Capitolo 11

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L'umiltà è un abito dalla taglia unica, ma bisogna saperlo indossare.

-Wolfqueens Roarlion.-


Adesso sapeva cosa si provava ad avere tutti gli occhi puntati addosso.

Non era mai stata soggetto di discussioni o giudizi sottovoce di donne più alte, più formose o con un abito più bello del suo. E guardare davanti a lei non l'aiutava affatto, anzi.. aumentava ancora di più la sua ansia e ne aveva da vendere. Mai avrebbe pensato di ritrovarsi fasciata in un abito retrò da quell'aspetto moderno, per quegli anni. La parola "progresso" era invisibile ma era chiaramente ciò che quel vestito emanava.

Edith copriva il collo scoperto e privo di gioielli con una stola rosa, anche per placare la pelle esposta alla nudità dal clima clemente di una Chicago notturna. Per la precisione, quello, doveva essere uno dei quartieri più lussuosi. Appartamenti con affitti alle stelle, teatri da i costosi ingressi, neanche fosse lo storico Palais Garnier a Parigi, luogo –per altro- che servì d'ispirazione a Gaston Leroux, per il suo "fantasma dell'opera", libro che Edith stessa aveva sfogliato mille volte. Non apparteneva ad una famiglia ricchissima ma si era sempre permessa il suo unico lusso: la lettura.

La sala da pranzo del Palace era gremita da gente elegantissima e, ferma sulla soglia della porta, doveva dare l'impressione di chi era la prima volta che varcava la soglia di un ristorante. E non era poi così errato. Neanche quando Mrs. Colvin era in vita, la famiglia aveva cenato in uno di quei ristoranti, anche a prezzi modesti, oppure in una tavola calda. In famiglia cucinava sempre Mrs. Colvin e, ora che lei non c'era, toccava a Kara continuare la tradizione. Se così poteva definirsi.

Facendo ricadere tra le braccia la stola, Edith guardò tra i tavoli, ignorando i bagliori provocati dalle candele in contrasto ai gioielli luminosi che le donne portavano al collo. In particolare, l'occhio della giovane, volò all'abito di una di loro: blu come la notte, con la scollatura a cuore perfettamente riempita da un prosperoso seno, e dei lunghi guanti bianchi. Al centro del seno, poi, vi era una pietra ovale, del medesimo colore dell'abito. Per un istante, quando colse lo guardo della donna osservarla, le sembrò che questa gli sorridesse. E mentre si spostava dalla sua visuale, al tavolo dietro, Edith poté finalmente cogliere l'elegante figura dello zingaro. Le sue labbra non potevano non curvarsi all'insù. Aveva un aspetto quasi angelico, chino con la testa sul menù e vestito con uno smoking che valorizzava il suo fisico atletico. Sembrava appena uscito da un film di James Bond.

Indugiando con lo sguardo su di lui, senza muovere un dito o manifestare la sua presenza, fece sì che fosse lui ad accorgersi di essere osservato, qualche secondo dopo. Alzò la testa, visibilmente pensieroso, ma quando lo sguardo di ghiaccio si fuse al nocciola degli occhi di lei, sulle sue labbra scure passò l'ombra di un sorriso. Alzò una mano, facendo cenno alla giovane di avvicinarsi. Un poco traballante su quei tacchi neri, gentilmente prestati da Corine, e il disagio provocato da quell'abito così dannatamente sbagliato per lei, avanzò tra i tavoli. Ignorò gli sguardi dei clienti, che tornavano a parlottare tra loro e giurò di aver sentito delle risatine al suo passaggio. Ma se si sarebbe voltata indietro, non avrebbe trovato nulla di tutto ciò, e quindi raggiunse il tavolo del suo principale. Spuntò dal nulla un cameriere che le aprì la sedia, permettendole di sedersi.

<< Sei incantevole, Modesty. >> Le labbra rosso fuoco si aprirono, pronte a dire qualcosa per contraddire quel saluto galante che la fece diventare un tutt'uno con il colore del vestito. Ma prima ancor di poter dire una sola lettera o esprimere un pensiero logico, fu ancora lo zingaro a parlare. << O preferisci che ti chiami Edith? >>

<< Modesty va benissimo. >> Anche perché solo lei poteva indossare un abito del genere, delle scarpe con quel tacco alto, e passare tra i tavoli con gli occhi puntati addosso di quasi tutta la clientela del ristorante.

