30. Una serata in rosa

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Dicono che quando incontri l'amore della tua vita,

il tempo si ferma... ed è vero.

Quello che non ti dicono è che poi va a doppia velocità per recuperare.

Big Fish

Quando tornai in albergo, avevo le farfalle nello stomaco e un leggero capogiro, non potevo credere a tutto ciò che era accaduto, era inverosimile, irreale, irraggiungibile. Mi sentivo volare a un metro da terra e allo stesso tempo percepivo i piedi pesanti come il piombo della poca fiducia che riponevo ormai negli uomini: mi potevo fidare di Gabriel? E se mi avesse presa in giro anche lui? Non potevo permetterlo, non stavolta, mai più.

Someone you loved- Lewis Capaldi

I need somebody to hear, somebody to know, somebody to have, somebody to hold
It's easy to say, but it's never the same
I guess i kinda liked the way you numbed all the pain

ho bisogno di qualcuno da guarire, qualcuno da conoscere, qualcuno da avere, qualcuno da stringere, è facile a dirsi, ma non è mai lo stesso
immagino che mi piacesse il modo in cui tu lenissi tutto il dolore

Mi sdraiai sul letto, dopo essermi sfilata gli stivali all'entrata della camera e aver messo un paio di calzini in lana pesanti, avevo le mani e i piedi freddi, probabilmente per l'agitazione che avevo ancora in corpo. Mi distesi sul letto e chiusi gli occhi con un sorriso trasognato disegnato sulle labbra. Mi addormentai, cullata dai miei stessi profondi respiri, fino al rumore di qualcuno bussare alla porta, il primo istinto mi fece pensare all'uomo dagli occhi color del mare, corsi ad aprire la porta, ma non vidi nessuno, la persona in questione doveva essere sgattaiolata via subito, trovai altro sull'uscio: una scatola bianca con un nastro argento e una lettera in una busta dello stesso colore. Presi il tutto e lo portai nella stanza. Posai gli oggetti sul letto e mi ci sedetti di fronte a gambe incrociate. Aprii prima la lettera:

Stasera ore ventuno

Ti aspetto sotto l'hotel,

Indossa questo vestito.

Ti porto a cena, bella ragazza.

A dopo,

Gabry

Quando aveva comprato il vestito?

Aprii la scatola, incuriosita, spostai la carta velina che copriva il capo d'abbigliamento, e lo vidi. Lo presi tra le dita e lo dispiegai: un tubino nero lungo fino ai piedi, di una bellezza unica. Andai allo specchio e lo poggiai sulla mia figura e non vidi l'ora di indossarlo.

Erano le sedici e trenta, andai alla caffetteria dell'hotel con un libro e ordinai un cappuccino, mi sedetti alla finestra e cominciai a leggere, sorseggiando la bevanda fumante, poi tornai in camera e mi fiondai sotto la doccia. Lasciai scivolare nello scarico tutte le preoccupazioni, i pensieri negativi e i pregiudizi. Uscii dalla cabina e mi infilai uno slip in pizzo nero e un reggiseno a balconcino. Essere sempre preparati per il sesso! Dubitavo sarebbe successo quella sera, ma premunirmi non costava nulla.

Mi asciugai i capelli e feci qualche boccolo per movimentarli un pochino, perché solitamente troppo lisci. Indossai il bellissimo abito con uno scollo a barca che mi calzava a pennello e mettevano in risalto le forme del mio corpo, i fianchi, la vita fina e il seno piccolo, ma sodo.

Purtroppo non avevo scarpe veramente adatte, solo un paio di stivaletti con il tacco quadrato e la punta arrotondata laccati di rosso. Le amavo.

Mi truccai poco, ma abbastanza da sembrare più bella e mettere in risalto i miei occhi. Mi misi il cappotto e un basco rosso e all'ora prestabilita scesi al piano terra. Lui si trovava lì, in piedi, vestito della sua inconfondibile bellezza. Espirai con forza, mi tremavano le labbra e le gambe erano come budino. Aveva gli occhi puntati su di me e una leggera agitazione lo incorniciava. Teneva le mani strette a pugno lungo i fianchi. Probabilmente era a disagio, perché aveva anche la mascellla contratta. Ci fissammo per istanti lunghissimi senza battere ciglio, finché lui non distolse lo sguardo come se un pensiero gli fosse balenato in testa improvvisamente. Non era affatto tranquillo.

