Capitolo 12

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Chicago si era svegliata coperta da un manto bianco, quella mattina, così come i suoi abitanti. Era il dieci dicembre dell'anno 1970 e c'era già chi si affrettava a fare gli ultimi preparativi per il Natale, che sarebbe stato tra quindici giorni esatti. L'atmosfera era palpabile per le strade e anche in casa Colvin. James aveva portato un abete e posizionato in salotto e Kara aveva pensato a decorarlo con festose luci e palline colorate. Aveva cercato di coinvolgere anche la sorella minore nei preparativi nel rendere la casa splendida per l'evento ma, con sommo dispiacere, ottenne solo delle secche risposte scontate collegate ad un intenso studio. E quando c'era anche l'appoggio di Mr. Colvin, Kara mollava la presa. Era già primo pomeriggio e stava ancora decidendo la posizione degli addobbi.

La verità era che anche a libro spalancato sulla scrivania, Edith non riusciva a concentrarsi. In una posa da classica studiosa attenta, aveva lo sguardo perso nel nulla, osservando un punto qualsiasi per la stanza. Nella mente una serie di immagini scorrevano, da quel giorno in cui si era lasciata trasportare dalle emozioni e da Modesty. Era colpa sua, infatti, se adesso si ritrovava così confusa da non concentrarsi nemmeno su un minimo di percorso di studio. Era parecchio indietro, da quando frequentava il locale. E se non recuperava, dubitava che c'è l'avrebbe fatta a superare l'anno accademico.

Serrò le gambe, accavallandole. Scosse la testa, sorseggiando del thè dalla sua tazza fumante posata accanto al suo gomito. Il calore della bevanda la riscaldò, facendole riordinare le idee, quelle che ancora non erano confuse. Girando la testa verso sinistra, in direzione della finestra chiusa, osservò i fiocchi di neve cadere ancora al suolo. Quando era bambina adorava l'Inverno e adorava il Natale. Crescendo, però, quella magia era andata ad affievolirsi e se una volta faticava a prendere sonno la vigilia per aspettare un uomo barbuto che scendeva dal camino per portarle dei doni, ora ringraziava il cielo se aveva qualche minuto per riposare. Dopo il modo in cui aveva trattato Peter, non presentandosi personalmente all'appuntamento, aveva deciso di rimediare. Meglio dire che era stato lui, ancora una volta, a proporle di uscire. Stavolta non avrebbe potuto tirarsi indietro e non voleva. Peter sapeva metterla a suo agio, sempre e comunque, ed era una persona gentile, amabile e dolce. E lei, sporca nell'anima e nella dignità, non lo meritava di certo.

Rovesciò la testa all'indietro, lasciandola a penzoloni sullo schienale della scomoda sedia in legno chiaro. Quella sera sarebbe stata l'ultima alla rosa negra, l'ultima di quell'anno che si apprestava a chiudersi come l'ultimo capitolo di un libro che avrebbe riletto più e più volte. Avrebbe dato il meglio di se, nel suo numero, come sempre. E il suo capo sarebbe stato fiero di lei. Con i denti dell'arcata superiore, si morse il labbro inferiore, interrompendo il flusso dei pensieri che coinvolgevano il suo principale, o meglio, la sua lingua.

<< Edith? Puoi venire un secondo? >> La voce di Kara le arrivò all'improvviso, così tanto che per poco non cadeva dalla sedia. Non rispose, si limitò a rimettere i piedi nudi sul pavimento e ad uscire dalla stanza per raggiungere il piano inferiore. Suo padre stava fumando un sigaro, comodamente seduto alla sua poltrona preferita, posta in un angolo del soggiorno. Kara era inginocchiata a terra per decorare i piedi dell'albero di Natale e il giradischi faceva suonare la canzone Dig It, dei Beatles.

<< Che c'è? >>

<< Potresti mettere a tavola il centrino rosso che ho comprato? E' accanto alla porta, grazie. >> Una domanda e una risposta, senza quella vera magari. Edith annuì, senza obbiettare. Sua sorella o meno, le sue parole sarebbero state sempre ubbidienti e mai sgarbate. La gentilezza era una qualità rara nelle ragazze della sua epoca. Le nuove generazioni erano, come spesso diceva Kara, ragazzi indisciplinati che pensavano ad urlare dietro il loro gruppo musicale preferito. Frugò in una busta, accanto all'appendiabiti, e vi trovò il centrino in questione. Spostando lo sguardo più in là, Edith osservò il quotidiano e il suo titolo, scritto in nero e a lettere cubitali, spiccava all'istante: "La criminalità prende possesso di Chicago." Guardandosi brevemente intorno, Edith prese il giornale e lesse il contenuto dell'articolo. Nella giornata di ieri erano stati rinvenuti due morti in un appartamento nei pressi della rosa negra e la polizia locale stava indagando per acciuffare i colpevoli. Era strano che vi era tutto quel caos, da un po' di tempo a quella parte. Sperò vivamente che lo zingaro non centrasse nulla.

