Capitolo 15

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... è il tempo che hai perduto. Per la tua rosa che ha fatto la tua rosa così importante.

-Il piccolo principe.-


Aprile 1974, Parigi.

Il cielo della capitale francese iniziò a dipingersi di lillà. Con tenue sfumature sul violaceo e spruzzate di bianco qua e là. L'alba, il sorgere di un nuovo giorno, sarebbe stato sempre un quadro astratto agli occhi delle persone. Simile a quelli che si vedevano per le strade, nei pressi della Senna, dipinti da semplici principianti che regalavano ai viandanti paesaggi che ogni giorno si mostravano sotto i loro occhi.

La prima volta che aveva visto un quadro era a sei anni. Era quello che, per molto tempo, era stato appeso sulla parete del soggiorno. Un paesaggio molto caotico. Per la sua tenera età riuscì a distinguere difficilmente una campagna con un mulino, e dei tulipani in un campo verde. Anni più tardi, avrebbe capito che la tecnica usata da quel pittore senza nome era l'impressionismo. Ora che poteva osservare un quadro da vicino, un ritratto reale della bella Parigi, Edith poté finalmente dare un nome alla sensazione che provava: tranquillità. Come era la stessa città alle prime luci della mattina e come lo era il The Mistress, quando le persone dormivano ancora nei loro letti, Madame compresa.

Ma fu solo questione di minuti, secondi. Edith lo sapeva. Da qualche mese ormai, aveva una sveglia molto speciale per farle capire che era tardi e che doveva iniziare a prepararsi per la mattinata che l'attendeva. Infatti, esattamente sei secondi dopo aver formulato quest'ultimo pensiero e localizzato la vestaglia di raso avorio, poggiata su una sedia accanto alla porta, un pianto squarciò la tranquillità che per poco era venuta a crearsi. Per l'esattezza, il pianto di un bambino.

Da i corridoi si potevano già udire le porte aprirsi e i borbottii di alcune ballerine del locale. Ma a far tacere tutte, arrivò ben presto la voce di Madame. << Tornatevene nei vostri letti! E ricordate che alle dieci vi voglio nel salone, non ammetto i ritardi! Sono stata chiara?! >> L'autorità della proprietaria mise a tacere tutte le lamentele e, ben presto, in risposta, si udirono solamente le porte di alcune stanze richiudersi.

Oh, sarebbe piaciuto anche a lei rimettersi a letto fino alle nove. Ma non poteva, altrimenti sarebbe stato più complicato alzarsi dopo. Senza contare che aveva la mattinata piena di cose da fare, commissioni per il locale e le prove del nuovo numero con le altre ballerine. Scostò le coperte e, in modo deciso, spinse il corpo affinché i suoi piedi toccassero il pavimento.

<< Dove vai? >>

Modesty si voltò verso l'altro lato del letto, da dove proveniva una voce impastata dal sonno.

<< Vado ad aiutare Madame. Tu resta a letto, è ancora presto. >> Rispose, chinandosi poi verso Lavdor per lasciarli un casto bacio sulle labbra. Ma ancor prima di toccare la sua bocca, lo zingaro, prese alla lettera il suo consiglio e, girandosi verso l'altro lato, tornò al suo sonno, ignorandola.

Edith, un po' frastornata da quel rifiuto, raccolse la vestaglia e, indossandola, uscì dalla stanza. Il corridoio era illuminato dalle luci alle pareti e poche porte erano aperte. Superando una di queste, colse la figura di Fatmir intenta a vestirsi. Nel vederla, quest'ultima, le fece un cenno di saluto che ricambiò. Negli anni avevano imparato a sopportarsi a vicenda, e il fatto che la bionda non fosse più tra gli interessi dello zingaro aveva aiutato parecchio. Altre ballerine, poi, si erano unite alla loro compagnia, l'or più si trattavano di francesine di gradevole aspetto, che sembrava avessero uno standard diverso dalle americane come lei. Alte, slanciate, bionde e dagli occhi chiari. Vocine dolci dalla R moscia e lunghe ciglia nere. Potevano essere simili a Fatmir. Edith e Madame, invece, facevano parte di un'altra categoria che la clientela, però, non rifiutava di certo.

Quando Modesty arrivò nella stanza della padrona, simile per arredamento e stile alla sua, vide la figura di quest'ultima con in braccio il bambino nel tentativo di calmarlo. Un'immagine amorevole, che non aveva niente a che fare con quel locale dove si vendeva il proprio corpo per intrattenimento alla migliore clientela parigina.