<< Perfetto. >> Lo zingaro lasciò che il cameriere, rispuntato da una porta dietro una tenda chiusa, versò del vino in ambedue i calici. Il liquido scuro uscì fluido dalla bottiglia, adagiandosi nel vetro in un letto bordeaux. << Keler mi ha detto che hai fatto progressi. >>

<< Se lui dice così, sarà vero. >> Tagliò corto lei, prendendo con una mano il calice dal grande bordo. L'accostò al naso per cogliere, almeno un poco, dell'aroma che vini pregiati e costosi dovevano sprigionare una volta aperti. La prima cosa che trapassò le sue narici era la sensazione di frutta. Bagnò le sue labbra con un sorso. E subito dopo un altro, mandandolo giù nello stesso modo fluido in cui era stato versato dal cameriere. Fragola. Lamponi. More.

<< E' un vino fruttato. >> Specificò lui, visibilmente divertito dalla reazione avuta dalla sua accompagnatrice.

<< L'avevo intuito. >> Riposando il calice vuoto davanti a se, prese il tovagliolo d'avorio –colore principale delle tovaglie dei tavoli della sala- e guardò lo zingaro, dritto negli occhi. Edith poteva anche provare imbarazzo, ma Modesty era dannatamente sfacciata. Per lei, due ghiacciai freddi come l'iceberg, non erano nulla. << A cosa devo questo invito? >>

<< Deve esserci una motivazione? >>

Edith scrollò le spalle, posando i polsi sul tavolo. << A meno che non volete farmi credere che portiate qui tutte le nuove ballerine del vostro harem, sì. Deve esserci una motivazione. >>

Lo zingaro ghignò con un luccichio, procurato anche dalla luce delle candele, negli occhi. << Le tue performance riscuotono sempre più successo e, grazie a te, la mia clientela è aumentata. >>

<< Credo di non aver fatto nulla della quale dovete ringraziarmi. Mi sono limitata a seguire il contratto. >>

<< Ma non ti ho mai chiesto cosa ti ha spinto, veramente, a tornare. >> Disse, rilassandosi sulla elegante sedia alla quale era seduto.

Edith restò per qualche istante in silenzio, il tempo necessario per raccogliere le parole giuste. E trovarle anche, magari. Perché non ne aveva ma ora poteva ponere quella domanda a se stessa: perché aveva accettato di tornare dallo zingaro? Perché aveva accettato quel lavoro pur sapendo che l'economia di casa sua non era più così misera? Aprì nuovamente le labbra, ma l'arrivo del cameriere arrestò ogni parola o lettera che poteva uscire. Scoprì il vassoio e pose davanti ai loro occhi due porzioni di aragoste. Non ne aveva mai assaggiata una.

<< Curiosità. >> Rispose, prendendo coltello e forchetta nella speranza di aprirla senza troppe cerimonie e, soprattutto, non voleva che i presenti si accorgessero di quanto fosse imbranata nell'aprire un mollusco.

<< Curiosità? E in cosa, se posso? >> Rincarnò la dose, immergendo un pezzo di aragosta in una salsa chiara, posta ad un angolo del suo piatto.

Edith rialzò lo sguardo su di lui proprio nel momento in cui, il cibo, entrò nella sua bocca. Riabbassò lo sguardo sul suo piatto, facendo –sbadatamente- scivolare la forchetta sul piatto e provocare un fastidioso rumore, che udirono benissimo anche i presenti lì vicino. Sibilando uno "scusa" al suo cavaliere, tornò al suo tono normale.

<< Non so come spiegarlo... ma credo che, come mi avevate detto voi, c'è un fuoco dentro di me. Viene acceso solo se stuzzicato da una forte tentazione. Credo sia questo che mi ha spinto a tornare. >> Rispose sinceramente, riuscendo ad aprire una parte di aragosta e ad estrarre un pezzo intero di pesce. La salsa che l'accompagnava aveva un sapore acre, sembrava farcita con quintali di aceto, ma un altro sorso di vino la rese passabile. Mangiò il resto della sua aragosta senza sfiorare più quell'intruglio beige con qualche foglia verde che si intravvedeva.

