Capitolo 16

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Intorno alle undici di sera, la sala del The Mistress era già affollata.

Dal piano superiore, la testolina di Modesty, fece capolino verso il piano inferiore per vedere gli uomini che avrebbero visto lo spettacolo, quella sera. La clientela che c'era lì a Parigi vestiva sempre molto elegante, al contrario di quella di Chicago. Tutti gli uomini si conoscevano, portavano la cravatta scura o uno smoking con papillon, e potevano fumare solo sigari, mentre sul campo alcolici vi era libera scelta. Da dietro il bar, ben fornito, all'angolo dell'entrata, vi era già Keler all'opera con un grembiule nero legato in vita. Puliva il bancone, prendeva le ordinazioni e preparava colorati cocktail, oppure versava singoli liquori.

Dalla porta, che c'era al piano superiore prima della seconda rampa di scale, uscì Fatmir coperta di solo un velo trasparente sul petto. La musica, nella sala, era già finita e così il suo spettacolo. La bionda le lanciò un'occhiata, come di incoraggiamento, e la superò per andare nella sua stanza a cambiarsi.

Ora era il suo turno.

Entrò nella piccola porta che conduceva dietro il sipario del palco, incontrando distrattamente le altre ballerine che si preparavano. Se ne restò in un angolino, aspettando l'inizio della sua canzone e l'apertura del sipario. Era truccata in modo fine e non troppo esagerato, con ombretti sfumati dal lillà al viola scuro, passando per tonalità leggere. La sua bocca era colorata di rosso fuoco e i capelli corti erano raccolti in una raffinata acconciatura. Quando si era guardata allo specchio, le sembrava di rivedere una sorta di Audrey Hepburn in uno dei suoi celebri film, più precisamente in Colazione da Tiffany, cult all'inizio degli anni '60.

Tra l'ansia dell'esibizione, che in tanti anni che ballava non era mai svanita, e l'assenza dello zingaro per tutta la giornata, iniziava anche a sentire freddo. Pregò che non fosse un inizio di influenza, il suo capo non ne sarebbe stato felice. Senza contare che era tutto il giorno che cercava di trovare le parole migliori per dirgli di ciò che era successo con Monsieur Séverin. L'assenza in sala di quest'ultimo, poi, non facilitava affatto le cose. Lo zingaro avrebbe comunque fatto due più due, non appena avrebbe notato quel particolare.

A pochi passi da lei, poteva sentire il rumore di bicchieri di vetro che venivano posati su i tavoli, il chiacchiericcio soffuso e confuso delle persone sedute e i passi di Keler per ricevere le ordinazioni. A tratti, poteva sentire anche la voce di Madame chiedere ad alcuni un parere sullo spettacolo appena concluso.

Edith non sapeva se era l'agitazione che cresceva o altro, ma a stento riusciva a respirare imbellettata in quell'abito bianco da i bordi piumati. Ancora per poco e, il vestito, avrebbe fatto compagnia al resto degli ospiti, per terra.

<< Sei già qui. >>

Istintivamente, Modesty si voltò di scatto, trovando la figura dello zingaro che si avvicinava a lei. Non sfuggì ai suoi occhi, però, che aveva in mano qualcosa. Stavolta, almeno, sapeva perchè sentiva l'ossigeno venirle meno.

<< Dove sei stato? E' tutto il giorno che ti cerco. >> Rispose lei, senza neanche curarsi di salutarlo. Rialzò lo sguardo nei suoi occhi celesti, che sembravano brillare nell'oscurità del dietro le quinte del palco.

Lavdor si fermò a pochi passi da lei. << Ho dovuto aiutare un amico in difficoltà col suo locale. Sono rimasto nella zona Est di Parigi per tutto il giorno. Una noia mortale. >>

<< Keler mi ha detto che era la zona Ovest. >> Le fece notare lei, con una puntina di gelosia nella voce, che lo zingaro non colse. O faceva finta di non cogliere.