<< L'hai trovato? >>

Strabuzzò gli occhi, strinse il centrino e si ricordò del perché era lì. Ripiegò il giornale e lo riposò lì dov'era. << Sì. >> Rispose, tornando nella sala.

Diede una pulita sul tavolo, da i bordi un po' malandati e segnati dal tempo, e lo mise al centro, mettendoci sopra un vaso blu con dei fiori di campo dentro.

<< Verso che ora tornerai stasera? >> Kara non spostò lo sguardo su sua sorella, lo concentrò ancora sull'abete che stava decorando.

Edith si umettò le labbra con la saliva. << La solita ora. Perché me lo chiedi? >>

<< Stasera il dottor Garrett verrà a cena da noi. Volevo chiederti se potevi dire a Mrs. Hamilton di farti tornare prima. >>

Quello era un problema. Ma poteva sorvolarlo di certo. Avrebbe parlato con lo zingaro e magari sarebbe riuscita a tornare prima. Un piccolo cambio di programma sulla tabella di marcia non avrebbe creato tanto casino. Il pubblico sarebbe stato contento comunque.

<< Credo non ci siano problemi. In vista delle festività natalizie credo che non sarò l'unico membro della servitù ad avere questo privilegio. Magari le dirò che recupererò un altro giorno. >> Rispose Edith, osservando come una parte dell'abete stava per essere decorato. Perché sua sorella era in fissa con l'abbinare solo l'oro e il rosso? C'era anche il verde, il giallo, il viola.

Kara le rivolse un sorriso che fece sparire quella inutile domanda dalla sua mente. Era raro che le sorridesse. Evidentemente, si disse, la cena di quella sera, doveva essere veramente importante per lei.

Edith ricambiò solo per un momento prima di spostare l'occhio sull'orologio alla parete. Puntualmente, quello del soggiorno, non faceva mai lo stesso orario di quello della cucina. Se arrivava in anticipo non avrebbe destato alcun tipo di sospetto però.

<< Meglio che vada a cambiarmi. Magari se vado prima riuscirò a fare qualcosa. >> Disse, camminando verso le scale. Con la paga ricevuta per la performance dello scorso mese, si era fermata in un negozio posto in uno dei quartieri a lei vietati e aveva comperato qualcosa che il pubblico, il suo pubblico, avrebbe certamente apprezzato.

Arrivò alla rosa negra quando le ballerine stavano ancora provando il loro numero di can-can. L'allegra musica e le loro voci si sentivano da fuori la porta. Il locale era vuoto, a parte chi stava provando e Keler, posizionato dietro il bancone del bar a pulire i bicchierini di whisky. Sempre con la sua solita aria seriosa e tenebrosa. Sembrava che lui e il suo capo facessero a gara a chi doveva mantenere un atteggiamento spaventoso nei suoi confronti.

Edith si avvicinò a lui, facendo rumore con i suoi tacchi bassi per manifestare la sua presenza. Indossava un pellicciotto nero sintetico e sotto uno di quei vestiti che non arrivavano neanche alle caviglie, bianco con due strisce verdi e disegni ovali geometrici del medesimo colore. I capelli erano raccolti in un elegante chignon che non lasciava ciocche al vento.

Keler finì di girare la pezza nel vetro del bicchierino e, lentamente, alzò lo sguardo su Edith. << Sei in anticipo. >> Le fece notare, indicando l'orologio appeso in alto alla parete, quasi invisibile.

<< Devo parlare con lo zingaro. >>

<< E' nel camerino. >> Rispose, riprendendo la sua mansione di lava bicchieri.

Edith superò l'angolo bar per incamminarsi a passo sicuro e rumoroso verso il corridoio, sempre scuro e poco illuminato, con ancora quegli scatoloni in fondo mezzi vuoti e delle voci che provenivano dalle varie stanze con le porte chiuse, bagno compreso. Arrivò davanti la porta del camerino, da dove provenivano delle voci maschili. Abbassò la maniglia, facendo capolino con la testa all'interno della stanza. << Volevi vedermi, boss? >> L'espressione sicura sparì sul suo volto, notando che non era solo. Aveva il suo sguardo addosso e quello di un altro uomo. Pelato e dallo sguardo critico, vestito di una giacca elegante grigia che si sposava benissimo con i pantaloni e i mocassini.

<< Sei in anticipo. >> Le fece notare lo zingaro, incrociando le braccia al petto. Aveva le maniche della camicia bianca arrotolate e portava il suo solito gilet nero abbottonato correttamente. Sembrava che tutti non sapessero salutarla in altro modo che quello di ricordarle che aveva ancora tempo prima di fare il suo numero.

