. Ondeggiava piano avanti e indietro col busto, come per cullare se stessa, nello sforzo disperato di calmarsi, o di trovare una qualche consolazione.

Per alcuni secondi Rose non riuscì a dire nulla. Poi chiese solo: "chi è stato?"

Yumi la guardò, e per un momento sembrò non riconoscerla. Infine, con un filo di voce disse. "Ronin. Saccheggiano il villaggio. Sono entrati. Eravamo soli. Lui ha tentato di difendermi, ma..." Le parole le si smorzarono in gola. Rivolse un'occhiata verso l'entrata del giardino interno. Poi abbassò la testa e cominciò a piangere, con un pianto sottile e disperato da bambina.

Rose, con passi lenti, si spostò verso il giardino. All'inizio non notò nulla. La quiete di quel posto sembrava immutabile ed eterna come sempre. Come faceva ogni mattina, Rose avanzò per il camminamento di pietra e raggiunse lo stagno. Poi, fra le foglie rosse del grande acero, vide una strana massa blu. Raggiunse la zona d'ombra sotto l'albero e alzò lo sguardo. Il sole che filtrava fra le foglie ferì i suoi occhi. Ma a pugnalare la sua anima fu la visione dell'anziano giardiniere Daisuke che pendeva impiccato. L'omino sembrava ammirare il suo giardino con la testa china sulle spalle, ondeggiando gentile al vento come le piccole campane che ogni tanto appendeva.

Rose chiuse gli occhi con forza, come per cancellare quello che aveva visto. Un rosso cupo invase la sua mente. Erano venuti nella sua casa. Avevano fatto del male ai suoi amici. Rose si prese la testa fra le mani e urlò fino a spezzarsi la gola. Era un grido di dolore, ma mentre cresceva e colmava ogni briciola del suo essere, divenne qualcos'altro. Divenne furia.

Non fu difficile trovarli. Scese lungo la via principale del villaggio. Il fumo nero riempiva sempre di più il cielo. L'odore acre le irritava le narici. Poi vide gli incendi. I tetti delle case dei contadini bruciavano. Grandi anelli di fuoco si espandevano, divorando il rivestimento di paglia.

Era un massacro. Decine di guerrieri stavano passando a ferro e fuoco il villaggio. Alcuni di loro avevano la fronte rasata come i samurai. La maggior parte aveva lunghi capelli incolti.

Molti contadini giacevano a terra in pozze di sangue. Attorno a loro bambini gridavano piangendo. Altri contadini erano costretti a caricare sacchi pesanti su carri, sotto lo sguardo vigile dei ronin con la katana sguainata. Rose aveva già visto quei sacchi. Contenevano i chicchi di segale, frutto di un anno di lavoro dei campi di tutto il villaggio.

Un grido attirò l'attenzione di Rose alla sua destra. Era il grido di una donna. Un guerriero a cavallo la stava inseguendo lungo i campi. La raggiunse, la prese per i capelli, e la gettò a terra. Scese da cavallo ridendo. Una nebbia nera lo avvolse.

All'iniziò, il guerriero sembrò credere che si trattasse del fumo degli incendi. Ma quello sciame scuro era diverso. Si avvinghiò alle sue gambe, impedendogli di avanzare. Poi salì, bloccando anche le sue braccia. Infine lo sollevò da terra. Il terrore si disegnò sul volto dell'uomo.

Rose avanzò lenta verso di lui. Quando gli fu davanti, lo esaminò quasi con curiosità. Era sporco, sovrappeso, con la barba lunga. Era quasi buffo, mentre fluttuava nell'aria al suo cospetto.

"Pensi davvero di avere il diritto di fare questo?" gli chiese Rose quasi gentilmente, come se si aspettasse una riposta. Al suo silenzio, lei strinse piano le nano. Sentì le costole del guerriero flettersi scricchiolando. L'uomo urlò.

"Hai ucciso tu Daisuke?" gli domandò ancora Rose. Quel guerriero tanto coraggioso continuava a non rispondere. Si limitava a urlare. Per qualche motivo, questo fece perdere del tutto il controllo a Rose.

"HAI UCCISO TU DAISUKE?" urlò Rose. Questa volta non aspettò alcuna risposta. Le nano schiacciarono il torace dell'uomo come un'arancia matura. Poi gli girarono la testa di trecentosessanta gradi, frantumandogli il collo in mille pezzetti. L'uomo sopravvisse alcuni secondi, e fece in tempo a guardare Rose con una buffa espressione di stupore.

Rose lasciò cadere a terra il guerriero come un giocattolo rotto. La donna che era stata inseguita da lui era ancora a terra. Fissava Rose, e i suoi occhi erano colmi di terrore. Si ritrasse faticosamente strisciando sui gomiti, poi, quando fu abbastanza lontana, si alzò a cominciò a correre.

