Capitolo 9

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Nei giorni successivi era tutto un concentrato di prove, balli, giravolte e studio. La cosa più difficile era far mantenere i suoi voti nella norma e cercare, allo stesso tempo, di impegnarsi nel lavoro. Sua sorella e suo padre non avevano avuto nulla da dire quando gli aveva riferito di aver ripreso a lavorare dagli Hamilton. E, in parte, era una consolazione non dover dare ulteriori spiegazioni, perché non ne sarebbe stata in grado.

Dopo le lezioni, salutava velocemente Corine, Tessa e Tony, e si avviava verso la strada, sviando per i vicoli e le scorciatoie che conosceva, verso il locale. A quell'ora del giorno si potevano udire solo le musiche e le ballerine sul palcoscenico con i vestiti di scena. Anzi.. con la lingerie di scena. Edith le vedeva vestite solo quando abbandonavano il locale, a fine spettacolo.

Durante le prove, lo zingaro non presenziava mai e questo era un bene. L'unico presente era Keler, oltre alla bionda e ballerina di punta, che ebbe modo di conoscere con il nome di Fatmir. Non le ci voleva poi molto per capire che anche la ragazza era straniera. Onestamente l'aveva sospettato. Non aveva mai visto americane così belle e affascinanti. Perché Fatmir lo era. Più Edith la guardava e più dubitava alla favoletta che le raccontavano da bambina, che gli esseri umani erano tutti uguali.

La osservò nei movimenti, nelle giravolte al palo e anche come riusciva a contorcersi maestosamente su di esso. Il solo pensiero di sapere che avrebbe dovuto fare lo stesso, un po' la spaventava. Ma alla fine ognuno poteva fare qualsiasi cosa, se con la buona volontà.

Fatmir si esibì anche in alcuni passi di danza senza palo, mosse che richiedevano agilità e flessibilità. Tutte cose della quale Edith ne era priva. In pochi giorni avrebbe dovuto imparare a fare almeno il minimo di ciò, per potersi esibire il giorno prestabilito, il suo primo giorno lavorativo: Lunedì.

Non doveva essergli troppo simpatica, alla bionda. Perché ogni qual volta che se ne andava, che terminava la sua "lezione", prima di sparire del tutto si girava verso la bruna e con un sorrisetto insopportabile sul volto, la fulminava con lo sguardo, ripetendo sempre le solite parole: << Lo faccio perché mi ci obbligano. >>E poi spariva chissà dove ed Edith rimaneva sola con solo il palo a farle compagnia.

Aveva degli orari da rispettare, però, e succedeva spesso e volentieri che tornasse a casa anche dopo l'orario per cenare e doveva inventarsi una scusa con la sorella per sfuggire al lungo ed interminabile interrogatorio. Era la prima volta che doveva mentire alla sua famiglia, la seconda se si contava quando era uscita di nascosto, di notte, per recarsi in quel locale. Ancora oggi non sapeva se maledire o benedire quel giorno in cui vi aveva messo piede.

Quando dormiva, nel sonno, ripassava i passi, le movenze con il corpo e le espressioni che avrebbe dovuto usare la sera del suo debutto. I giorni sembravano aver preso una velocità sorprendente, tanto che quando arrivò Lunedì sera le sembrò di essere un insignificante punto nero in un grande foglio bianco. Era anche il miglior modo per descrivere il dietro le quinte della rosa negra, i camerini e la preparazione delle ballerine.

Un confuso chiacchiericcio arrivava dall'inizio del corridoio fino alle porte dell'unica stanza dove le ragazze si preparavano, dove si truccavano e dove indossavano i costumi di scena. Facevano tutto da sole e l'unico addetto alla zona cosmetici era un tipo basso e barbuto, rossiccio e dall'aspetto minaccioso. Come spesso succedeva, Edith veniva ignorata dall'harem delle ragazze del locale. Tutte stupende nelle loro lingerie striminzite, alcune più spogliate di altre. I loro discorsi si limitavano a ciò che avevano fatto prima di andare lì e al nuovo costume che avevano acquistato. Nessuna di loro parlò di mariti, di presunti fidanzati. Perché evidentemente non c'erano ma Edith non se ne stupiva. Era difficile se non impossibile che, una ragazza che faceva tale professione, potesse concedersi il lusso di un solo uomo nella propria vita.