<< Sì, lo so. Sono venuta un po' prima perché volevo chiederti un favore. >>

<< Dopo, Modesty. Ora ascolta. >> Si voltò un attimo verso il pelato e poi nuovamente verso di lei. << Ti presento Olivier Picard. Il parrucchiere di Madame Pussy, venuto appositamente per te da Parigi. >>

Chi era Madame Pussy? Era senz'altro il primo pensiero che attraversò la mente di Edith, ma tacque sull'argomento. Allungò una mano, attendendo che il parrucchiere gliela strinse.

<< E' un piacere conoscerla, signor Picard. Il mio nome è Modesty. >>

Sul viso di Olivier si mostrò un sorriso, probabilmente di circostanza. << Bon Dieu! Lei è ancora più bella di quanto mi avesse raccontato il mio amico. Je suis sûr que farò tornare a splendere questa chioma éteint, spenta. >> Fortunatamente riuscì a comprendere la maggior parte di ciò che disse.

Anche se continuava a sorridere come un'ebete, spostò il suo sguardo da Picard allo zingaro, in attesa di una spiegazione.

<< Ho pensato che un nuovo taglio ti avrebbe fatto bene. Quei capelli sono troppo austeri. Modesty non approverebbe di sicuro. >>

Ovviamente non sapeva che, dentro di lei, quest'ultima faceva le capriole dalla gioia per liberarsi di quei capelli ribelli che non stavano mai fermi nelle proprie acconciature. Ma cosa avrebbe detto se fosse tornata a casa con un taglio di capelli diverso? Nessun problema, si disse. Sua sorella gli aveva appena dato un motivo più che sufficiente.

<< Va bene. Ti ringrazio. Posso parlarti, adesso? >>

<< Sì. Puoi preparare i tuoi attrezzi, Olivier. Mi aspetto che la tua magia faccia miracoli. >> Rispose, parlando poi con il suo amico mentre seguiva la ballerina fuori dal camerino e la porta veniva richiusa. << Dimmi. >>

<< Avrei bisogno di cambiare il programma di questa sera. Il mio numero deve avvenire in un orario decente. Mia sorella mi ha raccomandata di tornare per cena e non potevo rifilarle una bugia, come se quelle di adesso fossero poche. >> L'ultima frase le suonò come sussurrata più a se stessa che all'uomo.

Lavdor la guardò per un lungo istante, prima di parlare. << Stasera era il tuo giorno lavorativo. >>

<< Lo so e mi dispiace. >>

<< Era anche la tua ultima sera qui, prima della chiusura per Natale. >>

<< So anche questo e mi dispiace ancora. >>

Era deluso. Poteva leggerglielo chiaramente in viso. Deluso e arrabbiato. Del resto aveva firmato un contratto e per quanto poco potesse valere, doveva rispettarlo. Ma non c'era stato verso di mentire a sua sorella, anche perché sentiva che era importante la cena di quella sera. Una volta tanto, Modesty lasciava spazio alla compassione per la famiglia di Edith.

<< Avrei voluto brindare con te e gli altri, a fine serata. >> Strabuzzò gli occhi. Non si immaginava che avesse in serbo un brindisi per l'anno nuovo, non ancora arrivato. Sicuramente era solo un'occasione per salutare tutti. Sentire quelle parole, con quel tono realmente dispiaciuto, le fece comunque un effetto positivo. Aprì la bocca per dire qualcosa ma poi la richiuse. Sarebbe uscito l'ennesimo mi dispiace. << Ma del resto tu hai la tua vita. E non è questa. >>

Era vero. Era arrivata lì con la voglia di far uscire dal suo corpo quel qualcosa di estraneo, adesso si chiedeva se mai sarebbe riuscita a tenerlo a bada. Modesty era imprevedibile, in ogni situazione. Fosse per lei avrebbe mandato al diavolo la cena di Kara, solo per gioire della presenza del suo principale, sorridendo civettuola al brindisi che entrambe si sarebbero perse. Ma quel mondo non le apparteneva. La sua vita era un'altra.

<< Ti prometto che recupererò, nel nuovo anno. >>

Il sorriso di Lavdor era freddo come il ghiaccio, come i suoi occhi. E non seppe spiegarsi il motivo. Poi un pensiero le balenò nella mente. Nell'anno che sarebbe arrivato ci sarebbe stato ancora posto per lei?

Lo zingaro non rispose, si limitò ad indicare il camerino. << Olivier ti sta aspettando. E non preoccuparti del costo. Consideralo il mio regalo di Natale. >> Detto ciò, prese a camminare a passo rapido verso la sala, svoltando verso il corridoio e lasciandola sola.

