Capitolo 2

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La cena, quella Domenica sera, venne consumata con la solita seriosità con la quale i Colvin cenavano ogni giorno. Come famiglia religiosa –almeno la maggiore tra le due sorelle- erano soliti fare il segno della croce e una preghiera per ringraziare il Signore per aver avuto da mangiare. Edith lo faceva in silenzio, imitando Kara, poggiando i gomiti sul tavolo dal legno olivastro e consumato dal tempo. Mr. Colvin, invece, si rifiutava categoricamente di fare la preghiera serale. Dal canto suo, era già troppo che presenziava ogni Domenica alla Cattedrale.

Edith sparecchiò, dando una mano alla sorella prima di potersi ritirare nella sua stanza per prepararsi per la notte. L'entusiasmo che abitava in quelle mura, poi, non era proprio il massimo da spronare nessuna ragazza in età adolescenziale a restare a parlare con la famiglia dopo il pasto. Kara era di poche parole e il suo solito svago –se così si voleva chiamare- era canticchiare Ragazzo solo, ragazza sola di uno dei suoi cantanti preferiti: David Bowie. Quel singolo aveva visto la luce proprio nel Febbraio di quell'anno.

James se ne stava seduto sul divano, invece. Lo sguardo perso nella televisione, fingendosi interessato ad un quiz scadente, dalla critica molte volte tartassato, e tra le labbra aveva un sigaro che in poco tempo avrebbe riempito la stanza di un odore nauseante. I capelli stretti in un codino, avevano sfumature di un biondo scuro, e sembravano alzarsi al ritmo del suo respiro, formando delle piccole onde.

Edith, quindi, se ne stava nella sua stanza che condivideva con la sorella. Si sedeva alla toeletta in legno lucido chiaro e si passava la spazzola tra i capelli ondulati e castani, di un colore che ricordava vagamente il cioccolato. Il viso pieno e luminoso si contorceva in espressioni di dolore quando la spazzola incontrava dei nodi che si erano venuti a creare per colpa del vento di quel giorno. Liberata la chioma dalla severa crocchia, si fece una treccia, legandoli al massimo. Non ricordava molto di sua madre ma una delle cose che le ripeteva sempre era di intrecciare i capelli quando si era triste e lasciarli liberi solo quando soffia un forte vento. Ma quella sera non c'era ne vento e ne stelle. Il cielo nero sembrava il nulla dell'oblio. Un oblio dove Edith era nata e cresciuta, rischiando giorno dopo giorno di appassire come il roseto che la madre aveva coltivato con tanto amore, come i muri del corridoio, pieni di crepe.

Indossava ogni sera una camicia da notte diversa ma del medesimo materiale: seta. Un set composto da una nera, una bianca e una rosso scuro. Tutte e tre erano appartenute alla madre e avevano fatto parte del suo corredo di nozze. Una settimana dopo la sua morte, Edith ricordò la reazione del padre vedendola indossare quella nera. Aveva balbettato qualcosa di incomprensibile, prima di alzare la voce per dirle di andarsi a cambiare e tornare a letto. Aveva pianto. Non credeva di procurargli così tanto dolore ma Kara la esortò a comprenderlo, dicendo: << Noi abbiamo perso una madre. Lui ha perso sua moglie, un componente dell'unica famiglia che gli rimane. Non odiarlo, papà ci vuole un mondo di bene e tu sei sempre stata la sua prediletta. >> Perché più di Kara, Edith era molto simile a Mrs. Colvin. Per quei grandi occhi chiari, per l'innocenza che il viso angelico emanava anche da lontano, per quella ingenuità spontanea che sapeva contraddistinguerla. Una qualità che aveva fatto innamorare subito Mr. Colvin di quella che, in seguito, sarebbe divenuta sua moglie dopo la seconda guerra mondiale.

Edith indossava la camicia da notte bianca, quella sera. La sua freschezza riuscì a rilassarla dalla cappa di caldo che si era creata nella stanza per via delle finestre chiuse. Aprendole, provocò uno scricchiolio sordo, coperto sicuramente dal suono della televisione al piano inferiore. Una piccola ciocca di capelli fuoriuscì al controllo della sua treccia e la vide ondeggiare al ritmo irregolare di un gradevole venticello di fine estate.

