9 pollici e mezzo

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Tenere quella lettera tra le mani fu la più grande emozione della mia breve vita. Mamma a volte ci aveva raccontato per farci addormentare di quando aveva frequentato la Scuola di Magia e Stregoneria di Hogwarts. Malcolm glielo chiedeva quasi ogni sera, elettrizzato dall'idea di una scuola in cui ci fossero solo maghi, in cui non doveva più nascondersi , in cui potevi girare con una bacchetta in mano e volare sulle scope inseguendo palle magiche. Ai nostri occhi Hogwarts era solo una fiaba. Vedere scritta su carta un invito del preside Armando Dippet ad iniziare quella nuova avventura mi fece capire per la prima volta quanto le storie di mamma fossero reali. Mio padre si rifiutò di mettere piede a Diagon Alley, ma mamma in un certo senso quel giorno era più eccitata di me. Accompagnarmi per quella strada di ciottolato, portarmi a scegliere i libri di testo, l'uniforme e soprattutto la mia bacchetta fu un'emozione travolgente. Era come se vedesse in me una possibilità di riscatto per la sua vita mancata.

- Ricordati Minerva: tu puoi essere una grande strega, se lo vuoi e non devi farti costringere da niente e da nessuno ad abbandonare la magia. Tu sei nata per questo - così mi disse quando ci fermammo davanti alle vetrine di Olivander. Quanto le era costato rinunciare a quella parte della sua vita ancora io non potevo capirlo, non potevo capire cosa volesse dire essere liberi di usare la magia, ma l'idea di avere una bacchetta tutta mia mi elettrizzava. Mamma non mi aveva mai permesso di toccare la sua, nemmeno di guardarla: era sempre chiusa in quella cassapanca sotto il letto e davanti a mio padre l'aveva estratta solo un paio di volte. Aveva relegato quella parte di lei e continuava a farlo ogni giorno, sforzandosi di essere una donna normale per amore di mio padre, ma in quel modo non faceva che avvilirsi e mentire prima di tutto a sé stessa. Non è amore se sei costretta a rinunciare ad una parte di te per poter vivere con una persona.

E' la bacchetta a scegliere il mago o la strega, non il contrario e la mia bacchetta era non di meno una bacchetta con un pizzico di follia: 9 pollici e mezzo, abete e cuore di drago. Olivander me la presentò come se stessi per consegnarmi l'oggetto più prezioso che io avrei mai potuto possedere in vita mia ed aveva tutte le ragioni per farlo.

-Devi prestare molta attenzione a questa bacchetta, non sottovalutarla mia, potresti commettere un grave errore. Le bacchette di Corde di Cuore di Drago tendono a imparare più velocemente rispetto alle altre, ma non sono tra le più fedeli. Sono "lunatiche" e hanno senza dubbio un bel caratterino, tieni saldamente l'impugnatura mentre provi i primi incantesimi se non vuoi causare spiacevoli incidenti. - aggiunse infine lasciandola tra le mie mani. Io tremavo, invece mia madre sorrideva.

- E' proprio la sua bacchetta - aggiunse orgogliosa. La definizione di lunatica immagino mi calzasse abbastanza. Ero sempre stata molto influenzata dalle tempeste atmosferiche che imperversavano sulla mia terra, meteoropatica, permalosa, mi allontanavo da tutti perdendomi nei libri, miei fidati amici, fin dalla terra infanzia. Leggevo come un'esigenza, quasi come gli altri bambini giocavano. I libri di magia non erano mai stati ammessi in casa mia, ma mio padre aveva studiato sui classici della letteratura babbana e ne possedeva diversi. Per certi aspetti io e lui eravamo sempre stati spiriti affini: due metà della stessa mela, gli assomigliavo terribilmente. Il carattere rigido, l'amore per le regole, la voglia di scappare e ritagliarmi uno spazio in solitudine per me soltanto, la passione sfrenata per la lettura.