<< Scusami se vi ho svegliate. Le altre si lamentano di già. >> Le rivolse la parola la mora, non alzando lo sguardo su di lei. L'aveva vista entrare con la coda dell'occhio.

Modesty le si avvicinò, scuotendo appena la testa. Con i bordi della vestaglia che fluttuavano, sembrava quasi un fantasma. << Non scusarti. Ero già sveglia. >> Agitò un dito di fronte al bimbo di pochi mesi e questo iniziò a ridacchiare soave. Ciò fece sorridere anche lei.

<< Ti apprezza. Più di me. >> Quella di Madame poteva suonare come una lamentela, per gli altri. Edith, invece, riuscì a cogliere la sfumatura di delusione in quelle parole.

<< Non è vero. Tu sei sua madre e sente la tua presenza. I bambini sorridono per qualsiasi cosa, specialmente in una tenera età come questa. >>

<< Sua madre, certo. Una spogliarellista. >> Commentò, più a se stessa che alla sua interlocutrice. Madame si alzò, riponendo con cura il bambino nella culla e coprendolo con delle copertine celesti, un dono delle ballerine del locale.

<< Non è colpa tua. E' stata una tua scelta, come lo è stata la mia. Nessuno ci ha costrette, Brigitte. E l'abito non fa il monaco. Poco importa che professione svolgi, vedrai che quando avrà l'età esatta per capire, ti amerà più di qualsiasi altra cosa al mondo. Come tu ami lui. >> Come per concordare a quelle parole, dalla culla, Sébatien –questo era il nome del bambino- ridacchiò, agitando una manina in alto.

Madame si voltò verso di lui, pensierosa, e poi tornò a guardare Edith. << Il tempo è un gran rimedio. >> Si limitò a risponderle, come a darle ragione, ma in modo vago. Raramente Brigitte Mureau accettava consiglia altrui, ma solo quella ragazza, così simile a lei per storia e carattere, poteva vantarsi nel dire di essere la sua migliore consigliera. Anche per questo, le altre ballerine, erano un poco invidiose. << Keler è giù che ti aspetta. Devi incontrare Monsieur Séverin alle otto e mezza. Poi, questa sera, ci sarà un ospite speciale che desidero che tu conosca: Fabian Dupuis, ci fornirà il nostro nuovo locale. Se questa sera andrà bene, mi aspetta anche la mia paga da parte di Flavie. Se vuole che continuo a tenere la bocca chiusa con la sua famiglia. Quell'idiota senza cervello! >> Esclamò Madame, in modo rabbioso. Una reazione che avrebbe avuto chiunque dopo ciò che aveva passato alcuni mesi fa.

Flavie La Fontaine era il padre di Sébatien, se padre si poteva realmente definire. Da quando era nato il piccolo, raramente si faceva vedere da quelle parti. Quando lo faceva non era perché voleva vedere il figlio, ma solo per dare delle cospicue somme mensili a Brigitte, affinché tenesse la bocca chiusa. La famiglia di Flavie era benestante e quest'ultimo diceva di essere uno dei discendenti di Jean de La Fontaine, il famoso scrittore francese. Edith stessa non ci credeva poi tanto, lo riteneva un ciarlatano, come tutti gli altri. Il fatto che fosse già sposato e con una figlia, poi, complicava di molto la situazione. Madame non si era strappata i capelli dalla disperazione, quando aveva saputo che Flavie non le aveva raccontato altro che bugie. Come sempre, si era rimboccata le maniche e aveva promesso, in una preghiera, di prendersi cura di quel bambino con tutto l'amore che sarebbe riuscita a dargli. In tutto ciò, ognuno ci guadagnava. Flavie che aveva le spalle coperte, Madame che ricavava soldi extra per il bambino ogni mese, e tutti erano contenti. Sébatien, ignaro di qualsiasi cosa avvenisse alle sue spalle, se ne stava lì a ridacchiare, mangiare, dormire e piagnucolare. Ma con quelle guance paffute e gli occhi che ridevano, come si poteva non amarlo e riempirlo di baci?

Nei momenti liberi, Edith stessa prendeva un libro e si metteva vicino alla culla per leggergli una favola. La sua voce, come spesso Madame le ripeteva, lo faceva calmare in un modo particolare. Dormiva dopo poche righe lette.