«Ciao» gli sorrisi debolmente, perché il cuore scalpitava nel petto. I suoi occhi percorsero la mia figura da capo a piedi.

Lui si avvicinò al mio orecchio per stamparmi un bacio sulla guancia e dopo quel breve contatto fisico, si avvicinò al mio orecchio per sussurrarmi:

«Sei bellissima, Liberta, vorrei ti potessi vedere con i miei occhi»

Con il suo avvicinamento, il suo profumo inconfondibile mi invase. Percepii il suo fiato caldo contro la pelle del mio collo. Incastrò inaspettatamente le dita con le mie.

«Andiamo a cena, ho fame»

«Dove?» domandai incuriosita, mentre tutto sembrava un mistero.

«Lo vedrai...» Rispose con un ghigno beffardo stampato in volto.

Ci incamminammo, fino ad arrivare all'entrata di un locale dove probabilmente aveva fatto riservare un tavolo per due. Sul portone c'erano delle lucette calde che cadevano dal tetto come i rami di un salice piangente. Mi posò una mano sulla schiena per spronarmi a entrare, salii gli scalini in pietra e oltrepassato un corridoio, mi si aprì davanti agli occhi un'enorme sala con arcate, I muri riportavano delle greche ocra con rombi celesti, i tavoli erano in legno bianco che sembrava essere pregiato, forse legno di quercia. Le tovaglie erano in avorio tendente al bianco, con dei ricami. E le lampade che scendevano dal soffitto sui tavoli erano eleganti, i paralumi in stoffa oro davano un tocco sofisticato all'ambiente. Un cameriere con un papillon nero ci venne incontro chiedendo con gentilezza:

«Avete prenotato?» Ci sorrise, avendo capito perfettamente che quello fosse il nostro primo vero appuntamento galante.

«Sì» asserì Gabriel «Richter » continuò.

Il giovane uomo in camicia, consultò il suo tablet, poi annuì e ci fece strada, ci indicò il guardaroba dove lasciare i cappotti.

Poi ci sedemmo e il cameriere ci portò i menù plastificati, con copertina in pelle nera molto raffinata. Gli occhi fissarono subito un piatto: risotto al pesce di mare. Gabriel optò per i calamari alla griglia, poi scelse un vino rigorosamente bianco, come si abbina al pesce, un pinot grigio. Fece cenno all'inserviente, che ci raggiunse immediatamente e prese l'ordine, aggiungendo su direttiva del mio accompagnatore un antipasto di mare. Mentre aspettavamo le pietanze, facemmo un brindisi, dopodiché tenevo le mani poggiate sul tavolo, lui non si trattenne e ne prese una tra le sue, che erano lisce e calde proprio come le ricordavo...

Mangiammo lentamente, come se avessimo paura di goderci il tempo insieme troppo velocemente. Prendemmo, per concludere, due Sacher e due caffè. Lui pagò il conto, anche se mostrai il mio disappunto al riguardo. Mi prese per mano e camminammo per il centro della città, illuminato giusto da qualche lampione. C'era un'atmosfera calorosa e familiare, per quanto il freddo fosse pungente e mi entrasse nelle ossa. Raggiungemmo il fiume, era meraviglioso con i riflessi delle luci della città e dei ponti che si ergevano sopra di esso. L'acqua era calma e in pace, tutto il contrario del mio cuore. Gabriel fermò un taxi con la mano alzata, che si fermò subito, e disse all'autista l'indirizzo del mio hotel. Si fermò proprio di fronte allo spiazzo sul quale si trovava il mio albergo. Pagai il tassista; presi la mano di Gabriel e gli diedi un bacio soffice sul suo dorso, posandoci le labbra come una piuma, in seguito mi avvicinai al suo orecchio e sussurrai:

«Vieni con me» una vampata di calore mi investì pronunciando quelle parole inaspettate anche per me. Mi scoccò un sorriso gentile. Però ricevetti solo il silenzio, ma, senza indugiare, uscì anche lui dalla portiera opposta del mezzo. Incastrò le dita con le mie e il mio cuore galoppò nel petto. Non sapevo cosa stessi facendo, e tantomeno a cosa andassi incontro. Ma era ciò che volevo ed ero felice.

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