<< Si sarà sbagliato. >> Commentò alcuni secondi dopo. Modesty lo sentì muoversi dietro di lei e trafficare con l'apertura di una scatolina. Molto simile a quella che aveva visto quella mattina. Il cuore prese a batterle all'impazzata. Per qualche secondo non sentì nulla, ma poi qualcosa pendette davanti ai suoi occhi. Non fece in tempo a guardarla che sentì una sorta di freddo al collo. << Basta per farmi perdonare? >> Chiese, con tono sicuro. Sapeva che bastava anche solo una frase gentile per far cessare ogni cosa nella sua testa.

Modesty sorrise, mordendosi un labbro con i denti. Quando sentì agganciargliela, finalmente poté abbassare lo sguardo. Il suo sorriso morì in un battito di ciglia. Non era la stessa collana che aveva visto quella mattina, nella sua stanza. Quella era interamente fatta di diamanti bianchi, questa invece era più piccola, più leggera, e aveva diamanti ovali che avevano dei riflessi colorati. Il suo collo sembrava un arcobaleno. Ovviamente le piaceva ma non riusciva a capire del perché non era la stessa. Forse non gli era piaciuta a lui e aveva pensato di cambiarla.

<< Non mi rispondi? Non sai cosa dire? >> La prese in giro lui.

<< E' bellissima. Grazie. >> Per quanto voleva, non riusciva proprio ad avere un tono gioioso e sorpreso.

In seguito, sentì le sue mani cingerle la vita e il suo respiro sul collo. Ci lasciò un casto e breve bacio. << Troverò il modo per farmi perdonare meglio, dopo. >> Riuscì a dire, prima di sparire di nuovo e lasciarla lì sola. Giusto in tempo prima di sentire la voce di Edith Piaf zittire i presenti.

Des yeux qui font baisser les miens, un rire qui se perd sur sa bouche.// Voilà le portrait sans retouche. // De l'homme auquel j'appartiens. // Quand il me prend dans ses bras. // Il me parle tout bas, je vois la vie en rose.

Quando il sipario si aprì, illuminato, al centro del palco, c'era solo un bicchiere da cocktail. Grande, sembrava impossibile arrivarci. Di certo non era per bere. Il numero di quella sera sarebbe stato diverso da quelli precedenti. Mentre, con passo felpato, raggiungeva il centro del palco, a testa china, stringeva in una mano un bastone fino d'argento. Ondeggiò il sedere, dapprima di spalle al pubblico, poi girata. Rivolse ai presenti un sorriso seducente, il più sincero che poteva esserci. Perché quando era lì non doveva pensare al resto, no. A quello poteva pensarci domani. Quella sera era la protagonista, in quella sala gremita di uomini che osservavano i suoi movimenti. Giovani, maturi, anche anziani. Tutti loro erano lì per lei.

Con l'aiuto del bastone, ballò intorno ad esso, puntandolo poi lontano da lei. Dava le spalle al pubblico ma con scatti rapidi del capo, rivolgeva loro occhiate ammiccanti. Ormai inutile, il bastone d'argento finì a terra, scuotendo poi il seno coperto ancora dall'abito. Con quelle movenze sembrava più una ballerina di Can-Can, ma ben presto avrebbe scoperto le sue vere mosse. Quelle che solo Modesty Blaize poteva esporre. Facendo nuovamente ondeggiare il sedere, le mani andarono a posizionarsi dietro la zip dell'abito, iniziando ad abbassarla lentamente, facendo muovere le anche a ritmo delle parole di Edith Piaf. Un minuto dopo, l'ingombrante vestito piumato andò a fare compagnia tra le braccia dei clienti, con gli occhi che brillavano di gioia. Modesty restò con addosso una particolare lingerie rosso fuoco, da i bordi e il reggicalze nero. Prendendo due grandi piume bordeaux, iniziando a volteggiare facendo finta di coprirsi con quelle. Sentiva il vento colpirla sulla pelle nuda, anche se l'aria si era fatta terribilmente calda.