Quel quartiere di Chicago dormiva già. Non volava una mosca. Non era la sua vita ad essere monotona, era quella città ad esserlo. Stava morendo, stava scomparendo e presto non sarebbe stata che un comunissimo nome su una cartina geografica dello Stato dell'Illinois. O forse no? L'indomani le era ignoto, esattamente come il futuro di ogni essere umano. Compreso il suo.

<< Edith, ti dispiacerebbe prendermi il centrino della mamma? Lo trovi nello sgabuzzino. Quello bianco. >> Kara urlò un poco per farsi sentire dalla sorella al piano superiore, giacché il padre sembrava ipnotizzato dal programma televisivo e non accennava ad abbassare il volume.

<< Va bene. >> Rispose urlando altrettanto, non appena Edith uscì dalla stanza.

La camera dei suoi genitori era stata trasformata in uno stanzino polveroso e dalle macchie di muffa sul soffitto. Dopo la dipartita della moglie, Mr. Colvin era stato chiaro dal fatto di non voler più dormire lì e nessuna delle figlie obiettò. La camera degli ospiti era diventata la sua nuova stanza.

Accese la luce. Una lampadina traballante dal soffitto. Edith aveva sempre timore di passarci sotto, temeva che prima o poi questa si sarebbe staccata e le sarebbe caduta in testa. Ne era certa, era solo questione di giorni.

Aprì un baule, cercando i centrini che la madre faceva a mano. Era uno dei suoi passatempi preferiti e le piaceva attendere il ritorno di Mr. Colvin dal lavoro seduta su una sedia a dondolo con i ferri in una mano. Kara la prendeva in giro, dicendole che sembrava già un'anziana vecchina e Mrs. Colvin rideva. La sua risata aveva portato per anni della gioia in quella casa, un qualcosa che adesso era proibito.

Nell'aprire il baule, Edith non trovò quanto desiderato da Kara, neanche sotto la montagna di pile di tende di ogni colore. Ma ciò che trovò era di gran lunga più curioso. Erano delle riviste che portavano il nome di "Playboy". Strabuzzò gli occhi, come se fosse stata testimone del ritrovamento di chissà quale reperto storico. Del resto era solo una rivista e più la teneva in mano e più si chiedeva cosa contenesse per nasconderla sotto delle tende impolverate e puzzolenti. In copertina vi era una donna bionda con un telefono all'orecchio, che con le braccia si copriva il seno nudo. La maglietta era posta su un braccio come fosse un appendi abiti. Sopra il titolo della rivista vi era riportata una data: Ottobre 1969, un anno prima. Sua madre non era ancora morta e le riviste finivano in quella data, quelle presenti in quel baule. Qualcosa le diceva che appartenevano al padre e aprendole alla prima pagina, sbarrando gli occhi e rimanendo letteralmente a bocca aperta, si disse che sì, dovevano appartenere a Mr. Colvin.

Edith continuò la sua piccola investigazione nello sfogliare la rivista, notando donne bellissime in pose sensuali e poco vestite. Ridacchiò sonoramente al solo pensiero che potesse entrare Don Long da quella porta e, beccandola a leggere cose del genere, cominciasse a buttarle acqua Santa addosso e recitando qualche Padre Nostro. Si coprì la bocca con una mano, levandosi la scena dalla mente, continuando a sfogliare la rivista. Più si soffermava ad osservare quelle donne, chi vestite e chi direttamente senza veli, e più si domandava come facessero a non vergognarsi di farsi ritrarre in quella maniera. Non aveva pregiudizi, non lei, solo non capiva come facessero ad essere così audaci. Dal canto suo, lei, non si sarebbe mai spogliata in pose del genere.