<< Capisco. >> Quando non lo guardava, Lavdor ne approfittava per osservare la giovane mangiare. Sembrava un cerbiatto che si apprestava ad allontanarsi dalla madre per la prima volta, per avventurarsi in un pericoloso prato verde e aperto, popolato da cacciatori bramosi di carne fresca con la quale cibarsi. << Mi sono dimenticato di farti firmare una carta. Inutili scartoffie, nulla di importante, ma è una formalità alla quale tengo. >>

Edith mandò giù anche il secondo calice di vino. << Certo, nessun problema. >> Sentiva le guance decisamente accaldate, ma tornò al suo pasto senza badarci troppo.

La serata passò quasi tutta in rigoroso silenzio, fatta eccezione per le rumorose posate su i piatti di porcellana e il chiacchiericcio dei clienti intorno a loro, decorato da delle risate di circostanza da parte di alcune donne. Lo zingaro ordinò, come dessert, una porzione di dolce per la sua ospite. Aveva annotato, da qualche parte nella sua mente, che fosse una patita dei dolci e che il suo hobby preferito era fare dei muffin al cioccolato, che non aveva mai avuto il piacere di assaggiare. La guardò mangiare il suo gelato caldo, mentre tirava qualche boccata di fumo dal suo sigaro, che teneva chino su un posacenere. L'odore di vaniglia si espanse nell'aria, fino ad arrivare alle narici della sua dama, che però stette in silenzio, ignorandolo e continuando a mangiare il suo dolce.

Terminato il dessert e un altro calice di vino, da parte di entrambi, lo zingaro ordinò il conto al cameriere. Una volta pagato, si alzò per aiutare Edith a fare lo stesso. All'uscita, un addetto del ristorante, ridiede alla giovane la stola rosa che indossava per ripararsi da i brividi di freddo alle porte di un Inverno assassino.

Le strade di quel quartiere erano deserte, si poteva solo vedere alcuni fogli bianchi svolazzare da una parte all'altra. In alcuni vicoli vi erano anche dei grandi barili in fiamme, ma non in modo pericoloso, ma messi lì per scaldare i passanti.

Sul sedile di pelle nera della Ford Thunderbird del suo capo, le sue gambe non stavano un attimo ferme. Continuavano ad improvvisare un balletto con l'aiuto delle ginocchia, mentre il resto del busto restava fermo, e tutto ciò poteva sembrare solo un apparente freddo dovuto al clima. Più volte aveva sentito lo sguardo dello zingaro su di se, ma continuava a tenere costantemente lo sguardo fuori dal finestrino, con la testa girata nel lato opposto. Quegli occhi e quel suo modo di fare, sfacciato e senza limiti, la metteva fortemente a disagio e dentro era tutto un trambusto. Ma se avrebbe impersonato Modesty, come quella sera era inizialmente, avrebbe scoperto di non sentirsi poi così in suggestione e di apprezzare la malizia che luccicava negli occhi del suo capo. Edith avrebbe dovuto ricordare a se stessa, vista la situazione di minoranza nella quale si trovava, che la prima volta che aveva messo piede alla rosa negra, aveva visto, lo stesso uomo che l'aveva invitata a cena, penetrare la sua mano nell'intimo di una delle ballerine. Il solo pensiero di quella scena fece sì che quel balletto nervoso delle gambe terminò. Le strinse forte, accavallandole poco dopo. Nella mente gli sembrava di sentire le parole di Kara che la rimproverava di aver accavallato le gambe. << Una signorina per bene non accavalla le gambe, Edith! >>

Quando il motore dell'auto del suo principale si spense, lo sguardo della giovane si alzò sull'edificio del locale notturno dove lavorava.

<< I documenti sono rimasti sulla mia scrivania. Se vuoi entrare, ti offro qualcosa da bere prima di riaccompagnarti a casa. >> Disse, aprendo lo sportello per uscire in strada.