E io? Si chiese a se stessa, mentre stava indossando delle calze nere con il bordo di pizzo. Semplicemente era lì per soddisfare un capriccio, un desiderio che, in fondo, partiva da se stessa. I demoni interiori, che brutte bestie! Sospirò silenziosa, mentre il tipo del trucco le fece cenno di avvicinarsi. Lo fece senza fiatare e si accomodò alla sedia posta davanti al grande specchio incorniciato da lampadine accese.

Chiuse gli occhi quando le veniva chiesto, girava la testa a seconda di quale posizione doveva adattare, si sporgeva di più o di meno e, come una marionetta, faceva tutto ciò che le dicevano di fare. Anche se era un tipo silenzioso, apparte quelle poche parole d'obbligo, il tipo del trucco non le sembrava cattivo, anche se aveva quel sopracciglio perennemente alzato, che sembrava dire: "Ti tengo d'occhio, tranquilla." Da brividi.

Quando le disse di aprire gli occhi, Edith lo fece lentamente. Aveva quasi timore di guardarsi allo specchio, di non riconoscersi. E la sua espressione fu del tutto sorpresa. Osservò da diverse angolazioni il suo viso truccato, le guance colorate di un tenue rosa cipria, le palpebre sfumate di viola e nero e le labbra colorate di rosso, di una tonalità scura, quasi bordeaux. I lunghi capelli erano stati raccolti in una treccia che le arrivava fino a metà schiena. Guardandosi allo specchio un'altra volta, le venne quasi da urlare. Sembrava una prostituta.

<< Sei perfetta! >> Esclamò una voce alle sue spalle.

Sollevò gli angoli della bocca in un sorriso e, di scatto, si alzò dalla sedia per abbracciare il suo amico musicista, che quella sera avrebbe dato il debutto della sua nuova canzone.

<< Non sono io. >> Disse, staccandosi dal suo abbraccio. Intorno a loro, le ballerine stavano iniziando ad uscire per attendere il loro turno ed entrare in scena. Dalla sala si poteva udire già una musica violenta.

<< Edith, non dire assurdità. Sei tu. Solo un po' diversa, come è giusto che sia. >> Le rispose, cercando di strapparle un sorriso. << Mi esibirò prima io, così poi potrò godermi il tuo debutto in tutta serenità, sorseggiando un buon whisky. >>

La ragazza storse le labbra. << Stai prendendo delle brutte abitudini. >>

<< Nessuno è mai andato in galera per un bicchiere di alcol. >> E le fece l'occhiolino.

E alla fine, Tony riusciva sempre nel suo obbiettivo e, anche quella volta, riuscì a strapparle un sorriso, sebbene fosse più nervoso che altro.

Rimasero a parlare per altri quindici minuti, fino a quando, una delle ballerine non si avvicinò a loro, appena scesa dal palco, per dire a Tony che presto sarebbe toccato a lui. Prima di lasciare l'amica al suo nervosismo prima dello show, le fece un delicato, scherzoso e impeccabile baciamano. La fece ridere appena.

Edith si avvicinò al palco, da dietro le tende del backstage, in modo da poter sentire l'amico suonare e cantare. Il solo pensiero di essere stata la sua musa ispiratrice le dava una piccola soddisfazione, tanto che era curiosa di sentire le parole. La canzone le era parsa magnifica. Nostalgica forse, ma era meglio così. Malinconiche furono le parole che seguirono le prime note che uscirono dalla sua chitarra. E se ne stava lì ad ascoltare, mentre il nome dell'innamorata del narratore usciva dalle sue labbra.

Modesty. Modesta.

Tony cantava di una donna senza limiti, prigioniera di un corpo che non era il suo e che, lentamente, cercava di avere sempre la meglio sulla personalità principale.

Era chiara al mattino, piacevole al tramonto e alla sera era Modesty.

Quel nome continuava a risuonarle nella mente. Lei era nella canzone. Lei era la canzone. E quella nostalgica melodia rappresentava la sua vita, da sempre religiosa e monotona, che aveva trovato un po' di pace e serenità da quando aveva scoperto un mondo che non le apparteneva e che, verso il finale, trovava il suo trionfo.

Ma quella della canzone aveva un epilogo diverso. Si distendeva in un lago di sangue, il suo, e lasciava che le sue personalità, la ragazza cortese e amabile e la ragazza modesta e selvaggia, trovassero la pace che meritavano, in due vite e due corpi separati.