Si soffermò su una pagina in particolare, notando subito i vestiti seducenti che la donna aveva. In verità, era una biancheria intima che le donava in modo straordinario. Un corsetto rosa pallido, quasi pastello, con un pizzo bianco ai bordi sia sul seno che sotto la pancia. Una foto successiva poi, mostrava che lo stesso corsetto, dietro, aveva dei lacci del medesimo colore intrecciati tra loro che andavano a formare un nodo al centro per legarlo. In abbinamento, alle gambe della stessa donna –che aveva il nome di Jeannie Bell- c'erano delle autoreggenti bianche. Tutto si poteva dire ma riconosceva che la donna in questione fosse molto sensuale in quelle pose proibite. Si chiese come doveva sentirsi nell'indossare un corsetto così succinto, a sapere che foto del genere circolavano e che le potevano vedere chiunque. Doveva sentirsi desiderata, amata da un pubblico che probabilmente neanche conoscerà. Era abbastanza intelligente da sapere che c'era stato un prezzo per tutto ciò.

<< Gli hai trovati? >> La voce di sua sorella fu una secchiata d'acqua gelida e anche se non poteva vedersi in viso per la mancanza di uno specchio nella stanza, Edith avrebbe scommesso qualsiasi cosa che era sbiancata in quel momento.

Richiuse la rivista, portandola dietro la schiena e girandosi di scatto verso Kara. In viso l'espressione della colpevolezza. Se avesse aperto la bocca, ne era certa, avrebbe balbettato.

<< Cosa nascondi dietro la schiena? >> Chiese poi la sorella, avanzando nella stanza con un'espressione già severa in volto.

<< Niente. >>

<< Fammi vedere. >>

<< Ti ho detto che non è nulla! >> Esclamò lei, facendo ricadere alle sue spalle la rivista nel baule, sperando che cadesse sulle tende in modo che non poteva procurare rumore. Ma per sua sfortuna, la rivista cadde su un'altra della stessa tematica e Kara allungò lo sguardo dietro la figura esile di Edith.

Sbiancata o meno, era di carnagione già abbastanza chiara e dirlo sarebbe stato difficile ma una cosa era certa: la sua espressione, quando tornò con lo sguardo su Edith, non era certamente buona. Anche se non la sfioravano, scintille invisibili le pizzicavano la pelle nuda, brevi cenni della sua ira che si sarebbe scagliata su di lei in pochi secondi.

<< Vergognati! Sei una signorina di buona famiglia e non una contadina analfabeta! >> Capì poco di quello che gli disse, perché era troppo impegnata a massaggiarsi la guancia dallo schiaffo che Kara le rifilò poco dopo. << Vai in camera tua, recita quattro Ave e Maria e cinque Padre Nostro, e prega anche per la tua anima, ne avrai bisogno. Poi mettiti a dormire! Avanti, muoviti! >> Concluse in tono rabbioso, indicandole la porta.

Con una mano poggiata ancora sulla guancia e una rilasciata su un fianco, Edith uscì dallo sgabuzzino per recarsi nella sua stanza, chiudendo la porta dietro di se. Le lacrime iniziarono a rigarle il volto, mentre al di là della porta sentiva suo padre chiedere cosa fosse successo e sua sorella rispondere urlando. Quando vide che Mr. Colvin non fece irruzione nella stanza da letto delle figlie per fare la classica ramanzina alla minore –era quello che si aspettava anche quest'ultima- Kara urlò che lui gliele dava sempre vinte e che se stava crescendo senza disciplina era colpa sua. Prima di coricarsi, ancora in lacrime, sentì solo il volume della televisione che si alzava a dismisura.

Un brutto voto sulla sua condotta scolastica sarebbe stato meno vergognoso del giorno seguente. A colazione nessuno parlava e Kara guardava il suo pasto senza toccarlo. Quel giorno non la sentiva canticchiare ed era un cattivo presagio di una giornata pesante. Mr. Colvin mangiava il suo beacon, sentendo solamente il rumore delle posate nel piatto di ceramica. Talvolta guardava la figlia minore e nell'unica volta in cui i loro sguardi si erano incontrati, le aveva sorriso rassicurante. Peccato che non fosse la collera di suo padre che temeva.