Dall'angolo bar, anche Keler e Madame stavano osservando il suo spogliarello e balletto. Poco più in avanti, nelle prime file dei tavoli, riuscì anche a scorgere gli occhi celesti dello zingaro. Sedeva accanto a due loschi tizi con dei sigari tra le labbra. Un bagliore l'accecò quasi, quando volse lo sguardo sulla figura che era seduta accanto a lui. Una donna. Forse l'unica dell'intera sala. Bella, bellissima. Aveva una cascata di capelli dorati, legati in una sofisticata acconciatura alla moda, e portava un seducente abito rosso attillato, dalla schiena nuda dove c'erano i lacci legati che tenevano saldo il vestito al corpo. Il suo sorriso illuminava l'angolo della sala e i suoi occhi erano celesti, di una tonalità più pacifica di quella di Lavdor. Ma l'unica domanda che affollava la mente di Modesty, in quel momento, non era chi era quella donna e cosa ci faceva accanto allo zingaro, no. Il vero quesito era: cosa ci faceva quella donna con la sua collana? Sì, perché la bionda sexy in questione, al collo, aveva la stessa collana che Modesty aveva visto quella mattina, nella sua stanza.

Se Edith stava cercando di trovare una giustificazione logica a quello, Modesty fumava d'ira da ogni lato del suo corpo. Improvvisamente si sentì l'aria mancarle, nel bel mezzo del suo spettacolo, con la musica che continuava a scorrere. La voce della Piaf le sembrava ovattata, distante. La sala vuota di colpo. C'era solo lei, il palco, la luce che la illuminava troppo e quella bionda seduta al tavolo con un bicchiere di brandy tra le mani.

Qualcuno iniziò ad accorgersi che qualcosa non andava, giacché Modesty sentì verso destra qualcuno spifferare qualcosa all'amico seduto vicino.

Come avrebbe potuto concludere il suo spogliarello quando la mente era affollata da altri pensieri? Come poteva esibirsi ancora quando a pochi passi da lei, c'era quella donna che la guardava con un luccichio particolare negli occhi? Cercò di ricordarsi la regola del... potrai pensarci dopo, ma la sentì come una presa in giro a se stessa.

Lo zingaro la osservava con un sopracciglio alzato e il suo sguardo stava a significare: che diavolo stai facendo lì impalata?

Quando anche Modesty realizzò che l'ipotesi del tradimento si stava allargando come una macchia d'inchiostro su un foglio bianco, era troppo tardi per tornare con la mente al suo spettacolo.

Al diavolo lo show! Al diavolo il locale! Al diavolo tutto!

Mentre correva fuori dalla porta dietro le quinte, non pensò minimamente neanche al fatto che fosse mezza svestita o che avesse dei tacchi vertiginosi ai piedi. Quelli erano diventati dettagli superflui, in confronto a quello, in confronto alla consapevolezza che lo zingaro l'aveva tradita. Altrimenti cosa ci faceva quella donna lì, con la sua collana?

Sbatté con prepotenza la porta dietro di se, quando giunse nella sua stanza, e raggiungendo il letto si accasciò a terra, rendendosi conto di avere la vista offuscata e le guance già umide. Il cuore sembrava che avesse cessato di battere, lo sentiva a stento. Era silenzioso, non voleva disturbare il suo dolore o, un po' come Modesty, voleva sforzarsi di apparire forte anche quando si stava frantumando.

La stanza, dapprima buia, venne illuminata dalla luce del corridoio quando lo zingaro spalancò la porta, entrando nella stanza. I suoi occhi erano furiosi, le mani chiuse a pugni e la bocca era dritta, formando una linea retta e nervosa.

<< Sei impazzita? Perché hai abbandonato il pubblico? >>

<< Non mi sentivo bene. >> Provò a mentire, chiudendo gli occhi con forza per nascondere le lacrime.

<< Cazzate! Due secondi prima stavi benissimo. >> Lavdor sospirò pesantemente, abbassandosi poi al suo livello. << Che ti succede? >>

Modesty mandò al diavolo, mentalmente, anche Edith che continuava ad invitarla a tacere la verità. Con uno spintone, la riportò nell'abisso dove l'aveva spedita, in esilio. Si alzò di scatto, lasciando lo zingaro ancora più confuso. Quest'ultimo la imitò, mettendo le mani su i fianchi in attesa di una sua risposta. La vide allontanarsi di poco, raggiungendo la scrivania.