Liberò un sospiro esasperato. Sapeva di averlo deluso ma si sarebbe fatta senz'altro perdonare, prima o poi.

Olivier fece la sua magia. Guardandosi allo specchio, mezz'ora dopo, non riusciva a credere ai suoi occhi. Modesty sorrideva soddisfatta di quel lavoro. Quell'anno stava lasciando dietro di se anche la sua vecchia lei, iniziando dal cambiamento del suo carattere e di se stessa, e finendo dalla sua chioma. Ora era perfettamente accorciata, le arrivava al collo e le punte erano state arrotondate. La chioma mossa era ondulata su se stessa, creando un effetto caotico, sembrava che fosse passata sotto un tornado a dire il vero. Ma le piaceva. Le piaceva e si rivedeva benissimo. Eleganza e confusione unita in una singola cosa.

E sembrava che non fosse l'unica a pensarlo. Edith ringraziò Olivier e quest'ultimo le parlò ancora un po' in francese, da che riuscì a capire le stava augurando buona fortuna per quella sera. Lo ringraziò con un semplice merci. Uscendo dal camerino si imbatté nelle altre ballerine, quasi con tutte loro aveva stretto un buon rapporto. Le fecero i complimenti per la nuova acconciatura, sottolineando come il nuovo taglio la faceva sembrare più matura e meno ragazzina. Era forse il complimento più bello che una di loro le avesse mai fatto. Fatmir, superandola, si limitò solo a darle un'occhiata indifferente. << Bel taglio. >> Ed entrò nella stanza senza dire altro. Non sapeva ancora come inquadrarla, ma sicuramente la bionda provava astio per lei. E magari non era per il lavoro, ma per qualcun altro.

Truccata e vestita del costume di scena, si apprestò a salire sul palco. Lo zingaro le aveva concesso di esibirsi per prima, in modo da permetterle di rincasare presto. Il sipario era ancora chiuso e dall'altra parte della sala ormai gremita di persone, si potevano udire chiacchiericci confusi e rumori accennati di vetri che si scontravano.

Si posizionò vicino l'asta di ferro, afferrandola con una mano e allargando una gamba verso destra, dividendola dall'altra. Il suono violento di un vibrafono e un sassofono diedero il via ad una collana di jazz sensuale che avrebbe accompagnato il suo numero. La sala era oscurata, si potevano vedere solo le punte dei sigari accesi, che sembravano brillare di una luce rossa... o arancione con delicati cenni di strati blu, tipici colori del fuoco.

Piegò il ginocchio, aggrappandosi all'asta e muovendo il corpo in modo ritmico alla musica. Regalò al suo pubblico uno di quei sorrisi maliziosi che solo Modesty sarebbe stata in grado di esibire, assieme alla sua sfacciataggine nel mostrare le sue curve. Il suo intimo quella sera suggeriva una performance erotica, un erotico romantico. Fece scivolare la seta nera della camicia da notte a terra, rimanendo in un completo nero di pizzo, con fiocchi rossi al centro del seno e ai bordi delle mutande.

Volteggiò intorno all'asta, immaginando come sempre di essere sola e di non avere mille occhi puntati su di lei. Indirizzò il corpo verso l'alto, come se qualcuno la sollevasse di peso e la mettesse a testa in giù. I piedi uniti e puntati verso il soffitto del palco, mentre il corpo in tensione era diretto verso il basso. Lasciò le labbra rosse aperte, in una smorfia sorpresa e soddisfatta. Il freddo dell'asta tra le sue gambe era una piacevole sensazione, tanto da farle tornare alla mente l'episodio della scorsa notte, proprio al piano superiore del locale, in compagnia del suo principale. La sua lingua aveva tracciato una scia invisibile sul suo corpo. Se si concentrava poteva ancora sentire la sua saliva impressa nella pelle.

Fece due giravolte a testa in giù, prima di ripiombare teatralmente a terra. Si avvicinò ad una sedia posizionata lì vicino e, sedendosi, prese a trafficare con le mani dietro al reggiseno per lasciare il suo seno nudo alla visione estasiata dei presenti. Malizia ed eccitazione erano il misto perfetto, palpabile nell'aria come l'odore dei sigari e dell'alcol. I sussurri si erano dissolti ma in mezzo ad un pubblico a bocca spalancata, Modesty stava cercando due occhi in particolare. Li colse al bancone ma qualcosa la bloccò all'istante. C'era una donna di fianco a lui. La musica sembrò sparire, almeno dalle sue orecchie, e perse la concentrazione. Pelle lattea, quasi diafana e chioma corvino. Indossava un bizzarro cappellino, della moda del momento, con delle piume gialle, che spiccavano più del suo rossetto rosso o del suo abito nero che le fasciava i fianchi un poco larghi ma che metteva in risalto anche i seni abbastanza sodi. Sembrò ridere ad una battuta di Keler, che era di servizio come barista. Una fila perfetta di denti bianchi sembrò risplendere nell'oscurità all'angolo del locale. Una luce che sembrava abbagliare quella della giovane ballerina. Quest'ultima chiuse gli occhi per un attimo, concentrandosi nuovamente sulla musica nell'aria, che sembrava aver ripreso il suo corso come il tempo. Il suo spettacolo stava continuando e lei non muoveva foglia. Gonfiò il petto d'ira repressa. Improvvisamente sembrava avercela col mondo intero. Con suo padre, con sua sorella, con quel dannato Garrett e anche con quel damerino del suo capo, che si faceva chiamare con un nomignolo ridicolo. Avevano così paura a dire qual'era il suo vero nome?