Edith si morse un labbro. Quella sera stava costatando decisamente i suoi di limiti. << Sì. >> Sussurrò, quasi non udibile. Lo seguì, posando i tacchi sull'asfalto per poter entrare alla rosa negra. Quella sera, il locale, era stato chiuso e al suo interno non persisteva puzza di sigari o alcol. Era la prima volta che lo vedeva così deserto, con nessuno presente all'angolo bar o nei camerini. Edith posò la sua stola su una delle sedie vuote, mentre sentiva un trambusto di bicchieri nella postazione occupata ogni sera da Keler. Avvicinandosi al bancone del bar vide due bicchierini pieni di whisky e, anche se non li piaceva, non avrebbe detto una singola parola. Mandò giù, tutto d'un fiato, il liquore. La sua gola bruciò dopo una frazione di secondo. Tossì pesantemente, sotto lo sguardo divertito del suo principale e qualche sua risata.

Rialzando lo sguardo, lo fulminò sperando di incenerirlo. Lo zingaro finì il suo whisky e riposò il bicchierino vuoto sul bancone.

<< Parliamo di cose serie adesso. >> Iniziò, passandosi la punta della lingua sulle labbra per raccogliere il residuo di qualche goccia di alcol. Un gesto che non passò inosservato agli occhi di Modesty. << Seguimi. Ho qualcos'altro da dirti. >>

Uscendo dall'angolo bar, Lavdor si incamminò verso il corridoio che portava ai camerini. Edith lo seguì senza proferire parola. Quando vide, però, che si apprestava a salire una scala di legno, nascosta dietro una porta e coperta da una tenda rossa, arrestò sul posto. Salito i due gradini, lo zingaro si voltò verso la sua ballerina. << Devo parlarti, non devo fare nient'altro. Ti do la mia parola che non ti toccherò. >> Mentre riprendeva a salire le scale, Edith si decise a seguirlo.

Al piano di sopra, lo spazio, era abbastanza stretto e l'unica cosa che c'era era una lampadina sopra le loro testa che illuminava le scale dietro di loro e una porta. Quando lo zingaro l'aprì, Edith costatò che fosse casa sua, del suo principale. Aveva un qualcosa di spettrale e da chiesa. Le pareti erano dipinte di rosso, di una tonalità più scura dell'abito che indossava. Come letto, al centro della stanza, vi era un materasso basso con alcune coperte bianche e cuscini, posti in modo disordinati. Un tappeto persiano era posto a terra e si poteva dire che fosse l'unico decoro decente di quel posto. C'era un arco che la separava, poi, da un'altra stanza. Poteva scorgere un frigorifero e due banconi. Immaginò che era lì che mangiasse ogni giorno e che, come bagno, usava quello del locale. In conclusione, vi era un tavolo con un cesto di frutta poco arricchito, vi erano due banane e dei grappi d'uva nera.

<< Carino. >> Commentò, magari senza neanche accorgersene. << Tu vivi qui? >>

<< Sì. Quando ho comprato il locale non avevo molti agi economici, che magari ho adesso. Risparmiavo dove potevo e quando ho raggiunto delle somme soddisfacenti, non le ho spese nel sistemarmi in un appartamento o in una villetta. La rosa negra è la mia casa, in tutto e per tutto. >> Spiegò, avanzando nella stanza e gettando la giacca nera dello smoking su una sedia.

Edith pesò le sue parole, immaginando che quel letto dove poggiava –senza volerlo- gli occhi sopra, era stato testimone di chissà quante notti di fuoco, magari con ogni ballerina del locale. Deglutì, posando lo sguardo su qualcosa che la incuriosiva. C'era qualcosa coperto da un telo, qualcosa di alto, ma che non riusciva a distinguere.

<< Dovevo firmare qualcosa, giusto? >> Arrivò al sodo, incrociando le braccia al petto. Le era salita una strana tensione oltre che un calore alla posizione del cuore. Voleva andarsene il più presto possibile da lì.

<< Giusto. >> Lo zingaro camminò verso la zona cucina, prendendo qualcosa che era adagiato su un tavolo, dei fogli e tornò da lei. << Ciò che sto per proporti è qualcosa di importante. Qualcosa che può farti emergere a livello professionale, quindi ascoltami bene. Ti ho già manifestato il mio ringraziamento per le tue performance che, come ti ho detto, ha riscosso notevole successo. Vorrei, adesso, che tu valutassi l'idea di rendere i tuoi spettacoli più... passionali. >> Posando quei fogli sulle lenzuola del letto, penetrò con i suoi occhi di ghiaccio quelli di lei. Il modo con la quale aveva calcato la parola passionale, la diceva lunga su ciò che avrebbe detto dopo. E non tardò ad arrivare. << Vuoi spogliarti per me, Modesty? >>