Solo quando Edith sentì uno croscio di applausi dalla sala, a pochi passi da lei, e la musica fermarsi, capì che Tony aveva concluso la sua performance. E lei si scoprì in preda alla lacrima facile che, così facendo, avrebbe distrutto il trucco per lo spettacolo. Una leggera tensione nelle vene, la esortò a sistemarsi. Tirò in su col naso diverse volte, sbattendo le palpebre per scacciare qualche lacrima furtiva. Nelle narici di nuovo quella fragranza di lavanda e gelsomino. E le arrivò più diretta di quanto credesse.

Quando si voltò, vide lo zingaro dietro di lei. Nella semi oscurità dello spazio dov'erano, i suoi occhi sembravano brillare di un azzurro intenso e profondo. Il cuore le martellava nel petto e non sapeva se era la sua vicinanza o il ritrovarsi seminuda davanti ad uno sconosciuto. Presto, gli sconosciuti, sarebbero diventati di più, quando sarebbe salita sul palcoscenico.

Il tocco, delle dita gelide sul suo braccio nudo, le provocò i brividi su tutto il corpo. Tornò ad avere le gambe molli e i battiti del suo cuore erano così aumentati che ormai non li sentiva più. Sviò lo sguardo, in preda al forte disagio, ma quando lo zingaro la costrinse a fondere il cioccolato al latte dei suoi occhi con il suo ghiaccio d'inverno, sentì rompersi qualcosa dentro di lei. Le sembrò di immaginarsi tutto quanto ma divenne più limpido quando capì che non stava sognando, che era lì, ad un passo da qualcosa che mai nella vita avrebbe pensato di fare. Ed era sempre ad un soffio dalle labbra scure e proibite del suo principale.

Lo zingaro le catturò prepotentemente con le sue e senza chiedere l'accesso alla sua bocca, infilò la lingua tra le labbra della giovane, accarezzando la sua e lasciando che si unissero in una danza peccaminosa. Edith ne sentì la punta umida entrare nella sua bocca. Non servì ripetersi che era sbagliato, neanche darsi della stupida per ciò che stava facendo. Si limitò a lasciar comandare il tutto a quella personalità che, come la protagonista della canzone, era prigioniera in un corpo che non le apparteneva. Pessima mossa. Lei non avrebbe mai fatto nulla per fermare tutto ciò. Perché lei lo voleva. Lasciò che quel bacio si trasformò in qualcosa di ossessivo, dominante.

L'impatto con la parete fredda sembrò far sparire la personalità selvaggia dentro di lei, facendo tornare quella più riflessiva e pudica. Non lo allontanò, perché lo fece lui qualche minuto dopo. Sembrava che anche lo zingaro avesse percepito il ritorno dell'entità principale dentro di lei.

Con una mano le prese il mento tra le mani, accarezzando appena quella pelle lattea e delicata come i petali di un fiore. I petali di una rosa, perché come tale era profumata.

<< Lascia tutto ciò che ti circonda fuori da queste mura. Lì sopra sarai solo tu e immagina che ci sia solo io a guardarti, nella sala. Dai il meglio di te, perché so che c'è qualcosa nel tuo corpo. Tiralo fuori, annulla ciò che sei realmente e dai vita a quel fuoco che ti sta divorando. E' il tuo momento, non sciuparlo. >> E la lasciò andare di colpo.

Edith aveva la gola secca e si sentì traballante su quei tacchi troppo alti. Poggiò una mano alla parete, per osservare lo zingaro andarsene. Sulle labbra i residui di un bacio infuocato e che, come tale, bruciava ancora.

Annulla ciò che sei realmente e dai vita a quel fuoco che ti sta divorando.

Strabuzzò gli occhi, guardando l'oscurità intorno a lei, fino a quando una voce, dal palcoscenico, non la chiamò. L'apostrofò solo come il nuovo acquisto della rosa negra.

Acquisto. Come un oggetto. Ritrasse l'espressione schifata dal viso e salì i gradini di legno per accedere a quel palco che l'aveva vista protagonista di ardui allenamenti, nei giorni precedenti. C'era solo una luce che la illuminava. Lei, il palco, una sedia e il palo, posto poco più in la da dove si trovava. Le paillettes nere del corsetto brillavano e il trucco sul viso le dava un'espressione più accattivante.

E' il tuo momento, non sciuparlo.