Rovesciò la sedia sul palco, creando un rumore che riuscì a superare quello della musica. Tra lo stupore del pubblico e quello dello stesso Lavdor, che ora aveva tutta l'attenzione per lo spettacolo e i suoi occhi sembravano lanciare fulmini e saette, Modesty cambiò mentalmente il programma della sua performance. Volevano qualcosa di diverso e l'avrebbero avuto. I capezzoli erano tesi, messi a nudo improvvisamente e pizzicati da un'aria invernale che sembrava entrare dalle fessure più strette delle porte e delle finestre chiuse.

Con passo elegante, seguendo sempre il ritmo del sax, si apprestò a raggiungere una vasca da bagno posta al centro del palcoscenico. Era piena d'acqua e c'era sapone da per tutto. Con due movimenti e con anche l'aiuto del ginocchio, riuscì a liberarsi anche dell'ultimo indumento ormai inutile: le mutande. Le gettò a malomodo da qualche parte, mentre immergeva il suo corpo nudo nell'acqua fredda. Ebbe un impatto comunque ghiacciato sul suo corpo caldo e dall'espressione si poteva capire benissimo.

Sorvolando su quel dettaglio irrilevante, Modesty ricoprì il corpo nudo con la schiuma che usciva da i bordi della vasca bianca. Iniziò a passare le dita su ogni parte del torace, soffermandosi ad accarezzarsi i seni e i capezzoli, chiudendo gli occhi e immaginando di essere toccata da mani maschili ed esperte. A ritmo di musica ondeggiava i fianchi, facendo ricadere la mano in mezzo alle sue gambe per scoprire il suo fiore già umido... ma probabilmente era solo l'acqua. Lo stuzzicò con l'indice, emettendo dalla sua bocca dei versi di sottofondo alla musica che accompagnava il suo spogliarello artistico. Lentamente si lasciò cadere nella vasca, immergendosi a sua volta nella schiuma. Ci soffiò sopra, facendo cadere alcune bolle a terra. Alzò le gambe, posizionandole al bordo, mentre andava a posizionare la testa di lato. In conclusione assunse una posa maliziosa, posando il mento sulle braccia incrociate fuori dall'acqua e rivolgendo al pubblico un innocente sorriso e un occhiolino prima che la musica finisse e il sipario si chiuse.

Si stava rivestendo in un silenzioso camerino, tornando in una modalità quotidiana. Edith Colvin era finalmente tornata in se, anche se Modesty aveva lasciato un segno che difficilmente sarebbe riuscita a nascondere. Il nuovo taglio realizzato da Olivier. Li stava simpatico, anche se i suoi atteggiamenti sembravano... un poco meno maschili rispetto agli altri uomini. Ma ciò non la disturbava assolutamente. Anche se sembrava un tipo che sapeva il fatto suo, che cercava sempre di avere l'ultima parola, le era molto simpatico. Magari avrebbe potuto chiedergli un aiuto anche nella zona cosmetici, se mai l'avrebbe rivisto. Era un parrucchiere ma qualcosa gli diceva che aveva classe e sapienza anche per quanto riguardava il trucco. Se voleva essere più seducente e soprattutto piacere, doveva sforzarsi di informarsi anche in quel campo a lei ancora molto sconosciuto. Nell'anno nuovo, Modesty sarebbe tornata più agguerrita che mai. Ancora lei, però, continuava a chiedersi chi fosse quella donna con la quale lo zingaro parlava in modo troppo confidenziale, durante il suo spettacolo. Era certa di non averla mai vista esibirsi alla rosa negra e sperò vivamente che non fosse un nuovo "acquisto" del suo principale. La competitività e la voglia di emergere sopra l'altra si stavano già facendo largo dentro di lei. Il cigolio della porta del camerino, però, la fece tornare alla realtà ancora confusa. Alzando gli occhi sulla persona che era entrata, Edith non poté fare a meno di sorridere felice.

