Ritorno a Hogwarts

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Col tempo io ed Elphinstone, divenimmo buoni amici. Detto tra noi, a scacchi dei maghi non era un gran genio, buon difensore, pessimo attaccante, era tanto intelligente nel trovare tutte le curve possibili per aggirare una legge magica, quanto incapace di chiudere uno scacco matto. Ci facevamo di quelle risate però! Gli dicevo sempre che se gli fosse andata male al ministero della magia poteva sempre provare ad entrare come politico in un'istituzione babbana o a fare l'avvocato, credo che avrebbe vinto fior di cause, ma le leggi babbane si basano su altri principi rispetto alle leggi magiche.

Mi trovavo bene con lui ed era abbastanza chiaro che stravedeva per me, ma il mio cuore era sempre occupato da ciò che non potevo avere. Forse ho sprecato molti anni della mia vita, non saprei, non ero ancora pronta: ero come un gufo ferito che guarda fuori dalla finestra la bufera e stringe nel becco una lettera. Sa di dover andare avanti, ma ha paura di farlo, ha paura che la sua zampetta ancora non sia pronta , che nel dargli la spinta finale ceda riportando a galla il dolore. Elphinstone ebbe una determinazione che tutt'oggi mi fa sorridere: ad ogni mio rifiuto reagiva con garbo e un gentile sorriso.

Lavorare al Ministero in un ufficio come quello lasciava poco tempo alla tua sfera privata, finivi per frequentare solo maghi e streghe del Ministero, per giocare a scacchi coi tuoi colleghi, per frequentare gli stessi pub, mangiare insieme ogni giorno nello stesso locale; a volte mi pareva come di essere stata adottata da una vecchia famiglia di zii e zie. Erano gentili e facevano letteralmente di tutto per farmi a sentire a mio agio, ma non era casa mia. Sentivo i loro sussurri: "è così brava, in un mese fa il doppio delle mie pratiche e pensa che ha un padre babbano". Lo dicevano come se la mia nascita , il mio sangue fosse un ostacolo. Come se stessi vincendo una corsa di scope con una scopa a metà perché mio padre era un babbano. Era una cosa che mi faceva ribollire il sangue nelle vene. Mio padre mi aveva insegnato a leggere, mi aveva fatto amare i libri, se io ero tanta brava, quanto lo ero stata a scuola, era merito suo. Mio padre mi aveva insegnato a suo modo a distinguere il bene e il male e cosa facevamo noi in quel lavoro?

A volte mi sentivo molto scorata. Oltre al fatto che la catasta non diminuiva mai , sembrava che ci fosse qualcosa di molto più immobile di quei documenti: il ministero stesso. Il mondo stava cambiando attorno a noi e loro rimanevano legati al passato, alle tradizioni magiche: rischiava davvero di diventare un'istituzione anacronistica. Le leggi magiche andavano tarate sui tempi correnti, ma nessuno di loro voleva cambiare un bel niente. Eri una strega? Non potevi sposare un babbano, senza dover rischiare che qualche tuo vicino mago finisse per denunciarti all'Ufficio preposto e non trovai parenti Maghi o Maghino per tutti.

Ricordo l'ultimo giorno che passai al ministero: trovai un ragazzo coi capelli rossi come carote nell'ufficio di Urquart. Stavano discutendo se aprire un ufficio per l'uso improprio dei manufatti babbani. La tecnologia babbana stava esplodendo attorno a noi, i loro scienziati facevano enormi scoperte e un grande stratega come Urquart questo lo capiva. Urquart mi offrì di prendere in mano le redini tale Ufficio. Gestire da sola un ufficio del genere era una grande responsabilità: sarei diventata sostanzialmente il suo vice diretto, rispondente a lui solo delle mie azioni. Era un enorme avanzo di carriera, ma ancora una volta non ne ero felice: sarei rimasta intrappolata per sempre in un piccolo ufficetto con milioni di pratiche , ancora una volta mi avrebbero additata come quella che si occupa delle faccende babbane perché poverina non può fare altrimenti. Ero così stanca di quell'aria opprimente, del rimbombo del martelletto del Wizengamot.

