Capitolo 13

Màu nền
Font chữ
Font size
Chiều cao dòng

Dopo quella sera, sul viso di Kara raramente si disegnavano ombre cupe. Era sempre sorridente e non rimproverava neanche sua sorella se, per caso, non faceva qualche commissione da lei assegnatale. In casa Colvin regnava la pace assoluta. La notizia del matrimonio della maggiore delle due sorelle, arrivò rapidamente ad espandersi in tutti i quartieri vicini e anche alla parrocchia. Nella settimana successiva, Kara, Mr. Colvin e Garrett si erano recati da Don Long, per fissare una data per la cerimonia. Edith aveva preferito rimanere nel suo letto, avvolta da una tranquillità che la turbava più degli eventi stessi. Era felice per sua sorella, finalmente poteva realizzare il suo sogno da eterna bambina sognatrice qual'era. Perché, sotto sotto, era anche lei una inguaribile romantica, anche se non lo dava particolarmente a vedere.

Lo sguardo di Edith, ancora mezzo assonnato, si spostò sulla sua scrivania dove c'erano ancora i libri spalancati della sera prima. Aveva provato a studiare qualcosa, ma la sua mente era troppo occupata, il suo corpo era troppo provato e il suo spirito troppo triste, deluso, arrabbiato. Aveva già spiegato a sua sorella che aveva preferito licenziarsi dagli Hamilton, per via dei suoi studi troppo trascurati. Una bugia, forse l'ultima, che aveva retto alla perfezione. Corine era l'unica a sapere la verità. Sapeva che aveva lasciato il lavoro alla rosa negra, perché probabilmente non ci sarebbe più stato quel locale. Inutile dire che con l'edificio, con i suoi balli scandalosi e la sua musica, Modesty era destinata a soccombere per sempre. Il fatto era che lei non era veramente pronta a lasciarla andare. Ma doveva. Quella situazione era diventata insostenibile, anche per una ragazza forte come lei. Eppure, ogni fibra del suo corpo, la esortava a cambiare pagina, ad andare avanti. Ed era quello che aveva in mente di fare. Laurearsi e magari cercare un impiego come professoressa, sarebbe stato bello. Inutile dire che quelle teorie andavano fortemente in contrasto con quelle di Modesty, che tutt'altro voleva fare che studiare e spendere la propria vita su i libri. No, lei voleva apparire, amare ed essere amata. Ma tutto aveva un prezzo, anche per lei.

La data del ventiquattro dicembre, scritta a lettere cubitali sul calendario, le annunciava che i giorni stavano passando piuttosto in fretta. Del resto, si era detta la sera prima, era stato meglio così. Nessun scandalo in famiglia, nessun muso lungo o alcun rancore. Per i suoi famigliari era ancora la ragazza innocente che non era mai stata baciata.

Si lavò con svogliatezza e indossando un maglioncino rosa pastello e una gonna nera, prese i suoi libri per recarsi da Corine. Quella mattina avrebbero studiato insieme. Il nuovo anno le avrebbe portato molti argomenti da recuperare. Lasciò un biglietto in cucina, in bella vista, sotto la caraffa del caffè, ancora tiepida, ed uscì di casa. La neve non accennava a diminuire e alcuni fiocchi cadevano sulle teste dei pochi passanti. C'era chi spalava la neve davanti l'uscio della propria abitazione, chi si divertiva a creare pupazzi di neve con i propri figli e chi ingaggiava delle lotte con ciò che l'Inverno portava ogni anno sul suolo di ogni parte del mondo. E mentre, distrattamente, le osservava, Edith non poté fare a meno di pensare che quei bambini, che adesso giocavano così allegramente, un giorno sarebbero diventati adulti. Padri, madri, nonni e nonne. La vita continuava a scorrere e la sua le stava scivolando dalle mani così rapidamente che non si sarebbe meravigliata affatto se, l'indomani, si sarebbe risvegliata già in tarda età e con dei nipoti che giravano per casa urlando tra loro. Il pensiero, sebbene le creò una bozza di sorriso sulle labbra, le diede anche un brivido di freddo lungo il fianco. Fu sufficiente a ricordarle del perché stava camminando nella direzione del quartiere dove si trovava la residenza degli Hamilton.