<< Tony! Ti sei perso il mio spettacolo! >> Esclamò raggiante la giovane, alzandosi e accogliendo l'amico con un abbraccio. Lui parve esitare prima di avvolgerla tra le sue braccia.

<< Scusami. Mi farò perdonare. >>

<< Oh, certo che sì. Nell'anno nuovo magari. >> Precisò lei, ridacchiando in modo civettuolo e fronteggiandolo con lo sguardo. Quando lo fece vide che nel volto del suo amico c'era ben poca scherzosità e una tetra ombra scura velava il suo volto sempre creativo e sorridente. << E' successo qualcosa? >> Osò chiedere, assumendo un'espressione seria.

In tutta risposta, Tony le porse una busta. Edith la guardò senza capire e tornando ad osservare il musicista, con lo sguardo, chiese ulteriori spiegazioni.

<< E' per te, da parte dello zingaro. >> Spiegò in tono grave.

Edith la prese senza esitare e guardò dentro. C'era più di un mese di paga. Restò per un istante con la bocca spalancata. << Che vuol dire? >> Chiese, tornando a guardare l'amico nel volto. Non vi leggeva nessuna spiegazione possibile.

<< Credo sia saggio che sia lui a dirtelo ma... nel nuovo anno non ci sarai, Edith. >>

Un modo carino per dire una parola che, come l'insegna di un neon, lampeggiava sulle sue labbra che sembravano mimare quella parola: Licenziata.

Licenziata. Era stata rimpiazzata con quella nuova ragazza? Dalla sua bocca uscì una nuvola di respiro condensato, un poco per il freddo e un poco per la rabbia. Era il caso di dire che il vulcano dentro di lei stava eruttando. Modesty ridusse gli occhi a due fessure. Non avrebbe permesso a nessun'altra di prendere il suo posto. Con assoluta indifferenza richiuse la busta, piegandola.

<< Dov'è lo zingaro? >>

<< E' nella sua stanza che ti aspetta. >>

Si limitò ad annuire e ad offrire al suo amico una bozza di sorriso a mo' di saluto, mentre usciva dal camerino, salendo le scale di legno che portavano al piano superiore della rosa negra, nella casa del suo principale. Senza neanche bussare, entrò nell'atrio. Lo trovò a sorseggiare un whisky e lo sguardo perso alla finestra. Non si voltò neanche quando iniziò ad avvicinarsi a rumorosi passi provocati da i tacchi.

<< Che significa? >> Chiese, cercando di trattenere la rabbia che tentava di uscire dalle sue labbra, buttando in malo modo la busta sul tavolo. A quel rumore appena accennato, Lavdor si decise a voltarsi verso di lei. Con una mano nella tasca degli eleganti pantaloni neri e un'altra che reggeva il bicchiere di vetro, la osservò con un'espressione serena in volto. Sembrava che non sapesse che l'aveva appena licenziata.

<< Sono solo prevedibile agli eventi. >> Posò su un mobile di legno il suo bicchiere, avvicinandosi alla ballerina per fronteggiarla meglio. Stavolta aveva entrambe le mani nelle tasche. Indicò la busta sul tavolo con un cenno del capo. << Si chiama liquidazione. Per i tuoi servigi molto graditi fino a stasera. >>

<< Finiscila di fare finta di niente! Dimmi perché mi stai licenziando! Merito di avere una spiegazione logica! >> Il volume della sua voce si stava gradualmente alzando. E ciò non stava piacendo al suo principale –ex- perché la fulminò con lo sguardo.

<< Abbassa la voce. >> Sussurrò a denti stretti, sembrava che fosse pronto a mangiarsela viva. Poi rilassò nuovamente i muscoli del viso, ma il suo tono era molto più duro di quello di prima. << La rosa negra non ci sarà più al nuovo anno. La compagnia si trasferisce a Parigi, in un nuovo locale. Metà delle ballerine hanno deciso di venire, le altre per motivi loro hanno deciso di abbandonare. >>

Edith strabuzzò gli occhi. La rabbia accumulata fino adesso sembrò dissolversi lentamente. << Ma... la rosa negra è la tua casa. Tu stesso hai detto di tenerci tanto. Perché la stai vendendo? >>

<< Non certo perché mi va di farlo. Ho un grosso debito da saldare e qui non sono più al sicuro. La polizia continua ad indagare e prima o poi troverà un pretesto per sbattermi in cella. Non voglio questo. >> L'ultima frase sembrava più rivolta a se stesso che alla sua interlocutrice, che era sempre più stupita. Faticava a credere che Modesty sarebbe scomparsa con quel locale.