Edith si dimenticò per un istante di respirare e, soprattutto, sembrò dimenticare anche come si faceva. Aveva sentito bene, perché lo sguardo del suo principale non era mai stato così serio. L'aveva chiamata col suo nome d'arte e lo faceva solo quando si trattava di una cosa strettamente lavorativa. Il punto non era essere troppo imbarazzata nel farlo, era che si sarebbe resa ridicola. E, sebbene Modesty –dall'interno- continuava a ripeterle che non sarebbe stato così, lei ne era certa. Era convinta che non avrebbe riscosso lo stesso successo. Solo dopo aver incamerato per bene una risposta logica, riuscì a recuperare dell'ossigeno in quell'aria che le sembrava opprimente.

<< Io... mi renderei solo ridicola. Non ho il fisico delle altre ballerine e benché meno la sfacciataggine della vostra preferita. La bionda... com'è che si chiama? Fatmir. >> Se vi avesse scorto una punta leggera di gelosia, in quelle parole, Lavdor non era poi andato così lontano. Quella che vedeva nella sua ballerina, però, era una forte insicurezza. Una insicurezza che non era da lei.

<< Ti sbagli. >> Si avvicinò ad Edith, allungando un dito verso il braccio, sfiorando la sua pelle lunare. << Ognuno di noi ha delle qualità, nel proprio corpo. E tu, mia cara, hai una sensualità da vendere. Sprecata per la chiesa, che un giorno appassirà se non esposta alla giusta luce. >> Avvicinò il suo viso al suo, tanto che i loro respiri potevano fondersi in uno solo. Edith stava già socchiudendo le palpebre, credendo che avrebbe sentito le sue labbra. Ma ciò che sentì, furono solo le sue parole sussurrate sul suo viso. << Io potrei essere il tuo spirito guida. >> Lo zingaro lasciò un casto bacio sulla sua guancia, allontanandosi di colpo.

Edith raccolse un poco della saliva, placando la sua sete e la sua gola, divenuta secca all'improvviso.

<< La paga sarà modificata? >> Chiese, recuperando un briciolo di ragione.

<< Più di quanto credi. >> Rispose lui, nascondendo la bozza di un sorriso sulle sue labbra scure come il carbone.

<< Rimarrete deluso, ve lo posso assicurare. >>

<< Non penso. >> Lavdor le girò intorno, piazzandosi dietro di lei e mettendole due mani sulle spalle. Con la punta nel naso, scostò due ciocche mosse dei suoi capelli. << Non muoverti. >> Fece scivolare una mano lungo la schiena, accompagnata dalla zip dell'abito, aprendolo.

Il cuore di Edith prese a tamburellare prepotentemente nella gabbia toracica, placandosi un poco solo quando rivide lo zingaro mettersi nuovamente dinanzi a lei, stavolta seduto sul bordo del letto. Si slacciò le maniche della camicia bianca, si levò il papillon, scansandolo come fosse fastidioso, e la guardò.

<< Spogliati. >> La sua voce dura e ammaliante era velata da una malizia nascosta.

Edith strabuzzò gli occhi. << Qui? Adesso? >>

<< Ci siamo solo noi. Se non riesci a spogliarti qui non puoi pensare di affrontare un pubblico. >>

<< Infatti vi ho detto di non essere sicura. >>

<< Sciocchezze! Tu puoi fare qualsiasi cosa. Ma devi volerlo. Fai scivolare quel vestito a terra. Se non ci riesci ad occhi aperti, chiudili. >> Era impossibile offendersi, almeno per lei. Glielo stava ordinando, ma era un modo che faceva indurre chiunque a dire "sì". Duro, affascinante e ammaliante. Ecco cos'era.

Edith ne era intimorita e non poteva nasconderlo, ma Modesty stava facendo un gioco pericoloso. Un gioco del gatto col topo ma non aveva visto che il topo era lei e che il gatto che stava sfidando era un felino che non lasciava nulla al caso.