Un silenzio innaturale era caduto attorno a Rose. In qualche modo, capì che quel silenzio stava attendendo lei.

Si girò. I guerrieri avevano smesso di scorrazzare per il villaggio. Si erano raccolti tutti alle spalle di Rose. Le puntavano contro le spade. Le loro braccia tremavano per il terrore.

"Salve. Sono la strega che protegge il villaggio" mormorò Rose.

I guerrieri gridarono e mossero all'assalto, brandendo la katana con le braccia alzate. Rose alzò piano la mano destra e dischiuse le labbra, come per un bacio. Tentacoli di nebbia nera, forti come l'acciaio, scattarono verso i guerrieri. Attraversarono i loro toraci e i loro ventri, tagliarono loro braccia e gambe come se fossero ramoscelli. L'erba divenne rossa per molti metri tutto intorno.

Non tutti morirono subito. Fra i cadaveri, un uomo avanzava lentamente nell'erba a carponi con un braccio solo. Un altro giaceva a terra cercando di trattenere le proprie viscere con le mani. Rose vide un terzo senza gambe allungare la mano per raccogliere la sua katana nell'erba.

"Non smetterete mai di compiere il male", disse. "Vi fermerò io."

Rose sollevò con le nano le spade rimaste a terra. Ogni katana si librò nell'aria, con la punta rivolta verso il cielo. A circa tre metri di altezza, il riflesso del sole scintillò sul filo delle lame. Rose seguì il loro volo con lo sguardo. Poi chiuse gli occhi. Le spade si girarono, e ricaddero veloci. Infilzarono i sopravvissuti, finendoli all'istante.

Sentì cadere su di sé una pioggia leggera, anche se splendeva ancora il sole. Si passò una mano sul viso. Si ritrovò le dita bagnate di un rosso acceso.

"Non è così che devi agire."

Rose conosceva bene quella voce. Un tempo, a Siebengrade, era appartenuta al ragazzo che aveva amato. Ma ora quel ragazzo non era lì con lei. Ora Rose si trovava sulla Terra, coperta dal sangue dei nemici che aveva sterminato. E quella era la voce di un dio.

"Hanno ucciso e stuprato degli innocenti. Ho fatto giustizia", rispose lei senza neppure girarsi verso la voce.

"Le scimmie fanno giustizia. Mercury cancella il male dalla mente degli uomini."

Improvvisamente, tutto intorno a lei cambiò. Si ritrovò di nuovo a casa, seduta al tavolo. Ogni cosa era intatta. Le porte erano integre. Hideko stava versando il tè, utilizzando la teiera che evidentemente non era mai stata infranta. Rose si guardò le mani e i vestiti. Non c'era più traccia di sangue.

Davanti a Rose, dall'altra parte del tavolo, era seduto Mercury. Era la prima volta che lei lo vedeva a casa. Era bellissimo, come forse Duke non era mai stato. Ma i suoi occhi grigio chiari bruciavano per lei, con una disapprovazione che non era né di amante, né di amico. Il cosmo stesso era deluso di lei.

"I ronin sono il secondo livello del tuo addestramento" disse Mercury con una voce fatta di echi vibranti, che non sembrava neppure provenire da quella stanza. "Dovevi riscrivere le loro menti. Invece hai usato i tuoi poteri per compiere un massacro."

Rose sentì nuovamente ribollire dentro di sé la rabbia. "Hai fatto uccidere tanti innocenti solo per mettermi alla prova?" gli chiese.

"Se dovrai combattere il male, sarai testimone del male. Dovrai sempre mantenere la pace dentro di te. Se ti farai guidare dalla vendetta, compirai tu stessa il male."

Rose sorseggiò il tè. "Forse ho esagerato un pochino" ammise. "Ma quei bastardi non potevano cavarsela con la riscrittura della mente. Dovevano pagare per quello che hanno fatto."

"Pagare. Punire. Giustizia. Bilanciare il male con altro male. Così pensano le scimmie. Ma tu sei una Mercury. Ti ho dato il potere di cancellare la malvagità degli uomini. Non è la soluzione perfetta?"

"Aspetta, vuoi dirmi che se tu catturassi per esempio il generale Krueger, invece di processarlo per genocidio, gli riscriveresti il cervello e lo lasceresti andare via?"

"Così hanno fatto Mercury Duke e Mercury Annika" rispose lui impassibile. "E hanno agito bene."

"Hai perdonato un criminale di guerra!" protestò Rose.