<< Prima di andare via, ti dispiace guardarlo un momento? Mi vesto e lo porto giù. >> Disse Madame, riscuotendola dagli avvenimenti passati di alcuni mesi fa.

Annuì, guardandola andare nell'altra stanza comunicante. << Certo. >> Sussurrò in risposta, più a se stessa che alla padrona.

Edith osservò Sébatien ridacchiare senza motivo e alzò il volume della risata quando, la giovane, fece fare capolino la sua testa nella culla. Dal tavolo vicino prese il libro che gli leggeva sempre: Il piccolo principe. Un racconto molto significativo, che mostrava appieno due aspetti della vita: l'amicizia e la furbizia. Lo aprì ad una pagina a caso, iniziando a leggere con gli occhi prima e con la bocca dopo.

"Buongiorno", disse il Piccolo Principe.

"Buongiorno", disse il mercante.

Era un mercante di pillole perfezionate che calmavano la sete. Se ne inghiottiva una alla settimana e non si sentiva più il bisogno di bere.

"Perché vendi questa roba?" disse il Piccolo Principe.

"È una grossa economia di tempo" disse il mercante. "Gli esperti hanno fatto i calcoli. Si risparmiano cinquantatré minuti alla settimana."

"E cosa se ne fa di questi cinquantatré minuti?"

"Se ne fa ciò che si vuole..."

"Io", disse il Piccolo Principe, "se avessi cinquantatré minuti da spendere, camminerei adagio adagio verso una fontana..."

<< Grazie, Modesty. Puoi andare. >> La interruppe Madame, tornando vestita di un abito a pelliccia rosso e nero e un capellino con una retina, anch'essa nera, con una piuma rosso sangue.

<< Non ringraziatemi, Madame. Lo faccio molto volentieri. >> Rispose lei, posando poi il libro sul tavolo, accanto alla culla. Chinandosi su di essa, poi, lasciò un bacio sulla fronte di Sébatien. In risposta ridacchiò, come sempre. Almeno lui non si era girato dall'altra parte. << A più tardi. >> Sussurrò a quest'ultimo, prima di salutare con un sorriso Madame e uscire dalla stanza. Prima di farlo, però, uno sguardo –un poco malinconico- appartenuto, molto probabilmente, ad Edith, cadde su una riga del libro. Una frase continuò a risuonarle nella mente, anche quando era diretta verso la sua stanza: "E' il tempo che hai perduto. Per la tua rosa che ha fatto la tua rosa così importante."

Mon histoire c'est l'histoire d'un amour./ Ma complainte c'est la plainte de deux coeurs./ Un roman comme tant d'autres, qui pourrait être le vôtre./ Gens d'ici ou bien d'ailleurs.

<< Stop! >> Il grido di Monsieur Séverin fece arrestare pure lei che, istintivamente, si coprì il petto nudo con le braccia. << Voglio movimenti più veri, mademoiselle Blaize. Veri, mi sono spiegato?! >> Modesty annuì, incapace di fare altro. << Ricominciamo. Musica, prego! >>

C'est l'histoire d'un amour éternel et banal./ Qui apporte chaque jour tout le bien, tout le mal./ Avec la roue l'on s'enlace. Celle où l'on se dit adieu./ Avec les soirées d'angoisse./ Et les matins merveilleux.

Ondeggiò i fianchi, facendo calare lentamente il pizzo degli slip che indossava. In quella sala del teatro del Grand Guignol, esistevano solo le parole di Dalida e della sua canzone. Il tema, poi, sembrava adatto a lei. E solo quando trovava sintonia nella canzone che seguiva il suo spogliarello, riusciva a trovare la sintonia con il corpo di Modesty, che ormai esisteva da ben quattro anni, calando un sipario perenne sulla vita di Edith Colvin.

I suoi capezzoli rosei e i suoi seni bianchi sembravano brillare alla luce del teatro. I suoi movimenti non erano per nulla scontati e anche quando riuscì ad aggrapparsi all'asta, per girare attorno al ritornello della canzone, riuscì a cogliere l'essenza e la sfumatura giusta della seduzione. Di quella proibita. O almeno era ciò che ogni proprietario, dei teatri di Parigi, le aveva detto da quando abitava lì.