Quando una domestica le aprì la porta, le fece cenno di accomodarsi. Non appena mise piede nella elegante hall, dal piano di sopra si udì un pianto che non passò inosservato neanche alla anziana donna dal grembiule sporco di farina. Edith la guardò come per ricevere qualche spiegazione, ma l'unica cosa che ottenne fu un'alzata di spalle, seguita da una frase di circostanza:

<< Pene d'amore giovanili. Ci siamo passati tutti. >>

La giovane si limitò ad annuire e a salire le scale. Corine solitamente non si lasciava coinvolgere in quelle... piccolezze, come le chiamava lei. Ma quando aprì la porta della sua stanza, senza bussare, la vide seduta sul bordo del letto con una mano posata sulla spalla di Tessa. Quest'ultima singhiozzava con il viso sprofondato tra le gambe strette al petto.

<< Cos'è successo? >>

Corine le rifilò un sorriso triste, il suo modo per salutarla, e poi le fece cenno di avvicinarsi e sedersi sulla panca in legno bianco, vicino alla finestra.

<< Sono rovinata a vita, ecco cos'è successo! >> Sbottò poco dopo la diretta interessata, alzando di colpo la testa per guardare l'altra amica che era appena giunta.

<< Parla piano. Vuoi che i domestici ti sentano? Se mia madre lo viene a sapere non ti farà più venire qui. >>

<< Che sentano pure, me ne frego! >>

Corine cercò di calmarla, facendole ancora cenno di abbassare la voce.

<< Qualcuno vuole dirmi cosa succede? >> Chiese nuovamente Edith, sperando che qualcuno potesse dirle chiaro e tondo cosa aveva scaturito tutto ciò.

Tessa parve calmarsi, ma solo per un po'. Forse non fu la situazione in generale in cui si trovava, ma il modo in cui lo disse che lasciarono la bruna completamente stordita, come se non fosse di quel mondo.

<< Sono incinta. >> Il piccolo dubbio si era tramutato in realtà con poche parole, una frase concreta.

Edith immagazzinò quella parola così lentamente che le ci volle un po' per riprendere l'uso della parola. Incinta. Aveva la sua stessa età, eppure dentro di lei stava nascendo una nuova vita. Così giovane e stava per diventare madre. Il caso del destino, senza alcun dubbio. Tessa era sempre stata una ragazza che aveva tutto sotto controllo. Forte e determinata. Ma quelle descrizioni andavano a dissolversi davanti l'immagine che la giovane si ritrovava davanti. Altro non era che una ragazza fragile, come tutte loro.

<< Ma... sei sicura? E come è capitato? Come hai fatto a non stare attenta?! >>

<< Oh, per favore, Edith! Sei l'ultima che può dare consigli di vita, qui. >> Le parole della sua amica furono come una lastra di ghiaccio esposta al sole. Si era sgretolata all'improvviso, proprio come la sua figura da ragazza per bene. Tessa sembrò leggerle nella mente anche se in verità le bastò leggerle in viso, divenuto più bianco del solito. << Scusami. >>

<< Lascia stare. Hai ragione. >> Evidentemente la sua attività notturna, così come la sua doppia vita, non erano cose così sconosciute all'amica. Tony si era lasciato scappare qualcosa con la sua lingua fin troppo lunga. Poteva anche passarci sopra, fin quando si trattava di Tessa e non di altri. Le sembrava di avere il cuore più leggero, però. Ma era solo una briciola dell'enorme macigno che le pesava sul cuore.

<< Mia madre mi ha cacciata di casa non appena l'ha saputo. Ed ora non so cosa fare, dove andare. >> Riuscì a spiegare dopo un po', interrotta quasi sempre dalle lacrime.