Fece come gli aveva suggerito. Chiuse gli occhi, sentendo il tessuto passare sul suo corpo fino a toccare i piedi inseriti ancora dentro quei tacchi. Lo scansò, uscendoci senza barcollare e ondeggiando un poco i fianchi. Immaginò di stare nella sua stanza e di spogliarsi dopo una dura giornata scolastica e di cambiarsi con qualcosa di comodo. Levò le scarpe, lasciando ai piedi la possibilità di toccare il pavimento, rilassandosi. Aveva la bocca socchiusa, respirando solo l'aria che riusciva ad incamerare. Come intimo aveva solo del pizzo nero, un reggiseno e delle mutande dello stesso colore e tessuto. Quando si sentì nuda vi era come il gelo sopra di lei, ad imprigionarla.

<< Muovi i fianchi, immagina un ritmo. >> La voce dello zingaro gli arrivò ovattata, come se fosse lontana. Ubbidì senza battere ciglio, tenendo sempre gli occhi chiusi e immaginando un ritmo rovente, violento e forte. Che poi lasciava delle brevissime pause di rilassamento.

In tutti quei movimenti, Lavdor aveva gli occhi puntati sul suo corpo, soffermandosi su i seni non proprio enormi ma quanto bastavano. I fianchi un poco larghi ma non troppo, le gambe perfettamente lisce ma non troppo lunghe. Tutto in lei era nella media. Non era ne troppo e ne poco. << Apri gli occhi. >>

Il ritmo nella sua mente cessò e quando aprì le palpebre si rese conto di essere nuda, in una stanza che non era la sua, con un perfetto sconosciuto. Il panico l'avvolse ma quando si chinò per raccogliere il suo vestito e la sua biancheria, venne tirata per un braccio verso destra.

<< Non ti ho detto che puoi andare. >> Prima ancora che potesse dire qualsiasi cosa, le indicò un punto specifico nella stanza. << Guarda lì. >>

E quando Edith lo fece, non vide più nessuna coperta ad oscurare quella che si rivelò essere una scultura. Occupava quasi metà stanza per quanto era grande. Restò a fissarla con la bocca semiaperta e lo sguardo trasognante. Un miscuglio di braccia, inseguimento e desiderio inespresso. Ma anche di una profonda delusione nello sguardo della donna che pareva fuggire. Il suo inseguitore sembrava quasi supplicarla con lo sguardo di fermarsi.

<< Chi è? >> Lo chiese con la naturalezza più semplice del mondo, dimenticando anche di essere ancora nuda. Questo fino a quando una mano del suo capo non iniziò a vagare per il suo busto nudo, sfiorando un seno e un capezzolo.

<< E' un regalo di un mio amico scultore. Si è ispirato alla storia mitologica di Apollo e Dafne, dalla quale poi prende il nome la statua. Conosci la storia? >>

<< Non credo di averla mai sentita, no. >> Cercò di mantenere la fermezza nella voce, cosa in cui riuscì per un breve istante.

Lavdor si spostò dall'altro lato della giovane, continuando a far vagare la sua mano facendola risalire sulle spalle e provocando alla sua preda dei brividi lungo la nuca. << E' una storia d'amore, di passione e sofferenza. Apollo, Dio del sole, si innamorò di Dafne. Per lei avrebbe fatto qualsiasi cosa. Del resto fu il suo primo amore, ma fu un inganno. Apollo si vantava perché aveva appena ucciso il mostruoso Pitone, il serpente figlio di Gea, e Cupido, geloso, decise di farlo innamorare della ninfa Dafne. C'è chi dice che fosse veramente una ninfa e chi sostiene che fosse addirittura una mortale. >> Fece una breve pausa e, nel frattempo, osservava la giovane occhi negli occhi, oscurandole la visione della statua. << Riesci ad immaginare una comune mortale che riesce a conquistare il cuore di un Dio, Modesty? Ciò portò delle conseguenze, ovviamente. E la bella Dafne implorò Zeus di trasformarla in un albero di alloro. Questo perché Cupido aveva preservato un doppio gioco crudele alla coppia. Trafisse Dafne con una freccia di piombo e, di conseguenza, di rifuggire l'amore. Questo fu il prezzo di Apollo, osservare la sua amata che veniva trasformata da Zeus. >>

<< E' una bella storia. >> Commentò infine, trattenendo ancora il fiato per la vicinanza e le condizioni nella quale si trovava. << Ma perché mi hai fatta spogliare per vederla? >>

<< Questa statua è stata vista da milioni e milioni di persone. Eppure mantiene la sua dignità, la sua purezza. Si può essere sensuali anche senza essere volgari. >>

<< Non vorrai mica paragonarmi ad una statua, vero?! >> Esclamò prossima ad una crisi di ira, simile a quando le davano ancora della bambina, allontanandosi di qualche passo da lui e dalle sue mani, che erano peggio dei tentacoli di un polipo.