Modesty si portò una mano al collo, dove aveva legata la collana che gli aveva regalato lo zingaro quella sera, e con tutta la rabbia e la forza che aveva se la levò in malomodo, rompendo il gancio. Senza dargli tempo di dire qualcosa, la scaraventò contro di lui con un urlo. Ma lo zingaro fu più furbo. Scansandosi, la fece finire a terra.

<< Sei uno stronzo! >> Gli urlò lei ancora. << Con chi eri oggi, eh? >> Chiese, avvicinandosi nuovamente a lui, senza paura alcuna. Si sentiva morta già dentro. << Dimmelo! Con chi eri? >> Urlò. Urlò con tutta la rabbia che in pochi minuti aveva accumulato. Era la prima volta che si rivolgeva a lui con un simile tono, dopo quattro anni di convivenza sotto lo stesso tetto.

<< Non so di cosa stai parlando, Modesty. Vuoi farmi un favore? Puoi calmarti, un secondo?! Possiamo parlarne con più... >>

Ma non finì neanche a parlare che lui volse di scatto il viso verso destra, massaggiandosi la guancia appena schiaffeggiata. Il suono era arrivato poco dopo, rimbombando per tutta la stanza.

Quando Lavdor tornò a guardarla, istintivamente Modesty fece due passi indietro, cadendo sul letto. Osservò distrattamente la porta che, con un calcio, veniva violentemente richiusa. Sentiva gli occhi dello zingaro su di se, furiosi. E solo quando tornò a guardarlo negli occhi capì di aver esagerato. Accecata com'era dalla gelosia aveva dimenticato che allo zingaro non piaceva essere toccato.

Aprì la bocca, mimando prima con le labbra le frasi più classiche per chiedere scusa. Ma ancor prima di far uscire la sua voce, si ritrovò distesa completamente sul letto, con il viso voltato verso destra e il suono di un altro schiaffo che riecheggiava nella stanza. Chiuse con forza gli occhi, lasciando che altre lacrime rigassero il suo viso, mentre si portava una mano al segno rosso che la mano di Lavdor aveva lasciato sulla sua guancia.

<< Tu vai a letto con un'altra donna e schiaffeggi me? >> In un'altra situazione avrebbe riso per l'assurdità del contesto, ma in quell'istante non aveva voglia neanche di sorridere, troppo era il dolore che provava nel cuore, non tanto nel corpo.

<< E' successo solo una volta. >>

<< Bugiardo! >> Sbottò lei, tornando a guardarlo negli occhi, non avendo la forza di alzarsi dal letto. << Sono giorni che ti assenti dal locale, di giorno e di notte. >>

<< Per affari, non per altro. >> Ruggì in risposta l'uomo.

<< Non ti credo. Sono sicura che eri con lei anche prima di arrivare qui, poco fa. >>

Lavdor stette in silenzio per un secondo, avvicinandosi di un altro passo a lei. << Anche se fosse, non devo venire a giustificarmi con te, ragazzina! >>

Modesty scosse la testa lievemente. In quattro anni non avevano mai litigato così, non l'aveva mai chiamata con quell'appellativo che, sapeva, la faceva uscire fuori da i gangheri. Era come se tutti quei giorni, quelle settimane, quei mesi, passati insieme si fossero sgretolati come biscotti. E ciò che rimaneva erano solo le briciole di un'amara consapevolezza.

<< Tu non mi ami. >> Non era una domanda, ma un'affermazione che non aveva mai creduto di poter esporre.

<< Che diavolo centra adesso? >>

<< Non andresti con le altre donne, altrimenti. Quante ce ne sono, Lavdor? Dimmelo, quante! >> Urlò infine, ignorando il fatto di averlo chiamato col suo vero nome. Cosa che, nelle liti, odiava.