<< Chi è il padre? >>

Tessa guardò in basso, evidentemente troppo presa dalla vergogna che la stava divorando. << Un ragazzo che ho conosciuto ad una festa, alcuni mesi fa. La dava un amico nel suo garage ed io ricordo solo.. la musica punk al massimo e le voci dei cantanti, i loro strumenti.. e poi nulla. >>

In quel momento, Edith si figurò nella sua immagine la scena: un normale garage con la musica dal vivo, i toni di voce al massimo, le ragazzine urlanti e poi Tessa che iniziava a ballare in mezzo alla pista e, infine, un tizio da una bizzarra cresta color turchese che le si avvicinava per poterla abbordare.

<< Ti sei portata al letto un emerito sconosciuto? >> Lo disse con sorpresa e mascherato inorridimento.

<< Credo di sì, diamine! Ma cosa credi? Che mi alzi la mattina con il pensiero di farmi il primo che passa? Non sono come quella puttana della Mureau, che è scappata con il primo che le ha promesso un futuro ed ora non si sa dove sia. >> Aveva iniziato ad alzare nuovamente la voce e Corine fulminò la mora con lo sguardo, invitandola a tacere.

<< Può essere che aveva una buona ragione per farlo. >> Commentò Edith, senza neanche pensarci veramente, ottenendo lo sguardo sorpreso ed interrogativo delle due.

<< Che motivo c'era di abbandonare i propri genitori? Poteva benissimo scappare di casa, va bene. Del resto aveva ventiquattro anni. >>

<< Oh, cielo! Non è mica morta! >>

<< Non possiamo saperlo. >> Corine strinse gli occhi, osservandola come se fosse al corrente di qualcosa che loro non sapevano. << E poi perché la difendi tanto? Che fine ha fatto la ragazza per bene che il solo pensiero di intrufolarsi in un locale notturno le faceva paura? >>

<< Si cambia, Corine, si matura. Cerca di non fare la maestrina che da lezioni di vita agli altri. >>

<< Non lo sto facendo, infatti. >>

<< Basta! Piantatela! >> Urlò Tessa, alzandosi di scatto e sottraendosi alla stretta della bionda. Osservò entrambe, stavolta, con ancora la vista offuscata dalle lacrime. << Qui si sta parlando di me e non di voi! Non siate così egoiste, per una volta, e pensate anche a me. >> Edith e Corine si scambiarono uno sguardo pacifico, voltandosi a guardare l'amica.

<< Scusaci, Tessa. >> Disse la bionda, alzandosi e avvicinandosi alla ragazza. Le accarezzò i capelli corti e riccioluti in modo fraterno e amichevole. << Potrai restare da me. Certo, quando mia madre lo verrà a sapere non la prenderà bene ma le impedirò di metterti in mezzo ad una strada. >>

<< Grazie. >> Riuscì a dire solamente, prima di rifugiarsi nel confortevole abbraccio di Corine.

Edith si avvicinò a loro, mettendo la mano sulla spalla di Tessa per infonderle coraggio. Avrebbe voluto far qualcosa per lei, ma non aveva una sistemazione migliore di quella degli Hamilton da darle. Strabuzzò gli occhi, con una lampadina accesa che galleggiava sulla sua testa. Non aveva una reggia ma aveva certamente un luogo sicuro, che le avrebbe permesso di prendere tempo per risolvere il da farsi.

<< Conosco un'amica che è in partenza per la Francia. Il suo è un appartamento piccolo, in un quartiere qui vicino. Magari riesco a convincerla a lasciartelo. Non è elegante come qui, ma almeno sarai al sicuro dalle malelingue. >> Propose lei, osservando come Tessa si staccò da Corine solo per abbracciare lei un secondo dopo.

<< Oh, grazie. Grazie, Edith. >> Singhiozzò di gratitudine la mora. Corine, dietro di loro, le osservava sorridendo, con qualche lacrima furtiva che minacciava di uscire. Sembrava una sorella maggiore che presenziava alla pace di due sorelle minori.

<< E scusami per ciò che ti ho detto. Non volevo darti della... della... >>

Tessa le fece cenno di tacere, sorridendole, visibilmente più rilassata. << Non preoccuparti. So che non lo pensavi davvero. >>

Quando si staccarono dall'abbraccio, le tre iniziarono a parlare del più e del meno. Quando la tensione svanì del tutto, Corine propose due o tre nomi assurdi per il bambino, che non rientravano affatto nei gusti di Tessa. Quest'ultima, però, si accarezzò appena il ventre, ancora piatto, e con lo sguardo vago, sussurrò: << Logan. Se sarà maschio, si chiamerà Logan. >>

<< E se sarà femmina? >> Chiese Corine, sorridendo per la dolcezza con la quale l'amica aveva sussurrato quel nome.