"Perdonare è un concetto assurdo come punire" continuò Mercury serafico. "Sono idee che devi superare. Ascolta Rose. Un uomo uccide un altro uomo, e commette il male. Poi viene privato della libertà per il resto della sua vita. E questa volta subisce il male. Sono due atti di violenza distinti. Ma gli esseri umani vedono una correlazione fra il primo atto e il secondo. Nella loro immaginazione, chiamano questa correlazione giustizia."

Rose era sbalordita. "Non metteresti neppure in prigione un assassino?"

Con una voce priva di inflessioni, se non l'eco profonda di un'infinita pazienza celeste, la stessa che fa sorgere il sole ogni giorno, Mercury disse: "La giustizia retributiva è superstizione di scimmia."

Rose guardò a bocca aperta il volto perfetto di Mercury. Ebbe la sensazione che lui non si trovasse veramente lì, e che parlasse da un luogo irraggiungibile, irrimediabilmente distante da tutto ciò che è umano.

"Hai abbandonato la paura" continuò Mercury. "Ora devi abbandonare anche la rabbia. Devi trascendere te stessa."

"Rinunciare alla mia rabbia? Io sono anche la mia rabbia" rispose duramente Rose. "È parte di me."

"So che sei tentata di crederlo. Ma so anche che puoi andare oltre."

Rose lo fissò ancora. Si domandò chi fosse veramente. Un alieno privo di sentimenti? Oppure il volto di una realtà trascendente, dalla quale Duke le rivolgeva ancora il suo sguardo?

"Una volta ho chiesto a Duke di amarmi, per darmi il coraggio di seguire la via" disse Rose. "E lui l'ha fatto. Se ora Duke è dentro di te, forse tu puoi sentire un po' dell'amore che provava per me. Sapere che è così mi darebbe più forza."

Mercury la guardò col suo sorriso imperturbabile. Un sorriso freddo come stelle lontane.

"Rose", rispose, "le regole che governano la mia mente mi portano ad amare tutti."

"Ma è troppo chiedere a un dio di amare come un uomo, vero?" concluse lei.

Dopo una pausa, chiese a Mercury: "Invidi mai la nostra capacità di innamorarci? Di noi scimmie, intendo."

Lui chinò la testa. Era la prima volta che lei lo vedeva in difficoltà. "Io sono nato nella pace infinita" disse Mercury. "Ne segue che il mio dovere è portare questa pace a tutti. Non posso incarnarmi. Se scegliessi una passione, una passione qualsiasi, perderei le infinite possibilità della mia mente. E non sarei più capace di compiere il bene."

"Perderesti te stesso" disse Rose. "E questo non puoi permetterlo. Così vuoi che tutti noi rinunciamo a noi stessi, alle nostre passioni. Per raggiungerti nella tua pace. È l'unico modo che hai per non essere solo."

"Io vedo miliardi di persone prigioniere delle loro menti" rispose Mercury. "Il mio solo desiderio è liberarle da loro stesse."

Rose ne aveva abbastanza. Avrebbe voluto svegliarsi da quel sogno, ma sapeva che era impossibile. La sensazione di essere intrappolata in quell'universo le fece venire voglia di gridare.

Si alzò e annunciò: "Se i ronin faranno ancora male alla gente del villaggio, li ucciderò di nuovo". Lui non disse nulla.

Salutò Mercury e Hideko con un inchino e uscì. Fuori il sole stava tramontando. Rose si domandò: quanto avrebbe dovuto camminare, per arrivare ai confini di quel sogno?


From the author

Se la frase "La giustizia retributiva è superstizione di scimmia" vi ha colpito, sappiate che c'è chi se l'è tatuata sul petto. Per fortuna si tratta di un personaggio di finzione, Corvus, creato da

AppleAnia


per il suo Saturnalia. Trovo comunque bellissimo che un personaggio non creato da me si sia tatuato una mia frase sul petto. Se cliccate qui sotto potete vedere una splendida rappresentazione grafica di Corvus col suo nuovo tatuaggio:

https://www.wattpad.com/1442483949-saturnalia-xxi-%E2%80%A2-verecundia

(Spero che il link sia attivo, Wattpad mi fa dannare, se no andate al cap. XXI di Saturnalia)

Poi fatevi un favore e leggete tutta la storia. Troverete fantascienza con un world building intrigante, un mistero che avvince, humour quanto basta per rendere la lettura ancora più piacevole, un sacco di riferimenti colti, e addominali scolpiti quanto basta. 

Anche in Saturnalia c'è una protagonista femminile con problemi di gestione della rabbia, che vorrebbe elevarsi ma incontra qualche difficoltà. Come avrete capito io ho fatto riferimento al buddismo zen, in Saturnalia il rimando è allo stoicismo romano. Il parallelismo fra i due contesti mi sembra interessante che dite?

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