Lui mantenne il suo ghigno divertito, scuotendo il capo. << Non era questo che volevo dire. >> Rispose, raggiungendo nuovamente Edith e posizionandosi dietro di lei. A quest'ultima le parve una scena già vista e in meno di tre secondi aveva le guance in fiamme. << Devi sentirti libera per poterti spogliare completamente. Ora sei nuda, sì, ma solo apparentemente. Devi spogliarti delle tue insicurezze, delle tue paure, solo così potrai avere il mondo ai tuoi piedi. >> Strinse le palpebre, chiudendo gli occhi, lasciando che la sua mano riprendesse l'esplorazione del suo corpo. Le sue dita scendevano come gocce d'acqua. Una scarica di brividi percorse la sua spina dorsale quando iniziava a sentire la mano raggiungere il suo bassoventre. Istintivamente vi poso la propria sopra, ancor prima che potesse accedere alla peluria che nascondeva il suo fiore del piacere.

<< Guardami, Edith. >> Per la prima volta, durante quella sera, lo zingaro la chiamò con il suo nome di battesimo. La giovane si girò, inclinando la testa ed incontrando i suoi occhi e le sue labbra, che si adagiarono sulle proprie. Un fuoco rovente iniziò a divampare in lei, un calore la pervase e mentre sentiva la lingua di Lavdor nella sua bocca, che catturava la sua e la univa, le venne d'istinto girarsi verso di lui e posare le sue mani sul tessuto della camicia bianca.

Riaprì gli occhi solo quando lo zingaro si staccò, e si ritrovò seduta sul bordo di quel letto basso. Con due denti catturò il proprio labbro inferiore e se lo morse, segno di evidente nervosismo ed imbarazzo. Continuava a stringere le gambe come se fosse la sua unica protezione, mentre concentrava lo sguardo sullo zingaro, che si stava levando la camicia, adagiandola sul pavimento. Era la prima volta che osservava il suo petto scolpito, che lo guardava a torso nudo. Quella visione la fece deglutire più volte, ritrovandosi nuovamente a corto di aria da incamerare nei polmoni.

<< Lasciati andare. Lascia libere le tue emozioni, rilassa i muscoli, allenta la presa sulla tua vita e, per una volta, concediti un assaggio del mondo che ti attende. >> Disse quasi in un sussurro, mentre si chinava su di lei a sfiorare le sue labbra ma senza baciarle. Percorse un tragitto, una scia dritta di baci, che partivano dalla sua bocca fino al suo bassoventre, ansioso di assaporare un fiore puro e immacolato.

Edith seguì il suo consiglio. Tenendo gli occhi chiusi, espose la gola al nulla, mandando la testa all'indietro e schiacciandola, quanto poteva, sulle lenzuola. La bocca semiaperta lasciava entrare un poco di ossigeno che le serviva per affrontare quel momento.

Allenta la presa sulla tua vita.

La sua bocca si aprì maggiormente, avvertendo una sensazione di intrusione, proveniente dal suo antro. Ma non le dava fastidio, le stava procurando brividi e piacere. Istintivamente ondeggiò con il bacino, sentendo la fluida lingua di lui entrare e uscire ritmicamente. Aprì maggiormente le gambe, dandogli un facile accesso.

Concediti un assaggio del mondo che ti attende.

Ed era questo ciò che l'attendeva? Volse la testa a destra, verso la statua e aprendo gli occhi, la mirò ancora. Ne colse i dettagli, i personaggi e le loro mosse, stupefacendosi di quanto bravo fosse lo scultore nel cogliere la fragranza dell'amore, dell'ossessione e della fuga.