Tessa guardò dapprima Edith e poi la bionda impicciona. << Olivia. >> Rispose, poggiando la testa sullo schienale della poltrona sulla quale era seduta e chiudendo gli occhi. Si addormentò nel giro di mezz'ora.

Intendeva mantenere la promessa che aveva fatto a Tessa. Del resto erano tutti sotto un cielo con un destino incerto, domani avrebbe avuto bisogno lei di aiuto. Non c'era tempo di lasciarsi andare a pregiudizi medievali e in quel pensiero, Modesty, si trovava pienamente d'accordo. Tanto che annuiva e sorrideva nella testa di Edith. Dopo che Tessa si era addormentata, Corine aveva chiesto all'amica come intendeva aiutare l'altra. La bruna la aveva risposto che non ne aveva idea, ma non era così. Lei sapeva dove andare a chiedere aiuto. Ad una donna che difficilmente le avrebbe rifilato una risposta positiva, ma valeva la pena tentare di convincerla. Prima, però, doveva ritrovare il numero del locale e aspettare che in casa non ci fosse nessuno per telefonare. Se aveva fortunata, magari, trovava casa ancora vuota.

Così entrò nella sua abitazione in punta di piedi, come un ladro, e richiuse la porta lentamente. Si tolse le scarpe e le lasciò accanto all'appendiabiti. Si guardò intorno, lanciò un'occhiata alla cucina e al piccolo soggiorno e non trovò nessuno. Non si sentiva neanche l'odore di sigaro nell'aria, segno che non c'era neanche suo padre. Scattò quindi di corsa su per le scale, spalancando la porta della sua stanza e notando solamente in quel momento il suo letto ancora disfatto. Kara le avrebbe fatto una ramanzina che non si sarebbe dimenticata facilmente. Le parve di sentire già i suoi passi avanzare per la sua stanza. Ma di vero c'era solo un tuono nel cielo che minacciava una tempesta. Edith andò verso la scrivania e aprì il libro di filosofia dove, alle ultime pagine, c'era un foglio piegato con una scritta che era il nome del locale: Rosa negra. Lo strinse in una mano e uscì di corsa dalla stanza per recarsi al telefono. Per poco non cadde a terra verso gli ultimi scalini per la fretta, ma riuscì ad aggrapparsi alla ringhiera bianca delle scale e a non perdere l'equilibrio.

Poi un odore nauseante si insidiò nelle narici, dandole un senso di fastidio e vomito. Il cuore le balzò in gola e, frettolosamente, nascose il biglietto di carta in una tasca provvisoria del suo maglione. L'odore del sigaro si espanse per tutta l'aria in poco tempo. Volse lo sguardo verso il soggiorno e vide che si era creata una nuvola di fumo accanto al camino e che proveniva verso destra, dal divano. Si avvicinò all'uscio della stanza e vide sua sorella seduta sul sofà e con il sigaro in mano che tirava ampie boccate di fumo. Non aveva mai visto Kara fumare, l'odiava. Diceva che faceva male alla salute ed era vero. Edith la osservò meglio e vide che aveva gli occhi cerchiati di rosso e stava piangendo. Forse era successo qualcosa con Garrett.

<< Non ti ho sentita tornare. >> Disse, manifestando così la sua presenza ed entrando nella stanza.

Quando Kara la guardò, non sembrava affatto sorpresa di ritrovare la sorella minore già a casa. La squadrò per un istante, il tempo necessario di riprendere fiato, per poi singhiozzare nuovamente.

<< E' successo qualcosa con Garrett? >> Chiese ancora Edith, più allarmata di prima e avvicinandosi alla sorella.

<< Stammi lontano! >> Urlò di rimando la mora, alzandosi di scatto e osservandola quasi disgustata.