<< Non chiamarmi così! >> Urlò di rimando. Poi, i muscoli del viso, si rilassarono improvvisamente. << Cosa vuoi che ti dica? Che ti amo? Ebbene, eccotelo: Ti amo, Modesty. >>

<< Non è vero. Sei un lurido bugiardo! Vattene! >> Rispose, prima di scoppiare nuovamente in lacrime. Li diede le spalle, coprendosi il viso con un braccio e soffocando i singhiozzi in esso, lasciando che le lacrime bagnassero la coperta del letto.

Ma non lo sentì andarsene, non sentì la porta aprirsi e richiudersi poco dopo. Sentì solo qualcosa poggiarsi accanto a lei, qualcuno. Lui. Posò una mano sulla sua spalla nuda, sostituita poi dalle sue labbra. Modesty tirò in su col naso, rialzando il viso ma non voltandolo verso lo zingaro.

<< Che stai facendo? >> Chiese con un filo di voce.

<< Ti dimostro che ti amo. >> Rispose solamente, prima di levarsi la giacca nera dello smoking e gettandola da qualche parte per la stanza. Si avventò nuovamente sulla pelle nuda della sua spalla, mentre con la mano scendeva verso le sue gambe.

<< No, smettila! Smettila subito! Vattene! >> Disse lei, cercando con le mani di togliere quella di lui sulla sua gamba. Puntualmente, lui ritornava alla carica. << Ti ho detto di smetterla, Lavdor! >>

<< Non è vero. >> Con le labbra si avvicinò al suo orecchio, scostando qualche ciocca ribelle dei capelli bruni della ballerina. << Tu mi vuoi. >> Dispettosamente, le morse il lobo dell'orecchio, prima di tornare a concentrarsi a baciare ogni centimetro della pelle della sua schiena.

<< Lasciami! Lasciami in pace. >> Pianse lei, cercando di sottrarsi ancora una volta dalle sue grinfie.

In tutta risposta, lui non parlò, ma si limitò a prendere i polsi di lei e a portarli sulla testa, bloccandoli con forza. Con la mano libera le sfilò l'intimo dello spettacolo, facendola rimanere nuda sotto i suoi occhi.

<< Ti ho detto di lasciarmi! Oppure mi metto ad urlare. >> Lo minacciò lei, iniziando ad agitarsi per la paura.

Non poteva vederlo, ma sulle labbra dello zingaro comparve un sorriso divertito. << Dimentichi che questo locale è anche mio, dolcezza. Non credo che qualcuno verrà a salvarti, anche perché sono tutti impegnati a darsi da fare con lo spettacolo che tu hai lasciato a metà. >> Modesty sentì il rumore di vestiti che venivano buttati a terra. << Ma possiamo rimediare subito al tuo errore. >>

Poco dopo sentì la sua lingua tracciare una scia di saliva fino a fermarsi all'inizio del sedere. Le lacrime continuarono ad uscire senza permesso e ormai neanche lei faceva nulla per trattenerle. Era il senso d'impotenza che non le piaceva, il trovarsi completamente senza potere e alla mercé dello zingaro. Si sentiva umiliata, denudata di tutto... anche della pelle stessa che sotto la sua lingua sembrava bruciare come i carboni ardenti.

Da lì a poco, sentì il membro dello zingaro contro le sue natiche. Soffocò la testa sulla coperta, trattenendo un urlo quando lo sentì entrare con violenza in lei. Invano, cercò ancora di dimenarsi, ma Lavdor decise di prenderla saldamente per la nuca, lasciando così andare i suoi polsi.

<< Stai in silenzio o giuro che metto fine alla tua vita stasera stessa. Non sto scherzando, Modesty. >> Ringhiò ancora, un'ultima volta.

Stavolta tremò, perché sapeva quando diceva sul serio o quando scherzava. E non colse nessuna traccia ironica nel suo tono minaccioso. Si morse un labbro, sussultando ad ogni sua spinta. Con la lingua, raccolse piccole gocce di sangue che iniziarono ad uscire dalla sua bocca, mischiandole con la saliva e ottenendo quel sapore ferreo e disgustoso. Voleva pensare a qualsiasi altra cosa. Voleva scovare nella mente di Edith un ricordo felice, qualcosa che potesse distrarla da quell'animale che continuava a possederla senza rispetto. Ma quando ci provava, sentiva soltanto la virilità dello zingaro entrare sempre di più, tanto da sentire le gambe spaccarsi a metà tra quella tortura puntata sul dolore e l'umiliazione.

