04. 🖤

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Taehyung.

La velocità con cui Jin aveva fatto partire l'auto mi ricordò i vecchi tempi, quando tutto ciò che facevamo era correre da un ospedale all'altro per i miei controlli settimanali. Indossava questa stessa espressione, solo che mi guardava dal sedile posteriore e non da quello del conducente. A quel punto ci pensava mio padre a lanciarmi quelle occhiate sputafuoco che puntualmente - nonostante mi sforzassi di ignorarle - mi cospargevano di rimorsi facendomi salire quella maledetta voglia di scusarmi per essere una persona così caparbia.

Mi girava la testa e la vista era un po' annebbiata, ma quella bruma non era così fitta come le altre volte. Un po' di lucidità riuscivo a percepirla.

« Jin » mormorai piano, allungando una mano verso la sua spalla. Questi suoi modi di reagire li conoscevo come le mie tasche, ma c'erano momenti in cui dimenticavo come gestirli. Era sicuramente successo qualcosa alla presentazione. Stava bollendo nella rabbia, ed era sul punto di riversarla facendo pressione sull'acceleratore su cui poggiava il suo piede.

« Jin » lo richiamai dolcemente una seconda volta. « Dove stiamo andando? Fermati e spiegami cos'è successo » le sue dita strinsero i lati del volante con più forza, quasi a volerlo spezzare. Mi aveva sentito? « Per favore » aggiunsi subito dopo. Forse aveva bisogno di essere spronato un po'. Prenderlo con le buone era la scelta giusta? Non ero sicuro. Il suo sguardo era fisso sulla strada buia, il tachimetro oscillava sempre più a destra ed io trattenni il fiato.

« Jin rallenta! Non ho la forza nemmeno di urlarti addosso. Dimmi qualcosa almeno, qualasiasi cosa ti passi per la testa che non alimenti questa tua voglia di farci ammazzare » alzai il tono voce senza bilanciarmi troppo e percepii finalmente il suo sguardo posarsi sul mio viso e le labbra piegarsi pronte a dire qualcosa.

« Che importa? Tanto tra qualche ora il tuo cervello l'avrà già tritata e spazzata via questa conversazione di merda, Taehyung! Fanculo te e la tua droga del cazzo! » sputò facendo vibrare le corde vocali mentre le sue parole riecheggiavano nella mia testa. Non riuscivo a ragionare. Cosa c'entravo io? Perché stava scaricando la colpa di non so neanche quale evento su di me? Invece di rallentare aumentò la pressione ed io lo fissai spaventato.

« Come vedi sono abbastanza lucido da riuscire a risponderti, idiota! Mi spieghi che ti prende? Qual è il problema? Non ti è mai fregato nulla di ciò che faccio e adesso vuoi davvero farmi la morale? Torniamo a recuperare Jimin, dai » non mi capacitai di come la mia voce risuonasse così vuota nonostante l'avessi alzata abbastanza. Non urlavo da tempo ormai. Non mi innervosivo. Non permettevo ai miei istinti di prendere il sopravvento. Forse era un'altra abitudine che avevo appreso durante il corso degli anni, così come la droga, così come l'alcool, così come le bugie che mi ripetevo prima di alzarmi dal letto ogni mattina.

Jin rallentò di poco prima di rivolgersi nuovamente a me.

« Ti riporto a casa solo quando avrai accettato » accettato cosa? « Di che stai- » spiccicai e lui accostò in mezzo alla strada. Eravamo in mezzo al nulla, il cielo una distesa vuota e nessuno spiraglio di luce che mi regalasse un momento di speranza.

« Ascoltami bene Taehyung, perché non te lo ripeterò un'altra volta. Ti abbiamo sopportato per tutti questi anni senza mai controbattere nemmeno una volta. Io, Jimin e tuo padre abbiamo fatto di tutto per te ‐ DI TUTTO- per quanto io fossi personalmente contrario. Sei più grande di me ed è arrivato il momento di prenderti le tue responsabilità da Kim. Io sono un violinista e non posso stare dietro ad una scrivania, quindi lo farai tu: ritornerai all'Accademia e ti occuperai della parte amministrativa, chiaro? » pensai di essere sotto l'effetto di qualche altra droga, di quelle che intaccano ogni neurone del tuo cervello e ci impiegano un bel po' di giorni per farti riaquisire la stabilità mentale di cui si necessita.