<< Kara, calmati. Vuoi dirmi cos'è successo? >> Il cuore di Edith prese a martellare prepotentemente nella gabbia toracica, minacciandole di esplodere da un momento all'altro. Non faceva che ripetersi che sì, doveva essere successo qualcosa con il suo fidanzato per stare così male. Non c'erano altre spiegazioni. Lei non aveva fatto nulla.

<< Te lo spiego subito. >> Rispose con finto sarcasmo, sbattendo poi sul tavolo di vetro delle fotografie.

Non appena Edith vi posò gli occhi sopra, sentì chiaramente un esplosione. Il suo cuore. Tutto sembrò crollare intorno a lei. Primo su tutti il masso di bugie che aveva creato in quei mesi, le sue identità perennemente in contrasto e il falso tentativo nel nascondere tutto. Si era illusa di poter tornare a vivere come se nulla fosse mai successo ma Modesty l'aveva messa in guardia. C'erano sentieri dove era impossibile fare dei passi indietro, si poteva solo peggiorare o migliorare. E adesso lei era peggiorata e stava crollando. Si era frantumata in mille pezzi per la vergogna. Ma non per essere stata scoperta in quel modo, ma per essersi convinta, giorno dopo giorno, che bastasse scappare per ripudiare qualcosa. Ora scopriva che non era così. La fuga non risolveva mai nulla.

Prese in mano una delle venti –ad occhio e croce- fotografie sparse per il basso tavolino di vetro. In bianco e nero si poteva distinguere benissimo la sua figura accanto al palo sul palcoscenico della rosa negra. C'era una foto per ogni mossa. Lei che si aggrappava a quell'asta di ferro, che si toglieva i vestiti, che lanciava maliziose occhiate al suo pubblico, che si immergeva nella schiuma che fuoriusciva dalla vasca da bagno, uno dei suoi ultimi spettacoli.

<< Perché hai fatto questo alla tua famiglia? Perché, Edith? >> Chiese con tono più calmo, respirando un'altra boccata di fumo. << Dimmi perché hai fatto tutto questo! Dimmelo! >> Urlò nuovamente poco dopo, facendo sobbalzare la sorella minore.

Edith buttò la foto che aveva tra le mani insieme alle altre. Alzò lo sguardo verso Kara, che aveva gli occhi chiari che minacciavano di uscirle fuori dalle orbite per il nervoso e la rabbia. Aveva sempre saputo che, prima o poi, quel giorno sarebbe arrivato. Una bugia non poteva essere nascosta in eterno. Invece che sentirsi dispiaciuta o pentita, si sentiva solo arrabbiata. Era stata scoperta sì, aveva agito di nascosto, ma ogni azione proviene da un motivo. E se Edith non aveva una motivazione fatta bene, Modesty l'aveva. Era stanca di vivere all'ombra di qualcuno, stanca di dover soccombere e stanca di non potersi esprimere come voleva per i pregiudizi della gente. Era il momento per Edith di starsene zitta e buona in un angolino, mentre a parlare sarebbe stata Modesty.

<< Vuoi saperlo? Te lo dirò. >> Kara sbarrò gli occhi dinanzi al tono di sfida della sorella, ma la lasciò continuare. << Perché ero stanca di vivere in questa casa dove regna l'assoluto silenzio. Da quando è morta nostra madre non c'è mai stata una risata, un sorriso o una carezza. Solo l'altra sera mi sembrava di essere tornata a quei giorni felici. Ma è durato poco. Nostro padre si è chiuso in se stesso e l'unico essere con la quale parla sono i suoi sigari. Tu non fai che pensare a te stessa! Ti sei mai chiesta io cosa volevo? Ti sei mai chiesta se ero felice veramente? No. Da quando Garrett ti ha chiesto di sposarlo poi, sei diventata più sopportabile ma sembra che tutto ruoti attorno a te. Per anni sei stata una zitella acida e hai sfogato su di me tutta la tua frustrazione e il dolore della morte di nostra madre! Come se il dolore fosse solamente tuo! >>