Le note di Aline, di Christophe, partirono poco dopo.

Edith continuava ad osservare davanti a se, mentre sulle labbra si dipingeva un sadico sorriso, che non apparteneva di certo a lei, ma a qualcun altro. Seguì il consiglio del suo capo. Si annullò completamente e fece sì che ballasse qualcun altro al suo posto. Un'altra con il suo corpo.

Muoveva le gambe con agilità, si aggrappava al palo, quasi con teatrale disperazione, e si lasciò andare a contorsioni del corpo, delle gambe e dei piedi. Si aiutò con questi, lasciando le braccia aperte, senza toccare minimante il palo. Si sentì tremare al solo pensiero di non essere aggrappata a nulla. Ma recuperando il controllo, si lasciò scivolare quasi con disinvoltura fino a toccare nuovamente la terra.

Incamerava aria nuova nei polmoni lasciando la bocca semiaperta. Si lasciava andare ad un dolce rotolarsi per terra, immaginando una fascia rossa di seta ad avvolgerla. Dal collo fino alle gambe la stringeva, come un salame intrappolato. Ma bastava una forza superiore, concentrata, per liberarsi del tutto ed essere di nuovo libera. Prendendo una breve rincorsa, salto nuovamente, aggrappandosi all'asta solo con una mano, mentre con l'altra libera si lasciava andare a dei giri con il corpo, in senso orario. Concluse quella performance ricadendo giù con le gambe aperte e la testa rivolta verso il pubblico, con i capelli scomposti sul parquet del palcoscenico, usciti al controllo della treccia. E solo quando il sipario si richiuse, si sentì dalla sala uno scroscio di applausi. Rialzandosi e andando dietro le quinte, realizzò che quelli applausi erano solo ed esclusivamente per lei.

<< Sei stata fantastica! >> Urlò gioioso Tony, facendo irruzione nel camerino proprio mentre Edith tornava alla sua personalità principale.

<< Ero nervosa e si vedeva. >> Ribatté decisa, infilandosi il suo cardigan celeste di maglina. Aveva già intrappolato i suoi capelli nella crocchia e il suo viso era tornato acqua e sapone, con alcuni residui neri di mascara.

<< Sciocchezze! >> Si avvicinò a lei con un sorriso. << E non lo penso solamente io. Quando hai finito, prima di andartene, vai nell'ufficio del capo. Ti sta aspettando. >> E le lasciò un bacio sulla guancia, uscendo dalla stanza.

Il cuore di Edith perse un battito. Lo zingaro la stava aspettando.

Per congratularsi con te, niente di più. Si ammonì subito dopo. Dando un'ultima occhiata al costume di scena lasciato lì su una sedia, la ragazza uscì definitivamente dal camerino per recarsi nella semioscurità del corridoio.

Durante il breve tragitto che la divideva dall'ufficio del suo principale, incontrò delle ballerine dirette al camerino per cambiarsi. Alcune le sorrisero –con sua somma sorpresa- e si congratularono per la sua bravura. Si sentì leggermente imbarazzata ma le ringraziò con un semplice: "grazie". Cos'altro poteva dire? Non era certamente brava come loro ed era più che convinta che la loro fosse solo cortesia.

Arrivando davanti la porta dell'ufficio, le sembrò di tremare. Diede qualche colpo deciso al legno massiccio e dopo aver sentito un flebile: "avanti", aprì la porta e fece fare capolino la sua testolina bruna. << Tony ha detto che voleva vedermi. >>

<< Sì, entra. >> Rispose, alzandosi dalla sedia.

Edith entrò definitivamente, richiudendo la porta alle spalle. Nell'ufficio c'erano solo loro. La cosa la inquietava un poco, testimone anche quello che era accaduto prima dello spettacolo. Comunque lasciò che fu lui a parlare per primo. Osservò lo zingaro versarsi del whisky in un calice e portandoselo al petto, senza bere. La guardò, gelandola quasi con lo sguardo, anche se il sorriso che aveva sulle labbra era in grado di scioglierla.

<< I miei sinceri complimenti. Sono rimasti tutti sorpresi e soddisfatti dalla tua performance. Io per primo. >> Sorseggiò un lungo sorso di alcol, prima di continuare. << E a tal proposito, volevo chiederti personalmente, secondo te, com'è andata. >>

<< Credo di essere stata nervosa e che il pubblico se ne sia accorto. >>

<< No, non penso. Vedi, ogni paura esiste solo nella nostra testa. Convinciti che non è così e avrai il mondo ai tuoi piedi. >> Finì il suo whisky, posando poi il calice sul legno scuro della scrivania, ordinata.