Non me lo aveva proposto davvero. Anzi, non era nemmeno una proposta. Era un ordine. Tornare in Accademia. Occuparmi dell'amministrazione. Prendermi le responsabilità da Kim. Rabbrividii al sol pensiero di rimettere piede in quel posto che aveva in qualche modo sganciato il primo anello di una lunghissima catena che strinsi per anni.

« N-n-non capisco, Jin. Perché adesso e perché io? Puoi chiamare una persona fidata, appassionata e che sta sognando questa occasione da anni! Essere un Kim per me non significa niente, lo capisci oppure no? » essere un Kim. Che cosa significava? Mio padre sapeva benissimo cosa significasse appartenere a quella famiglia, Jimin lo sapeva, Jin lo stava imparando, ma io...io non appertenevo affatto ai Kim. Io non appartenevo al mio nome, al mio corpo, a niente e a nessuno, e adesso neanche le decisioni spettavano a me. Non riuscivo a vantarmi di niente, eppure...la gente bramava quel tipo di vita e avrebbe rischiato tutto per ottenere un briciolo di popolarità, di bellezza o di talento. Mi chiesi come facesse l'uomo ad essere così dannamente superficiale e pieno di sè.

« Non accetto un no come risposta, Taehyung » la sua voce mi arrivò più rilassata, così come i suoi lineamenti distesi, le labbra dischiuse e il battito regolare. Sospirò e fece ripartire la macchina con tranquillità, come se non fosse accaduto nulla.

« Questi tuoi attacchi di rabbia improvvisi non si addicono alla tua personalità e al tuo aspetto, fratello. Ti comporti così anche con i tuoi colleghi o è un trattamento che riservi esclusivamente a me? » lo stuzzicai, abbassando il finestrino respirando l'aria notturna e gelida della notte. Erano quasi le due del mattino.

« Sono solo...realista. Jimin è troppo buono con te » affermó deciso « Con tutti in realtà. Apprezzo questa caratteristica, ma c'è un limite a tutto » per mia fortuna o sfortuna quella conversazione era giunta al termine. Mi serviva proprio un attimo di silenzio, anche se tormentato dalle sue parole e dai pensieri che ne derivarono. Tornammo indietro, recuperammo Jimin e senza fiatare mi ritrovai in camera mia a fissare il soffitto con aria stanca, almeno fino a quando i miei pensieri non furono invasi dalla figura di quel ragazzo: Jungkook. La sua compagnia - seppur breve - era stata piacevolmente interessante ed era attraente come pochi. Quelle ciocche dorate che gli incorniciavano il viso gioviale e la spontaneità con la quale mi aveva rivolto la parola nascondendo il profondo imbarazzo che provava. Mi chiesi che tipo di persona fosse e quanto tempo aveva investito per ottenere quel fisico. Palestra forse? Genetica? Le spalle non troppo larghe e la camicia bianca che gli fasciava l'addome apparentemente scolpito. Mi ricordava Namjoon e il suo continuo vantarsi. Quasi mi faceva quasi paura vedere gente così in confidenza con il proprio corpo da indossare vestiti attillati che mettessero in mostra le proprie forme.

« Tae, posso entrare? » Jimin lasciò che la sua testa poggiasse sulla cornice sottile della porta. Squadrò prima il letto matrimoniale e le lenzuola ancora disfatte, poi il comodino in legno stracolmo di carte e polvere, la sedia con ancora una marea di vestiti da sistemare e l'anta rotta dell'armadio che giaceva in un angolino. Poi si concentrò su di me, ed io mi sentii colpevole perché non mi aveva ancora sfiorato l'idea di sistemare tutto quel casino.

« Metti a posto domani mattina? » si trasportò al mio fianco con la poca forza che possedeva. Aveva bisogno di una bella dormita.

« Si, tranquillo. Vai a riposarti Jimin, io starò bene e tu hai molte cose a cui pensare » mi iniziò a tremare la voce, poi le gambe.

« Mi dispiace per la situazione che si sta creando, Taetae. Sai com'è fatto Jin, è più probabile che i dinosauri tornino a dominare il Pianeta piuttosto che lui cambi idea su qualcosa » mi affiancò sul letto tenendomi ferma una gamba. Taetae. I nostri occhi si incontrarono e mi calmai.