Forse sua sorella non aveva neanche sentito l'ultima frase. Non capiva il dolore che le aveva provocato in quegli anni, non capiva che ballando si era sentita un'altra persona e che voleva tornare a farlo. Abbandonare sembrava la cosa giusta ma era quello che voleva Edith, quello che voleva Modesty, invece, era solo liberarsi di quel corpo ed emergere. Non voleva più soffocare in qualcosa che non le apparteneva. E se ciò significava sacrificare Edith, l'avrebbe fatto. Anche Modesty meritava una possibilità. Intanto lasciava che la proprietaria del suo corpo si massaggiasse la guancia dove si poteva vedere un fresco segno rosso dello schiaffo di Kara. Quest'ultima ansimava per la rabbia, con il cuore a pezzi, ferita nell'anima e nel profondo. Dentro la donna si fece strada la consapevolezza di aver fallito come sorella e come madre che in parte era stata per Edith. Chissà se suo padre la reputava un fallimento anche come figlia. Dopo anni se lo chiese in quell'istante.

Kara lasciò che la rabbia si dissolvesse un poco, per riottenere la lucidità che le serviva per mettere insieme una frase di senso compiuto. << Ti ho amata, Edith. Come una sorella, come una figlia. Se a volte ero severa, era perché il mio ruolo mi imponeva di esserlo. Ma mi illudevo se pensavo che, il consiglio che potevo darti io, poteva essere uguale al consiglio che poteva darti nostra madre. Sono sicura, però, che per aver fatto questo qualcuno deve averti ingannata, deve averti promesso qualcosa... io non c'è l'ho con te, c'è l'ho con me stessa. Perché dovevo impedire che accadesse una cosa del genere, dovevo... >>

<< No. >> La interruppe, sentendo gli occhi un poco lucidi, ma non per lo schiaffo. Era Edith a piangere, sentendo le parole della sorella. Parole che le facevano male. Modesty rassicurò l'intrusa che presto sarebbe finita, il dolore che avrebbe sentito era inevitabile, se voleva permettergli di vivere. << Nessuno poteva evitarlo. Ed ora che sai la verità, onestamente, mi sento meglio. Nessuno mi ha costretta a fare niente che non volessi. >> Ammettendo la sua colpa, avrebbe recato ancora più dolore ad entrambe ma doveva farlo. Una volta per tutte.

Kara si lasciò crollare sul divano, osservando un punto indefinito davanti a se, mentre le lacrime continuavano a scendere copiose sulle guance bianche. Si impose, ancora una volta, di tornare nel ruolo di sorella maggiore.

<< Parlerò con nostro padre, affinché ti metta al sicuro da qualche parte. Hai bisogno di aiuto, Edith. Tu non sai quello che dici. Credo che un'educazione religiosa ti schiarirà le idee. >>

Un'educazione religiosa valeva a dire un convento. No, non ci avrebbe ma messo piede. Sarebbe impazzita lì dentro. Doveva andarsene, scappare. Scappare, sì. Modesty soffocò le proteste di Edith a quell'idea che più si avvicinava alla porta d'ingresso, più diventava reale. Quando vide che fuori pioveva, si disse che se non lo faceva adesso, non l'avrebbe fatto mai più. Presa da un impeto di ira, si mise a correre a piedi nudi sul suolo freddo e umido dalla pioggia che insieme alla neve, sciolse anche la catena che la teneva legata a quella casa, a quel quartiere. Chiuse gli occhi con forza, sentendo sua sorella chiamarla a gran voce. Ma lei non la sentiva. Perché il nome di Edith non le apparteneva più, il suo corpo non si sarebbe mai più girato d'istinto ad udirlo. Lei era Modesty, soltanto Modesty. E come una pecora che tornava al suo ovile, lei tornò alla rosa negra. Aveva il fiatone e aveva rischiato di essere investita più volte, ma era lì adesso. Era nella sua vera casa.

<< Lavdor! Lavdor! >> Urlò, battendo la mano sulla porta chiusa. Provò a guardare all'interno, per vedere se c'era qualcuno ma le luci erano tutte spente. << Lavdor! >> Urlò di nuovo, battendo più forte. Poi si accese la luce nella sala e il cuore prese a batterle di nuovo, per l'emozione stavolta. Poco le importava se lo zingaro non gradiva che venisse chiamato col suo vero nome. Non aveva più alcuna importanza in quel momento. Lo vide avvicinarsi e aprire la porta. Edith entrò senza indugiare e la sbatté dietro di se per richiuderla. Aveva i capelli fradici, i vestiti zuppi e i piedi doloranti, ma non poteva essere più felice che trovarsi lì.