<< E' troppo piccola. Sembra una ragazzina! >> Gridò ancora Monsieur Séverin, voltandosi poi verso Keler, che era seduto al suo fianco con davanti un bicchierino di whisky vuoto. << Madame Pussy mi aveva assicurato una spogliarellista con esperienza. Immaginavo che intendesse anche con un fisico adeguato alla clientela del Grand Guignol. >>

Ancor prima che Keler potesse replicare, la lingua di Modesty si mosse più velocemente. << La clientela del vostro teatro non è maggiore a quella del The Mistress. Lì nessuno si è mai lamentato delle mie performance! >>

Monsieur Séverin si voltò verso di lei, fulminandola con lo sguardo. L'omone dall'aspetto grasso e dall'altrettanta pancia grassa sembrò non apprezzare le sue parole. Ma era stata offesa e voleva almeno difendersi, visto che Keler neanche se lo sognava di farlo.

<< Taci donna, non sto parlando con te! >>

<< Modesty è un tantino di malumore oggi. Non preoccupatevi, Monsieur. Farò sapere a Madame che non siete interessato a mademoiselle Blaize. Le dirò di farvi recapitare un'altra ballerina, con più esperienza. >> Disse Keler, fulminando Modesty con lo sguardo che, ancora sul palco, stava già radunando i suoi indumenti per rivestirsi.

Quando uscì non salutò neanche il proprietario, con i suoi modi rozzi e l'alito puzzolente. E la bellezza di quel teatro poi, rispecchiava proprio l'animo di Monsieur Séverin.

Modesty camminava sul marciapiede delle strade parigine. Di mattina, il traffico era il maggior intrattenimento che si poteva trovare. E la gente che se ne stava seduta nella propria auto o sbuffava, o suonava il clacson per incoraggiare la macchina davanti a proseguire più veloce, oppure tamburellava con le dita sul proprio volante in attesa di muoversi.

Keler la inseguì quasi correndo. << Lo zingaro non sarà contento di sapere che non ti hanno scelta. >>

<< E cosa posso farci?! Ero me stessa lì, su quel palco. Eppure lui ha dovuto trovare una pecca a tutti i costi! La verità era che non ero di suo gradimento. >> Replicò lei, irritata dalle offese ricevute da Monsieur Séverin.

<< Allo zingaro non piacerà ugualmente. Lui non è un tipo che apprezza le cattive notizie, qualunque sia la causa. >> Svoltò nel parcheggio dietro il teatro, seguendo la ragazza. << Poi vorrei darti un consiglio, per una possibile prossima volta. Tenta di morderti la lingua. Potevo ancora convincere il tizio ha darti quell'ingaggio ma le tue parole hanno procurato ancora più danni. >> Commentò, aprendo lo sportello dell'auto.

Modesty lo seguì, sedendosi al posto del passeggero. << E quindi dovevo starmene zitta? Mi ha dato della ragazzina! >>

Keler sembrò ghignare, mettendo in moto. << Perché, dimmi, cos'eri quattro anni fa? Una timorata di Dio che aveva paura ad entrare in un locale notturno. Ora ti arrabbi se ti danno della ragazzina quando, in parte, lo sei ancora? >> Uscì dal parcheggio, cercando di evitare il traffico prendendo un'altra strada.

<< Non ti permetto di parlarmi così! >>

<< Va bene ma non arrabbiarti. Abbiamo un problema maggiore che queste sciocchezze da quattro soldi. >>

Modesty sapeva di cosa stava parlando. Un brivido di paura le percorse la schiena al solo pensiero. << Glielo dirò io, al momento giusto. >>

<< Bene. Adesso andiamo alla boutique a sceglierti l'abito per stasera. Ordini della padrona, ti accompagno perché mi ci obbligano. >> C'era dell'ironia in quelle parole ed Edith lo percepì.

Storse il naso ma evitò di replicare, voltando lo sguardo verso il finestrino e osservando le affollate strade di Parigi. Avrebbe dovuto trovare un modo per dire allo zingaro che non era stata accettata. Percepiva già il suo sguardo d'ira sul proprio corpo, da qualche mese sembrava che litigare fosse il suo passatempo preferito.

Quando tornò al The Mistress, verso l'ora di pranzo, ad accoglierla furono le note della canzone di Edith Piaf, La vie en rose, che avrebbe accompagnato il suo spogliarello quella sera. Era una delle cantanti francesi che aveva iniziato a sentire, al suo arrivo a Parigi. Forse per il nome in comune, forse per la storia un poco simile, fatto sta che le piaceva la voce di quella donna.