Solo allora realizzò che non avrebbe più avuto addosso il brivido della paura, dell'essere scoperta o portatrice del peso di una bugia. Da una parte era un sollievo, Edith si sentiva sollevata. Ma Modesty si sentiva male all'idea di non liberarsi più del fuoco che la divorava e che l'avrebbe incenerita una volta per tutte. A quel pensiero, una lacrima rigò la sua guancia destra.

<< Non ci rivedremo più. >> Era una consapevolezza, una certezza. E lo realizzò solo quando vide il volto impassibile dello zingaro annuire. Nei suoi occhi freddi non vi leggeva alcuna tristezza all'idea di lasciarla lì.

<< C'è una soluzione, però. >>

Gli occhi di Modesty si illuminarono. << E sarebbe? >>

<< Venire con me a Parigi. >>

Andare a Parigi con lui. Proponeva di scappare in un'altra città, proponeva di scappare da Chicago che da sempre era stata la sua casa. Edith non riuscì a pensare a nient'altro che alla risposta più logica: no. Dare voce ad una lei sconosciuta era un conto, dimenticare i suoi cari e scappare con un uomo che le aveva donato delle forti sensazioni era un'altra. Non avrebbe mai lasciato la sua città, la sua casa, sua sorella e suo padre. Cosa c'era, poi, di certo nella sua fuga? Un futuro con lo zingaro, forse. Ma anche lui era uno spirito troppo libero per tenersi legato ad una sola donna e la prova l'aveva avuta quella sera. Chi era quella donna? Non avrebbe mai avuto il coraggio di chiederglielo.

Edith riprese a respirare regolarmente, i battiti del suo cuore fungevano da sottofondo ad una scena di addio.

<< Non posso. Non posso lasciare la mia casa, la mia famiglia, i miei amici. >> Era triste per la notizia ricevuta. Le lacrime imploravano di uscire ma non si sarebbe disperata davanti a lui, voleva mantenere integro una briciola del suo orgoglio di donna.

Lavdor, dal canto suo, curvò le labbra scure in un cenno di sorriso. Riprese il bicchiere di whisky in una mano, portandoselo alle labbra. << Ecco perché sono prevedibile agli eventi. >> In un sorso finì il liquore, facendo ondeggiare ancora le restanti gocce al suo interno. Riprese la busta con la mano libera e la porse nuovamente alla sua ormai ex ballerina. << C'è anche qualcosa di più. Avrei voluto portarti con me, farti diventare una vera ballerina di successo. Ma comprendo che non riusciresti a stare lontana da casa. Ora prendi questa busta e vai, ti staranno aspettando. >> Usò un tono quasi dolce, quasi come se fosse comprensivo alla sua decisione di non partire con lui.

Fu anche quello a spezzare del tutto il cuore di Edith che, senza esitare, prese la busta dalle sue mani ed era pronta ad andarsene. Ma i suoi piedi restavano fermi sul legno del pavimento. Strinse i soldi, chiusi nella carta, e tirò in su col naso reprimendo le lacrime. Maledì i debiti, maledì proprio i soldi che da sempre erano padroni della vita delle persone, maledì i nuovi proprietari di quel posto che si sarebbero presi qualcosa non loro. Per colpa di tutto quello, il suo Lavdor rischiava di andarsene. Se ne stava andando.

<< Edith. >> La chiamò piano lui. Era strano sentire pronunciare il suo nome di battesimo dalle sue labbra. Da quando l'aveva assunta lì la chiamava sempre e solo Modesty. La ragazza strabuzzò gli occhi e con essi scivolarono le piccolissime lacrime cristalline che scomparivano all'istante, come fossero gocce immerse in un vaso pieno d'acqua. Si ritrovò il suo volto paffutello e bianco tra le grandi mani scure del suo ex principale. Il suo capo la guardava con un sorriso indecifrabile. Era triste? Deluso? Sicuramente non era indifferente. Quando lo vide avvicinarsi, pensò che volesse baciarla. Chiuse istintivamente gli occhi solo per sentire, qualche secondo dopo, le sue labbra sulla propria fronte. Riaprì le palpebre di colpo, osservandolo come si allontanava da lei, dal suo corpo. Per sempre. << Ti auguro una buona vita. >>

Non seppe mai come trovò il coraggio di replicare il saluto: << Anche a te. >> Si girò lentamente e con altrettanta lentezza, avanzò verso la porta. In quei pochissimi passi fatti per raggiungerla aveva sperato, quasi sussurrato o pregato, che lui la fermasse, che le dicesse di rientrare nella stanza. Ma solo quando iniziò a scendere le scale di legno, capì che quella possibilità non c'era. Se ne era andata ad unirsi ad un gelido vento invernale, lo stesso che colpì Edith quando uscì dal locale. Avanzando per le strade innevate di Chicago, non si voltò indietro per guardare un'ultima volta il locale che aveva dato vita a Modesty, non si voltò ad osservare la finestra del piano superiore per sapere se Lavdor la stesse guardando andarsene. Non sperò più in un suo arrivo improvviso. Le lacrime le si ghiacciavano sul viso e sperò di non avere il naso rosso e gli occhi lucidi. Dare spiegazioni a sua sorella sarebbe stato complicato.