<< Edith... che ci fai qui? >> Sebbene le sue parole risultarono sorprese, la sua espressione non lo era affatto. Ma del resto era famoso anche per nascondere bene ciò che provava.

La ragazza le si avvicinò e gli prese il volto tra le mani. << Modesty. >> Lo corresse lei in tono basso, soffuso. Senza attendere oltre, posò le sue labbra su quelle dello zingaro, sentendo la mano di quest'ultimo insinuarsi sotto il maglione. Per troppo tempo aveva desiderato che quelle grandi mani scure toccassero il suo corpo. Quello sarebbe stato il primo passo verso la rinascita definitiva di Modesty e la morte inevitabile di Edith.

Lavdor la tirò su, senza mai staccare le labbra dalla bocca famelica della ballerina, e la portò nella sua stanza. La ragazza si sentì adagiata sul materasso del letto e quando si staccò da lui per un breve istante, vide che sugli scaffali non c'era più niente e tutto era di nuovo coperto da un lenzuolo bianco, tranne il letto dov'era seduta che era disfatto. Notò su un comodino, accanto ad una cucina vuota, una bottiglia di whisky con un bicchiere vicino.

Si spogliò dei suoi indumenti, come fossero stracci usati, e li lanciò lontano. Lavdor la guardava, imitandola poco dopo. Negli occhi di entrambi c'era un luccichio di malizia e lussuria che da troppo tempo chiedeva di essere appagata. La bocca dello zingaro si gettò su i capezzoli di Modesty, che a bocca semiaperta si godeva quel trattamento. Con le mani accarezzava il corpo dell'uomo e con i piedi andò a stuzzicare il suo membro. Non ne aveva mai visto uno da vicino e doveva ammettere che un po' la incuriosiva. Non avrebbe chiesto il permesso, stavolta. Perché Modesty era tremendamente sfacciata e maliziosa. Tra le sue gambe vi era la prova della sua eccitazione, che come un miele colava e veniva raccolto, alcuni istanti dopo, dalla lingua di Lavdor. Stava per donarle un piacere maggiore di quello che aveva provato l'ultima volta, solo con l'uso della lingua. Dal canto suo, Modesty continuava a stuzzicarlo col piede, lo sentiva duro tra le dita. Scivolò sotto di lui, sfuggendo al controllo delle sue labbra, e assaporò la sua virilità. Stava facendo tutto ciò che la mente le diceva di fare. Edith si sarebbe vergognata troppo, ma Modesty no. Sentire i gemiti dello zingaro non facevano che aumentare il desiderio di essere posseduta, di essere libera di provare sensazioni nuove. Lavdor la ritirò su, ricatturando con violenza la sua bocca e spalancandole le gambe. La voleva macchiare, possedere, toglierle quel bianco puro che la rendeva immacolata.

Modesty graffiò la sua schiena, sentendo il suo desiderio bussare alla porta del suo fiore e qualche attimo dopo entrare, penetrandola. Lo zingaro tappò l'urlo di sorpresa di Edith con la propria bocca, giocando con la sua lingua. Affondò sempre di più in lei, strizzando con una mano un seno per provocarle dolore e piacere allo stesso tempo. Fece scendere la propria lingua sul suo collo candido, marchiandolo con piccoli morsi come un vampiro, mentre nelle orecchie aveva la musica dei suoi gemiti. La sua espressione era contratta dalla beatitudine dell'unione dei corpi, di quel dolore piacevole che il membro le procurava. Dentro di lei, Modesty lo sentiva lacerarla sempre di più e sempre più affondo, arrivandole fino all'anima. Facilitò le sue spinte alzando il bacino un poco all'insù, mentre Lavdor le fece passare le gambe intorno al collo e lei, istintivamente, le strinse.