Uscì di casa quando il suo piatto fu pulito da ogni residuo di cibo, rischiando anche di far tardi a lezione. Indossava un vestito bianco con fiori rosa e una cintura in vita color menta, ai piedi aveva dei sandali dalla evidente usura e in una mano stringeva una pila di libri tenuti insieme da un nastro dal fiocco semplice. I capelli legati sempre nella severa crocchia e lo sguardo puntato verso il basso.

Raggiungere la Chicago State College era facile se si prendeva una scorciatoia per un piccolo parco confinante l'elegante e lussuosa residenza degli Hamilton. Come immaginava, Corine era già sulla soglia dell'edificio a chiacchierare con Tessa e Tony. La prima era un tipo divertente, dalla risposta sempre pronta e pertinente, e dall'insolito gusto in fatto di abbigliamento. Le piaceva vestirsi di scuro e portare i capelli lunghi e neri liberi da ogni complicata acconciatura. Aveva un carattere ribelle e più di una volta Don Long le aveva fatto una ramanzina davanti a tutti, a messa, ed era stata l'ultima volta che aveva messo piede nell'edificio sacro. Ripeteva che non aveva provato imbarazzo, ma era una questione di orgoglio.

Tony, invece, era il classico tipo che veniva preso di mira da tutti, specialmente da i professori dell'Università, per via dei suoi capelli un po' troppo lunghi ed era per questo che molti lo chiamavano capellone, a volte usando anche del disprezzo. Lui, tuttavia, si definiva un artista. Figlio di un'epoca in cui la parola progresso faceva paura anche al più saggio degli anziani della città. Suonava quel tipo di musica che aveva il nome di rock. Rumore per Kara, spazzatura per Don Long, interessante per Mr. Colvin. Suonava da solo, per il momento, ma contava di fare qualche pezzo dal vivo. Magari in uno dei locali della città, in una zona dove le brave signorine di buona famiglia come Edith e Corine non avevano il permesso di andare.

<< La rosa negra mi ha offerto di cantare per il suo pubblico, questa sera. >> Annunciò più tardi lo stesso Tony, dopo le lezioni di musica –le uniche che si tenevano d'estate- sotto un albero del cortile dell'Università.

Dopo un breve giro di sguardi tra le femmine del gruppo, tutte applaudirono e fecero le congratulazioni al loro amico. << Complimenti! E quando è successo? >> Chiese Tessa, rigirandosi tra le mani una catena d'argento che portava al collo.

<< Ieri stavo suonando fuori lo zoo del Lincoln Park, quando una lussuosa macchina nera da i finestrini alzati si ferma. Pensavo fosse qualche poliziotto in borghese ma mi sono ricreduto quando il proprietario del locale mi ha offerto di suonare per la sua clientela. E' stato molto gentile e mi ha offerto una buona paga. >> Spiegò, a stento riusciva a contenere la sua felicità. Poi lanciò uno sguardo a tutte e tre. << Voi non dovete assolutamente mancare. >>

<< Certo che no. Vero, ragazze? >> Tessa si girò verso Corine ed Edith per avere un appoggio ma entrambe facevano scena muta e si guardavano tra loro.

Entrambe non avevano famiglie "moderne" come quelle di Tessa e Tony. Famiglie che magari avevano accettato il modo di vivere di quegli anni, la musica, il suo ritmo, che stava cambiando anno dopo anno. Sia gli Hamilton che i Colvin non avrebbero mai lasciato andare le loro predilette figlie in un locale notturno a ballare musica rock dal vivo. Kara Colvin avrebbe chiamato Don Long per un esorcismo immediato e Mrs. Hamilton, la madre di Corine, avrebbe rinchiuso la figlia nel convento più vicino affinché finisse i suoi studi circondata da gente devotamente cristiana.

<< Certo che ci saremo. >> Rispose improvvisamente Corine, raccogliendo dell'audacia che Edith non credeva potesse avere. La scrutò per un breve istante, per verificare che non stesse mentendo. A quell'occhiata confusa, Corine fece cenno all'amica che gli avrebbe spiegato dopo cosa fare.