Dissi a Elphinstone che non mi sentivo molto bene qual giorno, ringraziai per l'offerta e gli promisi di pensarci. Insistette per accompagnarmi fino alla passa porta. Mi dispiaceva anche per quel ragazzo : sembrava così animato da nobili intenzioni, ma io ero arrivata al punto di non ritorno. Dopo due anni, passati in quel non luogo, esiliata da casa per evitare di dover incontrare Dougal, chiusa tra quelle quattro mura giorno dopo giorno, sottoterra, mi sembrava di non riuscire nemmeno più a respirare: mi sentivo oppressa, inutile, incastrata in un ruolo non mio. La mia bacchetta sempre dentro una tasca. Mi avevano insegnato tutti quei fantastici incantesimi e alla fine usavo solo una penna d'inchiostro e qualche timbro. Ero una segretaria babbana, non una strega. Avevo rinunciato ad una vita con Dougal per qualcosa di più stimolante di quello.

Arrivai nel mio alloggio in lacrime, trasfigurai la stanza e mi gettai sul letto, sbarrando la porta col baule. Piansi tutta la mia angoscia, l'amarezza, il dolore. Mi sentivo persa, svuotata, esausta. Ripensai ai tempi della scuola. Non ero sempre stata così come ero allora: avevo avuto sogni e aspirazioni, avevo lottato per essere la migliore e l'avevo fatto per i miei genitori, perché fossero fieri di me, ma soprattutto per me stessa, per dare un senso alla mia vita, per cercare di scoprire chi io fossi davvero. Una segretaria? Al diavolo tutto! Reagii d'istinto e per nostalgia. Scrissi all'unica persona che mi aveva sempre spinto con tanta ammirazione verso il mio futuro: Albus Dumbledore. Scrissi quella lettera di getto, probabilmente in una grafia incerta e sono abbastanza sicura di aver bagnato la carta di pergamena con le lacrime. Che magra figura! Non pretendevo nulla, volevo solo scappare, volevo solo una via d'uscita, volevo ritrovare me stessa.

Anche solo un piccolo ruolo di aiuto agli studenti in difficoltà mi sarebbe bastato, non pretendevo di essere in grado di insegnare ad un'intera classe e non ho mai pensato che l'avrei fatto per sempre. Mi serviva per ritrovarmi, per capire la strada giusta per me. In fondo era stato Albus ad insegnarmi ad accettarmi come animagus, come strega, a spingermi a non vergognarmi di chi ero. Non era ancora buio quando il gufo tornò indietro. Mi asciugai le lacrime, accarezzai quel gufo fuori dalla finestra e afferrai il messaggio prima di richiuderla.

Lessi rasentando l'incredulità: dopo due anni senza che mi fossi mai fatta sentire, davanti ad una lettera disperata e assolutamente pietosa, Albus mi offrì un lavoro nel dipartimento di trasfigurazione, di cui era diventato capo, allegata alla lettera c'era un biglietto di solo andata per Hogwarts. Non ho idea del perché lo fece. Forse avevo davvero toccato il fondo e lui se ne accorse e mi tese una mano. Gliene sarò sempre eternamente grata.

A quel punto smisi di piangere e scrissi una lettera molto più dignitosa a Elphinstone in cui lo ringraziavo per l'offerta che mi aveva fatto, ma gli notificavo che il lavoro al Ministero per me era divenuto troppo doloroso: avevo forte nostalgia di casa e sentivo il bisogno di ritrovare me stessa. Fui totalmente sincera in proposito e credo capì. La mattina dopo bussò alla mia porta , ma non per convincermi a restare, per accompagnarmi in stazione con la sua carrozza. Cavalli regolamentari e babbani al cento per cento: era davvero un uomo d'altri tempi. Mi salutò davanti all'ingresso in muratura per il binario nove e tre quarti, chiedendomi di scrivergli e dicendomi che ogni volta che volevo mi aspettava a Londra per una partita a scacchi.

- Non vincerai mai contro di me- gli dissi sorridendo.

- La pazienza è la virtù dei forti - mi sorrise salutandomi col suo cappello. Mi fece ridere, come sempre. Mi bastò salire su quel treno e allontanarmi da Londra per iniziare a respirare. Quella cappa industriale babbana era un vero incubo. La tecnologia e il progresso babbani avevano un prezzo molto alto che tutti gli uomini avrebbero pagato, presto o tardi.

Sono passati quasi cento anni da quel giorno e il pensiero è davvero assurdo. Mi impegnai a fondo per diventare un'insegnante all'altezza della scuola che aveva fatto di me una strega. Albus un giorno mi disse che ero troppo severa: non ero brillante quanto lui, questo era certo, ma credo di aver stimolato i miei ragazzi allo studio e alla disciplina, sempre con la mano ferma che solo una presbiteriana scozzese figlia di un pastore può avere .


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