Poi guardò davanti a se e riuscì a scorgere solo la chioma scura dei capelli di Lavdor, mentre il suo viso era sprofondato in lei. Sobbalzò per la sorpresa, quando, più veloce ancora continuava a torturarla. Ansimò, sentendosi riscaldata da una forte ondata di calore. Il suo cuore batteva all'impazzata e sembrava in perfetta sincronia con la lingua dell'uomo. Ma Edith non ne provava vergogna, così come non la provava certamente Modesty. Magari dopo se ne sarebbe pentita, ma per il momento si sarebbe goduta una fetta di ciò che avrebbe potuto avere.

Il mondo ai tuoi piedi.

Poteva essere davvero così o Lavdor esagerava? Non lo sapeva, ma in quel momento era l'ultimo dei suoi pensieri. Il respiro le si mozzò quando, alcuni istanti dopo, la sua lingua si sfilò dal suo fiore. C'era un fiume che scorreva lungo le sue cosce, il suo piacere straripato in un letto immenso e non di certo invisibile.

Quando rivide il viso dello zingaro, la sua capigliatura leggermente scompigliata e le labbra –così come la lingua- sazie di lei. La sua espressione seria, però, non era mutata. Poggiando un ginocchio sul materasso, accanto alla sua gamba ancora spalancata, si chinò sulla sua bocca per catturarla ulteriormente. Il sapore di quel bacio era decisamente diverso da quello di prima. Edith sentiva qualcosa di acre, realizzando solo in seguito che doveva essere il piacere del suo fiore, la sua assenza, quella che stava assaggiando. Quando si staccò appena da lei, ma ancora vicino da poter sentire il suo respiro, vide le sue labbra scure alzarsi in un cenno di sorriso. La sua mano si alzò per carezzare la sua chioma ondulata, impigliando apposta qualche dito nelle ciocche brune.

<< Molto bene, mia cara. Ora te lo chiederò un'ultima volta: vuoi spogliarti per me? Se lo farai avrai tutto ciò che vuoi. E' ora di saziare quella parte di te che vuole emergere, che vuole libertà. E' ora di saziare Modesty e le sue voglie. >>

Con la bocca socchiusa, ancora umida per il bacio, Edith osservò i suoi occhi glaciali penetrarla, come ad ipnotizzarla e far sì che rispondesse ciò che lui voleva sentirsi dire. Erano solo due semplici letterine, una parola. << Sì. >> Rispose, osservando come il sorriso di Lavdor si ampliò, per poi perdersi nuovamente nella sua bocca. Nuda, sotto di lui, Edith si trovava senza difese ma sentiva di potersi fidare cecamente. Ciò che gli aveva fatto provare con il solo uso della lingua, ciò che ancora gli faceva provare con il suo corpo, con le sue labbra, era indescrivibile. Per quanto il suo cuore stava battendo veloce aveva paura che potesse esploderle dal petto. E mentre continuava a baciarlo, ad intrecciare la sua lingua con la sua, pensava solo di rimanere lì per sempre, se solo avesse potuto. Lì, tra le braccia di un diavolo vestito da angelo, aveva trovato un piccolo angolo di paradiso che non voleva abbandonare.



Wolf's note:

Rieccomi con l'undicesimo capitolo!! Ci tengo a scusarmi con tutti voi lettori per l'immenso ritardo con la quale l'aggiornamento è avvenuto... e solo che ho avuto alcuni problemi tecnici e, come se non bastasse, ho riscritto più volte il capitolo solo perché non mi convinceva. E infatti non nascondo che è stato complicato scriverlo, specialmente la parte finale. Molti di voi sapranno che quando si scrive una parte a sfondo "sessuale" bisogna far attenzione a mille cose.. una su tutte a non cadere nel banale. Sinceramente non so di esserci riuscita o meno, spero che sarete voi a dirmelo. 

Il capitolo 12 sarà disponibile Sabato 5 Novembre! Per farmi anche perdonare del ritardo, questa settimana ci saranno ben due aggiornamenti! Uno è questo e l'altro, appunto, Sabato! <3

Per ulteriori info e altro, anche per avvisi di aggiornamenti... potete benissimo seguire la mia pagina su facebook, il quale link potete trovare nella mia pagina d'autore qui su Wattpad. Ringrazio i lettori e i recensori della storia... anche coloro che mi inviano messaggi in privato per farmi i complimenti per la storia. Grazie davvero! Un bacio! <3

Alla prossima!

Wolfqueens Roarlion.


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