<< Che hai fatto hai capelli? >> Le chiese Kara, non appena mise piede in casa.

Edith si levò il cappotto per metterlo sull'appendiabiti, iniziando ad inventare una delle ultime bugie che avrebbe detto. << Mi sono resa presentabile per il tuo bel geometra. >>

<< Non è il mio geometra! Abbassa la voce, è di là in salotto. >> Kara arrossì vistosamente e quando faceva così significava che non era andata poi tanto lontana dalla realtà. Quella sera poi, sua sorella le sembrava magnifica. Era avvolta da un lungo tailleur rosso che le arrivava sopra al ginocchio. Non aveva scollature, se non le braccia. Il petto e il collo erano coperti dal tessuto rosso fuoco. I bei capelli neri e ondulati erano lasciati liberi e incorniciavano perfettamente il suo viso angelico e colorato da qualche cenno di trucco. I tacchi neri poi la rendevano più slanciata. Era solare come non lo era mai stata. Guardandola entrare nel salotto, da dove provenivano le voci di Mr. Colvin e del dottor Garrett, pensò ancora una volta che aveva fatto bene a non scegliere ciò che rendeva felice Modesty. Come avrebbe potuto vivere senza i rimproveri e i rari sorrisi di sua sorella che sapevano di amore e di casa? E soprattutto... senza l'odore di sigaro e gli sguardi complici di suo padre?

Quando Edith entrò in salotto, ben arredato per il clima natalizio, fu sorpresa di trovare, accanto alla figura di Garrett, Peter. Fece volare lo sguardo a Kara e suo padre ma parve che solo questa prima le rifilò un sorriso di chi la sapeva lunga.

<< Che sorpresa averti qui, Peter! >> Lo salutò, abbracciandolo.

<< Se Maometto non va alla montagna... >>

<< La montagna va da Maometto, lo so. >> Finì la frase per lui, ridacchiando. Infine, Edith salutò Garrett con una cordiale stretta di mano. Baciò suo padre sulle guance e ci fu solo il tempo di due chiacchiere, prima che Kara annunciasse che la cena era pronta.

Cenavano e parlavano, soprattutto Garrett, Kara e Mr. Colvin. Peter, invece, sembrava occupato ad osservare Edith. Quest'ultima, però, era ancora persa tra gli eventi passati di quella sera, chiedendosi ancora una volta se aveva fatto la cosa giusta. Quando Kara tirò fuori il suo dolce, Garrett prese la parola e, inchinandosi di fronte alla donna, le chiese di sposarlo. Solo Edith sembrò quella sorpresa, suo padre e Peter sembravano solo felici, così come Kara ovviamente. Quest'ultima accettò e con un sorriso, baciò sulle labbra il geometra. Fu in quell'istante che si disse che sì, aveva fatto la scelta giusta.




Wolf's note:

Per la vostra gioia, finalmente ho ritrovato il tempo per riprendere a scrivere questa storia che da sempre, dall'inizio, ho messo anima e cuore. Mi scuso con voi per il ritardo durato un mese e qualcosa in più, ma il lavoro aveva portato via molto tempo e come sempre devo prima rispettare le mie priorità e poi "il piacere", ma sono stata contenta di ricevere messaggi privati e pubblici delle persone che mi chiedevano se avevo abbandonato la storia e se sarei tornata a scrivere di Edith. Eccomi qui, a darvi il mio regalo di Natale con l'ultimo aggiornamento dell'anno. Infatti, come scriverò sulla pagina facebook, alla quale vi invito a mettere "mi piace" per ulteriori ritardi, avvisi, aggiornamenti, citazioni, foto e video delle mie storie (potete trovare il url sulla mia pagina d'autrice qui su Wattpad); questo è l'ultimo aggiornamento del 2016, la storia riprenderà regolarmente il suo corso a partire da Venerdì 13 Gennaio 2017. Riprenderà regolarmente ad essere aggiornata con un capitolo a settimana, come prima.

Quindi colgo l'occasione per ringraziare, come sempre, i miei lettori che mi sostengono sempre. E faccio a voi i miei auguri di buon Natale e buon anno! Ci rivediamo nel 2017 con cosa succederà a Edith ora che ha lasciato il locale. Grazie ancora per tutte le visualizzazioni, i voti, i commenti e le letture! Un bacio a tutti voi! Al prossimo anno!<3

Wolfqueens Roarlion.


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