Lei avrebbe potuto avere il mondo ai suoi piedi. Ma ancora una volta era solo ciò che lo zingaro voleva vedere o magari un modo per convincerla a rimanere a lavorare lì. Vide l'uomo raggiungerla.

<< Ma ovviamente dipende sempre da ciò che si vuole. Tu, Edith Colvin, cosa vuoi? >>

Era la domanda che si poneva da una vita e alla quale non riusciva a trovare risposta.

<< Non penso di avere una risposta a questa domanda, benché meno tutta la bravura di cui voi mi adulate. >>

Lo zingaro rise. Nella stanza risuonò un suono chiaro e cristallino, come delle insignificanti gocce d'acqua che cadevano in un letto di pozzanghere.

<< Modesta. >> Quel termine lo fece sorridere. Modesta, sì. Era chi non si vantava e chi non riconosceva le proprie abilità in qualcosa. << Modesty. Questo sarà il tuo nome, quando ti esibirai alla rosa negra. >>

Edith alzò un sopracciglio. Come la Modesty della canzone di Tony? Sembrava buffo, ma ci si rispecchiava benissimo. Ovviamente questo era il pensiero di quell'entità che viveva in lei, e che non mancava mai occasione per uscire fuori e dire la sua opinione.

Modesty.

Edith lo ripeté un paio di volte nella propria mente. E più lo faceva, e più le piaceva. Sì, le sarebbe calzato a pennello.

<< Guardami, Modesty. >> Ordinò la voce dell'uomo, più seria e autoritaria. Sembrava appartenere ad un altro corpo per quanto era diversa.

La ragazza non esitò ed eseguì, piantando i suoi occhi in quelli dello zingaro, che nel frattempo si era avvicinato a lei. Quella fragranza la stava drogando, poco alla volta. E come un veleno, si insediava in lei, e se era abbastanza astuta l'avrebbe buttato in fuori. Ma siccome non lo era, perché in quelle circostanze vinceva sempre la sua entità secondaria, Edith lasciò che tale cosa l'avvelenasse. Ma non prima di aver esposto un suo dubbio.

<< Perché? >> Chiese, bloccando il suo viso a pochi centimetri dal suo.

Quella domanda l'aveva lasciato decisamente spiazzato, ma non lo diede a vedere e le rispose come avrebbe risposto a chiunque. << Perché le cose che mi piacciono non me le lascio sfuggire. >> E ricatturò prepotentemente le labbra della ragazza tra le sue, possedendole come aveva fatto prima e marchiandole con morsi capaci di farle sanguinare leggermente. Sangue che venne catturato dalla sua lingua, unendosi alla sua saliva. Quel sapore metallico che li piaceva e lo portava in una nuova dimensione.

Sotto il suo tocco la sentiva traballare, come se fossi ubriaca. Mentre sussurrava sulle labbra il suo nome, Modesty, pensò che prima o poi avrebbe ceduto. Anche l'albero più resistente era capace di cadere con un forte vento. E lui era il suo uragano.




Wolf's note:

E come promesso la settimana scorsa, eccovi il nono capitolo di "Modesty". 

Come vi sembra? Adesso si entrerà nel vivo della trama. Lo so che sono molti capitoli che lo sto dicendo... ma adesso è vero. Perché i veri "problemi" inizieranno adesso. Edith ha ufficialmente adottato il nome d'arte di Modesty. Ma cosa succederà adesso? Quale tra le due entità in lei avranno la meglio? Non ci resta che scoprirlo nei prossimi capitoli.

Prossimo aggiornamento previsto per Sabato 15 Ottobre! La settimana prossima. So che è lungo per aspettare ma sto avendo degli impegni e quindi devo rispettarli. Quindi appuntamento a Sabato per il capitolo 10!

Se il capitolo 9 vi è piaciuto vi invito a lasciare una stellina o un commentino, se vi va ovviamente. <3 Voglio ringraziare tutti voi lettori che seguite la storia.. anche chi mi contatta in privato facendomi i complimenti e perché è curioso di sapere che succede. Grazie di cuore!

Alla prossima,

Wolfqueens Roarlion.

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