- Attenta piccola, le bacchette di Corde di Cuore di Drago adorano le arti oscure - mi fermò l'uomo sulla porta. Ricordò gli occhi smarriti di mia madre, il sorriso che scomparve dal suo volto. Era come se fosse pronta a tutto quel giorno a parte anche solo prendere in considerazione quella sventurata possibilità. Mia madre si girò verso quell'uomo gli punto la sua bacchetta alla gola.

-Pensa attentamente a quello che dici, Minerva sa cos'è il bene e il male - gli disse con voce tagliente. Mamma mi trascinò fuori dal negozio borbottando tra sé. Non avevo mai sentito parlare fino ad allora di arti oscure. Di bene e male invece sì: ero pur sempre figlia di un sacerdote presbiteriano. Mi ha sempre colpito come alla fine la religione e la magia siano simili: sotto la scorza, alla fine partano entrambe dall'anima delle persone. Non esiste mago né essere umano che possa vivere senza l'anima ed è da quella che parte la magia. C'è una parte oscura in ogni essere umano a volte celata, nascosta, mal confessata. Quel piccolo pezzo di legno di abete era uno strumento molto potente, poteva fare del bene, ma anche del male. Quello che mamma mi spiegò davanti ad un buonissimo dolce al cioccolato fu che se seguivo attentamente le regole della scuola e del ministero tutto sarebbe andato per il meglio. Lo spiegò ad una bambina con gli strumenti che lei stessa aveva, scarsi e piuttosto impolverati, di una strega interrotta, che aveva abbandonato la magia prima di ancora di iniziare ad usarla veramente.

Non mi ha mai confessato fino in fondo perché avesse tanto timore delle arti oscure , ma immagino che i suoi genitori fossero stati altrettanto rigidi nell'insegnarle il rispetto delle regole: eppure l'avevano cresciuta in un villaggio babbano. In realtà col tempo ho capito la ricchezza di questa scelta. Un mago che vede sempre solo il mondo magico, fatica a capire il vasto mondo dei babbani, ma io che avevo visto entrambi ero più attrezzata in un certo senso. Sapevo bene come mimetizzarmi e conoscevo l'importanza di mantenere segreta la nostra condizione e soprattutto non ho mai pensato di essere superiore ad un babbano qualunque, per quanto irrispettoso e scortese fosse e forse questo mi ha salvato dalle arti oscure molto più degli infiniti elenchi di regole del ministero.

Quel giorno, infine, mi accompagnò col mio baule e un piccolo micino in una gabbia fino al binario nove e tre quarti. Passammo attraverso quella parete di mattoni rossi seguendo la fila di casse e di ragazzini che si affrettavano verso il binario. Ero stupita dal loro numero. Dentro di me avevo sempre pensato di essere una rarità: forse lo ero nel mio piccolo paese scozzese, ma non lì, lì ero solo una bambina mora tra tante, coi capelli lunghi e ad onde stretti in una coccarda, la mia divisa della scuola e la pelle bianca come il sole della scozia d'inverno. Una piccola strega tra tante. Da un lato era tranquillizzante, dall'altro mi fece paura.

Mamma poveretta piangeva come una fontana: non per orgoglio, ma per invidia e me lo confessò diversi anni dopo, quando anche Malcolm iniziò quel percorso. Ci invidiava perché saliti su quel treno eravamo liberi di poter essere noi stessi senza trattenerci, senza sentirci sbagliati, senza dover chiedere scusa per le nostre debolezze o la nostra mancanza di attenzione. Non so davvero come facesse a vivere tenendo quella bacchetta nella cassa panca, ci ho pensato spesso in età adulta : io mi sarei sentita spezzata, rotta, come se mi mancasse un arto o una parte del corpo, ma è pur vero che ebbe sempre l'amore di mio padre e l'amore è una moneta rara e meravigliosa, che chiede a tutti maghi, streghe o babbani, un prezzo inestimabile quasi pari a quello della felicità .

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