Perché nessuno gli aveva mai spiegato quanto c'era di bello di una cosa come quella? Perché la gente appariva così scandalizzata da una cosa tanto normale? Eppure si trattava degli attimi più belli nella vita di un essere umano. Persa in quei pensieri, sentì Lavdor fermarsi improvvisamente. Riaprì di scatto gli occhi, guardandolo confusa e con le labbra tremanti.

<< Continua. >> Lo pregò lei, con voce roca, credendo di perdere anche l'ultimo briciolo di lucidità rimasta.

Sulle labbra scure dello zingaro apparve un sorriso malizioso. << Ti ho desiderata da sempre. >> Disse, riprendendo a spingere dentro di lei. Modesty restò con gli occhi aperti, stavolta, osservando come la possedeva e il suo volto. Alcuni fili di capelli neri intrisi di gel, erano ricadute sul viso. Dalla sua bocca usciva del respiro condensato.

<< Lo so. Anche io. >> Confessò tra i gemiti, aggrappandosi nuovamente a lui. Lavdor le morse selvaggiamente il mento, sentendo ormai il piacere arrivare al culmine. Aumentò le spinte, osservandola stringere gli occhi. Uscì da lei prima di liberarsi nella culla del suo ventre, riversandosi sulle lenzuola.

Modesty riprese a respirare regolarmente, ansimando e sentendosi sfinita più della corsa di prima. Rotolò accanto a lui, con i corti capelli castani sparsi sul materasso, sfatti come se fosse passata sotto un tornado e il paragone non era poi così lontano dalla realtà. Lavdor la strinse a se, facendole poggiare il capo sul suo petto privo di peluria. Con l'orecchio su di esso, Modesty poteva sentire i battiti del suo cuore, registrandoli mentalmente si rilassò nella beatitudine nell'essere cullata. Tra le sue braccia poteva sentirsi protetta da ogni pregiudizio o pettegolezzo. Il bacio che Lavdor le lasciò sulle labbra poi, eliminò ogni dubbio di pentimento.

<< Devo chiederti un favore. >> Le prime parole dopo l'amplesso suonarono rilassate, meno confuse di quelle di prima. Ora aveva la sua completa attenzione su di se.

<< Dimmi. >> Lo zingaro le accarezzò una guancia, spostandole una ciocca di capelli che le era ricaduta sul viso e che oscurava l'immagine del suo volto.

Modesty posò le labbra sul suo petto, lasciando un bacio casto ma passionale, tornando poi ad esporre la sua richiesta. Nuda e rannicchiata contro il suo corpo, sul lenzuolo macchiato della sua purezza perduta, poteva sentirsi finalmente se stessa. Da quella angolatura aveva una visuale del mondo completamente diversa ed ora lo vedeva per ciò che era, folle ed onirico, dove tutto era concesso.



Wolf's note:

Et voilà! Finalmente sono riuscita a pubblicare il nuovo capitolo (primo del nuovo anno); capitolo che secondo me è la chiave proprio della storia, come scopriremo più avanti. Vorrei scusarmi per avervi fatto aspettare così tanto dalla data prevvista (ovvero il 13 Gennaio). E' quasi passata una settimana... e solo che sull'ultima parte non ero molto convinta, tanto che l'ho riscritta più volte. Anche perché descrivere una scena erotica non è facile per niente. Ma giacché l'erotismo è uno degli ingredienti base della storia, bisogna che ci sia. 

Il prossimo capitolo è prevvisto per la prossima settimana, Giovedì 26 Gennaio. Stavolta vorrei mantenere questa scadenza e spero di riuscirci. Per ogni ritardo o avviso vario, comunque, vi invito a mettere "mi piace" alla mia pagina d'autore su Facebook, che trovate sulla mia pagina d'autrice qui su Wattpad. Come sempre grazie a voi lettori per sostenermi con i vostri voti e i vostri commenti. Grazie di cuore! <3 Alla prossima settimana!

P.S. Grazie anche ad alcuni di voi che tramite commento o messaggio privato mi hanno fatto notare alcuni errori di battitura. Penserò a correggerli. Grazie.

Bạn đang đọc truyện trên: Truyen2U.Pro