Tessa tornò a casa poco dopo e Tony fece lo stesso, doveva prepararsi per la serata e aveva poco tempo.

Mentre tornavano a casa, Edith si voltò verso Corine. << Stavi scherzando prima? >>

<< Affatto. Noi ci andremo. >> Rivelò la bionda con un sorriso accattivante sul volto. La conosceva da quando era una bambina e non gli aveva mai visto un sorriso del genere. Iniziava a farle paura. << Stasera dirai alla tua famiglia che sei mia ospite, che ho bisogno di un parere circa una composizione per la cerimonia di apertura del nuovo anno accademico. Naturalmente ti fermerai a dormire da me. Tua sorella si opporrà, come già immagino, ma tuo padre ti lascerà libera, ne sono certa. E una volta a casa mia, dirò la stessa cosa ai miei genitori, dopodiché raggiungiamo Tessa e ci prepariamo per questa sera. >>

Non funzionerà mai. Fu il primo pensiero di Edith dopo la spiegazione da parte della sua amica a quel suo folle piano. Non aveva mai rischiato così tanto e ne aveva mai mentito alla sua famiglia per dover fare qualcosa. Perché prima di allora non gli sarebbe mai ballato nell'anticamera del cervello di uscire di notte da sola per andare in un locale notturno in uno dei quartieri dal mediocre tasso di criminalità di Chicago.

<< Non mi convince il piano. >>

<< Edith, hai diciannove anni! Viviamo in una nuova epoca e la guerra è finita. E' nostro dovere iniziare ad uscire dal nido famigliare. Se non vuoi venire, va bene, ma io ci vado. >>

<< Fino a ieri non giudicavi la figlia dei Mureau per essersi data alla fuga con uno sconosciuto senza neanche sposarsi? >>

<< Errore, mia cara. Non ho giudicato la figlia dei Mureau, non la conoscevo neanche. Ho solo detto cosa ne pensavano i genitori. >> Rispose, alzando una mano in modo teatrale. Scoppiò a ridere poco dopo, cercando di coinvolgere l'amica nella risata. Vedendo che non ottenne nessun risultato, tornò seria, dandole una leggera gomitata. In lontananza, si poteva già vedere la modesta casa dei Colvin. Corine si fermò, guardando l'amica con un'aria di sfida in volto. << Mia madre ha una splendida stola di pelliccia bianca, credo che la indosserò e colorerò le mie labbra di rosso fuoco. >>

Lo stava facendo apposta, era palese. Se non la conoscesse bene, Edith avrebbe detto che fosse vanitosa e invece era solo il suo modo per spingerla in quel folle piano. Osservò per un istante la strada deserta, come per accertarsi che non le vedesse nessuno. Stava per infrangere le rigidi regole di casa Colvin. Era veramente pronta a farlo? In fondo era solo una sera, no? Solo quella sera sarebbe stata un'altra persona, confondendosi tra la gente.

<< Rimani qui. Torno subito. >> Non era proprio sicura di ciò che stava per fare ma se per una sera si concedeva un qualcosa di proibito, di certo non sarebbe andata all'inferno per quello.

In fondo è solo una sera. Non faccio nulla di male, giusto? Se lo promise fino a quando non entrò in casa. Solo una sera: quella sera.

Perché allora, per la prima volta nella sua vita, Edith Colvin aveva l'impressione che si sarebbe pentita di quella scelta? Mise tutto a tacere con un pensiero: impressione. Era solo nella sua mente.




Wolf's note:

Ed eccomi con il secondo capitolo di "Modesty".

Da qui in avanti si entrerà nella vera trama della storia. Edith infrangerà veramente le regole rigide di casa? Andrà veramente nel locale per sentire il suo amico suonare? Non ci resta che scoprirlo nel prossimo capitolo. A questo proposito, volevo avvertirvi che i capitoli saranno di due o massimo tre alla settimana. Quindi adesso appuntamento a Martedì con il prossimo capitolo.

Se il capitolo vi è piaciuto, mettete una stellina o un commentino. Mi farebbe piacere!;)

Un abbraccio, alla prossima!

Wolfqueens Roarlion.


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