Le ballerine del locale erano nella sala a provare, sotto la supervisione di Madame, mentre il bambino era affidato alle cure di una anziana donna che abitava lì vicino e lo faceva giocare sulle sue gambe.

Con la scatola del vestito tra le mani, Modesty salì sulle scale che conducevano nella sua stanza. Il tempo di cambiarsi, scendere giù e provare con le altre prima di una pausa pranzo. Quando aprì la porta della stanza vide che il letto era già stato fatto e di Lavdor nessuna traccia. Anche la porta del bagno comunicante era chiusa e non proveniva alcun rumore da lì. Doveva aver lasciato il locale un'ora dopo di lei, come succedeva sempre. In quei giorni non riuscivano mai ad incontrarsi, solo la notte trovavano pace e serenità l'uno tra le braccia dell'altro.

Ripose la scatola nell'armadio ad ante e, chiudendolo, fece volare lo sguardo sulla scrivania. Su di essa, vuota intorno, vi era al centro una scatola nera. Incuriosita l'aprì, notando che qualcuno l'aveva fatto prima di lui giacché il fiocco blu notte era già sciolto. Alla luce del giorno scoprì un bellissimo collier di diamanti bianchi, in forma piccola, che sembrava più la coda di un serpente. La cosa che saltava subito all'occhio, però, era la goccia di pietra trasparente che ricadeva al centro. Più su, notò due orecchini della stessa somiglianza alla collana. Era stupenda. Gioielli di quel tipo si potevano vedere solo al collo delle dive di Hollywood o sulle riviste di moda. Un sorriso nacque sul suo volto, mettendo a tacere le lamentele di Edith.

Certo, Lavdor era solo preoccupato per i suoi affari. In nessun modo poteva avercela con lei, anche perché si comportava esattamente come voleva lui. Tralasciando per un istante il fatto che non era stata ammessa da Monsieur Séverin, e che questo l'avrebbe irritato molto, si poteva dire soddisfatta. Insomma.. doveva essere proprio per lei. Sentendo dei passi lungo il corridoio, si destò in fretta dal sogno, e richiuse la scatola rimettendola sulla scrivania così come l'aveva trovata. Tornò all'armadio, facendo finta di sistemare i vestiti. Come immaginava, la porta si aprì poco dopo e, con sommo dispiacere da parte di Modesty, Keler entrò nella stanza.

<< Scusa ma Lavdor mi ha fatto sapere che voleva che gli portassi qualcosa. E' ad ovest di Parigi, un suo amico aveva bisogno di un consiglio su un locale da risistemare. Ha detto che non tornerà per pranzo, ma sarà puntuale per la festa. Ha detto anche di aver messo la scatola che devo portargli sulla scrivania. >>

Il sorriso di Modesty svanì all'istante, ma cercò di mantenere vive delle briciole di soddisfazioni che andavano a cadere a terra, frantumandosi in mille pezzi. Spostò lo sguardo sulla scrivania e sulla scatola nera che vi era poggiata.

<< Quella lì? >>

<< E' l'unica che c'è. Deve essere quella. >> Rispose Keler, avanzando verso di essa e prendendola in mano. L'aprì per verificare che ci fosse ciò che serviva e annuì. << Sì, è questa. Giù ti aspettano, non fare tardi. >> Detto ciò, uscì dalla stanza lasciando la porta aperta e Modesty con tutti i suoi mille dubbi.

Se quei gioielli erano per lei allora perché riprenderseli? Forse, lo zingaro, aveva paura che lei poteva vederli prima di quella sera. Il suo sorriso speranzoso tornò ad illuminare il suo volto. Sì, doveva essere così.




Wolf's note:

Anche se con ritardo, eccomi qui con il nuovo aggiornamento. Ho avuto un pò di difficoltà nello scrivere il capitolo, non lo nego, ma non per mancanza di idee. Più una questione di "tempo", che probabilmente capirete nei prossimi capitoli. Come avrete già capito, qui abbiamo un salto temporale di ben quattro anni e c'è un riassunto breve e non noioso su ciò che è successo in questo periodo. Vi anticipo già che il prossimo capitolo, che sarà online Giovedì 16 Marzo, presenterà qualche scena un pochino "cruda"... tale avvertimento l'ho inserito anche nella presentazione al prologo della storia. 

Come sempre vi ringrazio per il sostegno, i consigli e i messaggi che mi inviate! E spero che la storia continui ad essere di vostro gradimento. <3 

Alla prossima,

Wolfqueens Roarlion.  

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