« Tu sei d'accordo con Jin? Dovrei tornare lì dentro come niente fosse e lavorare dietro a una scrivania? Per cosa poi? Una nuova immagine che la gente si farà di me? »

« Certo che no! Nessuno può davvero obbligarti a fare qualcosa che non vuoi. Avrai sempre una scelta, ricordatelo. Nel peggiore dei casi, potrai acquistare un volo per non so dove e prenderti una pausa da tutto » la sua risata mi pervase l'anima e mi infiammò il cuore. Con gli occhi lucidi e pieni di vita mi strinse fra le sue braccia muscolose ed io al suo fianco ero piccolo, indifeso. Poi si alzò in piedi e mi lasciò da solo con i miei pensieri.

Le giornate trascorsero con una lentezza che non riuscivo a spiegare: pareva avessi piantato un albero in giardino e dovesse germogliare, dare i frutti. Evitavo di incrociare Jin nel corridoio, mangiavo ad orari diversi e sgattaiolavo dalla finestra invece che usare la porta di casa così da ridurre ancora di più il rischio di beccarlo. Eppure le mie abitudini non cambiavano mai. Finivo giornalmente le scorte di alcool e la testa mi girava e pulsava senza neanche contestare ormai, scofitta. Non era così male offuscarsi la mente. Dopotutto, in un certo senso il mio obiettivo era sempre stato quello di placare i miei pensieri, anche solo per un'ora o un istante. Era una realtà triste, ma era la mia realtà, e forse non volevo aprire gli occhi e tentare di uscire da questo circolo vizioso.

La data dei provini - la stessa del ritorno di mio padre - si stava avvicinando sempre di più con la stessa velocità di un treno che io non ero pronto ad accogliere. Dovevo prendere una decisione, di quelle che ti stravolgono la vita. Tornare in Accademia. Perché mai avrei dovuto farlo? Un motivo soltanto sarebbe bastato a farmi cambiare idea. Mi feci coraggio quella mattina e fui proprio io ad aprire alla porta che rivelò la figura imponente del Signor Kim. Con gli occhi infossati e lo sguardo torvo si era infilato in uno dei suoi tanti completi eleganti, i capelli neri e laccati, uno strato di barbetta che accarezzava il suo mento. Con le mani in tasca si fece spazio fra me e lo stipite della porta, inancando un sopracciglio inspirando l'aria di casa. Quell'uomo mi metteva ansia.

« Nessuno dei tre ha pensato di chiamare una donna delle pulizie per dare una ripulita qui dentro? » assottigliai le labbra. « Lieti di rivederti, padre » Jimin entrò in sala e lo salutò con un gesto formale, e questo mi fece scappare un sorriso soddisfatto, poichè lui e mio padre possedevano un rapporto "normale", per quanto fosse possibile. « Abbiamo avuto molto a cui pensare quindi no, la casa non è stata nella lista delle nostre priorità, ma ci penseremo il prima possibile » grugnì rapidamente infilando un paio di quaderni e dei fogli colorati in uno zainetto nero, raggiugendo rapidamente la porta principale.

« Ci raggiungi in Accademia, papà? » gli chiese poi, afferrando la maniglia senza distogliere lo sguardo dal mio viso

« Certo tesoro, anche ora. Taehyung, vieni con noi? » mi paralizzai non appena la mano di MIO PADRE si inclinò per afferrare la mia. Andare con loro. Andare con loro. In Accademia.

« Cos'è, un pretesto per ricominciare?» niente panico Taehyung, andrà tutto bene.

« Vedila così. Ti aspettiamo, giusto il tempo di cambiarti?» oltre quelle mura era parcheggiata la macchina in cui ero seduto anni fa, l'ultimo giorno che andai in quel posto. Casa, lo chiamavo. Mi chiesi quanto potesse farmi davvero male rientrarci e rivivere quelle emozioni. Sospirai, immergendomi in un pozzo di indecisione.

« Lascialo stare, è libero di scegliere per sè. »

« Non gli sto mica puntando una pistola addosso Jimin anzi...gli sto porgendo la mano » ribattè l'uomo di casa.

Alla fine scossi la testa.

« Magari un altro giorno, ai provini per esempio. Potrei venire a dare un'occhiata. Vi auguro una buona giornata » Chinai il capo e non aspettai una risposta. Tornai in camera e la misi a soqquadro più di quanto già non lo fosse, cercando qualche pasticca blu. Girai lo specchio per non guardarmi e presi posto davanti alla finestra.

Andare ai provini e rivedere Jungkook.

Angolo autrice:
Mi sono presa una breve pausa anche se questo capitolo era già pronto da un pezzo. Vi sta piacendo la storia? Buongiorno e buona lettura! <3

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