Capitolo 1 - Una nuova vita

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Edith

La musica dei Kaleo suona nelle mie cuffiette. Il viaggio in autobus sembra infinito, più lungo di quanto sia in realtà.

Ho sempre pensato che All the pretty girls fosse una canzone triste. Le parole, la musicalità, tutto mi ha sempre portato questo senso di tristezza.

E direi che mai come in questo momento la malinconia che avverto nella canzone calza a pennello col mio stato d'animo.

Ho perso il lavoro e ho dovuto abbandonare Monterey, la cittadina in cui abitavo insieme a mio padre.

I miei hanno divorziato un paio d'anni fa e mia madre, subito dopo, ha trovato lavoro in una grande azienda, sempre in California, come ingegnere elettronico.

Allora decisi di non seguirla e rimanere con mio padre; non volevo abbandonare i luoghi in cui ero nata e cresciuta, ma ora è tempo di voltare pagina.

A parte mio padre, tutto ciò che mi tratteneva a Monterey non c'è più. Tutte le mie amiche sono partite, smistandosi nelle varie città e in altri stati per via del college, ormai quasi cinque anni fa.

Io non ho proseguito gli studi, invece. Dopo la morte di Carol, la mia migliore amica, tutto mi sembrava privo di significato.

Avevamo pianificato assieme il nostro futuro, la nostra vita universitaria, le feste a cui avremmo partecipato e i ragazzi da cui avremmo accettato avances.

Ma quando lei è volata via, stroncata troppo presto da un brutto e inaspettato male, ho mollato, mi sono arresa, ho spento tutti i sogni che avevo per il mio futuro.

E ora mi ritrovo a quasi ventiquattro anni senza avere la minima idea di cosa fare della mia vita.

Mio padre, dopo che ho perso il lavoro, mi ha spronata a trasferirmi da mia madre, a Los Angeles, anche se io non ero molto convinta.

Dopo l'ultima volta che abbiamo litigato, ormai tre mesi fa, non ci siamo più sentite.

Ho rifiutato ogni contatto con lei e quando, dopo settimane che la trattavo in quel modo, è venuta a trovarmi, l'ho cacciata via, rifuggendo ogni possibile riconciliazione con lei.

E ora eccomi qui, su questo autobus, nella speranza di poter ricucire il rapporto con mia madre e di trovare il mio posto nel mondo.

Lei non sa che sto arrivando, con papà abbiamo convenuto che una sorpresa le avrebbe fatto sicuramente piacere. Ecco perché non vedo l'ora di scendere da qui e bussare alla sua porta per sotterrare l'ascia di guerra e provare a ricominciare da capo.

Tra me e mia madre c'è sempre stato un rapporto altalenante, abbiamo entrambe due caratteri forti e ci siamo spesso beccate; ma le ho sempre voluto bene e non ho mai smesso di farlo, neanche durante questi mesi in cui le ho chiuso tutte le porte.

Sono orgogliosa, lo so, e spesso è un male. Ma adesso sono stanca di farmi condizionare da questo mio lato caratteriale.

La verità è che ce l'ho con mia madre da quando ha lasciato mio padre e cambiato città. Ed è vero, lui ha sbagliato, l'ha tradita più volte, eppure avrei voluto che lei gli desse ancora una possibilità.

Adesso è un annetto che frequenta un tizio, un certo Lewis. Non so molto di lui, eccetto che è benestante e ha due figli: un ragazzo della mia età e una ragazza di qualche anno più piccola.

Spero di vederlo il minimo sindacale, però, perché non ho intenzione di sostituire mio padre con un'altra figura maschile.

«Arrivati!»

La voce dell'autista mi fa drizzare le antenne e tolgo le cuffie, preparandomi per scendere.

Nonostante la malinconia, sono pronta a mettere a posto le cose e a ricominciare da capo la mia vita, in un posto nuovo, con gente nuova.

La mia piccola città mi manca, inutile negarlo. Lì ho lasciato mio padre, le mie abitudini, i luoghi che frequentavo.

Ma non si può vivere sempre nel passato, c'è un momento della propria vita in cui si deve andare avanti.

Esco dall'autobus sforzandomi di sorridere: alle persone accanto a me, all'autista... alla vita.

Quando sono di sotto, recupero il mio bagaglio e mi avvio a piedi alla fermata taxi.

Ne prendo uno e gli dico dove portarmi, guardando l'indirizzo che ho segnato sulle note del cellulare.

Arriviamo a destinazione in breve tempo perché, per fortuna, non c'è traffico.

Pago il tassista e scendo dal veicolo, guardandomi attorno.

Attraverso la strada e giungo alla piccola villetta monofamiliare che riporta il numero 15, quello che sto cercando.

Quando però, dopo aver attraversato il vialetto della villa, arrivo alla porta di casa, noto che il cognome riportato sulla targhetta non è quello di mia madre.

«Possibile?» mi chiedo, a voce alta.

Riprendo lo smartphone e controllo. Magari ho letto male!

Niente, il numero corrisponde!

Provo a suonare al campanello ma nessuno risponde, così, a malincuore, sono costretta a chiamare mia madre.

Conoscendo le sue abitudini pensavo di venire qui e che, anche se non ci fosse stata, trovando la porta aperta mi sarei potuta intrufolare e urlarle "Sorpresa!" non appena fosse tornata.

Certo, magari così le sarebbe preso un colpo, ma le sorprese si chiamano così proprio perché devono lasciarti sorpreso, no?

Il telefono di mia madre suona due volte e poi lei risponde.

«Amore mio! Oh, tesoro, che gioia sentirti! Non sa quanto mi hai resa feli...»

«Hai cambiato casa?» la interrompo, acidamente.

«Cosa?»

«Sono fuori casa tua, all'indirizzo che mi avevi dato, numero 15. Eppure il cognome sulla targhetta non è il tuo. C'è scritto Dottor Lloyd.»

Un lungo silenzio. Un sospiro.

«Resta lì, amore. Ti vengo a prendere e ti spiego tutto. Ok?»

«Va... va bene» balbetto, non capendo cosa stia succedendo.

Attacco la chiamata e sbuffo, trascinando il mio trolley giù dal vialetto della villa.

Attraverso di nuovo la strada e mi siedo su una panchina, sbuffando ancora.

Cavoli, mi aspettavo una nuova vita e sembra, invece, che tutto sia cominciato col piede sbagliato!

Guardo in alto, su nel cielo, e sorrido.

Carol mi direbbe che le storie più belle iniziano proprio così: col piede sbagliato e col cuore un po' più confuso.

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