Neanche quando, al culmine del suo piacere, si riversò fuori –sporcandole le natiche- poté dirsi libera. Girò il viso di lato, sempre posato sulla coperta, col trucco rovinato dalle lacrime. La guancia le doleva ancora, ma mai come il corpo e il suo cuore, quest'ultimo completamente distrutto. I pezzi facevano rumore e, calpestandoli, Lavdor uscì dalla stanza sbattendo la porta. Non una parola ci fu tra loro, ne un sussurro. Come privato della vita, il corpo di Modesty cadde a terra, senza forze. Con un braccio steso ancora sul letto e gli occhi rossi dal pianto, osservò un punto indefinito nella stanza.

Non aveva uno specchio per vedersi ma era certa di fare schifo, era certa che il suo aspetto manifestasse il suo umore attuale. Dopo questa consapevolezza, iniziò il lungo corteo dei "perché" nella sua mente. Perché Lavdor le aveva fatto questo? Perché l'aveva violentata? Perché riusciva a farla sentire così dannatamente sporca? Chi aveva amato per tutti quegli anni? Ma soprattutto... lui l'amava?

Era buffo. Perché aveva immaginato l'amore in modo diverso. Come nei libri che leggeva da ragazza, quando era ancora in America.

Chicago. Involontariamente, andò a ripescare un ricordo felice. La sua famiglia. A quella parola, ebbe un brivido di freddo per tutto il corpo e, istintivamente, si strofinò le braccia con le mani per procurarsi calore. Era ancora nuda e macchiata, in tutti i sensi.

In quei quattro anni non ci aveva pensato molte volte, ma in quel momento avrebbe voluto rifugiarsi tra le braccia di sua sorella. Per quanto aveva odiato i suoi modi severi, avrebbe pagato oro per un suo schiaffo.

Tremò, invece, udendo un rumore alla porta. Come un battito. Girandosi di scatto, invece, osservò da sotto un'ombra allontanarsi. Quando si avvicinò, notò qualcosa di bianco. Un biglietto. Non credeva che fosse lo zingaro, non erano quelle le scuse che solitamente usava per un litigio. Poche parole scritte ma chiare:

"Incontriamoci nel Rouge Bar a Piazza Saint-Paul, nel quartiere Marais, domani alle nove. E' urgente.

-Un'amica."

Strabuzzò gli occhi, confusa. Non aveva amiche lì, a parte Madame e le ballerine del locale. Eppure non era un sogno, qualcuno voleva vederla per dirle qualcosa. Qualcosa che poteva importarle. Di certo non poteva immaginare chi, l'indomani mattina, l'avrebbe attesa nel Marais. Qualcuno che, di certo, non si aspettava.




Wolf's note:

So di essere in un ritardo imperdonabile, ma solo ora trovo il tempo di rimettermi all'opera con la storia. Purtroppo il lavoro porta via un sacco di tempo. Ero riuscita a ritrovare un giusto ritmo anche nell'aggiornamento di "La dama", ma che purtroppo dovrà aspettare ancora. Tenete presente che scrivo per puro piacere personale, per hobby... non è la mia professione quotidiana. Magari lo fosse. Detto ciò, spero che mi perdoniate per il ritardo! Vi ricordo, però, che per qualsiasi ritardo negli aggiornamenti, vi invito a seguire la mia pagina su facebook, "Le memorie di Wolfqueens Roarlion". Il link lo trovate nella mia pagina d'autrice qui su Wattpad.

Spero che la storia continui a piacervi e ad essere di vostro gradimento!

Ringrazio tutti voi lettori che continuate a seguirmi, a darmi consigli, correggermi, e che votate la storia! Un grande abbraccio!

Prossimo aggiornamento previsto, salvo imprevisti, è in data Domenica 9 Aprile 2017! Per qualsiasi avviso, verrà scritto sulla pagina facebook! Un bacio e al prossimo aggiornamento!

Wolfqueens Roarlion. 

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